Split payment, sanatoria con doppio termine

L’incertezza normativa che ha caratterizzato dal 1° luglio scorso l’estensione dello split payment esclude che eventuali errori commessi dai fornitori possano essere sanzionati o modificati a condizione che l’imposta sia stata assolta, ancorchè in modo irregolare. Tale copertura opera in relazione ai comportamenti irregolari commessi fino a lunedì 6
novembre 2017, vale a dire fino al giorno precedente l’emanazione della circolare 27/E/2017 di ieri. Questo chiarimento è indicato proprio nel documento di prassi che
contiene tra l’altro una serie di precisazioni sia in relazione all’ambito soggettivo che all’ambito applicativo del particolare adempimento.

Il doppio termine

Tornando alla sanatoria si sottolinea che qualora dopo il 1° luglio 2017 ma entro il 6 novembre siano state emesse fatture in regime ordinario (invece che in regime di scissione dei pagamenti) nei confronti di soggetti inclusi negli elenchi pubblicati dal dipartimento delle Finanze , il fornitore non dovrà effettuare alcuna variazione. Allo stesso modo, non è sanzionabile il caso in cui il fornitore abbia emesso una fattura in scissione dei pagamenti nei confronti di un soggetto non incluso negli elenchi, prima, però, in questo caso, dell’emanazione degli elenchi definitivi, vale a dire entro il 31 ottobre 2017.

Il tutto fermo restando l’assolvimento sostanziale dell’Iva a favore dell’Erario da parte rispettivamente dell’emittente la fattura o del cessionario ancorché non realmente soggetto a split payment.

Se tali errori vengono commessi dopo le date indicate il fornitore dovrà procedere a regolarizzare il comportamento irregolare con l’emissione di una nota di variazione all’articolo 26 del Dpr 633/1972, con l’emissione corretta di un nuovo documento contabile. La circolare specifica che la regolarizzazione può avvenire anche attraverso l’emissione di un’unica nota di variazione che, facendo riferimento puntuale a tutte le fatture erroneamente emesse le integri, segnalando all’acquirente/committente il corretto trattamento da riservare all’imposta indicata in fattura.

Le note di variazione

A proposito delle note di variazione la circolare, richiamando e confermando la circolare 15/E/2015, ribadisce che in caso di emissione di una nota di variazione in aumento, anche facendo riferimento a una fattura emessa prima del 1° luglio 2017, torna sempre applicabile il meccanismo della scissione dei pagamenti e ragioni di semplificazione rendono utilizzabile la stessa modalità anche nel caso di note di variazione in diminuzione relative a fatture emesse, in regime ordinario, anteriormente al 1° luglio 2017. Inoltre, la circolare precisa che nel caso in cui il fornitore abbia emesso una nota di variazione in diminuzione la Pa e le società, soggetti allo split payment, che abbiano già eseguito il versamento diretto all’erario dell’Iva indicata nella fattura originaria, potranno scomputare il maggior versamento eseguito dai successivi versamenti da effettuare sempre in riferimento allo specifico adempimento.

La cessione in reverse charge

In materia di sanzioni una precisazione di particolare interesse riguarda la non sanzionabilità del fornitore nel caso in cui lo stesso abbia fatturato non correttamente una cessione di beni e una prestazioni di servizi soggetta a reverse charge, quando tale comportamento sia dovuto a una espressa comunicazione della Pa. In particolare, il problema si pone, nel caso in cui l’acquisto della Pa sia promiscuo, vale dire, in parte destinato all’attività commerciale, in parte all’attività istituzionale. In effetti, in caso di operazione soggetta a reverse charge – come sottolinea l’Agenzia – il fornitore sarebbe sempre obbligato ad acquisire dalla Pa una specifica informazione da cui possa desumere se la cessione del bene ovvero la prestazione di servizio è ricevuta nell’ambito istituzionale, commerciale o promiscuo.

730: DETRAZIONE SPESE PER RISTRUTTURAZIONE

La detrazione fiscale delle spese per interventi di ristrutturazione edilizia è disciplinata dall’art. 16 -bis del DPR 917/86 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). Dal 1° gennaio 2012 l’agevolazione è stata resa permanente dal Decreto Legge n. 201/2011 e inserita tra gli oneri detraibili dall’IRPEF. La detrazione è pari al 36 % delle spese sostenute, fino ad un ammontare complessivo delle stesse non superiore a 48.000 euro per unità immobiliare. Il Decreto Legge n. 83/2012 ha elevato al 50 % la misura della detrazione e a 96.000 euro l’importo massimo di spesa ammessa al beneficio. Questi maggiori benefici sono poi stati prorogati più volte da provvedimenti successivi. La Legge di Stabilità 2016 (Legge n. 208 del 28 dicembre 2015) ha prorogato al 31 dicembre 2016 la possibilità di usufruire del beneficio in misura maggiore (50%), confermando il limite massimo di spesa di 96.000 euro per unità immobiliare. La detrazione viene ripartita in 10 rate annuali di pari importo.

Interventi agevolabili – Il beneficio spetta in relazione alle spese sostenute per i seguenti interventi di recupero del patrimonio edilizio:

  • interventi di manutenzione straordinaria sulle singole unità immobiliari residenziali di qualsiasi categoria catastale, anche rurali e sulle loro pertinenze;
  • interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria sulle parti comuni di edifici residenziali;
  • interventi di restauro e risanamento conservativo;
  • interventi necessari alla ricostruzione o al ripristino dell’immobile danneggiato a seguito di eventi calamitosi, a condizione che sia stato dichiarato lo stato di emergenza;
  • interventi finalizzati alla cablatura degli edifici, al contenimento dell’inquinamento acustico, all’adozione di misure di sicurezza statica e antisismica degli edifici, all’esecuzione di opere interne;
  • interventi relativi alla realizzazione di autorimesse o posti auto pertinenziali, anche a proprietà comune;
  • ulteriori interventi quali, ad esempio, quelli di bonifica dall’amianto o quelli finalizzati alla prevenzione di atti illeciti da parte di terzi o all’eliminazione delle barriere architettoniche, oppure interventi di esecuzione di opere volte ad evitare gli infortuni domestici.

Altri interventi – La detrazione spetta anche in relazione alle spese sostenute per gli interventi finalizzati al conseguimento di risparmi energetici, compresa l’installazione d’ impianti basati sull’impiego delle fonti rinnovabili di energia, tra i quali rientrano gli impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica. Può fruire della detrazione chi possiede o detiene l’immobile sul quale sono stati effettuati gli interventi di recupero edilizio sulla base di un titolo idoneo (ad esempio proprietà, altro diritto reale, concessione demaniale, locazione o comodato). Ha diritto alla detrazione anche il familiare convivente del possessore o detentore dell’immobile oggetto dell’intervento, purché abbia sostenuto le spese e le fatture e i bonifici siano a lui intestati. È ammessa la detrazione anche nei casi in cui le fatture e i bonifici non siano intestati al familiare convivente, purché la percentuale della spesa sostenuta dallo stesso sia indicata nella fattura (Circolare 11/E del 21 maggio 2014).

Ciascun contribuente ha diritto a detrarre annualmente la quota spettante nei limiti dell’IRPEF dovuta per l’anno in questione. Non è ammesso il rimborso di somme eccedenti l’imposta.
Documenti da conservare – Ai fini dell’ottenimento del beneficio è necessario che i pagamenti siano effettuati con bonifico bancario o postale dal quale devono risultare :

  • causale del versamento (per le spese sostenute dal 1° gennaio 2012 va indicato l’art. 16-bis del TUIR);
  • codice fiscale del soggetto che effettua il pagamento;
  • codice fiscale o numero di partita Iva del beneficiario del pagamento.

Il contribuente deve, inoltre, conservare ed esibire, a richiesta dell’Ufficio, i documenti individuati dal Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 2 novembre 2011quali ad esempio le fatture e le ricevute fiscali relative alle spese sostenute.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

 

 

OMESSA IVA CON SOGLIA PIÙ ALTA. SCONTO DI PENA PER IL PASSATO

Cassazione Penale, sentenza depositata il 10 marzo 2016

Nel procedimento penale per l’omesso versamento di IVA può essere accordato uno sconto di pena al contribuente che è stato condannato sulla base della vecchia soglia di punibilità, vale a dire quella di € 50 mila elevata a € 250 mila dal D.Lgs. n. 158 del 2015, in vigore dal 22 ottobre dello stesso anno. 
È quanto emerge dalla sentenza n. 9936/16 della Terza Sezione Penale della Cassazione.

Ricorre per cassazione un legale rappresentate di società che la Corte D’Appello – a differenza del Tribunale – ha ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000 per il mancato accantonamento dell’IVA dovuta all’Erario, con un’evasione di oltre 550 mila euro.
La Corte territoriale non ha ritenuto rilevanti, ai fini della dimostrazione della mancanza di dolo per grave crisi di liquidità, né la circostanza della perdita di un assegno di 600 mila euro né un mancato incasso di quasi 2 milioni di euro né il finanziamento “personale” da parte dell’imputato alla società né, infine, la chiusura delle linee credito; e ciò perché, a fronte di tali vicissitudini (tra l’altro non tutte fornite di prova secondo i giudici di secondo grado), è mancata la giustificazione da parte del ricorrente dell’impiego di liquidità per oltre 900.000 euro a titolo di IVA incassata.

Detta somma avrebbe dovuto essere accantonata per provvedere al pagamento del tributo alla scadenza prevista (28/12/2009); tenuto peraltro conto che la società non aveva dipendenti, né locali per cui corrispondeva un affitto (avendo sede nell’abitazione del prevenuto) né, infine, risultando prodotte fatture passive atte a fornire elementi di prova in ordine al fatto che le somme incassate fossero state utilizzate per pagare altri creditori.

Insomma, dal mancato accantonamento dell’IVA incassata la Corte D’appello ha tratto la prova del dolo nel mancato assolvimento dell’obbligazione tributaria. Le somme da versare all’Erario sono state distratte dalla loro destinazione naturale poiché utilizzate per tutt’altri fini.
Ebbene, il ragionamento decisionale che ha sorretto il giudizio di responsabilità penale pronunciato dal Collegio territoriale è stato pienamente condiviso dagli ermellini, che tuttavia hanno ravvisato l’opportunità di rivedere la pena inflitta al ricorrente (fissata dalla Corte D’Appello in sei mesi e venti giorni di reclusione). E ciò alla luce del mutato quadro legislativo.

In proposito in sentenza si legge: “può ritenersi che, effettivamente, alla stregua della novella del 2015 con cui è stata elevata la soglia di punibilità per il reato di omesso versamento Iva ad € 250 mila, rispetto alla soglia che, in relazione al periodo di imposta in contestazione, attribuiva rilevanza penale al fatto (pari ad € 103.291,18, in relazione alla declaratoria di incostituzionalità operata dalla sentenza n. 80 del 2014), il disvalore complessivo del fatto debba essere rivalutato, posto che la soglia svolge la propria funzione sul piano della selezione categoriale, incidendo quindi la sua elevazione, ai fini della rilevanza penale del fatto, sul complessivo e oggettivo disvalore penale del fatto medesimo, donde ciò giustifica la necessità di una rivalutazione della congruità complessiva del trattamento sanzionatorio alla luce del predetto ius superveniens”.

Pertanto la sentenza impugnata è stata annullata con rinvio, limitatamente al trattamento sanzionatorio.

Da segnalare che la difesa ha invocato anche la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui la Corte ha però escluso la ricorrenza.

Sulla compatibilità tra i reati per cui è prevista una soglia di punibilità e il giudizio di particolare tenuità del fatto è pendente la relativa questione davanti alle Sezioni Unite. Ciononostante i supremi giudici hanno richiamato un loro precedente pronunciamento secondo cui, quando si procede per il reato di omesso versamento dell’IVA, la non punibilità per particolare tenuità del fatto è applicabile solo se l’ammontare dell’imposta non corrisposta è di pochissimo superiore a quello fissato dalla soglia di punibilità, poiché la previsione di quest’ultima evidenzia che il grado di offensività della condotta ai fini della configurabilità dell’illecito penale è stato già valutato dal legislatore. Nel caso di specie l’ammontare dell’IVA non versata – a seguito della novella del 2015 – è pari al doppio di quella prevista dalla legge quale soglia di punibilità ai fini della rilevanza penale del fatto.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

 

  • Sentenza n. 9936/16 della Terza Sezione Penale della Cassazione (820 kB)

