L’articolo 5 del decreto crescita ha modificato la disciplina dei benefici fiscali applicabili agli “impatriati”, aumentandone durata, importo, nonché la platea dei potenziali beneficiari. Fra i rinnovati vantaggi applicabili alle persone che prenderanno la residenza in Italia a partire dal 2020, essendo in possesso degli altri requisiti previsti dalla norma, si contano il raddoppio del numero massimo di anni oggetto di agevolazione (da cinque a dieci anni), nonché l’innalzamento della soglia di esenzione fiscale (portata, per tutti, dal 50 al 70%, con la possibilità di ulteriore innalzamento al 90%) come esemplificato nella tabella a fianco.
Inoltre, le modifiche al comma 1 dell’articolo 16 del Dlgs 147/2015 permetteranno agli operatori non solo di eliminare le analisi relative alle situazioni più complesse come quelle dei dipendenti distaccati all’estero e rientrati in Italia (in gran parte già risolte dall’agenzia delle Entrate con la risposta 45/2018), ma anche di agevolare gli impatriati che, essendo in possesso dei presupposti soggettivi, vengono a lavorare in Italia come dipendenti di datori di lavoro esteri senza stabili organizzazioni nel nostro paese.
Le nuove agevolazioni si applicheranno però solo a chi trasferirà la residenza fiscale in Italia a partire dal 2020, anche se il nuovo comma 5-ter dell’articolo 16 introduce precisazioni che potrebbero fin d’ora risolvere alcune delle criticità riscontrate nell’applicazione della precedente versione della norma e generate dal concetto di residenza fiscale alla luce della normativa italiana, di quella dello Stato di provenienza, nonché di quanto previsto dall’articolo 4 del modello Ocse delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni.
Ai cittadini italiani già rientrati in Italia o che vi rientreranno entro la fine del 2019 senza essersi mai iscritti all’Aire (anagrafe dei residenti all’estero), la norma prevede una sorta di sanatoria, garantendo loro i benefici previsti dalla previgente versione (massimo cinque anni di non concorrenza al reddito del 50% dei redditi di lavoro) per i periodi di imposta già oggetto di atti impositivi ancora impugnabili o già oggetto di controversie o, per i periodi di imposta ancora nei termini di accertamento (da cinque a sette anni) purché i lavoratori, nel periodo precedente al trasferimento in Italia, siano stati residenti fiscalmente in un paese estero in base a una convenzione internazionale.
Anche se non espressamente disciplinata, tale previsione normativa sembrerebbe ammettere la possibilità di applicare l’agevolazione anche a coloro che non l’avevano ancora richiesta sulla base dei precedenti criteri adottati dall’amministrazione finanziaria. Infatti, come visto, per i cittadini italiani residenti all’estero in base alle convenzioni internazionali, l’assenza di iscrizione all’Aire determinava comunque l’impossibilità di ottenere il bonus fiscale per gli impatriati.
A tale proposito, poiché l’articolo 3 della nostra Costituzione vieta qualsiasi genere di discriminazione, sembra lecito dedurre che anche tali soggetti potranno fruire dell’agevolazione presentando una dichiarazione integrativa “a favore” in base all’articolo 2, comma 8 del Dpr 322/1998.
Occorrerà, invece, uno specifico intervento normativo di armonizzazione perché possano essere estesi i maggiori benefici contenuti nelle “nuove norme” anche ai soggetti che abbiano trasferito la residenza in Italia prima del 2020 e che già fruiscono della precedente agevolazione sulla base delle “vecchie norme” (e quindi siano tassati sul reddito di lavoro dipendente prodotto in Italia limitatamente al 50% del suo ammontare).
Fonte “Il sole 24 ore”