Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti
Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 4 novembre 2015
Svolgere l’attività senza il controllo e il coordinamento di terzi non legittima, di per sé, l’assoggettabilità all’IRAP dei redditi professionali. È quanto emerge dalla sentenza n. 22468/15 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.
In Cassazione è approdato il caso di un ingegnere che ha chiesto all’Agenzia delle Entrate – ma senza fortuna – il rimborso di quanto versato a titolo di IRAP per gli anni dal 2000-2003.
Il silenzio-rifiuto dell’amministrazione è divenuto oggetto d’impugnazione davanti ai giudici tributari pugliesi, i quali si sono espressi per ben due volte a favore dell’Agenzia. Di qui il ricorso di legittimità nel quale l’ingegnere ha ribadito di aver svolto, negli anni considerati, la propria attività privo dell’ausilio di dipendenti e senza beni strumentali consistenti (come risultante dal quadro RE e dal registro dei beni ammortizzabili), quindi in assenza del presupposto impositivo consistente nella presenza di un’autonoma organizzazione.
Ebbene, la Suprema Corte ha disposto l’annullamento del verdetto pro-fisco pronunciato dalla CTR della Puglia, avendo questo Giudice fatto discendere la sussistenza dell’automa organizzazione dal mero svolgimento dell’attività professionale in questione “senza il controllo e il coordinamento di terzi”.
La Commissione pugliese ha ravvisato il requisito dell’autonoma organizzazione in virtù della capacità del ricorrente di “porre in essere scelte autonome di organizzazione di lavoro rispetto al mondo esterno”. Per la suprema Corte, però, si tratta di una conclusione che non soddisfa il principio per cui l’IRAP “coinvolge una capacità produttiva impersonale e aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista e colpisce un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa ‘esterna’, cioè da un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, sono suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know-how del professionista (dal lavoro di collaboratori e dipendenti, dal numero e grado di sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, dalle prestazioni di terzi, da forme di finanziamento diretto e indiretto etc.), cosicché è il surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista a essere interessato all’imposizione che colpisce l’incremento potenziale, o quid pluris, realizzabile rispetto alla produttività auto organizzata del solo lavoro personale”.
Ebbene, ad avviso dei giudici del Palazzaccio la CTR ha erroneamente rinvenutola sussistenza della autonoma organizzazione nella attività svolta “in totale discrezionalità, senza soggiacere a limitazioni, condizionamenti e controlli formalmente e legittimamente imposti da altri soggetti che ne deteriorino l’intrinseca natura”, ritenendo soggetto d’imposta il ricorrente, “in quanto non emergente dagli atti la presenza degli indicati limiti e condizionamenti, affermando altresì, senza alcun concreto riferimento agli atti del giudizio, ‘che l’attività di ingegnere viene esercitata dal ricorrente con apprezzabile ed autonoma struttura organizzativa’”.
E allora la CTR dovrà riesaminare il caso tenendo bene a mente i rilievi della Suprema Corte.