LA DETRAZIONE PER SPESE MEDICHE

Mesoterapia e ozonoterapia detraibili con prescrizione medica

Premessa – Le spese relative ai trattamenti di mesoterapia e ozonoterapia effettuati da personale medico sono ammesse in detrazione. Ai fini della detraibilità occorre che le spese siano correlate ad una prescrizione medica. Non sono, invece, detraibili i trattamenti di “haloterapia” o grotte di sale: il Ministero della Salute sta ancora valutando la possibilità di assimilare questi trattamenti alle procedure sanitarie. 
TUIR – L’articolo 15, comma 1, lett. c), del TUIR, include tra gli oneri detraibili le “spese mediche e di assistenza specifica, diverse da quelle indicate nell’articolo 10, comma 1, lett. b), e dalle spese chirurgiche, per prestazioni specialistiche e per protesi dentarie e sanitarie in genere”. L’articolo 10, comma 1, lett. b), include tra gli oneri deducibili “le spese mediche e quelle di assistenza specifica necessarie nei casi di grave e permanente invalidità o menomazione, sostenute dai soggetti indicati nell’art. 3 della L. 5 febbraio 1992, n. 104.”.
Prestazioni – In termini generali, non tutte le prestazioni rese da un medico o sotto la sua supervisione sono ammesse alla detrazione, ma solo quelle di natura sanitaria, rispondenti a trattamenti sanitari qualificati che, in quanto finalizzati alla cura di una patologia, devono essere effettuati da medici o da personale abilitato dalle autorità competenti in materia sanitaria (cfr. Circolare n. 17/E del 2006). Ad esempio, non sono detraibili le spese sostenute per prestazioni non necessarie per un recupero alla normalità sanitaria e funzionale della persona, ma tese semplicemente a rendere più gradevole l’aspetto personale (cfr. Circolare n. 14 del 1981). In tal senso, la detrazione è esclusa, ad esempio, per le prestazioni di chirurgia estetica o di medicina estetica non conseguenti ad incidenti, malattie, o malformazioni congenite, anche se effettuate da personale medico o sotto la sua supervisione.
Chiropratico – Con riferimento, in particolare, alle prestazioni rese dal chiropratico, figura professionale ad oggi priva di regolamentazione, malgrado l’articolo 2, comma 355, della Legge n. 244 del 2007 preveda l’istituzione del registro dei dottori in chiropratica, la detrazione è stata ammessa sulla base delle indicazioni date dal Ministero della Sanità (oggi Salute), con la Circolare n. 66 del 1984, ove si è riconosciuta la possibilità di eseguire prestazioni chiroterapiche presso idonee strutture debitamente autorizzate la cui direzione sia affidata ad un medico specialista in fisiatria o ortopedia.
Mesoterapia – Per ciò che concerne trattamenti di mesoterapia, ozonoterapia e “haloterapia” (o grotte di sale), il Ministero della Salute, interpellato dall’Agenzia delle Entrate, ha precisato che “le prestazioni di mesoterapia e di ozonoterapia sono ascrivibili all’ambito delle procedure e pratiche di natura sanitaria, per quanto non incluse nei Livelli Essenziali definiti a livello nazionale”. Pertanto, le spese relative ai trattamenti di mesoterapia ed ozonoterapia effettuati da personale medico o da personale abilitato dalle autorità competenti in materia sanitaria, in quanto ascrivibili a trattamenti di natura sanitaria, sono ammesse in detrazione.
Prescrizione medica – Ai fini della detraibilità occorre che le predette spese siano correlate ad una prescrizione medica, idonea a dimostrare il necessario collegamento della prestazione resa con la cura di una patologia (cfr. Circolare n. 17/E del 2006).
Haloterapia – Diversamente, per ciò che riguarda i trattamenti di “haloterapia” o Grotte di sale, il medesimo Ministero sta svolgendo approfondimenti sulla riconducibilità di tale tipo di trattamento all’ambito delle procedure sanitarie. Pertanto, le relative spese non sono allo stato detraibili.
AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

LA PROCEDURA CONCORSUALE NON BLOCCA LA CIGS

Solo a seguito di richiesta di “voltura” da parte degli organi della procedura concorsuale è possibile liquidare i lavoratori in CIGS

L’avvio della procedura concorsuale, con prosecuzione dell’esercizio d’impresa, non è causa ostativa al riconoscimento del trattamento di integrazione salariale straordinario, qualora sia richiesto per le causali d’intervento previste dalla previgente normativa nonché dall’art. 24 del D.Lgs. n. 148/2015. In tali casi, infatti, al fine di garantire la continuità del sostegno al reddito dei lavoratori, la CIGS potrà essere autorizzata – limitatamente al periodo già richiesto – in favore dei lavoratori dipendenti a condizione che gli organi della procedura si impegnino a proseguire e concludere il programma inizialmente presentato. 
A specificarlo è l’INPS con la Circolare n. 1/2016.
Normativa – Il chiarimento si è reso necessario a causa dell’abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2016, dell’art. 3 della L. n. 223/1991, ad opera della Riforma Fornero (art. 2, co. 70 della L. n. 92/2012). Di conseguenza, vengono meno le possibilità di autorizzare il trattamento di integrazione salariale straordinario conseguente all’ammissione alle procedure concorsuali individuate nella predetta legge.
In tal contesto, particolare importanza ha assunto il successivo intervento di prassi da parte del Ministero del Lavoro (Circolare n. 24/2015), mediante la quale si è concessa comunque la possibilità di poter accedere alla CIGS nell’ambito delle altre causali previste dal D.Lgs. n. 148/2015, laddove l’impresa sia sottoposta a procedura concorsuale con continuazione dell’esercizio d’impresa – ove sussistono i presupposti – anche successivamente al 31 dicembre 2015.
CIGS e procedura concorsuale – Dunque, in linea con l’intervento ministeriale del 2015, e all’evidente scopo di garantire la continuità del sostegno al reddito dei lavoratori, il Ministero del Lavoro ha confermato la possibilità alla imprese che abbiano richiesto la concessione della CIGS in forza delle causali d’intervento previste dalla previgente normativa nonché dall’art. 2 del D.Lgs. n. 148/2015, contestualmente sottoposte a procedura concorsuale con prosecuzione dell’esercizio d’impresa, di poter essere autorizzati all’intervento straordinario.
A tal fine, è necessario che gli organi di procedura si impegnino a proseguire e concludere il programma inizialmente presentato. Ciò comporta una serie di conseguenze a livello operativo per questi ultimi, in quanto dovranno inoltrare telematicamente, all’interno della pratica di “CIGSonline” già acquisita dalla Divisione IV, della Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e I.O., una richiesta di subentro nella titolarità del programma già presentato e del quale di chiede la prosecuzione fino alla prevista scadenza, con l’impegno a garantirne il completamento.
Non bisogna dimenticare che alla richiesta va allegato:

  • l’accordo sindacale sottoscritto in sede di esame congiunto dalle parti sociali;
  • nonché il provvedimento dichiarativo o di ammissione alla procedura concorsuale.

Pertanto, a seguito dell’ammissione a procedura concorsuale, l’INPS provvede all’interruzione dell’erogazione del trattamento CIGS a decorrere dalla data del provvedimento dichiarativo o di ammissione alla procedura concorsuale.
Successivamente, solo a seguito della richiesta di “voltura” presentata dagli organi della procedura concorsuale, potrò essere autorizzata con Decreto Direttoriale della Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e I.O., la corresponsione del trattamento straordinario di integrazione salariale in favore dei lavoratori dipendenti dalla procedura concorsuale per il periodo decorrente dalla data del provvedimento di ammissione alla data di conclusione del programma inizialmente presentato.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

730: ONLINE SPECIFICHE E ISTRUZIONI PER SOSTITUTI, CAF E PROFESSIONISTI

In data 15 febbraio l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato sul proprio sito il provvedimento con cui sono comunicate le specifiche tecniche per la trasmissione in via telematica all’Agenzia dei dati contenuti nei modelli di dichiarazione 730/2016, da parte dei sostituti d’imposta, dei Caf, dei professionisti e degli intermediari abilitati che hanno assunto tale incarico, nonché le specifiche tecniche per la trasmissione dei modelli 730-4/2016 e 730-4/2016 integrativo. Sono presenti tre allegati al provvedimento di cui sopra:

allegato A- Nell’allegato A sono riportati i tracciati per la trasmissione telematica all’Amministrazione finanziaria – da parte dei sostituti d’imposta, dei Caf e dei professionisti e intermediari abilitati – dei dati contenuti nelle dichiarazioni dei redditi 2015, e quelli per l’invio – da parte di Caf e professionisti abilitati – dei modelli 730-4 e 730-4 integrativo, con i risultati contabili; Le modifiche normative apportate al D.M. n. 164 del 1999, prevedono che i soggetti che prestano l’assistenza fiscale trasmettano i risultati finali delle dichiarazioni relative al mod. 730 (mod. 730-4) non più direttamente ai sostituti d’imposta ma all’Agenzia delle Entrate la quale provvederà successivamente ad inviarli telematicamente al sostituto d’imposta. Pertanto, in sede di trasmissione telematica delle dichiarazioni relative al modello 730/2016, qualora l’assistenza fiscale sia prestata da un CAF, da un professionista abilitato o da una associazione i dati relativi al suddetto mod. 730-4 dovranno essere allegati ai dati della dichiarazione mod. 730/2016 da trasmettere in via telematica. In sede di accoglimento delle dichiarazioni trasmesse in via telematica, costituisce oggetto di controllo sia la presenza dei dati relativi al mod. 730-4 che la coerenza dei dati contenuti nel mod. 730-4 con quelli presenti nel modello 730/2016. Eventuali anomalie riscontrate determinano lo scarto della dichiarazione. Ai sostituti d’imposta i dati relativi al mod. 730-4 saranno resi disponibili presso la sede telematica comunicata con l’apposito modello di comunicazione trasmesso all’Agenzia delle Entrate; Nel caso in cui dalla liquidazione della dichiarazione (mod. 730 ordinario ovvero mod. 730 integrativo), risulti che non ci sia alcun importo da trattenere o da rimborsare a cura del sostituto d’imposta, i dati relativi al mod. 730-4 non devono essere riportati nel tracciato telematico della dichiarazione 730 2016 e deve essere impostato ad “1” l’apposito campo (Flag Assenza Dati730-4) previsto nelle presenti specifiche tecniche del modello 730/2016. La non corretta impostazione della suddetta casella determina lo scarto della dichiarazione 730/2016.

allegato B – Nell’allegato B sono riportate le istruzioni tecniche per la trasmissione telematica dei modelli 730-4 e 730-4 integrativo, da parte di Caf e professionisti abilitati che comunicano i dati all’Inps, in qualità di sostituto d’imposta, mediante supporti informatici.

allegato C – In tale allegato sono invece illustrate le istruzioni per lo svolgimento degli adempimenti previsti per l’assistenza fiscale da parte di sostituti d’imposta, professionisti abilitati e Caf.

Le specifiche tecniche per la trasmissione dei dati relativi alla scelta dell’otto, del cinque e del due per mille dell’Irpef da parte dei CAF e dei professionisti abilitati saranno approvate con successivo provvedimento.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

AGEVOLAZIONE PRIMA CASA: TRASFERIMENTO DI RESIDENZA CON TEMPI LUNGHI

Con la Legge di Stabilità 2016, e più di preciso con il co. 55, il Legislatore ha ampliato la possibilità di fruire dell’agevolazione prima casa, prevedendo che si possa ottenere l’aliquota ridotta anche nel caso in cui l’acquirente detenga un immobile acquisto con l’agevolazione prima casa a patto che si provveda alla sua cessione entro un anno dalla data di stipula dell’atto con il quale viene acquistato il “nuovo” immobile.

L’intento del Legislatore, come si evince dalla Relazione tecnica alla Legge di Stabilità 2016, è quello di rendere più elastica la fruizione dell’agevolazione in parola senza determinare variazioni nel numero dei soggetti beneficiari, tenendo evidentemente conto delle attuali esigenze del mercato immobiliare e dei conseguenti tempi e modi della contrattazione, considerato che spesso il contribuente, intenzionato ad alienare la propria “prima casa” per acquistarne un’altra, può trovarsi nella difficoltà di riuscire a concludere la vendita prima del nuovo acquisto.

Nel formulare l’agevolazione “ampliata” il Legislatore ha introdotto il nuovo punto 4-bis, della nota II bis, dell’art. 1, della parte prima della Tariffa allegata al D.P.R.131/1986, la quale prevede che:

  • 4-bis. L’aliquota del 2 per cento si applica anche agli atti di acquisto per i quali l’acquirente non soddisfa il requisito di cui alla lettera c) del comma 1 e per i quali i requisiti di cui alle lettere a) e b) del medesimo comma si verificano senza tener conto dell’immobile acquistato con le agevolazioni elencate nella lettera c), a condizione che quest’ultimo immobile sia alienato entro un anno dalla data dell’atto. In mancanza di detta alienazione, all’atto di cui al periodo precedente si applica quanto previsto dal comma 4”.

Per comprendere appieno la nuova formulazione normativa, pare necessario indicare i requisiti necessari per fruire dell’agevolazione prima casa, dettati dalla nota II-bis) all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 131/1986:

  1. immobile ubicato nelterritoriodelcomuneincui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquistolapropria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirentesvolgelapropria attività ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, inquello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italianoemigratoall’estero,che l’immobile sia acquisito come prima casa sul territorioitaliano.La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistatodeveessereresa,apenadidecadenza, dall’acquirente nell’atto di acquisto;
  2. nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
  3. nell’atto di acquisto l’acquirente dichiara di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni prima casa;
  4. l’agevolazione è subordinata al fatto che la casa acquistata con il beneficio fiscale non sia ceduta per almeno un quinquennio oppure che, se ceduta prima del decorso del quinquennio, entro un anno sia acquista altra prima casa.

La condizione per l’applicazione dell’aliquota del 2 per cento è che il precedente immobile acquistato con le agevolazioni di cui alla lettera c) venga alienato entro un anno dal nuovo acquisto.

In merito al requisito di cui alla lettera a), va evidenziato che la nuova formulazione normativa prevede che il requisito stesso va verificato “senza tener conto dell’immobile acquistato con le agevolazioni elencate nella lettera c).

Secondo il Consiglio Nazionale del Notariato (Studio n. 5-2016/T) il suddetto inciso potrebbe essere inteso quale mera precisazione che, quanto alla residenza dell’acquirente, rilevi quella riferibile al Comune in cui è ubicato il nuovo immobile, con obbligo pertanto di trasferirvi la stessa anche laddove il precedente immobile agevolato fosse situato in un altro Comune.

A parere di chi scrive, la precisazione del Legislatore potrebbe indicare che non rileva la residenza detenuta nel Comune in cui è ubicato l’immobile preposseduto acquistato con le agevolazione prima casa. In sostanza, se si ha la residenza in un Comune diverso da quello nel quale è effettuato l’acquisto del nuovo immobile e dove è ubicato l’immobile preposseduto con le agevolazioni prima casa, non è necessario effettuare il trasferimento di residenza nel perentorio termine di 18 mesi dall’acquisto del nuovo immobile.

Tenuto conto però che l’immobile preposseduto va ceduto entro 12 mesi dall’acquisto del nuovo immobile, da questa data decorreranno i 18 mesi per effettuare il trasferimento di residenza.

In merito al requisito di cui alla lettera b), si evidenzia che nell’atto di acquisto l’acquirente deve dichiarare di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune in cui è situato l’immobile da acquistare, salva l’ipotesi in cui si tratti dell’abitazione già acquistata con le agevolazioni “prima casa” di cui alla lett. c), che si intende alienare entro l’anno successivo.

