Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti
Cassazione Penale, sentenza depositata il 29 ottobre 2015
Non risponde del reato di omessa IVA il legale rappresentante di società che, in presenza di una crisi di liquidità dell’impresa, ha fatto tutto quanto era in suo potere per reperire le risorse necessarie a far fronte all’obbligazione tributaria non essendovi tuttavia riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e comunque a lui non imputabili.
È quanto si ricava dalla sentenza n. 43599/15 della Corte di Cassazione – Terza Sezione Penale.
Gli ermellini, nel confermare il verdetto di condanna per il reato di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 pronunciato dalla Corte d’appello nei confronti del legale rappresentante di una società cooperativa, ha sostenuto che l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a “forza maggiore” solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio.
Nel caso in esame, l’imputato ha ammesso che i mancati accontamenti dell’IVA erano risalenti a un’epoca precedente alla data di assunzione della carica societaria e ha pure rivendicato di aver optato per il mancato versamento dell’imposta per una sua scelta imprenditoriale. Ebbene, tanto è bastato agli ermellini per ritenere sussistente la responsabilità del ricorrente.
Nella sentenza 43599/15 si legge: “la consapevolezza dell’attuale stato di dissesto dell’impresa comporta l’accettazione delle relative conseguenze quando, come nel caso in esame, esse siano responsabilmente valutate da chi, subentrando nella carica, dimostra in tal modo di poterne avere il dominio finalistico, anche se si tratta di dissesto imputabile alla precedente gestione. È lo stesso imputato ad affermare di aver chiesto rassicurazioni alla società controllante, unico debitore della cooperativa, affinchè provvedesse a saldare il conto, ma non ha mai dedotto di essersi attivato, pur avendo a disposizione il lungo periodo che lo separava dalla scadenza del termine per il versamento annuale, per cercare di onorare l’impegno alla scadenza; aldilà delle generiche indicazioni sulla crisi finanziaria dell’impresa e della spiegazione delle relative cause, non risultano allegazioni circa richieste di finanziamenti, avvio di ingiunzioni giudiziarie nei confronti del debitore o altre iniziative per cercare di tamponare la mancanza di liquidità. La pura e semplice indicazione di dati macroeconomici dell’impresa non costituisce prova rigorosa dell’assoluta impossibilità di adempiere derivante da causa a lui non imputabile, essendo peraltro principio incontroverso, nella dottrina e nella giurisprudenza civilistica, che la crisi di liquidità salvo casi eccezionali non manda esente da colpa il debitore pecuniario inadempiente”.
Nulla da fare, quindi, per il legale rappresentante della cooperativa, che dovrà pagare le spese processuali e la somma di mille euro in favore della Cassa delle ammende.