La Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 228/2014, ha dichiarato illegittima la presunzione in materia di indagini finanziarie che consente al Fisco di desumere l’esistenza di compensi “non dichiarati” sulla base dei “prelevamenti effettuati “dai lavoratori autonomi dai propri conto correnti. La problematica riguarda diverse disposizioni normative, in particolare, l’art. 32, co. 1, n. 2), del D.P.R. n. 600/1973, secondo cui i dati e gli elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati – a norma, rispettivamente, del n. 7) e dell’art. 33, co. 2 e 3, del predetto Decreto – oppure ottenuti ai sensi dell’art. 18, co. 3, lett. b), del D.Lgs. n. 504/1995, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38 e ss. del D.P.R. n. 600/1973, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine. Alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempre che non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni. Entrando nel merito, è possibile desumere che la previgente formulazione dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 – in vigore prima della modifica operata dalla Legge n. 311/2004 – prevedeva nella propria formulazione il solo termine “ricavi”, per cui la presunzione si riteneva riguardasse solo ed esclusivamente i prelevamenti dei titolari di reddito d’impresa. Successivamente, il predetto mutamento normativo ha aggiunto il riferimento ai “compensi” e, pertanto, si è giunti alla conclusione che detta presunzione fosse applicabile anche ai lavoratori autonomi. La Cassazione ha sempre sostenuto che la presunzione relativa ai prelevamenti trovasse applicazione nei confronti dei lavoratori autonomi anche prima delle modifica operata dalla Legge n. 311/2004, in quanto il legislatore con il termine “ricavi” ha inteso ricomprendere non solo i redditi d’impresa, ma anche i “compensi” professionali e di lavoratore autonomo (Cass. nn. 19692/2011 e 802/2011). Per la Corte Costituzionale, il lavoratore autonomo, pur avendo alcune caratteristiche comuni all’imprenditore, conserva delle specificità che fanno ritenere arbitraria l’omogeneità di trattamento prevista dalla disposizione secondo cui anche per il lavoratore autonomo, come per l’imprenditore, in seguito ad un prelevamento dal conto corrente è logico attendersi un costo da cui a sua volta si origina un ricavo. Se, poi, il costo non è transitato dalla contabilità, si deve presumere che anche il corrispondente ricavo non sia stato annotato. Inoltre, secondo la Corte, “la non ragionevolezza della presunzione” è avvalorata anche dal fatto che i prelevamenti si inseriscono in un sistema di contabilità semplificata che presenta una promiscuità tra entrate e spese professionali e personali. Sulla irragionevolezza della presunzione, si è più volte espressa anche l’Agenzia delle Entrate che, relativamente ai prelevamenti bancari di minore entità dei professionisti, aveva invitato gli Uffici ad esonerare tali soggetti dal fornire una precisa prova in proposito, attesa la riconducibilità di tali operazioni alle normali esigenze personali e familiari (CC.MM. nn. 28/E/2006 e 32/E/2006). Infine, anche la recente C.M. n. 25/E/2014 ha ribadito che “le presunzioni fissate dalla citata norma a salvaguardia della pretesa erariale devono essere applicate dall’Ufficio secondo logiche di proporzione e ragionevolezza”.
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