Abuso del diritto: una disciplina estesa a tutti i tributi

14 ottobre 2015
Con l’inserimento dell’art. 10-bis nella Legge n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), a opera dell’art. 1 del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, il legislatore ha delineato una compiuta disciplina dell’abuso del diritto, con decorrenza dal 1° ottobre 2015. 
In precedenza, le condotte abusive o elusive venivano contrastate dal Fisco sulla base di specifiche norme, che tuttavia avevano l’handicap di riferirsi a specifici tributi (si pensi all’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 in materia di imposta di registro o all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 in materia di imposte sui redditi); con la codifica dell’istituto all’interno dello Statuto del contribuente (contenente i principi generali dell’ordinamento tributario), ora le norme anti-abuso si applicano a tutti i comparti fiscali.
La precedenti interpretazioni delle Alte Corti. La revisione dell’istituto, auspicata da buona parte della dottrina, si rendeva necessaria, soprattutto a partire dal 2006, dopo che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato l’esistenza di una generale clausola antiabuso (sentenza Halifax del 21.2.2006), considerata immanente nella sesta direttiva comunitaria, direttamente applicabile negli ordinamenti nazionali ai fini dell’Iva.

Sposando in senso estensivo la linea interpretativa della Corte del Lussemburgo, nel 2008 le Sezioni Unite della Cassazione uscirono con tre storiche sentenze, ove riconoscevano l’esistenza di un principio generale antielusivo anche in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, rinvenuto non nella giurisprudenza comunitaria, quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario nazionale.

La soluzione interpretativa fornita nel 2008 dalla Suprema Corte, se da un lato poteva costituire un utile parametro di riferimento per i giudici di ogni ordine, dall’altro creava una sostanziale condizione di incertezza in capo agli operatori economici nazionali e stranieri, in relazione alle possibili scelte imprenditoriali, anche per il fatto che tale “clausola immanente”, di diretta derivazione costituzionale, di fatto andava nel contempo a sterilizzare le disposizioni coniate dal diritto positivo per il contrasto all’elusione fiscale.

La codifica dell’abuso del diritto. Ai sensi del comma 1 dell’art. 10-bis, configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.

Il successivo comma 2 mira a precisare il significato di alcuni termini della definizione dell’abuso del diritto; in particolare, definisce “operazioni prive di sostanza economica” i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Considera, in particolare, indici di mancanza di sostanza economica la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato.

I vantaggi fiscali indebiti. Sempre nel secondo comma il legislatore introduce il concetto di “vantaggi fiscali indebiti”, identificati nei benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.

Come è agevole rilevare dalla lettura delle definizioni, trattasi di formule a contenuto indeterminato, che lasceranno ampio spazio di manovra all’Agenzia delle Entrate in sede accertativa, almeno fino a quando la giurisprudenza non detterà principi interpretativi più concreti.

Le condotte non abusive e il legittimo risparmio d’imposta. Parafrasando al contrario la definizione del comma 1, il successivo terzo comma della norma in commento esclude dall’ambito dell’abuso del diritto le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente.

Il successivo comma 4 prevede, infine, la legittimità della scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale; in altri termini, ribadisce la possibilità per il contribuente di avvalersi del c.d. “legittimo risparmio d’imposta”.

Autore: Marco Brugnolo