Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti
Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 9 novembre 2015
Sono validi ed efficaci gli atti riferibili ai funzionari delle Agenzia delle Entrate ai quali è stato conferito l’incarico dirigenziale senza concorso pubblico. È quanto emerge dalla sentenza n. 22810/15 della Sezione Tributaria della Cassazione che ha affrontato la questione degli effetti della pronuncia della Corte Costituzionale n. 37 del 2015 la quale ha sancito l’illegittimità della norma che ha consentito i ripetuti conferimenti di incarichi dirigenziali ai funzionari delle Agenzia fiscali senza l’indizione di concorsi pubblici.
Nel caso di specie, una società di persone ha invocato la ben nota sentenza della Corte costituzionale nella speranza di ottenere l’annullamento di tre avvisi di accertamento per imposte. Tali atti, infatti, erano stati firmati da un funzionario delegato dal direttore provinciale delle Entrate il quale aveva assunto la posizione dirigenziale senza il superamento delle procedure di accesso alla dirigenza necessarie per legge.
Ebbene, tale doglianza inerente alla “carenza di potere” del soggetto delegante non ha sortito l’effetto sperato. Innanzitutto, il suo esame è rimasto precluso nel giudizio di legittimità trattandosi di eccezione nuova. A tal proposito gli ermellini hanno sostenuto che le forme di invalidità dell’atto tributario, ove anche dal legislatore indicate sotto il nome di nullità, non sono rilevabili d’ufficio, né possono essere fatte valere per la prima volta nel giudizio di cassazione (tra le altre, Cass. n. 18448/2015).
La conversione delle ipotesi di nullità in mezzi di gravame avverso l’atto fiscale è una conseguenza, ha spiegato la S.C., della struttura impugnatoria del processo tributario, che vede la contestazione della pretesa fiscale suscettibile di essere prospettata solo attraverso specifici motivi di impugnazione dell’atto che la esprime. Il giudizio tributario, difatti, è caratterizzato da un meccanismo d’instaurazione di tipo impugnatorio circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, e avente un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo di primo grado (Cass. n. 25756/2014).
Dopo questo chiarimento gli ermellini hanno espresso, ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ., i seguenti principi di diritto:
- In ordine agli avvisi di accertamento in rettifica e agli accertamenti d’ufficio, il d.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, impone sotto pena di nullità che l’atto sia sottoscritto dal “capo dell’ufficio” o “da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”, senza richiedere che il capo dell’ufficio o il funzionario delegato abbia a rivestire anche una qualifica dirigenziale; ciò ancorché una simile qualifica sia eventualmente richiesta da altre disposizioni.
- In esito alla evoluzione legislativa e ordinamentale, sono impiegati della carriera direttiva, ai sensi della norma appena evocata, i “funzionari di area terza” di cui al contratto del comparto Agenzie fiscali fissato per il quadriennio 2002-2005. In questo senso la norma sopra citata, individua l’agente capace di manifestare la volontà della Amministrazione finanziaria negli atti a rilevanza esterna, identificando quale debba essere la professionalità per legge idonea a emettere quegli atti.
- Essendo la materia tributaria governata dal principio di tassatività delle cause di nullità degli atti fiscali e non occorrendo, ai meri fini della validità di tali atti, che i funzionari (delegati o deleganti) possiedano qualifiche dirigenziali, ne consegue che la sorte degli atti impositivi formati anteriormente alla sentenza n. 37 del 2015 della Corte costituzionale, sottoscritti da soggetti al momento rivestenti funzioni di capo dell’ufficio, ovvero da funzionari della carriera direttiva appositamente delegati, e dunque da soggetti idonei ai sensi dell’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973, non è condizionata dalla validità o meno della qualifica dirigenziale attribuita per effetto della censurata disposizione di cui art. 8, 24° comma, del d.l. n. 16 del 2012.