In sostanza, l’agevolazione prima casa viene concessa anche se si acquista il “nuovo” immobile nel Comune ove è ubicato l’immobile preposseduto acquistato con l’agevolazione prima casa. Diversamente, qualora l’immobile preposseduto sia stato acquistato senza agevolazioni prima casa, se si acquista il “nuovo” immobile nel Comune ove è ubicato l’immobile preposseduto non si potrà fruire dell’agevolazione.

Altra questione poco chiara è l’applicabilità della nuova previsione normativa ai fini IVA.

Nell’ipotesi in cui l’acquisto di una nuova abitazione da parte di un contribuente ancora titolare di un altro immobile acquistato usufruendo delle agevolazioni “prima casa” di cui alla lettera c) della nota II-bis, sia imponibile agli effetti dell’iva, è da valutare se, in presenza degli altri requisiti e condizioni di cui alla nota II-bis, sia applicabile l’aliquota iva del 4%.

Il n. 21 tabella, parte II, allegata al D.P.R. n. 633/1972 dispone l’applicazione dell’aliquota nella misura del 4% alle cessioni «case di abitazione ad eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9, ancorché non ultimate, purché permanga l’originaria destinazione, in presenza delle condizioni di cui alla nota II-bis) all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131. In caso di dichiarazione mendace nell’atto di acquisto, ovvero di rivendita nel quinquennio dalla data dell’atto, si applicano le disposizioni indicate nella predetta nota».

Il rinvio alle condizioni di cui alla nota II-bis dovrebbe essere idoneo a ricomprendere anche l’acquisto per il quale la condizione di cui alla lettera c) non sussista al momento della cessione, purché entro l’anno l’immobile preposseduto venga alienato, secondo quanto disposto dal comma 4-bis della nota II-bis.

In sostanza, l’ampliamento dell’agevolazione dovrebbe trovare applicazione anche ai fini IVA.

AUTORE: GIOACCHINO DE PASQUALE

 

Affitti nuove regole per la registrazione contratti

L’articolo 1, comma 59, della Legge 28 dicembre 2015 n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (Legge di Stabilità 2016), entrato in vigore il 1° gennaio 2016, ha sostituito l’articolo 13 della Legge 9 dicembre 1998 n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili ad uso abitativo).

Il nuovo articolo 13 della Legge 431/1998, prevede per il locatore l’obbligo di registrare il contratto di locazione entro 30 giorni, a pena di nullità.

Il locatore deve, poi, dare “documentata comunicazione” della citata  registrazione,  nei  successivi  60  giorni, sia al conduttore che all’amministratore del condominio, anche ai fini degli obblighi di tenuta dell’anagrafe condominiale, prevista dall’articolo 1130, numero 6), Codice    civile.

 

Registrazione contratti di locazione

I contratti di locazione e di affitto di beni immobili (qualunque sia l’ammontare del canone pattuito) sono soggetti a registrazione secondo quanto disposto dal D.P.R. n. 131/1986, con modalità:

·telematica (modalità obbligatoria per gli agenti immobiliari e i possessori di almeno 10 immobili) direttamente o tramite un intermediario abilitato;

·“cartacea”, presso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate.

L’unica eccezione a tale regola è rappresentata dai contratti di locazione di durata inferiore a 30 giorni nel corso dell’anno (tipicamente contratti turistici), per i quali non c’è obbligo di  registrazione.

 

 

 

 

 

 

Legge di Stabilità

2016

Fino al 2015, inoltre, la registrazione poteva essere effettuata, oltre che dal proprietario dell’immobile e dal mediatore del contratto, anche dall’inquilino stesso.

La Legge di Stabilità 2016 propone, sotto il profilo giuridico,  la  riscrittura  dell’art. 13 della Legge 9 dicembre 1998, n. 431, che contiene la disciplina dettata per le locazioni  abitative

In particolare la Legge di Stabilità 2016, dal 2016 prevede che:

· la registrazione del contratto di locazione deve essere effettuata dal locatore entro il termine perentorio di 30 giorni;

·  il locatore deve dare “documentata comunicazione” della citata registrazione, nei successivi 60 giorni, sia al conduttore che all’amministratore del condominio, anche ai fini  degli  obblighi  di tenuta dell’anagrafe condominiale, prevista dall’articolo 1130, numero 6),  Codice civile.

Si noti che dalla lettura del disposto normativo sembrerebbe che il conduttore non possa più provvedere anche se “parte interessata” alla registrazione del contratto di locazione.

Nullità del contratto

Il “nuovo” art. 13 dispone, inoltre, i seguenti principi:

·         sono da considerarsi nulli i patti tra locatore e conduttore  che prevedano un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato; in caso di nullità  il conduttore può, entro 6 mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, chiedere la restituzione delle somme versate in misura superiore al canone risultante dal contratto scritto e  registrato;

·         sono altresì nulli i patti volti a derogare ai limiti di durata del contratto stabiliti  dalla legge.

Per quanto attiene alla nullità dei patti di contenuto contrario a norme imperative, pare non vi sia nulla di nuovo rispetto al testo precedentemente in vigore: si tratta, invero, di un principio che il Legislatore ha “cristallizzato” nella riforma del 1998, ma che trae le proprie origini nella normativa sull’equo  canone.

Già nella versione dell’art. 13 della Legge n. 431/1998 vigente fino al 31 dicembre 2015, infatti, si ritenevano nulli:

·         qualsiasi patto o clausola attraverso i quali veniva determinato un canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto, scritto    e registrato;

  • i patti o le clausole contenenti una deroga ai limiti di durata del contratto stabiliti  dall’art.  2  della  medesima  Legge  431/1998;
  • relativamente ai contratti rientranti nel canale “assistito” o “concordato”, i patti e le clausole con le quali viene attribuito al locatore un canone superiore a quello massimo previsto dagli accordi stabiliti in sede locale, per gli immobili aventi le stesse caratteristiche ed appartenenti alle medesime tipologie;

per i contratti rientranti nel canale “libero”, qualsiasi obbligo del conduttore ed ogni clausola o altro vantaggio, sia economico sia normativo, finalizzati ad attribuire al locatore un canone superiore a quello stabilito a livello contrattuale. Al riguardo, si pensi, ad esempio, alle clausole che impongono a carico del conduttore l’obbligo di sopportare gli oneri di manutenzione straordinaria   dell’immobile.

Azioni da parte del conduttore

La norma entrata in  vigore  il 1°  gennaio 2016 prevede  – come  anticipato –  che in caso di nullità dei patti diretti ad aumentare la misura  del  canone  rispetto a quella indicata nel contratto, il conduttore possa, entro 6 mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, chiedere la restituzione delle somme versate in misura superiore. Anche sotto questo profilo, peraltro, non si ravvisano novità rispetto al regime  previgente.

Ne consegue che il giudice adito, accertata l’esistenza di un contratto di locazione, determinerà l’ammontare del canone dovuto, che non potrà mai superare quello definito ai sensi dell’art. 2, comma 3, della Legge n. 431/1998 oppure – qualora il conduttore abiti stabilmente l’immobile per motivi di    studio

– la misura fissata secondo le modalità di cui all’art. 5, commi 2 e 3, della medesima   Legge.

La precedente formulazione del comma 6 dell’art. 13 della Legge n. 431/1998 ammetteva la possibilità per il conduttore di chiedere al giudice  che  la  locazione venisse ricondotta entro i  limiti  previsti  dalla  legge  anche  nell’ipotesi in cui il locatore “ha preteso l’instaurazione di un rapporto di locazione di fatto”: tale possibilità, ora, è prevista indistintamente per  le  ipotesi in cui il locatore “non abbia provveduto alla prescritta registrazione del contratto” entro il prescritto termine di 30 giorni.

Canone dovuto

in caso di mancata registrazione

Come noto, il D.Lgs. n. 23/2011, all’articolo 3, commi 8 e 9 aveva introdotto  un particolare regime sanzionatorio applicabile ai contratti di locazione degli immobili ad uso  abitativo:

8. Ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo,  comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina:

  1. la durata della locazione è stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d’ufficio;
  2. al rinnovo si applica la disciplina di cui all’articolo 2, comma 1, della citata legge 431 del 1998;
  3. a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l’adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell’aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed

Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti. 9. Le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ed al comma 8 del presente articolo si applicano anche ai casi in cui:

  1. nel contratto di locazione registrato sia stato indicato un importo inferiore a quello effettivo;
  2. sia stato registrato un contratto di comodato fittizio”.

In pratica, era previsto che nel caso in cui fosse stata accertata l’omessa registrazione del contratto di locazione di un immobile ad uso abitativo, a decorrere dalla data di registrazione dello stesso, volontaria o d’ufficio:

  • la durata della locazione era stabilita in quattro anni;
  • per il rinnovo del contratto si applicava quanto disposto dall’art. 2, comma 1, Legge n. 431/1998 (rinnovo automatico per altri quattro anni in mancanza di espressa rinuncia entro 6 mesi dalla scadenza, ecc.);
  • il canone annuo era stabilito in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l’adeguamento, dal secondo anno, in base al 75% dell’aumento dell’indice ISTAT (salvo che il canone stabilito dal contratto fosse addirittura  inferiore).

La Corte Costituzionale, con Sentenza 14 marzo 2014, n. 50, accogliendo le richieste formulate da alcuni Tribunali, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del regime sanzionatorio sopra citato. Successivamente, tuttavia:

  • l’art. 5, comma 1-ter, L. n. 47/2014, ha disposto che le previsioni di cui all’art. 3, commi 8 e 9, D.Lgs. n. 23/2011 sono “fatte salve” fino al 31 dicembre 2015;
  • con Sentenza 16 luglio 2015, n. 169, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima anche tale disposizione, in quanto è fatto divieto al Legislatore di emanare un nuovo atto diretto soltanto a prolungare nel tempo, anche in via indiretta, l’efficacia di norme già dichiarate illegittime.

A seguito della conferma dell’illegittimità costituzionale del citato regime sanzionatorio, da più parti era stato evidenziato come i proprietari “denunciati” ora avessero la possibilità di richiedere agli inquilini il pagamento dei canoni dovuti dal 7 aprile 2011 in misura superiore a quella che era stata disposta  normativamente.

Per evitare l’insorgere di dette problematiche, la Legge di Stabilità 2016 interviene nuovamente sulla questione in esame stabilendo l’ammontare del canone dovuto dai conduttori in applicazione del regime sanzionatorio di cui all’articolo 3, commi 8 e 9, D.Lgs. n.   23/2011.

In particolare, è espressamente previsto che i conduttori che hanno versato, nel periodo compreso tra:

  • il 7 aprile 2011  (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2011);

ed:

  • il 16 luglio 2015 (data del deposito della Sentenza 119/2015);

il canone annuo di locazione nella misura rideterminata normativamente (triplo della rendita catastale con adeguamento, dal secondo anno, in base al 75% dell’indice ISTAT), sono tenuti a corrispondere il citato canone (o l’indennità di occupazione maturata, su  base  annua)  con  riferimento  al periodo considerato, nella misura del triplo della rendita  catastale  dell’immobile.

REGIME FORFETTARIO E RETTIFICA DELLA DETRAZIONE IVA

Con il passaggio dal regime IVA ordinario al regime forfettario, scatta la rettifica della detrazione IVA di cui all’art. 19 bis-2 DPR 633/72.
In particolare, il comma 3 della norma succitata così recita:
“Se mutamenti nel regime fiscale delle operazioni attive, nel regime di detrazione dell’imposta sugli acquisti o nell’attività comportano la detrazione dell’imposta in misura diversa da quella già operata, la rettifica è eseguita limitatamente ai beni e ai servizi non ancora ceduti o non ancora utilizzati e, per i beni ammortizzabili, è eseguita se non sono trascorsi quattro anni da quello della loro entrata in funzione.”
Dunque, il passaggio dal regime iva ordinario al regime forfettario, comporta la rettifica dell’iva già detratta sui “beni e servizi” non ancora “ceduti” e/o “utilizzati” e sui “beni ammortizzabili”.
La rettifica dell’IVA inizialmente detratta va operata considerando che:

  • le disposizioni di cui all’art. 19 bis-2 DPR 633/72, relative ai beni ammortizzabili, devono intendersi riferite anche ai beni immateriali di cui all’articolo 68 del TUIR;
  • per i beni ammortizzabili materiali ed immateriali la rettifica va eseguita solo se non sono ancora trascorsi cinque anni dalla loro entrata in funzione. Limitatamente alla norma in esame non si considerano ammortizzabili i beni di costo unitario non superiore a 516,46 €, ne’ quelli il cui coefficiente di ammortamento stabilito ai fini delle imposte sul reddito è superiore al 25%;
  • agli effetti del presente articolo i fabbricati o porzioni di fabbricati sono comunque considerati beni ammortizzabili ed il periodo di rettifica è stabilito in dieci anni, decorrenti da quello di acquisto o di ultimazione;
  • fra i beni non ancora ceduti o non ancora utilizzati rientra certamente il valore delle rimanenze finali ed i contratti di leasing in essere. Riguardo al valore delle rimanenze finali, l’IVA va rettificata integralmente, mentre nel caso dei contratti di leasing, la rettifica dell’iva, originariamente assolta con il maxi canone iniziale, va effettuata proporzionalmente al tempo che residua alla conclusione del contratto;

Le rettifiche delle detrazioni iva andranno effettuate nella Dichiarazione annuale IVA relativa all’anno in cui si verificano gli eventi che le determinano, sulla base delle risultanze delle scritture contabili obbligatorie.
Pertanto, l’ex contribuente ordinario nell’ultima Dichiarazione Iva, che nel nostro caso corrisponderà alla Dichiarazione Iva 2016 per l’anno 2015, al rigo VA14 dovrà barrare la casella 1, al fine di indicare che trattasi dell’ultimo anno (il 2015) in cui verranno applicate le regole ordinarie in materia di iva.
Sulla scorta dell’art. 19 bis-2 DP.R. 633/72 dovrà quindi procedere alla rettifica della detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti, riportando nel rigo VF56 il valore complessivo delle rettifiche iva operate.
L’IVA eventualmente da versare corrisponderà:

  • al 100% dell’IVA detratta per le rimanenze finali e i servizi non ancora utilizzati;
  • ai quinti residui per i beni strumentali;
  • ai decimi rimanenti per i beni immobili.

