L’insostenibile leggerezza del visto fiscale. Può essere sanzionato per frode fiscale il dottore commercialista che ha apposto un visto “solo” leggero sulla dichiarazione dei redditi. Lo afferma la Corte di cassazione con la sentenza della Terza sezione penale n. 19672 depositata ieri. È stato così respinto il ricorso presentato dalla difesa del professionista contro il sequestro per equivalente di una somma di denaro. La misura era stata disposta a fronte di un quadro accusatorio teso a contrastare un’associazione criminale fondata su uno schema fisso: la ricerca di imprese in crisi, il reclutamento di un prestanome e la costruzione con vari espedienti di una contabilità nella quale fare figurare considerevoli crediti d’imposta derivanti da operazioni fittizie.
Tra i motivi di ricorso, la difesa aveva fatto valere la sottoscrizione del solo visto leggero da parte del professionista, una modalità che avrebbe dovuto contribuire a scagionarlo da qualsiasi responsabilità penale. La Cassazione, tuttavia, non è stata di questo avviso. E ha ricordato innanzitutto il quadro normativo di riferimento: il visto di conformità, infatti, è stato introdotto dal decreto legislativo n. 241 del 1997 e si declina nella forma leggera (articolo 35) e in quella pesante (certificazione tributaria come ulteriore forma di controllo, disciplinata dall’articolo 36).
Il primo, sottolinea la pronuncia, rappresenta uno dei livelli di controllo attribuito a soggetti estranei all’amministrazione finanziaria sulla corretta applicazione delle norme tributarie, in particolare a professionisti iscritti a determinati Albi. «Con la sua apposizione – avverte la Corte – i professionisti attestano la corrispondenza dei dati esposti in dichiarazione alle risultanze della documentazione e alle norme che disciplinano la deducibilità e detraibilità degli oneri, i crediti d’imposta, lo scomputo delle ritenute d’acconto». Controlli che hanno l’obiettivo di evitare errori materiali e di calcolo nella determinazione di imponibili, imposte e ritenute. Il visto leggero è obbligatorio per una serie di operazioni, come la compensazione dei crediti relativi all’Iva, imposte dirette e Irap e ritenute di importo superiore a 5.000 euro.
Il visto pesante, invece, ha per oggetto la certificazione tributaria che permette il controllo sostanziale sulla corretta applicazione delle norme fiscali che hanno per oggetto la determinazione e il versamento dell’imposta.
E allora, ricorda la sentenza, anche nel caso del visto leggero il professionista è tenuto a riscontrare la corrispondenza dei dati esposti in dichiarazione con quanto risulta dalla documentazione a disposizione. Quanto alla responsabilità penale, il professionista colpevole del rilascio di un falso visto di conformità, leggero o pesante, oppure di un’infedele asseverazione dei dati, è punibile «dal momento che l’apposizione di un visto mendace costituisce un mezzo fraudolento idoneo a ostacolare l’accertamento e a indurre in errore l’amministrazone finanziaria».