Dirigenti decaduti. Eccezione proponibile solo col ricorso introduttivo

Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 23 ottobre 2015

Nel processo tributario, la nullità dell’avviso di accertamento per il vizio di sottoscrizione non è rilevabile d’ufficio e la relativa questione, se non prospettata nel giudizio di primo grado – o più esattamente nel ricorso introduttivo – non può essere introdotta successivamente. Ciò si deve alle preclusioni che derivano del peculiare regime di carattere impugnatorio del processo tributario.

È quanto ha sostenuto la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nella sentenza n. 21616/2015.

Gli ermellini hanno deciso il caso di un professionista che ha impugnato un accertamento bancario e che, alla luce della sentenza n. 37/15 della Corte costituzionale, ha dedotto – per la prima volta – nel giudizio di legittimità la mancanza del requisito dirigenziale in capo al funzionario firmatario dell’atto impugnato.

Ebbene, trattandosi di un’eccezione nuova, la Suprema Corte l’ha dichiarata inammissibile.

La questione della nullità dell’impugnato avviso di accertamento per vizio di sottoscrizione, si legge in sentenza, “è stata avanzata dal contribuente, per la prima volta, nel corso dell’odierna discussione orale. Egli invoca gli effetti invalidanti, a suo dire rilevabili anche d’ufficio, della recente declaratoria d’illegittimità costituzionale di taluni strumenti normativi d’inquadramento dirigenziale del personale dell’Agenzia delle entrate. Si ritiene, sul piano processuale, che la pretesa nullità dell’avviso di accertamento per l’asserita carenza dei requisiti (soggettivi) indicati nell’art. 42 d.p.r. 600/1973 e nell’art. 56 d.p.r. 633/1972 non è rilevabile d’ufficio e la relativa questione, se non prospettata nel giudizio di primo grado – o più esattamente nel ricorso introduttivo col passaggio dal d.p.r. 636/1972 al d.lgs. 546/1992 – non può essere introdotta successivamente. Restano, dunque, ferme le preclusioni che derivano del peculiare regime di carattere impugnatorio del processo tributario” (v. Cass. n. 8114/02, n. 13087/03, n. 10802/10).

Nel caso di specie, dunque, la Suprema Corte ha ritenuto il ricorrente decaduto dalla possibilità di eccepire, nel giudizio di cassazione, l’invalidità dell’atto impugnato sotto il nuovo profilo della pretesa carenza dei requisiti dirigenziali in capo al funzionario firmatario.

È già stato chiarito (in Cass. n. 18448/15) che, diversamente da quanto accade nel diritto amministrativo, in materia fiscale opera un regime unitario del vizio dell’atto che deve essere fatto valere nella forma e nel termine di decadenza prevista dall’art. 21 del D.Lgs. n. 546/92. In difetto, il provvedimento diventa incensurabile sul punto.

Il legislatore fiscale, hanno evidenziato i supremi giudici, usa la sanzione della “nullità” in senso a-tecnico, nel senso che la sua reale natura giuridica va intesa come “annullabilità”; e il regime dei vizi degli atti amministrativi (art. 21-septies L. 241/90) non può essere automaticamente esteso in ambito tributario, essendo applicabile solo laddove non sia incompatibile con le norme di diritto che disciplinano il procedimento impositivo.

– Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

TITOLO II – IL PROCESSO
CAPO I – Il procedimento dinanzi alla Commissione Tributaria provinciale
Sezione I – Introduzione del giudizio

Articolo 21 – Termine per la proposizione del ricorso

1. Il ricorso deve essere proposto a pena d’inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato. La notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo.

2. Il ricorso avverso il rifiuto tacito della restituzione di cui all’articolo 19, comma 1, lettera g), può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto. La domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

Il computo del termine. Questo articolo fissa al primo comma il termine di decadenza per la proponibilità del ricorso; esso è il tradizionale termine di sessanta giorni dalla notificazione dell’atto impugnato. Tale termine, da computarsi – a norma dell’articolo 2963 C.c. – non tenendo conto del giorno in cui si è ricevuta la notifica ma computando il sessantesimo sino alla mezzanotte, è prorogato al primo giorno feriale successivo se cade in un giorno festivo. Allo stesso modo risulta applicabile la disciplina della sospensione dei termini processuali, fissata dalla L. n. 742/69, che va dal 1° agosto al 15 settembre.

La rimessione in termini. Il generale rinvio alle norme del codice di procedura civile lascia poi ritenere applicabile la disciplina della rimessione in termini di cui all’articolo 184 C.p.c.E’ infatti prevista la possibilità che il giudice possa, appunto, rimettere in termini la parte che dimostri di non aver rispettato gli stessi per causa ad essa non imputabile. A riguardo, comunque, è da ritenersi che un simile strumento troverà modesta e difficoltosa attuazione nell’ambito del processo tributario a causa delle limitazioni probatorie di cui si è detto a commento dell’articolo 7. Uno dei casi che certamente potrebbero costituire valida giustificazione del ritardo è l’ipotesi in cui l’ufficio abbia indicato un termine d’impugnazione errato nell’atto impositivo.

Sempre al primo comma viene, inoltre, specificato che la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del relativo ruolo. Come abbiamo visto in merito all’articolo precedente, infatti, le sorti di questi due atti sono strettamente connesse.

Il comma 2 fissa, invece, il termine d’impugnazione avverso il rifiuto tacito. Trattandosi di un atto che non ha una sua reale esistenza e tanto meno, quindi, una data di notificazione da utilizzare come giorno da cui computare i termini per la proposizione del ricorso, il Legislatore si è preoccupato di fissare anzitutto il dies a quo.

Dies a quo. La norma dice, infatti, che il ricorso può essere presentato dopo il novantesimo giorno dalla data di presentazione dell’istanza di restituzione che, a sua volta, deve essere presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta ovvero, in mancanza di esplicita previsione normativa, entro due anni dal pagamento. Il comma 2 si chiude con la previsione di un ulteriore termine di presentazione della domanda di restituzione. Qualora, infatti, il presupposto per la restituzione si verifichi (ad esempio a seguito di una decisione giurisdizionale, come è avvenuto per il caso delle tasse di concessione governativa sulle società) dopo il trascorrere dei due anni dal pagamento, il termine comincia a decorrere da quest’ultimo momento.

Dies ad quem. Il dies ad quem, il termine ultimo cioè entro il quale proporre il ricorso, corrisponde, invece, al termine prescrizionale del diritto alla restituzione che, in assenza di specifiche disposizioni, è quello di dieci anni.

Inammissibilità ed inefficacia. L’inosservanza di questo ultimo termine comporta inequivocabilmente la inammissibilità del ricorso. Invece, la eventuale proposizione dello stesso prima dello scadere del novantesimo giorno (dies a quo per il ricorso avverso il rifiuto tacito), quando cioè il silenzio rifiuto non si è ancora formato quale atto impugnabile, è causa di dibattito tra i commentatori. Alcuni ritengono, infatti, che in tale ipotesi il ricorso sia inammissibile (cfr. CTC 25.7.87, n. 5901); altri, come chi scrive, lo ritengono, invece, ammissibile ma semplicemente inefficace sino allo scadere del novantesimo giorno (cfr.CTC 29.3.85, n. 3128, CTC 5.5.92, n. 3284).