L’IVA dovuta a seguito della rettifica confluirà all’interno della dichiarazione IVA e concorrerà alla determinazione dell’importo a debito/credito risultante dalla dichiarazione annuale.
Relativamente all’IVA dovuta a seguito di rettifica della detrazione a sfavore, a differenza del regime dei minimi, l’imposta non dovrà essere più versata autonomamente: l’importo indicato al rigo VF56 confluirà infatti nel rigo VL, all’interno dell’imposta complessiva a debito o a credito, e l’eventuale debito dovrà essere versato in un’unica soluzione con il codice tributo 6099 anno di riferimento 2015.
L’eventuale credito iva, che emergerà dall’ultimo anno in cui l’iva è applicata nei modi ordinari, potrà essere chiesto a rimborso oppure compensato con il modello F24.
La rettifica alla detrazione iva vale anche in senso opposto, ossia nel caso di passaggio dal regime forfettario al regime ordinario (per opzione o per obbligo). In tal caso l’iva non detratta diviene detraibile. Quindi i contribuenti non più forfettari devono determinare l’Iva assolta sulle merci in rimanenza, sui beni strumentali di importo superiore a 516,46 euro o con percentuale di ammortamento inferiori al 25% e sui servizi non utilizzati.
Infine, con il passaggio dal regime iva ordinario al regime forfettario, può esserci il caso dell’esigibilità differita dell’iva o dell’iva in sospensione per via dell’adozione da parte del contribuente del meccanismo della liquidazione dell’iva “per cassa”. Anche in tal caso va data notizia nella prima Dichiarazione Iva Annuale utile e potrebbe emergere un debito che andrà versato con le modalità su esposte.

AUTORE: MASSIMILIANO BELLINI

INTERVENTI DI EFFICIENTAMENTO ENERGETICO: DETRAZIONE DELLE SPESE

L’agevolazione è confermata anche per il 2016

L’art. 14 del D.L. 14 giugno 2013 n° 63, ai fini di un miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici esistenti, ha previsto una detrazione del 65% delle spese sostenute con riferimento a :
  • miglioramento termico dell’edificio (coibentazioni – pavimenti – finestre, comprensive di infissi);
  • installazione di pannelli solari;
  • sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale.

Dal 1 gennaio 2017 il beneficio sarà del 36%, cioè quello ordinariamente previsto per i lavori di ristrutturazione edilizia.
Soggetti beneficiari– Rientrano tra i soggetti che possono richiedere l’agevolazione: le persone fisiche, comprese gli esercenti arti e professioni; i contribuenti che conseguono reddito d’impresa; le associazioni tra professionisti; gli enti pubblici e privati che non svolgono attività commerciale purché siano soggetti al pagamento dell’Ires (dunque non i Comuni ad esempio). Possono fruire dell’agevolazione anche i titolari di un diritto reale sull’immobile; i condomini, per gli interventi sulle parti comuni condominiali; gli inquilini; i familiari del possessore. Dal 1° gennaio 2016 sono ammessi anche gli Istituti autonomi per le case popolari.
Immobili interessati – Gli interventi devono essere eseguiti su unità immobiliari e su edifici (o su parti di edifici) esistenti, di qualunque categoria catastale, anche se rurali, compresi quelli strumentali (per l’attività d’impresa o professionale). Non sono agevolabili, quindi, le spese effettuate in corso di costruzione.
La Legge di stabilità 2016 al comma 74 ( Legge n° 208 del 28 dicembre 2015) ha confermato la detrazione anche per il 2016 e al comma 88 ammette all’agevolazione anche le spese per l’acquisto, l’installazione e la messa in opera di dispositivi multimediali per il controllo da remoto degli impianti di riscaldamento o produzione di acqua calda o di climatizzazione delle unita’ abitative, volti ad aumentare la consapevolezza dei consumi energetici da parte degli utenti e a garantire un funzionamento efficiente degli impianti. Questi dispositivi devono mostrare attraverso canali multimediali i consumi energetici, mediante la fornitura periodica dei dati, le condizioni di funzionamento correnti e la temperatura di regolazione degli impianti e consentire l’accensione, lo spegnimento e la programmazione settimanale degli impianti da remoto.
In particolare le spese agevolabili fanno riferimento a :

  • interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti, che ottengono un valore limite di fabbisogno di energia primaria annuo per la climatizzazione invernale inferiore di almeno il 20% rispetto ai valori riportati in un’apposita tabella (i parametri cui far riferimento sono quelli definiti con decreto del ministro dello Sviluppo economico dell’11 marzo 2008, così come modificato dal decreto 26 gennaio 2010). Il valore massimo della detrazione è pari a 100.000 euro
  • interventi su edifici esistenti, parti di edifici esistenti o unità immobiliari, riguardanti strutture opache verticali, strutture opache orizzontali (coperture e pavimenti), finestre comprensive di infissi, fino a un valore massimo della detrazione di 60.000 euro. La condizione per fruire dell’agevolazione è che siano rispettati i requisiti di trasmittanza termica U, espressa in W/m2K, in un’apposita tabella (i valori di trasmittanza, validi dal 2008, sono stati definiti con il decreto del ministro dello Sviluppo economico dell’11 marzo 2008, così come modificato dal decreto 26 gennaio 2010). In questo gruppo rientra anche la sostituzione dei portoni d’ingresso, a condizione che si tratti di serramenti che delimitano l’involucro riscaldato dell’edificio verso l’esterno o verso locali non riscaldati e risultino rispettati gli indici di trasmittanza termica richiesti per la sostituzione delle finestre
  • l’installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda per usi domestici o industriali e per la copertura del fabbisogno di acqua calda in piscine, strutture sportive, case di ricovero e cura, istituti scolastici e università. Il valore massimo della detrazione è di 60.000 euro
  • interventi di sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione e contestuale messa a punto del sistema di distribuzione. La detrazione spetta fino a un valore massimo di 30.000 euro;
  • sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con pompe di calore ad alta efficienza e con impianti geotermici a bassa entalpia, con un limite massimo della detrazione pari a 30.000 euro;
  • interventi di sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria, con un limite massimo della detrazione pari a 30.000 euro.
  • Non è agevolabile, invece, l’installazione di sistemi di climatizzazione invernale in edifici che ne erano sprovvisti.

La detrazione del 65% si applica anche alle spese documentate e rimaste a carico del contribuente:

  • per interventi relativi a parti comuni degli edifici condominiali o che interessino tutte le unità immobiliari di cui si compone il singolo condominio, sostenute dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2016;
  • per l’acquisto e la posa in opera delle schermature solari di cui all’allegato M al Dlgs 311/2006, sostenute dal 1 gennaio al 31 dicembre 2016, fino a un valore massimo della detrazione di 60.000 euro;
  • per l’acquisto e la posa in opera di impianti di climatizzazione invernale dotati di generatori di calore alimentati da biomasse combustibili, sostenute dal 1 gennaio 2015 al 31 dicembre 2016, fino a un valore massimo della detrazione di 30.000 euro.

Altra novità prevista dalla Legge 208 del 28 dicembre 2015 (Legge di stabilità 2016) è la possibilità per gli interventi su parti comuni dei condomini di cedere l’ecobonus alle aziende che fanno i lavori in cambio di uno sconto. In questo modo si permette anche agli inquilini incapienti di sfruttare le detrazioni. Le modalità operative della cessione dovranno essere chiarite dall’Agenzia delle Entrate, con un provvedimento da emanarsi entro il 1° marzo 2016, probabilmente il credito si potrà cedere non solo alle imprese ma anche ai professionisti tecnici.
La detrazione deve essere ripartita in dieci rate annuali di pari importo, non è cumulabile – per i medesimi interventi con la detrazione del 50% per le ristrutturazioni o con altri incentivi come il conto termico (cui hanno diritto, in alternativa alla detrazione, pannelli solari termici e pompe di calore).

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

TELEFISCO 2016: QUADRO RW E IVAFE

Nel corso di Telefisco 2016 l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito come deve essere compilato il quadro RW e come si calcolano le sanzioni in presenza di un dossier titoli intrattenuto dal contribuente con un intermediario estero.

I casi prospettati all’Amministrazione Finanziaria sono stati i seguenti.

Un contribuente deteneva un dossier titoli al 1° gennaio del 2015 il cui valore complessivo era 1.000.000 euro al 1° gennaio 2015 e di 1.100.000,00 al 31 dicembre 2015. Il questo caso il capitale iniziale è sempre stato investito in un solo titolo che si è rivalutato.

Nella fattispecie prospettata il contribuente compilerà un solo rigo del quadro RW, indicando come valore inziale 1.000.000 e come valore finale 1.100.000 e come giorni di possesso 365.

Nelle ipotesi di omessa compilazione del modello RW, la sanzione è determinata applicando la percentuale prevista dall’art. 5, Dl 167/90 al valore al termine del periodo di detenzione, rappresentato dall’intero anno, pari a euro 1.100.000.

CASO 2 – Un contribuente deteneva un dossier titoli al 1° gennaio del 2015 il cui valore complessivo era 1.000.000 euro, che è stato investito e reinvestito più volte nel corso dell’anno con i seguenti valori rispettivamente iniziali e finali con questo stesso ordine:

  • Valore iniziale, 1.000.000, valore finale, 1.015.323; giorni, 31.
  • Valore iniziale, 1.015.323; valore finale, 1.030.647; 28 giorni.
  • Valore iniziale, 1.030.647, valore finale, 1.045.970, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.045.970, valore finale, 1.061.293, giorni 30;
  • Valore iniziale, 1.061.293, valore finale, 1.076.616, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.076.616, valore finale, 1.091.940, giorni 30;
  • Valore iniziale, 1.091.940, valore finale, 1.107.263, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.107.263, valore finale, 1.122.586, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.122.586, valore finale, 1.137.909, giorni 30;
  • Valore iniziale, 1.137.909, valore finale, 1.153.233, giorni 31;
  • Valore iniziale, 1.153.233, valore finale, 1.168.556, giorni 30;
  • Valore iniziale, 1.168.556, valore finale, 1.183.879, giorni 31.

Il tale caso il calcolo della sanzione deve avvenire moltiplicando ciascun importo valore finale per i relativi giorni di possesso. La somma dei valori così determinati deve essere divisa per 365.

A titolo esemplificativo, la sanzione per l’omessa dichiarazione del titolo ceduto nel mese di gennaio sarà pari al 3% (6%) di (1.015.323*31)/365 e cosi via. La somma delle sanzioni riferibili a ciascun periodo di detenzione determinerà la sanzione complessiva dovuta per le violazioni della normativa sul monitoraggio fiscale.

Questo è un importante chiarimento. Infatti la sanzione dal 3 al 15 per cento (o dal 6 al 30 percento in caso di detenzione degli investimenti in Stati non collaborativi) si applica sulla media ponderata delle giacenze in luogo della somma degli investimenti indicati in colonna 8 (valore finale) che nel caso di specie sarebbe stata pari ad euro 13.195.214.

Viene altresì chiarito che dal punto di vista della temporalità delle operazioni di investimento e disinvestimento rientranti all’interno di un unitario rapporto finanziario, l’individuazione del termine si riferisce al rapporto finanziario nel suo complesso. Pertanto, gli adempimenti dichiarativi previsti dovranno prevedere l’indicazione del valore iniziale e del valore finale di detenzione della relazione finanziaria, non rilevando le eventuali singole variazioni della composizione di quest’ultima.

In termini pratici questo significa che in caso di possesso di un dossier titoli con valore iniziale 2.000.000,00 di euro e valore finale 3.000.000,00 di euro, estinto a novembre 2015, visto che le operazioni di investimento e disinvestimento rientrano all’interno di un unitario rapporto finanziario si dovrà compilare un solo rigo della dichiarazione, indicando come valore finale 3.000.000,00 di euro.

Altro chiarimento sul quadro RW riguarda il soggetto delegato. SU tale aspetto viene chiarito, compatibilmente con le indicazioni fornite nella C.M. 28/E/2012, che l’Ivafe è dovuta dalle persone fisiche residenti che detengono all’estero attività finanziarie a titolo di proprietà o di altro diritto reale, indipendentemente dalle modalità della loro acquisizione e, quindi, anche se pervengono da eredità o donazioni.
Pertanto, i soggetti delegati su un conto estero, comunque obbligati alla compilazione del modulo RW, non sono tenuti al versamento dell’Ivafe.

AUTORE: GIOACCHINO DE PASQUALE

 

 

LA FATTURA ELETTRONICA PUÒ ESSERE ANCHE “DIFFERITA”

Premessa – A decorrere dal 31 marzo 2015 (Dl n. 66/2014), tutti gli enti nazionali e le amministrazioni locali non possono più accettare le fatture in formato cartaceo ma sono obbligate alla fatturazione elettronica (per Ministeri, Agenzie fiscali ed enti nazionali di previdenza, l’obbligo già decorreva dal 6 giugno 2014).
Inoltre, a oggi, le pubbliche amministrazioni non potranno procedere al pagamento del fornitore del bene o del servizio, neppure parziale, fino all’invio del documento in forma elettronica.
Si ricorda che, l’obbligo di fatturazione in forma elettronica nei confronti delle Amministrazioni dello Stato è stato introdotto dalla Finanziaria 2008 (Legge n. 244/2007) cui sono succeduti due decreti attuativi:

  • decreto 7 marzo 2008 (Gazzetta Ufficiale n.103 del 03/05/2008) con cui il legislatore ha individuato nell’Agenzia delle Entrate il Gestore del Sistema di Interscambio (SDI) per l’invio e la ricezione delle fatture elettroniche verso la PA, definendone compiti e responsabilità. Con lo stesso decreto è stata Individuata nella SOGEI Spa la struttura dedicata ai servizi strumentali e alla conduzione tecnica dell’SDI;
  • decreto Ministro Economia e Finanze n. 55 del 3 aprile 2013 (Gazzetta Ufficiale n.118 del 22/05/2013) che rende operative le regole tecniche per la gestione dei processi di fatturazione elettronica verso la pubblica amministrazione.

Quando la fattura è elettronica – La fattura elettronica, sostituisce in tutto e per tutto la fatturazione cartacea ma restano tuttavia ferme le regole di fatturazione. Secondo il precedente chiarimento dell’Agenzia delle Entrate, fornito con la circolare n. 18/E/2014, affinché una fattura possa essere definita elettronica e non cartacea, non è rilevante il formato utilizzato per la sua creazione (elettronico o cartaceo), bensì il solo fatto che la stessa sia in formato elettronico quando è emessa o messa a disposizione, ricevuta e accettata dal destinatario.
In particolare, secondo l’amministrazione finanziaria, è elettronica anche la fattura cartacea trasformata in documento informatico per essere spedita e ricevuta dal destinatario via posta elettronica. Non può, invece, essere considerata elettronica la fattura che seppur generata tramite un software di contabilità, è comunque inviata all’ente in formato cartaceo.

La fattura elettronica differita – A oggi, la possibilità di emettere fattura differita cartacea, è prevista sia per le cessioni di beni che per le prestazioni di servizi. Ciò è espressamente previsto dall’articolo 21, comma 4, lettera a), del D.P.R. n. 633 del 1972, in cui è disposto che “per le cessioni di beni la cui consegna o spedizione risulta da documento di trasporto o da altro documento idoneo a identificare i soggetti tra i quali è effettuata l’operazione ed avente le caratteristiche determinate con decreto del Presidente della Repubblica 14 agosto 1996, n. 472, nonché per le prestazioni di servizi individuabili attraverso idonea documentazione, effettuate nello stesso mese solare nei confronti del medesimo soggetto, può essere emessa una sola fattura, recante il dettaglio delle operazioni, entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione delle medesime”.
Per quanto riguarda le prestazioni di servizi individuabili attraverso “idonea documentazione”, l’Agenzia delle Entrate, con la stessa circolare n. 18/E/2014 ha chiarito che per “idonea documentazione” potrebbe intendersi, ad esempio, oltre del documento attestante l’avvenuto incasso del corrispettivo, del contratto, della nota di consegna lavori, della lettera d’incarico, della relazione professionale, purché risultino in modo chiaro e puntuale la prestazione eseguita, la data di effettuazione e le parti contraenti.
Anche la fattura elettronica, così come quella cartacea può essere emessa in modalità “differita” entro il 15 del mese successivo alla consegna del bene oggetto di compravendita o dall’avvenuto incasso della prestazione resa.
Quindi, ciò ad esempio, sta significando che il fornitore potrebbe consegnare all’ente pubblico (esempio Comune) i beni acquistati ed emettere la preventiva bolla di consegna (o DDT) per poi emettere la fattura elettronica (per la quale sussiste l’obbligo) entro il 15 del mese successivo alla consegna con la possibilità di fatturare tutti i beni acquistati e consegnati il mese precedente a condizione che nella fattura siano comunque richiamati il numero e la data della bolla.

AUTORE: PASQUALE PIRONE

 

DOMESTICI: IMPORTI CONTRIBUTIVI IN STALLO

Per l’anno 2016 si pagano gli stessi contributi dello scorso anno per colf e badanti

Alla luce della recente novità introdotta dalla Legge di Stabilità 2016 (L. n. 208/2015) all’art. 1, co. 287, secondo la quale “[…] la percentuale di adeguamento corrispondente alla variazione che si determinarapportando il valore medio dell’ indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati, relativo all’anno precedente il mese di decorrenza dell’adeguamento, all’analogo valore medio relativo all’anno precedente non può risultare inferiore a zero”, e considerato che tale variazione per il periodo “gennaio 2014 – dicembre 2014” ed il periodo “gennaio 2015 – dicembre 2015” è risultato nella misura del -0,1%, per quest’anno si applicano le stesse fasce di retribuzione dello scorso anno (INPS, Circolare n. 12 del 23 febbraio 2015).

Quindi, continua ad applicarsi anche il contributo addizionale dell’1,4% (art. 2 della L. n. 92/2012), a carico del datore di lavoro, per i rapporti di lavoro a tempo determinato.

A darne notizia è l’INPS con la Circolare n. 16/2016.

I valori aggiornati – La retribuzione da considerare ai fini del versamento dei contributi della colf è stabilita dalla legge, che prevede tre determinate fasce di salario orario convenzionale, cui corrispondono altrettante fasce di retribuzioni effettive. Per quest’anno, i valori contributivi sono stati così determinati:

  • retribuzione oraria effettiva fino a € 7,88: importo contributo orario € 1,39 (€ 0,35 a carico del lavoratore) comprensivo quota CUAF; € 1,40 (€ 0,35 a carico del lavoratore) senza quota CUAF;
  • retribuzione oraria effettiva oltre € 7,88 fino a € 9,59: importo contributo orario € 1,57 (€ 0,39 a carico del lavoratore) comprensivo quota CUAF; € 1,58 (€ 0,40 a carico del lavoratore) senza quota CUAF;
  • retribuzione oraria effettiva oltre € 9,59: importo contributo orario € 1,91 (€ 0,48 a carico del lavoratore) comprensivo quota CUAF; € 1,93 (€ 0,48 a carico del lavoratore) senza quota CUAF;
  • orario di lavoro superiore a 24 ore settimanali: importo contributo orario € 1,01 (€ 0,25 a carico del lavoratore) comprensivo quota CUAF; € 1,02 (€ 0,25 a carico del lavoratore) senza quota CUAF.

Stop al “Job sharing” – Sul punto, l’Istituto previdenziale tiene a precisare che dal 25 giugno 2015 non potrà più essere utilizzato l’istituto del lavoro ripartito (c.d. “Job sharing”), in quanto la recente revisione del “Codice dei contratti”, ad opera del D.Lgs. n. 81/2015 (attuativo del Jobs Act), ne ha disposto l’abrogazione. Tuttavia, restano validi i rapporti di lavoro ripartito già in essere alla predetta data.

I termini di pagamento – Infine, si ricorda che i contributi si pagano per trimestri solari, secondo il seguente scadenzario:

  • I trimestre (dal 1° al 10 aprile);
  • II trimestre (dal 1° al 10 luglio);
  • III trimestre (dal 1° al 10 ottobre);
  • IV trimestre (dal 1° al 10 gennaio dell’anno successivo).

Per adempiere all’obbligo contributivo, è possibile utilizzare le seguenti modalità: bollettino MAV precompilato inviato dall’Istituto; circuito “Reti Amiche”; online, sul sito www.inps.it nella sezione: “Servizi online” -> “Cittadino” -> “Lavoratori domestici: pagamento online contributi”, utilizzando la carta di credito; Contact Center, telefonando al numero gratuito 803.164.

AUTORE: DANIELE BONADDIO

 

ARTIGIANI E COMMERCIANTI: LE ALIQUOTE CONTRIBUTIVE 2016

Fornite le aliquote contributive dovuti per l’anno in corso dagli artigiani ed esercenti attività commerciali

Continua senza sosta il graduale innalzamento delle aliquote contributive, disposto ai suoi tempi dalla manovra “Monti-Fornero” (L. n. 214/2011) nei confronti degli iscritti alla gestione “artigiani ed esercenti attività commerciali”. Per quest’anno, in particolare, l’aliquota ammonta: al 23,10% per gli artigianie al23,19% per i commercianti.

Percentuali, queste, che si dimezzano se riferite asoggetti con un’età anagrafica superiore a 65 anni, già pensionati presso la gestione artigiani e commercianti dell’INPS.

Inoltre, ebbene tenere presente che, già dall’anno 2013, l’INPS non invia più le comunicazioni contenenti i dati e gli importi utili per il pagamento della contribuzione dovuta, in quanto le medesime informazioni possono essere facilmente prelevate, a cura del contribuente o di un suo delegato, tramite l’opzione, contenuta nel Cassetto previdenziale per artigiani e commercianti, “Dati del mod. F24”.

Attraverso tale opzione è possibile, inoltre, visualizzare e stampare in formato pdf, il modello da utilizzare per effettuare il pagamento.

A darne notizia è l’INPS con la Circolare n. 15/2016.

Riforma Monti-Fornero – L’incremento contributivo (pari al 23,10% per l’anno 2016) trae origine dall’art. 24, c. 22 della riforma “Monti-Fornero” (L. n. 214/2011), la quale ha stilato una tabella di marcia che prevede annualmente – dal 1° gennaio 2012 – aumenti dello 0,45 punti percentuali,fino a raggiungere a regime il 24%.

Il minimale – Alla luce delle suddette aliquote contributive, il contributo minimale dovuto, per l’anno 2016, ammonta a: 3.599,03 euro (artigiani) ovvero 3.613,02 euro (commercianti). Se parliamo, invece, di coadiuvanti/coadiutori di età non superiore ai 21 anni, l’importo dovuto è pari a: 3.132,59 euro (artigiani) ovvero 3.146,58 euro (commercianti).

Resta fermo che per periodi inferiori all’anno solare, il contributo sul “minimale” va riportato a mese.

Reddito eccedente il minimale – L’aliquota contributiva va calcolata sulla totalità dei redditi d’impresa prodotti nel 2015 per la quota eccedente il minimale di € 15.548 annui e fino al limite della prima fascia di retribuzione annua pensionabile pari, per il corrente anno, all’importo di € 46.123.

Qualora il lavoratore superi il predetto limite, dovrà corrispondere un punto percentuale in più, ai sensi dell’art. 3-ter della L. n. 438/1992.

Il massimale – Quanto al reddito annuo massimale entro il quale sono dovuti i contributi IVS, l’INPS specifica che questi ammontano, per quest’anno, a 76.872 euro. Al riguardo, si rammenta che tale limite opera esclusivamente per i soggetti iscritti alla Gestione “artigiani e commercianti” con decorrenza anteriore al primo gennaio 1996 o che possono far valere anzianità contributiva a tale data. Infatti, per i lavoratori privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995, iscritti con decorrenza gennaio 1996 o successiva, il massimale annuo è pari a € 100.324; tale massimale non è frazionabile in ragione mensile.

Contribuzione a saldo – Con l’occasione, l’INPS tiene a ricordare che il contributo IVS dovuto da artigiani e commercianti: è calcolato sulla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF (e non soltanto su quello derivante dall’attività che dà titolo all’iscrizione nella gestione di appartenenza); è rapportato ai redditi d’impresa prodotti nello stesso anno al quale il contributo si riferisce (quindi, per i contributi dell’anno 2016, ai redditi 2016, da denunciare al fisco nel 2017). Pertanto, qualora la somma dei contributi sul minimale e di quelli a conguaglio versati alle previste scadenze sia inferiore a quanto dovuto sulla totalità dei redditi d’impresa realizzati nel 2016, è dovuto un ulteriore contributo a saldo da corrispondere entro i termini di pagamento delle imposte sui redditi delle persone fisiche.

Termini e modalità di versamento – Gli appuntamenti 2016 che interessano gli artigiani e commercianti sono: 16 maggio, 22 agosto, 16 novembre e 16 febbraio 2017. Tali scadenze valgono per i contributi dovuti sul minimale di reddito; mentre per la quota di reddito eccedente il minimale, la scadenza segue il termine per il pagamento delle imposte sui redditi delle persone fisiche, a titolo di saldo 2015, primo acconto 2016 e secondo acconto 2016.

AUTORE: DANIELE BONADDIO

 

TELEFISCO 2016 – CONTANTI: NON APPLICABILE IL “FAVOR REI”

Il limite per la circolazione del contante è stato innalzato dal 1° gennaio 2016: prima di questa data, però, le sanzioni troveranno applicazione secondo la disciplina previgente, senza alcuno sconto.

È questo uno degli importanti chiarimenti forniti dal Dipartimento delle Finanze del Mef in occasione del consueto appuntamento annuale con Telefisco.

Il chiarimento

Come noto, dal 1°gennaio 2016 il limite per la circolazione del contante è stato portato ad euro 3.000, in luogo dei 1.000 euro in passato previsti.

Ipotizziamo ora che un soggetto, negli ultimi mesi del 2015, abbia effettuato una transazione in contanti di euro 2.500 con un altro privato.

Nel caso di specie deve ritenersi che, in virtù del principio del favor rei, non trovino applicazione le sanzioni? Possiamo applicare la nuova soglia dei 3.000 euro anche alle transazioni avvenute prima del 1° gennaio 2016 ma ancora non sanzionate a quella data?

Ebbene, il Dipartimento delle Finanze del Mef è intervenuto sul punto chiarendo espressamente che le sanzioni devono comunque essere applicate se la soglia prevista dalla normativa in vigore al momento del pagamento è stata violata.

Più precisamente, è stato chiarito che, come ritenuto ormai da pacifica giurisprudenza, in materia di sanzioni amministrative non trova applicazione il principio del favor rei, salvi i casi in cui non sia la normativa stessa a prevederlo.

È infatti necessario far riferimento, in questi casi, all’art. 1 della Legge 24 novembre 1981, n. 689, in forza della quale “nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione”.

La succitata norma, come ricorda il Mef, ha superato anche il vaglio di legittimità costituzionale e si pone, oggi, come principio generale in forza del quale la sanzione amministrativa da applicare è quella in vigore al tempo della violazione, mentre nessuna rilevanza può essere attribuita alla normativa successiva, anche se più favorevole.

Il Legislatore, sulla base della sua valutazione discrezionale potrà tuttavia prevedere la specifica applicazione delle norme successive più favorevoli, a seconda dell’oggetto. In ogni caso, non si potrà mai parlare di obbligo in tal senso.

Conformi a questo orientamento possono inoltre essere richiamate anche numerose sentenze della Cassazione (n.1789/2008, n.21584/2007, n.12858/2001, n.5554/2007, n.1693/2007) e la sentenza n. 34897/2010 del 3 giugno 2010 del Consiglio di Stato.

Il trasferimento dei libretti

Un altro importante aspetto analizzato in occasione dell’appuntamento con Telefisco ha riguardato il limite previsto per il saldo dei libretti al portatore, nonché i limiti entro i quali gli stessi possono essere trasferiti.

La Legge di stabilità 2016, nel modificare la disciplina di cui al D.Lgs. n. 231/2007 aveva infatti introdotto regole che sembravano essere poco coerenti in materia di detenzione e circolazione dei libretti a risparmio.

