Nel caso in cui il contribuente abbia erroneamente versato l’Iva, non dovuta per carenza del presupposto della territorialità, il termine entro il quale va avanzata la richiesta di rimborso è quello biennale, decorrente dal momento in cui è stato effettuato il versamento, poiché, in una tale evenienza, il presupposto per la restituzione sussiste sin dall’origine, senza che assuma rilevanza l’incertezza soggettiva sul diritto al rimborso, che è questione di mero fatto, non incidente sulla possibilità giuridica di ripetere l’indebito e, quindi, sulla decorrenza del termine. Lo ha stabilito la Cassazione, con l’ordinanza 15638/2019.
L’articolo 30 del Dpr 633/1972 disciplina, ai commi 3 e 4, le ipotesi tassative in cui spetta il rimborso dell’Iva versata in eccesso, se superiore a 2.582,28 euro all’atto della presentazione della dichiarazione.
Nel caso, però, di errato versamento dell’Iva per carenza del presupposto territoriale, la disposizione applicabile non è quella poc’anzi riportata, che non comprende, appunto, tale ipotesi tra quelle tassativamente elencate, ma la norma residuale di cui all’articolo 21, comma 2, del Dlgs 546/1992, a mente del quale la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento.
Secondo la Cassazione, peraltro, il termine biennale per la richiesta di rimborso dell’Iva erroneamente versata su operazioni che invero non avrebbero dovuto scontarla è compatibile con la giurisprudenza comunitaria, per cui è legittima la fissazione di termini ragionevoli, a pena di decadenza, nell’interesse della certezza del diritto, a tutela sia dell’interessato sia dell’Amministrazione finanziaria (cfr. Corte Ue, cause riunite C-89/10 e C-96/10; causa C-500/16); è altresì compatibile con quella giurisprudenza comunitaria che ha riconosciuto il diritto al rimborso a prescindere dal maturare del termine di decadenza previsto dalla legislazione nazionale in presenza di situazioni oggettive e imponderabili per il contribuente o, comunque, di condotte riferibili all’Amministrazione finanziaria, come nel caso in cui il contribuente abbia agito come un operatore economico prudente, assoggettando all’Iva le operazioni, in ossequio alla prassi seguita dall’Amministrazione finanziaria all’epoca della fatturazione di dette operazioni, regime poi rimesso in discussione, retroattivamente dalla stessa Amministrazione finanziaria, lasciando il contribuente esposto all’azione del suo committente (cfr. Corte Ue, causa C-427/10).
Nel caso oggetto della sentenza qui commentata, però, non ricorrevano tali condizioni, giacché si trattava semplicemente di un indebito versamento Iva per carenza del presupposto territoriale, sicché trovava applicazione il termine biennale per la richiesta di rimborso decorrente dalla data di errato versamento.
In effetti, già in passato la Suprema corte aveva stabilito che la domanda di rimborso Iva non rientrante tra le ipotesi disciplinate dall’articolo 30 del Dpr 633/1972, né contemplata da disposizioni specifiche, va presentata entro il termine biennale previsto dall’articolo 21, comma 2, del Dlgs 546/1992 e decorre dal momento in cui è stato effettuato il versamento, in quanto l’errore in cui il contribuente è incorso legittima l’immediato esercizio del diritto al rimborso, non ostandovi preclusione alcuna (Cassazione 27221/2016).