Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 23 ottobre 2015
Per le locazioni, ai fini IVA, rileva l’incasso del corrispettivo e, pertanto, in caso di morosità del conduttore, la società locatrice non è tenuta a emettere fattura. Diversamente, ai fini dell’imposizione diretta, i canoni vanno dichiarati anche quando non percepiti ed essi non concorrono più alla formazione del reddito d’impresa solamente dopo la risoluzione del contratto e/o convalida di sfratto. Per quanto concerne i canoni maturati per competenza, possono essere dedotti come perdite su crediti se sia dimostrata la certezza della perdita, non essendo a tal fine sufficiente il semplice sfratto o l’accertamento giudiziale della morosità del conduttore.
È quanto ha chiarito, in tema di reddito d’impresa, la Sezione Tributaria della Cassazione con la sentenza 23 ottobre 2015, n. 21621.
Gli ermellini hanno parzialmente accolto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito di una controversia instaurata da una società che non ha percepito i canoni relativi a un locale commerciale.
La CTR, non facendo distinzione tra imposizione diretta e indiretta, ha ritenuto che la società dovesse dichiarare i canoni solamente al momento del pagamento, mentre per l’Ufficio la società avrebbe dovuto fatturare i canoni maturati a carico dell’inquilino, perché, nelle locazioni commerciali, i locatori sono soggetti a imposizione fiscale secondo il sistema normale del reddito ordinario medio, con conseguente obbligo di dichiarazione e fatturazione.
Ebbene, con riguardo alla dedotta violazione di legge (artt. 109 e 23 – ora 26 – del TUIR e 6 del D.P.R. 633/72), la Suprema Corte ha osservato che “per le locazioni, vere e proprie prestazioni di servizi nell’imposizione indiretta e armonizzata sul valore aggiunto, il momento impositivo coincide con l’incasso del corrispettivo. Perciò, in caso di morosità del conduttore, il locatore non è tenuto a emettere fattura”.
Ai fini dell’imposizione diretta, invece, per le locazioni d’immobili non abitativi, il legislatore tributario ha previsto la regola generale di cui all’art. 23 [ora 26] del TUIR secondo cui i redditi fondiari sono imputati al possessore indipendentemente dalla loro percezione. Sicché anche per il reddito da locazione non è richiesta, ai fini dell’imponibilità del canone, la materiale percezione del provento. Dunque, il relativo canone va dichiarato, anche se non percepito, nella misura in cui risulta dal contratto di locazione fino a quando non intervenga una causa di risoluzione del contratto medesimo. Fra l’altro, la Corte costituzionale, pronunziando sull’art. 23 (ora 26) citato ha ritenuto che il sistema di tassazione delle locazioni non abitative non è irragionevole dato che il locatore può avvalersi di tutti i rimedi apprestati dall’ordinamento per conseguire la risoluzione della locazione in modo da riportare sollecitamente la tassazione dell’imponibile sotto la normale regola del reddito fondiario secondo rendita catastale. Con la risoluzione del contratto e/o la convalida di sfratto, la locazione cessa e i canoni non possono più concorrere alla formazione del reddito d’impresa.
Inoltre, con riferimento ai redditi di società, i canoni maturati per competenza possono essere dedotti come perdite su crediti se sia dimostrata la certezza della perdita, non essendo a tal fine sufficiente il semplice sfratto o l’accertamento giudiziale della morosità del conduttore (v. Cass. nn. 651/12 e 11158/13).
In conclusione la Suprema Corte ha cassato la sentenza della CTR limitatamente alle imposte dirette. Sul punto il giudice del rinvio dovrà applicare i principi enunciati dagli ermellini.
Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti