Il contribuente può contrastare l’accertamento bancario, dimostrando che i versamenti sul conto corrente contestati dall’ufficio sono ascrivibili a incassi per contanti relativi a gruppi di fatture di vendita o di scontrini emessi di modico importo. Lo ha stabilito la Ctp di Caserta 1866/6/2019 (presidente Graziano, relatore Savastano).
Per una parte della giurisprudenza di merito le indagini finanziarie ex articolo 32, comma 1, numero 2), del Dpr 600/1973 e articolo 51, comma 2, numero 2), del Dpr 633/1972 sono assistite da una presunzione “semplicissima”, che non è sufficiente da sola a legittimare l’accertamento, per cui il Fisco è tenuto a reperire ulteriori elementi probatori convergenti (si veda, tra le altre, Ctp Brescia 790//1/2018 e Ctp Treviso 323/1/2016). Secondo la Suprema corte, invece, tali indagini finanziarie integrano una presunzione legale relativa (Cassazione 3785 , 8266, 44562 e 25786 del 2018), per cui l’onere probatorio dell’amministrazione finanziaria è soddisfatto attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili a operazioni imponibili. Il contribuente deve fornire a tal fine una prova non generica, ma analitica, potendosi avvalere anche di presunzioni semplici, che devono però essere attentamente vagliate dal giudice per quanto concerne i tempi dei fatti addotti, l’ammontare e il contesto complessivo (Cassazione 26432/2018 , 17156/2018, 5758/2018, 27075/2017).
Sembra proprio inserirsi nel perimetro di queste presunzioni semplici la prova contraria fornita dal contribuente nel caso esaminato dai giudici di Caserta. L’agenzia delle Entrate aveva accertato a carico di un commerciante di prodotti alimentari ricavi omessi per circa 100mila euro, derivanti da versamenti di contanti sul conto corrente.La contestazione fiscale nasceva dal fatto che non vi era corrispondenza esatta tra gli importi delle fatture di vendita emesse e degli scontrini fiscali rilasciati dal commerciante in uno stesso giorno e il versamento di contante effettuato sul conto corrente, anche magari nei giorni immediatamente successivi. Per questo motivo tali importi erano stati complessivamente ripresi a tassazione come maggiori ricavi non dichiarati.
I giudici di merito, riconoscendo invece le ragioni del commerciante, hanno stabilito che la prova contraria alla presunzione che assiste le indagini finanziarie era stata fornita dal contribuente. Questi aveva fornito un prospetto di riconciliazione tra gli incassi in contanti e le fatture e gli scontrini emessi, riepilogando i versamenti effettuati per gruppi di fatture e scontrini i cui importi erano stati incassati in contanti, atteso il modico valore, e il tutto complessivamente per un valore corrispondente, alla fine, a quello accertato globalmente dal Fisco.
Trattandosi di piccoli importi – ha puntualizzato la Ctp – il commerciante aveva incassato per contanti, per cui non esisteva alcuna tracciabilità di tali importi, e trattandosi di versamenti cumulativi neppure poteva argomentarsi della mancata corrispondenza esatta con fatture o scontrini emessi.