In virtù delle modifiche introdotte, infatti:

  • Il saldo del libretto al portatore continua a non poter essere superiore a 999,99 euro;
  • Il limite per la circolazione dei libretti al portatore è stata innalzata (solo questa!) a 2.999,99 euro.

In occasione dell’appuntamento con Telefisco, il Mef ha avuto modo di confermare che, effettivamente, nessuna variazione è intervenuta in tema di libretti al portatore, i quali, pertanto, continuano a non poter presentare un saldo pari o superiore alla soglia dei 1.000 euro.

A seguito delle novità introdotte con la Legge di stabilità, però, la soglia massima per il trasferimento dei libretti al portatore è stata innalzata ad euro 2.999,99 euro.

Pertanto, non risulteranno violate le disposizioni in tema di circolazione del contante se due soggetti effettuano un trasferimento di 3 libretti al portatore, ognuno con saldo pari a 900 euro: in questo caso, infatti, il valore oggetto della transazione è pari a 2.700 euro, inferiore alla soglia prevista.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

ELIMINATA L’IMU SUGLI IMBULLONATI

Con la circolare n. 2 le Entrate dettano le istruzioni

Premessa – Escono dal calcolo della rendita catastale i macchinari, i congegni, le attrezzature ed altri impianti funzionali ad uno specifico processo produttivo, ovvero i cosiddetti “imbullonati”. È questa l’innovazione che la Legge di Stabilità 2016 ha introdotto in tema di determinazione della rendita catastale dei fabbricati di categoria D ed E, ovvero le unità immobiliari urbane a destinazione speciale e particolare.

Circolare n. 2/E/2016 – Dal 1° gennaio 2016, come chiarisce la circolare 2/E di ieri, nel processo estimativo, per esempio, di industrie, centrali o stazioni elettriche, non saranno più inclusi le turbine, gli aerogeneratori, i grandi trasformatori, gli altiforni, così come tutti gli impianti che costituiscono le linee produttive presenti nell’unità immobiliare, indipendentemente dalle loro tipologia, rilevanza dimensionale o modalità di connessione. Del pari, sono esclusi dalla stima i pannelli fotovoltaici, ad eccezione di quelli integrati sui tetti e nelle pareti della struttura che non possono essere smontati senza rendere inutilizzabile la copertura o la parete cui sono connessi.

Aggiornamento – Per le unità già censite è possibile presentare atti di aggiornamento, non connessi alla realizzazione di interventi edilizi sul bene, solo per rideterminare la rendita catastale, escludendo dalla stessa eventuali componenti impiantistiche che, secondo i nuovi criteri, non sono più oggetto di stima diretta.

Modalità per il calcolo della rendita catastale – In pratica, d’ora in avanti, per gli immobili a destinazione speciale e particolare, la stima diretta si effettuerà tenendo conto del suolo, delle costruzioni e degli elementi strutturalmente connessi (come impianti elettrici e di areazione, ma anche ascensori, montacarichi, scale mobili), senza più considerare i macchinari, i congegni, le attrezzature e gli altri impianti funzionali al processo produttivo, che non conferiscono all’immobile un’utilità apprezzabile anche in caso di modifica dell’attività al suo interno. Con la nuova norma vengono quindi meno le criticità interpretative talora riscontrate nel processo tecnico-estimativo di determinazione della rendita dei fabbricati produttivi, grazie alla definizione univoca delle tipologie di macchinari e impianti escluse dalla stima diretta.

Aggiornamento scatta entro il 15 giugno – La circolare specifica che la nuova disposizione non ha valore di interpretazione autentica ed esplica, pertanto, i suoi effetti solo a decorrere dal 1° gennaio 2016. È però possibile presentare atti di aggiornamento catastale per escludere eventuali componenti impiantistiche che, secondo i nuovi criteri, non fanno più parte della stima diretta. Se la dichiarazione di variazione viene presentata correttamente in catasto entro il 15 giugno 2016, la nuova rendita catastale avrà valore fiscale fin dal 1° gennaio 2016 per il calcolo dell’imposta municipale propria.

Online la nuova versione Docfa – Da ieri viene resa disponibile sul sito internet dell’Agenzia la nuova versione 4.00.3 della procedura Docfa, con le relative istruzioni operative, seguendo il percorso Home > Cosa devi fare > Aggiornare dati catastali e ipotecari > Aggiornamento Catasto fabbricati – Docfa. La nuova versione deve essere obbligatoriamente utilizzata, a partire dal 1° febbraio 2016, per gli atti di aggiornamento del Catasto Edilizio Urbano finalizzati alla rideterminazione della rendita catastale per scorporo degli impianti. Per tutte le altre dichiarazioni, in via transitoria, è consentito utilizzare anche la versione precedente (4.00.2) del software Docfa, fino alla fine del mese di marzo 2016.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

TELEFISCO 2016 – AGEVOLAZIONE PRIMA CASA: I CHIARIMENTI

Nel corso di Telefisco 2016 è stata affrontata la recente novità legislativa introdotta con la Legge di Stabilità 2016 concernente l’ottenimentodell’agevolazione prima casa. Con la Legge di Stabilità 2016 si è ampliata la possibilità di fruire dell’agevolazione in questione, prevedendo che si possa ottenere l’aliquota ridotta anche nel caso in cui l’acquirente detenga un immobile acquisto con l’agevolazione prima casa a patto che si provveda alla sua cessione entro un anno dalla data di stipula dell’atto con il quale viene acquistato il “nuovo” immobile.

I requisiti prima casa ante e post Legge di Stabilità 2016 – Per usufruire dell’agevolazione prima casa, devono essere rispettati i seguenti requisiti:

  • non deve trattarsi di immobile di lusso;
  • devono essere soddisfatti i requisiti di cui alla nota II-bis) all’articolo 1, della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 131/1986.

Tali ultimi requisiti sono:

  1. Immobile ubicato nelterritoriodelcomuneincui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquistolapropria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirentesvolgelapropria attività ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, inquello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italianoemigratoall’estero,che l’immobile sia acquisito come prima casa sul territorioitaliano.La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistatodeveessereresa,apenadidecadenza, dall’acquirente nell’atto di acquisto;
  2. Nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
  3. L’acquirente non deve essere titolare di un’altra abitazione, ovunque ubicata, che sia stata acquistata con l’agevolazione prima casa;
  4. L’agevolazione è subordinata al fatto che la casa acquistata con il beneficio fiscale non sia ceduta per almeno un quinquennio oppure che, se ceduta prima del decorso del quinquennio, entro un anno sia acquista altra prima casa.

Come si evince dall’elencazione riportata, la lettera b) preclude l’agevolazione prima casa se si è titolare del diritto di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare, mentre la lettera c) preclude l’agevolazione prima casa nel caso di possesso di altro immobile acquisto con l’abitazione prima casa in tutto il territorio nazionale.

La Legge di Stabilità 2016 introduce un nuovo punto 4-bis, alla nota II bis, dell’art. 1, della parte prima della Tariffa allegata al D.P.R.131/1986, la quale prevede che ove l’acquirente detenga un immobile acquisto con l’abitazione prima casa per fruire dell’agevolazione deve provvedere alla sua cessione entro un anno dalla data di stipula dell’atto con il quale viene acquistato il “nuovo” immobile.

I chiarimenti di Telefisco 2016 – Non era chiaro se l’estensione dell’agevolazione prima casa riguardasse soltanto gli atti soggetti a imposta proporzionale di registro o anche gli atti soggetti ad IVA. Su tale questione l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito che le novità inserite nel corpo della disciplina prima casa, nell’ambito della Nota II-bis richiamata si applicano anche nell’ipotesi in cui il nuovo acquisto sia imponibile Iva.
La modifica delle condizioni stabilite dalla Nota II-bis esplica, quindi effetti anche ai fini dell’applicazione dell’aliquota agevolata Iva del 4 per cento.

E’ stato altresì chiarito che la modifica delle condizioni stabilite dalla Nota II-bis esplica, effetti anche ai fini dell’applicazione delle agevolazioni “prima casa” in sede di successione o donazione.
Resta inteso che, nell’atto di donazione o nella dichiarazione di successione con cui si acquista il nuovo immobile in regime agevolato, dovrà risultare l’impegno a trasferire entro un anno l’immobile preposseduto.

E’ stato infine chiarito che per gli atti conclusi prima del 31.12.2015 non può essere richiesto il rimborso delle eventuali maggiori imposte versate rispetto a quelle che sarebbero state dovute in applicazione delle nuove disposizioni né spetta un credito d’imposta.

Il credito d’imposta per il riacquisto della prima casa – Altra questione sulla quale l’Amministrazione Finanziaria ha offerto dei chiarimenti riguarda il credito d’imposta per il riacquisto della prima casa.

L’articolo 7, commi 1 e 2, della Legge 23 dicembre 1998, n. 448 stabilisce l’attribuzione di un credito d’imposta a favore dei contribuenti che, entro un anno dalla vendita dell’immobile, acquistato con i benefici ‘prima casa’, provvedano ad acquisire un’altra casa di abitazione, per la quale ricorrono le condizioni di cui alla nota II bis all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al Testo unico dell’imposta di registro, approvato con il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (TUR).

Alla luce delle modifiche introdotte alle agevolazioni “prima casa”, il dubbio era se si potesse fruire di detto credito d’imposta nel caso in cui il contribuente effettui il nuovo acquisto prima di vendere la casa preposseduta.

A parere dell’Amministrazione Finanziaria, alla luce delle modifiche che hanno interessato la normativa in materia di “prima casa” deve ritenersi che il credito di imposta in questione spetti al contribuente anche nell’ipotesi in cui proceda all’acquisto della nuova abitazione prima della vendita dell’immobile preposseduto. Una diversa interpretazione – afferma l’Agenzia – non risulterebbe, infatti, coerente con la ratio della riforma che ha inteso agevolare la sostituzione della “prima casa”, introducendo una maggiore flessibilità nei tempi previsti per la dismissione dell’immobile preposseduto.
All’atto di acquisto del nuovo immobile con le agevolazioni ‘prima casa’ il contribuente potrà, quindi, fruire del credito di imposta per l’imposta dovuta in relazione al nuovo acquisto nel limite, in ogni caso, dell’imposta di registro o dell’imposta sul valore aggiunto corrisposte in occasione dell’acquisizione dell’immobile preposseduto.

AUTORE: GIOACCHINO DE PASQUALE

TELEFISCO 2016 – STOP AGLI STUDI DI SETTORE PER CHI CESSA L’ATTIVITÀ

Premessa – Non saranno più necessari sia i modelli Ine sia quelli di comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore per i contribuenti che hanno cessato l’attività nel corso del periodo d’imposta o che si trovano in liquidazione ordinaria. Questo perché l’obiettivo di rilevare la presenza di ricavi o compensi non dichiarati, o di rapporti di lavoro irregolare, potrà essere comunque raggiunto con l’integrazione e l’analisi delle diverse banche dati, a cui accede l’Agenzia delle Entrate.

Modelli studi di settore – In anticipo di quattro mesi rispetto allo scorso anno, arrivano sul sito dell’Agenzia, dopo la fase di test, i 204 modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, da utilizzare per la dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta 2015. Con il provvedimento di approvazione del 29 gennaio sono definite, inoltre, le caratteristiche tecniche di stampa. I modelli, in particolare, riguardano: 51 studi relativi ad attività economiche del settore delle manifatture; 60 studi relativi ad attività economiche del settore dei servizi; 24 studi relativi ad attività professionali; 69 studi relativi ad attività economiche del settore del commercio. I contribuenti che nel periodo d’imposta 2015 hanno esercitato le attività “altre creazioni artistiche e letterarie” (codice 90.03.09) e “fabbricazione di bigiotteria e articoli simili n.c.a.” (codice 32.13.09), devono compilare i relativi modelli, VK28U e WD33U, per la sola acquisizione di dati.

Cessazione attività – La novità più importante è data dall’eliminazione dell’obbligo di presentare i modelli Ine (Indicatori di normalità economica) e il modello di comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore per i contribuenti che hanno cessato l’attività nel corso del periodo d’imposta o che si trovano in liquidazione ordinaria. Con riferimento all’anno d’imposta 2015, questi due adempimenti, infatti, risultano non più necessari poiché eventuali ricavi/compensi non dichiarati o rapporti di lavoro irregolare potranno essere efficacemente rilevati attraverso l’integrazione e l’analisi delle diverse banche dati a disposizione dell’Agenzia delle Entrate.

Super ammortamento – I modelli risultano inoltre aggiornati con le informazioni relative ai correttivi, individuate sulla base della metodologia presentata alla Commissione degli esperti lo scorso 2 dicembre e con le informazioni necessarie per gestire i “super-ammortamenti” introdotti dalla Stabilità 2016 (Legge 208/2015). In particolare sono stati introdotti nei righi F18 e F20 del modello imprese e nei righi G11 e G12 del modello per i professionisti i campi destinati a ospitare la quota parte degli ammortamenti imputabili al maggior costo ammortizzabile (40%) dei beni strumentali nuovi acquistati a partire dal 15 ottobre scorso.

Altre novità – Gli stessi quadri tengono inoltre conto dell’applicazione del regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità. Struttura semplificata, inoltre, per il quadro “F”: per gli studi evoluti per il periodo d’imposta 2015 è stato infatti accorpato il contenuto dei righi F14 e F15, come già fatto per gli studi evoluti per l’anno 2014, mentre nel quadro “X” è possibile rettificare il peso di alcune variabili.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

 

I FORFETTARI E “L’AUTOCONSUMO”

Fra i vari requisiti richiesti dall’art. 1 commi 54-89 Legge 190/2014 (c.d. Legge di Stabilità 2015) e successive modifiche apportate dalla Legge di Stabilità 2016, uno dei casi più critici riguarda la valutazione dei ricavi e/o compensi rilevati nel periodo di imposta precedente.
In particolare, occorre valutare se nel periodo di imposta 2015 il contribuente, corrispondentemente al proprio codice Atecofin, ha superato o meno la soglia massima dei ricavi previsti come tetto massimo.
La verifica dei requisiti di accesso di cui al comma 54 va effettuata avuto riguardo all’anno precedente quello di riferimento.
Pertanto con riferimento al 2016, le condizioni di accesso vanno verificate nel 2015 e, analogamente al regime dei minimi, andranno successivamente verificate anno per anno.
Fra i vari aspetti da considerare nel determinare i ricavi e compensi rilevati nel periodo di imposta 2015, va valutato il valore normale dei beni destinati al consumo personale o familiare del contribuente.
La Legge 190/2014, che ha introdotto nel nostro ordinamento il regime forfettario, nulla dispone in merito alla destinazione dei beni al consumo personale o familiare dell’esercente attività d’impresa, arte o professione.
Per analizzare la questione, occorre fare riferimento alla Circolare A.E. del 28 gennaio 2008, n.7/E, la quale ha fornito gli ulteriori chiarimenti in merito al funzionamento del regime fiscale dei contribuenti minimi. In particolare al punto 6.6 (autoconsumo) della succitata Circolare, l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti in merito al quesito seguente:
“Si richiedono chiarimenti in merito al trattamento da riservare alle operazioni di destinazione al consumo personale o familiare di beni dell’impresa che potrebbero avvenire in costanza di applicazione del regime dei minimi.”
Risposta
Ai fini dell’imposta sul valore aggiunto le operazioni di destinazione al consumo personale o familiare di beni dell’impresa, che ordinariamente ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, n. 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, costituiscono operazioni rilevanti agli effetti del tributo qualora la relativa imposta assolta all’atto dell’acquisto sia stata detratta, nell’ambito del regime dei minimi sono effettuate senza applicazione dell’Iva, in conformità al disposto del comma 100, secondo cui i contribuenti minimi non addebitano l’imposta sul valore aggiunto a titolo di rivalsa.
Per converso, ai fini della determinazione del reddito, l’autoconsumo da parte di un soggetto che applica il regime dei contribuenti minimi trova disciplina nell’articolo 4 del decreto ministeriale del 2 gennaio 2008, secondo cui ai fini della determinazione della base imponibile “si applicano le disposizioni di cui agli articoli 54, comma 1-bis, lettera c), 57 e 58, comma 3, del citato testo unico, concernenti la destinazione dei beni al consumo personale o familiare dell’imprenditore o dell’esercente l’arte o la professione.”
L’Agenzia delle Entrate, nelle conclusioni al quesito, ha ribadito che “i ricavi e le plusvalenze relativi a beni destinati al consumo personale o familiare dell’esercente impresa, arte o professione concorreranno come componenti positive del reddito imponibile dei contribuenti minimi, anche se per tale destinazione non risultano percepiti ricavi o compensi”.
Per analogia, così come nel caso dei contribuenti minimi, occorre rifugiarsi nell’art. 4 del Decreto Ministeriale del 02 Gennaio 2008, in base al quale ai fini della determinazione della base imponibile assumono rilievo i contenuti di cui al Testo Unico delle imposte sui redditi art. 54, comma 1, lettera c) e articoli 57 e 58, comma 3.
Il contribuente che destina beni o servizi al consumo personale o dei suoi familiari, dovrà sommare il valore normale di tali beni o servizi, determinato in base all’art. 9 T.U.I.R, ai ricavi e compensi complessivamente conseguiti nel periodo di imposta.
Pertanto, l’autoconsumo rileva indipendentemente dalla percezione di un corrispettivo e va preso in considerazione ai fini della determinazione dei ricavi complessivi originati in un periodo di imposta, da confrontarsi con la soglia massima di ricavi prevista per quel determinato contribuente corrispondentemente al codice Atecofin che identifica l’attività esercitata.
Si può concludere che, in deroga al principio di cassa allargato, concorrono a formare il reddito anche i ricavi relativi ai beni destinati al consumo personale o familiare dell’esercente impresa arte o professione, ancorché sia assente la manifestazione finanziaria.
AUTORE: MASSIMILIANO BELLINI

 

COMUNICAZIONE ANNUALE DATI IVA: CONTABILITÀ SEPARATE

I soggetti che nel corso del 2015 hanno svolto più attività e che, per obbligo o per opzione, hanno adottato la contabilità separata ai sensi dell’art. 36, D.P.R. 633/1972 devono presentare un’unica Comunicazione, riportando i dati relativi a tutte le attività esercitate.

Se per una delle attività è previsto l’esonero dalla presentazione della Dichiarazione IVA annuale e, conseguentemente, della Comunicazione IVA,nella stessa vanno esposti soltanto i dati delle attività per le quali vige l’obbligo di presentazione del modello.

Compilazione Comunicazione – Innanzitutto è da sottolineare che l’esercizio di due attività separate nell’anno cui si riferisce la comunicazione verrà evidenziato barrando l’apposita casella “Contabilità separata” presente nella Sezioni I “Dati Generali”.

Inoltre, per quanto riguarda il codice di attività, in caso di svolgimento di più attività, andrà indicato il codice dell’attività prevalente, che ha realizzato un maggior volume d’affari nel periodo d’imposta.

Persone fisiche e limite volume d’affari – Un tema di particolare interesse per le persone fisiche che svolgono più attività gestite in contabilità separata, riguarda l’obbligo o l’esonero dalla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA.

Si ricorda, infatti, che tra i soggettiesonerati dalla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA vi rientrano le persone fisiche che hanno realizzato nel 2015 un volume d’affari inferiore o uguale ad € 25.000 ancorché tenuti a presentare la dichiarazione annuale.

Sul tema, le istruzioni alla compilazione della comunicazione annuale Iva, precisano che “ai fini della determinazione del volume d’affari realizzato nell’anno in cui la comunicazione dati si riferisce, il contribuente, come precisato con circolare n. 113 del 31 maggio 2000, deve fare riferimento al volume d’affari complessivo relativo a tutte le attività esercitate ancorché gestite con contabilità separate, comprendendo nel calcolo anche l’ammontare complessivo delle operazioni effettuate, registrate o soggette a registrazione nell’ambito dell’attività per la quale è previsto l’esonero dalla dichiarazione annuale Iva e, conseguentemente, dalla comunicazione dati“.

Di conseguenza, per stabilire se il soggetto è obbligato o meno alla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA, dovrà far riferimento al volume d’affari complessivo.

Nel caso in cui una delle attività non superi il suddetto limite, inoltre, poiché entrambe le attività sono considerate nel computo del limite di euro 25.000, nella comunicazioneIva deve essere ricompresa la sommatoria delle risultanze contabili di entrambe le attività.

Produttori agricoli in regime di esonero – Un caso particolare è rappresentato dal produttore agricolo in regime di esonero che svolge anche attività commerciali.

In base all’art. 34, co. 6, D.P.R. 633/1972, tali soggetti se nell’anno solare precedente hanno realizzato o, in caso di inizio di attività prevedono di realizzare, un volume d’affari non superiore a 7.000 euro, costituito per almeno due terzi da cessioni di prodotti agricoli e ittici, sono esonerati dal versamento dell’imposta e da tutti gli obblighi documentali e contabili, (compresa la comunicazione annuale), fermo restando l’obbligo di numerare e conservare le fatture e le bollette doganali.

Da tenere in debita considerazione che nel caso in cui tali soggetti (persone fisiche) svolgono contemporaneamente anche altre attività commerciali,per stabilire se il soggetto è obbligato o meno alla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA si dovrà tener conto del volume d’affari derivante dall’attività agricola anche se inferiore ad euro 7.000,00.

Ad esempio, se un contribuente svolge attività agricola con volume d’affari pari a Euro 5.000,00 e attività commerciale con volume d’affari pari a euro 21.000,00, lo stesso sarà obbligato alla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA (volume d’affari superiore ad euro 25.000,00). I dati da inserire nella Comunicazione annuale riguardano però solo l’attività commerciale.

Nel caso di specie, se il volume d’affari è superiore a euro 7.000,00, non solo tale volume d’affari concorrerà alla formazione del volume d’affari per stabilire se il soggetto è obbligato o meno alla presentazione della Comunicazione annuale dati IVA ma anche tali dati dovranno essere inclusi nella Comunicazione annuale.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Modello Unico 2016

Il Modello Unico (di dichiarazione unificato compensativo, da cui l’abbreviazione Uni.Co.) viene utilizzato per presentare più dichiarazioni fiscali di soggetti che percepiscono redditi di terreni e fabbricati, di partecipazione, di lavoro autonomo (occasionale o continuativo), di lavoro dipendente, di impresa e di pensione.

Documentazione

Qui potete trovare i modelli da scaricare e compilare: Unico Persone Fisiche e PF Mini 2014 e Unico 2014 SC (Società di Capitali). In base alla tipologia del contribuente, di distinguono diversi modelli:

  • Unico Persone Fisiche.

Questo modulo va compilato da parte di coloro che devono presentare sia la dichiarazione dei redditi (in alternativa al Modello 730) sia la dichiarazione Iva. In particolare, i soggetti che hanno l’obbligo di consegnare questo modello sono i contribuenti che:

  • nell’anno precedente oggetto di dichiarazione hanno posseduto redditi d’impresa, redditi di lavoro autonomo per i quali è richiesta la partita Iva, redditi diversi non compresi fra quelli dichiarabili con il modello 730;
  • nell’anno precedente e/o in quello di presentazione della dichiarazione non risultano residenti in Italia;
  • nell’anno di presentazione della dichiarazione hanno percepito redditi di lavoro dipendente erogati solo da datori di lavoro non obbligati ad effettuare le ritenute d’acconto;
  • devono presentare anche una delle dichiarazioni IVA, IRAP, Modello 770 ordinario e semplificato;
  • devono presentare la dichiarazione per conto di deceduti;
  • sono lavoratori con contratto a tempo indeterminato, il cui rapporto di lavoro è cessato al momento della presentazione della dichiarazione.

Tutti quei contribuenti che, invece, si trovano in situazioni meno complesse (non hanno cambiato il domicilio fiscale dal 1° novembre dell’anno precedente a quello di presentazione della dichiarazione;  non sono titolari di partita IVA;  hanno percepito uno o più redditi da terreni, fabbricati, lavoro dipendente, attività commerciali;  vogliono fruire di deduzioni e detrazioni  per le spese sostenute; non devono presentare il modulo per conto di altri) possono tranquillamente compilare un modello Unico per Persone Fisiche Mini.

  • Unico Società di Capitali.

Anche questo modello consente di presentare sia la dichiarazione dei redditi che quella IVA. Nello specifico, deve essere presentato da parte dei cosiddetti soggetti IRES, ovvero:

  • le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative, comprese le società cooperative che abbiano acquisito la qualifica di Onlus e le cooperative sociali, le società di mutua assicurazione, nonché le società europee residenti nel territorio dello Stato;
  • gli enti commerciali (enti pubblici e privati e i trust);
  • le società di ogni tipo, tranne le società semplici, le società e le associazioni equiparate e gli enti commerciali non residenti nel territorio.
  • Unico Società di Persone.

Questo ulteriore modulo va compilato da parte di tutti i contribuenti che devono presentare, anche in tal caso, dichiarazione dei redditi e Iva e, più precisamente:

  • le società semplici;
  • le società in nome collettivo e accomandita semplice;
  • le società di armamento;
  • le società di fatto o irregolari;
  • le associazioni prive di personalità giuridica;
  • le aziende coniugali;
  • i gruppi europei di interesse economico.
  • Unico Enti Non Commerciali.

I contribuenti che, in questo ultimo caso, devono presentare Modello 730 e Iva sono quegli enti che si caratterizzano per non avere come oggetto principale lo svolgimento di una attività di natura economica. Ovvero:

  • Soggetti pubblici e privati diversi dalle società;
  • I trust che non hanno per oggetto esclusivo lo svolgimento di attività commerciali;
  • Gli organismi di investimento collettivo del risparmio, esclusi gli organi di amministrazione dello Stato, dei Comuni, delle Province e delle Regioni;
  • Le società e gli enti di qualsiasi tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio italiano.

Istruzioni: che cosa si deve fare

Nella maggior parte dei casi, la presentazione del Modello Unico per tutte le tipologie sin qui viste avviene per via telematica:

  • Diretta, consegnandola personalmente in qualsiasi ufficio o avvalendosi dei servizi online messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate. In questo ultimo caso, il contribuente può scegliere se utilizzare il servizio telematico Fisconline, a meno che non sia tenuto a presentare  il Modello 770 per un numero di soggetti superiore a 20 e al quale si accede tramite un  codice Pin che va preventivamente richiesto all’Agenzia; il servizio Entratel, se è tenuto a presentare il modello 770 in relazione a più di 20 soggetti.
  • Tramite intermediari abilitati (professionisti, associati di categoria, Caf o altri), al quale si può chiedere supporto anche per la compilazione del modello stesso. Questi soggetti sono tenuti a rilasciare una dichiarazione di impegno, datata e sottoscritta e, entro trenta giorni dal termine previsto per la presentazione, l’originale del modello firmato dai contribuenti e la comunicazione di avvenuta ricezione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

In alcuni casi particolari, si potrà consegnare il modello anche in formato cartaceo presso un qualunque Ufficio Postale. Si tratta di quei contribuenti che, nel caso dell’Unico per Persone Fisiche, pur possedendo redditi dichiarabili con il 730, non hanno un datore di lavoro, non sono titolari di una pensione, devono presentare la dichiarazione per conto di deceduti, sono privi di sostituti di imposta o semplicemente devono comunicare alcuni dati tramite dei quadri del Modello. Nel caso di Unico per Enti Non Commerciali, sono quei contribuenti che non sono tenuti a presentare la dichiarazione Iva o dei sostituti d’imposta o ai fini Irap.

Scadenze

Il Modello Unico, per  tutte le tipologie di contribuenti, va presentato entro 9 mesi dalla chiusura del periodo di imposta. Per l’Unico Società di Capitali e per quelle società o enti il cui esercizio coincide con l’anno solare la scadenza è fissata per il 30 settembre. Tutti coloro che possono seguire la procedura cartacea di presentazione, hanno tempo dal 2 maggio al 30 giugno per recarsi presso un qualsiasi Ufficio Postale. È bene, tuttavia, tenere sempre sott’occhio lo scadenzario dell’Agenzia delle Entrate in caso di proroghe e variazioni.

