Nelle operazioni aventi ad oggetto cessioni di aziende qualora venga rettificato il valore di avviamento rispetto a quello quantificato dalle parti l’amministrazione finanziaria ha l’onere di motivare compiutamente il perché abbia utilizzato dei criteri diversi; se viene utilizzato il metodo comparativo di cessione di aziende aventi analoghe caratteristiche è necessario che l’amministrazione finanziaria indichi i casi analoghi e alleghi le prove documentali in ordine a detti casi analoghi. Questo il principio che si ricava dalla sentenza della Ctr Lombardia 1561/03/2019 .
La vicenda aveva ad oggetto l’impugnazione da parte di una società per azioni di un avviso di liquidazione di imposta di registro, afferente una cessione di azienda, il cui valore dichiarato era stato rettificato dall’amministrazione finanziaria nella parte relativa alla componente dell’avviamento. La ricorrente aveva specificato che la determinazione della quota di avviamento era stata effettuata sulla base di una contrattazione tra le parti che considerava il solo fatturato realizzato con le compagnie assicuratrici e che rappresentava una quota pari a circa il 75% del fatturato globale di ogni singolo punto vendita, avendo poi provveduto ad una serie di valutazioni aventi ad oggetto l’organizzazione aziendale; pertanto il valore dell’avviamento era stato determinato moltiplicando per un coefficiente ( lo 0,8) il fatturato dei centri che non si sovrapponevano ad altri centri di proprietà e per altro moltiplicatore ( lo 0,7) il fatturato dei centri nelle cui vicinanze operava un centro già di proprietà.
Contestava , quindi, la ripresa fiscale in quanto, a suo parere, il metodo di rettifica seguito dall’Ufficio, basato su mere formule matematiche, era oltremodo generico e non idoneo a rappresentare l’effettivo valore dell’avviamento, non tenendo in considerazione le singole peculiarità dell’azienda; in particolare eccepiva che la rettifica fosse erroneamente fondata sulla valutazione del fatturato medio di una azienda di carrozzeria , che era stato preso in considerazione l’intero fatturato dei punti vendita e non il solo fatturato convenzionato, che veniva fatto riferimento ad altri atti di cessioni di azienda omettendo ogni motivazione sul punto. La Ctp accoglieva le doglianze della ricorrente sottolineando che il metodo seguito dalla società per arrivare alla determinazione del valore dell’avviamento sulla base del fatturato, rivisto alla luce delle peculiarità di ogni singolo punto vendita, aveva una sua ragion d’essere, «tenuto conto che l’avviamento rappresenta la capacità dell’azienda di produrre reddito e pertanto, proprio per tale motivo, non può prescindere da una concreta valutazione dei cespiti compravenduti, cosa che, nel caso di specie, legittimava l’applicazione del moltiplicatore in misura ridotta rispetto a quello applicato dall’amministrazione finanziaria.
La Ctr , nel confermare la decisione di prime cure, offre ulteriori approfondimenti e spunti di riflessione. In particolare i giudici regionali traggono spunto dall’orientamento di legittimità che ha dato un’interpretazione delle norme di riferimento ( articolo 51, comma 4, Tur e articolo 2, comma 4, Dpr 460 del 1996) nel senso che per le aziende il valore di avviamento è determinato sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi d’imposta anteriori al trasferimento, moltiplicata per tre. Se tali criteri hanno la funzione di fornire indicazioni minime cui l’amministrazione finanziaria deve attenersi nella procedura transattiva che conduce ad un accertamento con adesione in materia di imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni, a maggior ragione la norma di cui al Dpr 131 del 1986, articolo 51, comma 4 non può che essere interpretata nel senso che il contribuente, nel dichiarare il valore dell’avviamento, deve effettuare i calcoli sulla base dei redditi ritraibili dall’azienda ceduta al lordo delle imposte» (Cassazione civile, sezione tributaria, sentenza 18941 del 17 luglio 2018); nonché che «i criteri per la determinazione del valore di avviamento di un’azienda, fissando valori minimali in funzione dell’accertamento con adesione, integrano un indizio a favore dell’amministrazione finanziari, la quale può adottare criteri diversi solo dando conto della maggiore affidabilità specifica degli stessi (Cassazione, sentenza 9089 del 7 aprile 2017). Proprio su quest’ultimo aspetto e in tema di onere della prova il collegio regionale considerava dirimente ai fini dell’annullamento della rettifica erariale che nell’avviso di accertamento si faceva espresso riferimento «all’ esame comparativo di cessione di aziende aventi analoghe caratteristiche e connesse soggettivamente per identità della figura del cessionario ….» senza che l’Ufficio avesse indicato i presunti casi analoghi e risultando omessa qualsivoglia allegazione in ordine a detti «casi analoghi».
Fonte “Il sole 24 ore”