Quando un soggetto risulti fiscalmente residente sia in Italia sia in un altro Stato con il quale operi una convenzione contro le doppie imposizioni, il conflitto di residenza – causato dalla normativa interna di ciascuno Stato – è risolto applicando le disposizioni contenute nel trattato.
Così, per stabilire la residenza di una persona fisica che pur essendo realmente emigrata abbia omesso di cancellarsi dall’anagrafe dei residenti, la persona si considera residente, in base alle convenzioni conformi al modello Ocse:
a) nello Stato in cui dispone di un’abitazione permanente;
b) se ha l’abitazione permanente in entrambi gli Stati, in quello in cui le sue relazioni personali ed economiche sono più strette;
c) se non si può individuare tale Stato, in quello in cui “soggiorna abitualmente”;
d) se soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati, in quello della cittadinanza;
e) in caso di doppia cittadinanza: accordo fra le autorità competenti.
Si tratta di un principio pacifico, ma è molto importante che sia stato ribadito nella recente risposta 203 del 2019 perché una certa equivoca giurisprudenza della Cassazione ha indotto alcuni uffici a ritenere erroneamente che la mancata iscrizione all’anagrafe dei cittadini italiani residenti all’estero costituisca presunzione assoluta di residenza in Italia.
A partire dalla sentenza 1215 /1998, viene costantemente replicata la massima che l’iscrizione «nelle anagrafi della popolazione residente» deve ritenersi, in materia fiscale, dato preclusivo di ogni ulteriore accertamento ai fini della individuazione del soggetto passivo d’imposta. In altri termini in materia fiscale la forma è destinata a prevalere sulla sostanza nell’ipotesi in cui la residenza venga collegata al presupposto anagrafico.
A questa pronuncia si sono rifatte diverse successive sentenze dello stesso Collegio, fra le quali la 1783 del 1999; la 9319 del 2006, la 677 del 2015, la 21970 del 2015 e di recente l’ordinanza 16634 del 2018.
Ma quattro di queste sentenze riguardano soggetti emigrati in Stati con i quali era in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni (Stati Uniti nella sentenza 1783; Svizzera nella sentenza 677; Romania nella sentenza 21970 e Regno Unito, nella sentenza 16634) circostanza, questa determinante, ma del tutto trascurata sia nella descrizione dei fatti sia nella motivazione.
Peraltro, più attenta giurisprudenza di merito non ha mancato di evidenziare come l’accertamento della residenza fiscale del contribuente non possa prescindere dall’applicazione delle tie break rules previste dai trattati (si veda ad esempio Commissione tributaria regionale della Toscana, 506 del 20 febbraio 2017 e 840 del 13 marzo 2018; Commissione regionale dell’Aquila, 614 del 5 luglio 2017; di Pescara, 475 del 17 maggio 2017; di Brescia 4207 del 31 luglio 2014; della Commissione provinciale di Firenze 131 del 12 gennaio 2016).
La chiara risposta dell’agenzia delle Entrate, 203 del 2019 dovrebbe ora evitare all’origine che siano sollevate, in caso di questo tipo, contestazioni infondate, con risparmio di tempo e costi sia per l’Agenzia sia per i contribuenti.