Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 28 ottobre 2015
In tema di società di capitali, i costi sostenuti per il compenso degli amministratori sono deducibili dal reddito d’impresa ove determinati nello Statuto, oppure con una specifica delibera dell’assemblea. È quanto emerge dalla sentenza n. 21953/15, pubblicata ieridalla Corte di Cassazione – Sezione Tributaria Civile.
La CTR annullava un recupero d’imposte (Irpeg e Iva per il 2003) conseguente al disconoscimento dei costi portati in deduzione da una Srl – appartenente a un Gruppo societario -e relativi ai compensi corrisposti ai membri del consiglio d’amministrazione.
L’Ufficio aveva giustificato la ripresa nel senso che la misura dei compensi in questioni non era stata determinata nello Statuto, né deliberata preventivamente dall’assemblea dei soci, con conseguente violazione dell’art. 2389 C.C. Quindi, ad avviso dell’Ufficio, si trattava di costi non certi nell’esistenza e neppure obiettivamente determinabili come richiesto invece dal TUIR (art. 75) e dal decreto IVA (art. 19.
Di diverso parere la CTR, secondo cui non vi erano impedimenti a che la contribuente determinasse “ex post” il compenso degli amministratori con la delibera assembleare di approvazione del bilancio di chiusura dell’esercizio.
Ebbene, secondo la S.C., la CTR è incorsa in errore di diritto perché ha ritenuto deducibile nell’esercizio di competenza (anno 2003) la spesa sostenuta dalla contribuente Srl per compensi agli amministratori, sebbene difettassero i requisiti di certezza e di oggettiva determinabilità dell’ammontare del costo, richiesti dall’art. 75 del TUIR, “sia in considerazioni dell’invalidità del titolo di spesa sia in difetto di indicazioni nell’atto costitutivo dei criteri di liquidazione, non essendo stato preventivamente stabilito l’importo dei compensi dalla delibera dell’assemblea dei soci, richiesta ai sensi degli artt. 2364 comma 1 n. 3) e 2389 C.c. – espressamente richiamati per le società a responsabilità limitata dagli artt. 2486 comma 2 e 2487 comma 2 C.c., nel testo anteriore alla riforma del diritto societario (D.Lgs. n. 6/2003), applicabili ratione temporis -, e neppure essendo stata deliberata la misura dei compensi, in sede si approvazione del bilancio, a seguito di specifica discussione e con la partecipazione totalitaria dei soci”.
La Suprema Corte, accogliendo il ricorso del Fisco, ha evidenziato, in particolare, come l’esigenza di un’espressa previsione statutaria o di una specifica delibera assembleare avente ad oggetto la determinazione dei compensi degli amministratori, nel regime normativo anteriore alla riforma del D.Lgs. n. 6/2003, è stata ritenuta funzionale a garantire la piena trasparenza e la previa conoscenza di tutti i soci della relativa voce di spesa, in quanto elemento essenziale del rapporto fiduciario che presiede all’affidamento dell’incarico di amministrazione; esigenza che si ritiene soddisfatta soltanto attraverso la previsione di una specifica manifestazione volitiva dell’assemblea dei soci diretta alla assunzione dell’onere patrimoniale connesso al funzionamento dell’organo di direzione della società.
Ne consegue, sempre secondo la Corte, che devono essere sanzionati con l’invalidità gli atti degli organi societari diversi dalla delibera dell’assemblea, così come la delibera assembleare assunta in modo difforme dalla previsione dell’art. 2389 c.c., in quanto avente a oggetto questioni estranee alla attribuzione dei compensi agli amministratori, come nel caso di specie, in cui la liquidazione delle somme da erogare agli amministratori sia meramente indicata in una delle voci di spesa del bilancio di chiusura esercizio presentato alla approvazione dell’assemblea.
La causa è stata decisa dagli ermellini nel merito (con rigetto del ricorso introduttivo) e la società contribuente dovrà pagare le spese del giudizio di legittimità.
Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti