29 Ottobre 2014
Se un professionista non effettua la segnalazione delle operazioni sospette ai sensi dell’art. 41 de D.Lgs. 231/2007, può essere condannato per il reato di riciclaggio? Si potrebbe argomentare che con l’omissione della segnalazione il professionista abbia accettato il rischio che venisse compiuta un’operazione illecita?Per poter giungere a una risposta deve in primo luogo essere ricordato che nel nostro ordinamento penale sono puniti anche i reati omissivi, in quanto, come stabilisce l’art. 40 c.p., “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Il reato di riciclaggio, così come è stato ribadito da ultimo dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.43881 del 22.10.2014, “è a forma libera e potenzialmente a consumazione prolungata, attuabile anche con modalità frammentarie e progressive”. Possiamo quindi tranquillamente affermare che, anche in caso di condotta omissiva, è integrato il reato di riciclaggio: in altre parole, è indifferente, per il legislatore, come si pulisca il denaro sporco, essendo sufficiente il realizzarsi del risultato offensivo.Passiamo quindi all’elemento soggettivo del fatto tipico. La costante giurisprudenza ha ritenuto che ricorra il reato di riciclaggio anche nel caso in cui si configuri il mero dolo eventuale. Pertanto, non è necessario che il soggetto agisca con l’obiettivo di realizzare il fatto tipico (dolo intenzionale), ma è sufficiente che il soggetto abbia agito rappresentandosi la verificazione dell’evento come solamente probabile o possibile (appunto, il dolo eventuale). Il dolo nel reato di riciclaggio In primo luogo è necessario ricordare che il riciclaggio di denaro, essendo un delitto, è punibile solo se commesso con dolo. Così come chiarisce l’art. 43 c.p. è quindi necessario che “l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione o omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione o omissione”. Non ricorre invece il reato di riciclaggio nel caso in cui il soggetto abbia agito con colpa, ovvero quando l’agente, pur prevedendo l’evento non lo ha voluto, agendo con negligenza, imprudenza, imperizia o con inosservanza delle leggi, regolamenti, ordini e discipline. Pertanto, limitarsi a non effettuare la segnalazione delle operazioni sospette, significa agire con inosservanza delle leggi, senza però volere l’evento dannoso o pericoloso: si può quindi parlare soltanto di colpa. È inoltre da rilevare come la giurisprudenza abbia ormai chiarito che l’elemento soggettivo, nel reato di riciclaggio, è integrato dal dolo generico. È quindi sufficiente che sia riscontrata la volontà di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro. Non è invece necessario perseguire scopi di profitto o di lucro (Cassazione, sentenze n. 546/2011, 6350/2007, 16980/2008) Affinchè si configuri il reato di riciclaggio è inoltre sufficiente il dolo eventuale (Cassazione, sentenza n.43881 del 22.10.2014). Non è quindi necessario che la sostituzione e il trasferimento dei beni e delle altre utilità sia obiettivo consapevole del comportamento, ma è sufficiente che il soggetto abbia agito rappresentandosi la verificazione dell’evento come probabile o possibile. Questa interpretazione amplia notevolmente i rischi di incriminazione, soprattutto in capo ai professionisti, che spesso si trovano ad essere parte di un ingranaggio da terzi designato. La posizione della Guardia di Finanza La Guardia di Finanza, nella sua circolare 83607 del 19 marzo 2012 ha espressamente chiarito che “la descritta condotta può essere realizzata anche nella forma omissiva, ad esempio, quando il titolare di un’attività finanziaria, ben consapevole della condotta criminis e dell’origine illecita delle somme da trasferire, non impedisca scientemente un’operazione in itinere che aveva l’obbligo giuridico di impedire, attraverso la procedura dell’obbligo di sospensione dell’operazione imposta dal decreto 231/2007”. La giurisprudenza Con riferimento a quanto prospettato, non può che tornare alla mente la sentenza delle Corte d’Appello di Milano del 9 maggio 2011, sulla quale vi è stato un ampio dibattito e che ha suscitato non poche perplessità. Con la sentenza in oggetto si ritenevano colpevoli di riciclaggio il direttore generale della banca e il direttore della filiale presso la quale erano stati accesi dei conti correnti di alcune procedure fallimentari. La curatrice si era infatti appropriata di diversi milioni di euro prelevati dai conti correnti in questione. Il direttore di filiale è stato condannato per riciclaggio perché “aveva collaborato direttamente alle attività dei B., in particolare fungendo costantemente da consulente di B.C. che si recava in filiale per le operazioni sui conti del gruppo familiare; il direttore di filiale assisteva personalmente il B. e dava disposizioni agli impiegati per effettuare le operazioni secondo le citate modalità, ovvero con falsa indicazione che si trattava di operazioni per contanti, rassicurando gli sportellisti sulla sostanziale regolarità”. Tuttavia, anche il direttore generale è stato condannato per riciclaggio in quanto si è ritenuto che “omettendo di agire, pure a fronte di evidenti anomalie, l’imputato ha dimostrato di accettare il rischio che il cliente utilizzasse la banca per ripulire i proventi illecii, consentendogli di operare senza ostacoli”. La sentenza è stata poi annullata dalla Corte di Cassazione, ma per il semplice motivo che “le specifiche disposizioni regolamentari della Banca d’Italia e la procedura interna della CrediEuronord, dati incontestabilmente risultanti dagli atti non valutati, escludevano un obbligo di intervento diretto del C. in assenza di comunicazioni di operazioni sospette. È quindi erroneo ritenere che, anche senza comunicazione delle movimentazioni anomale, vi fosse una posizione di garanzia dalla cui violazione derivi responsabilità ex articolo 40 cod. pen.”. In considerazione di tali precisazioni, “non residuano elementi che dimostrino la conoscenza del C. delle operazioni anomale e la omissione da parte sua delle segnalazioni obbligatorie”. Obbligo di segnalazione e astensione Cosa fare, dunque, quando i professionisti sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo? In primo luogo è necessario inviare una segnalazione alla UIF ai sensi dell’art. 41 del D.Lgs. 231/2007. Inoltre, i soggetti tenuti all’obbligo di segnalazione devono astenersi dal compiere le operazioni finché non hanno effettuato la segnalazione, tranne che detta astensione non sia possibile, tenuto conto della normale operatività, o possa ostacolare le indagini.