Cooperative di tipo B: la fine di un modello?

Le cooperative sociali nascono con la finalità di perseguire l’interesse generale della comunità, garantendo la promozione umana e l’integrazione sociale dei cittadini. Proprio questa “vocazione collettiva” le distingue dagli altri tipi di cooperative che mirano esclusivamente a rispondere agli interessi “individuali” dei singoli soci.
Le cooperative sociali, nell’espletamento delle proprie funzioni, operano bilanciando il legittimo interesse economico al profitto con l’altrettanto fondamentale obiettivo a perseguire questo attraverso l’inserimento di soggetti svantaggiati che devono essere almeno il 30% sul totale della forza lavoro impiegata.
La Legge 381/1991 che disciplina le cooperative sociali distingue tra:
• Cooperative sociali di tipo A che si occupano della gestione dei servizi socio sanitari ed educativi rivolte a persone che per svariate ragioni (età, salute, condizione personale e sociale) si trovino in una condizione di svantaggio;
• Cooperative sociali di tipo B che si rivolgono ai medesimi destinatari ma svolgono attività diverse: agricole, industriali, commerciali o servizi.
Per favorire l’inserimento lavorativo delle categorie più svantaggiate, la Legge prevedeva per le cooperative di tipo B la possibilità di stipulare convenzioni con gli Enti Pubblici finalizzate alla fornitura di beni e servizi (ad esclusione di quelli di natura socio sanitaria ed educativa, di competenza delle cooperative di tipo A) in deroga alla normativa del Codice dei contratti, purché gli affidamenti riservati fossero di importi inferiori alla soglia di rilevanza comunitaria fissata a 40.000 euro.
Il comma 610 dell’art.1 Testo Unico della Legge di Stabilità 2015 ha de facto eliminato l’affidamento diretto aggiungendo all’art.5 della Legge 381/1991 quanto di seguito:
“Le convenzioni di cui al presente comma sono stipulate previo svolgimento di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di efficienza”.
Tre righe che cambiano tutto e che rischiano di svuotare di senso il ruolo della cooperazione nel panorama politico-economico italiano.
Il disposto in oggetto va a smantellare un sistema efficiente che ha garantito fino a questo momento la tutela di categorie di lavoratori altrimenti esclusi dal mercato del lavoro, snaturando di fatto lo spirito insito nella Legge 381/91.
La scelta politica che sembra emergere, alla luce dei recenti scandali di Mafia Capitale, è quella di andare a “punire” quegli esempi virtuosi che costituiscono la stragrande maggioranza del panorama delle cooperative.
Più che la trasparenza e la non discriminazione l’unico obiettivo che sembra volersi perseguire è quella dell’efficienza economica tout court. L’aspetto sociale rischia di passare in secondo piano alla luce di criteri ispirati esclusivamente alla logica del vantaggio economico totale.
La norma, inoltre, va nella direzione opposta a quanto stabilito dalla nuova Direttiva Europea sugli appalti pubblici 2014/24/UE la quale al comma 1 dell’articolo 20 stabilisce che: Gli Stati membri possono riservare il diritto di partecipazione alle procedure di appalto a laboratori protetti e ad operatori economici il cui scopo principale sia l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate o possono riservarne l’esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti quando almeno il 30% dei lavoratori, operatori economici o programmi sia composto da lavoratori con disabilità o da lavoratori svantaggiati.
Tale orientamento viene riaffermato dalla Risoluzione Legislativa del Parlamento Europeo del 15 gennaio 2014 sulla proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio riguardante la modifica della Direttiva 18/2004 sugli appalti pubblici. L’articolo 36 sottolinea come porre sullo stesso piano le imprese sociali con le altre sul mercato costituirebbe di fatto una distorsione delle regole. Il disposto, in questo senso, è chiarissimo: “Lavoro e occupazione contribuiscono all’integrazione nella società e sono elementi chiave per garantire pari opportunità a tutti. In questo contesto, i laboratori protetti possono svolgere un ruolo significativo. Lo stesso vale per altre imprese sociali il cui scopo principale è l’integrazione o reintegrazione sociale e professionale delle persone con disabilità e delle persone svantaggiate, quali i disoccupati, le persone appartenenti a minoranze svantaggiate o comunque a categorie socialmente emarginate. Tuttavia, detti laboratori o imprese potrebbero non essere in grado di ottenere degli appalti in condizioni di concorrenza normali. Appare pertanto opportuno prevedere che gli Stati membri possano avere la facoltà di riservare la partecipazione alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici o di determinati lotti di appalti a tali laboratori o imprese o riservarne l’esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti”.
L’Europa prende ad esempio il nostro sistema di tutele ma l’Italia prosegue in “direzione ostinata e contraria” e in tutto ciò viene da chiedersi se l’obiettivo finale sia il superamento del sistema cooperativo, relegando nuovamente ai margini quelle categorie “svantaggiate” a cui fino ad oggi le cooperative hanno dato la possibilità di essere cittadini attivi.

Fonte UNSIC

Alla Consulta il contraddittorio «a macchia di leopardo»

Con la sentenza n. 24823 del dicembre scorso, le Sezioni Unite hanno sancito che non esiste, nell’ordinamento nazionale, un principio generale che impone all’Amministrazione finanziaria un obbligo circa l’instaurazione del preventivo contraddittorio con il contribuente.

Cassa integrazione e apprendisti: regolarizzazione periodi pregressi entro il 16/4

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

INPS, Messaggio n. 24/2016

Alla luce del nuovo panorama degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro (D.Lgs. n. 148/2014), entrato in vigore dal 24 settembre 2015, è stato esteso il campo di applicazione dell’integrazione salariale, ordinaria (CIGO) e straordinaria (CIGS), anche agli apprendisti con contratto di apprendistato professionalizzante. In particolare, gli apprendisti alle dipendenze di imprese che possono accedere alle integrazioni salariali sia ordinarie che straordinarie, sono destinatari esclusivamente dei trattamenti di integrazione salariale ordinaria. Differente è il discorso per gli apprendisti alle dipendenze di imprese che possono accedere alle sole integrazioni salariali straordinarie; in tal caso, sono destinatari esclusivamente di tale trattamento, ma limitatamente al caso in cui l’intervento sia stato richiesto per la causale di crisi aziendale.

A darne notizia è l’INPS con il Messaggio n. 24/2016 illustrando, altresì, i profili contributivi connessi alle nuove misure di finanziamento della cassa integrazione, con particolare riferimento a quelli relativi agli apprendisti con contratto di tipo professionalizzante.

Aspetti contributivo della CIGO – All’art. 13 del D.Lgs. n. 148/2015 vengono rimodulati i contributi ordinari dovuti in caso di CIGO in base ai vari settori. Sul punto, l’INPS ha chiarito che per gli apprendisti la misura della contribuzione di finanziamento della cassa integrazione è sempre allineata a quella del personale con qualifica di operario; pertanto, a decorrere dal periodi di paga “settembre 2015”, le aliquote risultano così determinati:

  • 1,70% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipendenti delle imprese industriali che occupano fino a 50 dipendenti;
  • 4,70% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipendenti delle imprese edili, industriali e artigiane che occupano fino a 50 dipendenti;
  • 3,30% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipendenti delle imprese lapidei industriali e artigiane che occupano fino a 50 dipendenti;
  • 2% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipendenti delle imprese industriali che occupano oltre 50 dipendenti;
  • 4,70% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipendenti delle imprese edili, industriali e artigiane che occupano oltre 50 dipendenti;
  • 3,30% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali per i dipendenti delle imprese lapidei industriali e artigiane che occupano oltre 50 dipendenti.

È bene tenere presente che per gli apprendisti con contratto di tipo professionalizzante occupati presso aziende destinatarie della sola Cigs, l’aliquota di finanziamento dovuta dal periodo di paga “settembre 2015” è pari allo 0,90% (di cui 0,30% a carico dell’apprendista).

Altro chiarimento importante riguarda le aziende che hanno assunto (o assumeranno) apprendisti avvalendosi dello sgravio contributo del 100% nei primi di anni di contratto, di cui all’art. 22, co.1 della L. n. 183/2011( Legge di Stabilità 2012). Per questi ultimi la contribuzione appena illustrata sarà sempre dovuta in misura piena.

Soglia dimensionale – Ai fini della definizione della soglia dimensionale, che determina la differente percentuale di contribuzione dovuta, il limite occupazionale si calcola, con effetto dal 1° gennaio di ciascun anno, sulla base del numero medio di dipendenti in forza nell’anno civile precedente dichiarato dall’impresa. Per quest’anno, in particolare, il limite dimensionale sarà quello determinato come media annua del 2015. Al riguardo, si precisa che, ai fini del computo, per i mesi da “gennaio ad agosto 2015”, non si terrà conto del personale con qualifica di apprendista che, invece, dovrà essere considerato nella determinazione della forza occupazionale per i periodi da “settembre a dicembre 2015”. La media ponderata, come sopra definita, costituirà la forza dimensionale da considerare ai fini della determinazione dell’aliquota di contribuzione ordinaria dovuta per il 2016.

Laddove il nuovo requisito occupazionale determinerà una modifica della forza aziendale con conseguente variazione nella misura della contribuzione ordinaria mensile rispetto a quella precedente, le imprese dovranno darne comunicazione all’INPS. A tal fine, le aziende potranno utilizzare funzionalità “contatti” del cassetto previdenziale aziende, selezionando nel campo oggetto la denominazione “Requisito occupazionale Cigo” e utilizzando la seguente locuzione: “Comunico la media occupazionale aziendale ai fini della determinazione dell’aliquota Cigo”. La Sede territorialmente competente gestirà gli effetti contributivi di tale informazione (attribuendo o eliminando i codici di autorizzazione 1S/1J) e ne darà comunicazione al datore di lavoro attraverso il medesimo cassetto previdenziale.

Novità UniEmens – A partire dal corrente mese di gennaio, sono stati modificati i codici al fine di favorire l’individuazione dei soggetti nei confronti dei quali il datore di lavoro è tenuto all’assolvimento degli obblighi in materia di CIGO/CIGS. I nuovi codici da utilizzare nel flusso UniEmens sono:

  • PA Apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore;
  • PB Apprendistato professionalizzante;
  • PC Apprendistato di alta formazione ricerca;
  • M1 Apprendistato professionalizzante presso aziende esercenti miniere, cave e torbiere, per periodi di lavoro compiuti in sotterraneo.

Nessuna innovazione, invece, nella compilazione del flusso con riferimento ai lavoratori assunti in apprendistato in qualità di beneficiari dell’indennità di mobilità e/o per quelli mantenuti in servizio al termine del periodo di apprendistato.

Regolarizzazione periodi pregressi –Considerato che il D.Lgs. n. 148/2015 ha modificato le aliquote contributive ordinarie in caso di cassa integrazione, sorge ora il problema della regolarizzazione dei periodi pregressi (settembre-dicembre 2015). A tal fine, è necessario valorizzare – all’interno di “DenunciaIndividuale” “DatiRetributivi” – l’elemento “AltreADebito” indicando i seguenti dati:

  • in “CausaleADebito” il codice “M201” avente il significato di “Differenze Contributo CIGO” ovvero il codice “M202” avente il significato di “Differenze Contributo CIGS”;
  • in “AltroImponibile” la somma degli imponibili dei mesi oggetto di regolarizzazione;
  • in “ImportoADebito” l’importo del contributo dovuto riferito alla CIGO e/o alla CIGS.

Attenzione. La regolarizzazione delle differenze contributive avverrà senza aggravio di oneri accessori purché effettuata entro il 16 aprile 2016.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Co.co.co.: si apre la stabilizzazione per le collaborazioni irregolari

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Le collaborazioni che non hanno i requisiti previsti dal Jobs Act potranno essere “sanate” con conseguente estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali

Con l’avvento del nuovo anno si apre un’interessante possibilità per i datori di lavoro che hanno finora inquadrato in maniera erronea i propri collaboratori. Infatti, chi deciderà di “sanare” tali rapporti – e quindi assumere il collaboratore con un contratto a tempo indeterminato – potrà godere dell’estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali, connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro pregresso, fatti salvi gli illeciti già accertati a seguito di accessi ispettivi effettuati in data precedente l’assunzione.

Tale facoltà, che si ricorda è contenuta nell’art. 54 del D.Lgs. n. 81/2015,riguarda sia i soggetti già titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (con o senza progetto) e sia i soggetti titolari di Partita Iva con cui i rapporti di collaborazione siano stati intrattenuti a norma dell’art. 69-bis del D.Lgs. n. 276/2003, ora abrogato.

Al riguardo è bene far notare che la stabilizzazione dei predetti collaboratori è rafforzato anche dal fatto che dal 1° gennaio 2016 si potrebbe godere di un abbattimento del 40% dei contributi previdenziali, fino ad un massimo di 3.250 euro per 24 mesi. Sulla cumulabilità dei due incentivi il condizionale è d’obbligo, in quanto non è stata emanata alcuna prassi che conferma quanto ipotizzato.

Alla luce dell’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015, che ha introdotto meccanismi estremante restrittivi al fine di scovare collaborazioni autonome fittizie, i potenziali beneficiari della sanatoria sono di conseguenza aumentati a dismisura. Infatti, dal 1° gennaio 2016,si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretizzano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.Riepilogando, quindi, gli indici presuntivi – che devono essere tutti presenti affinché si verifichi la riconduzione al lavoro subordinato – sono:

  • mancanza di autonomia;
  • assoggettamento al potere organizzativo, direttivo e disciplinare dell’imprenditore,
  • uso dei mezzi di lavoro del datore;
  • inserimento stabile all’interno di un processo produttivo e dell’organizzazione aziendale,
  • retribuzione fissa mensile;
  • orario di lavoro fisso e continuativo;
  • continuità della prestazione in funzione di collegamento tecnico, organizzativo e produttivo con le esigenze aziendali.

Ad ogni modo, l’art. 2, co. 2 del Decreto in commento indica una serie di casi in cui gli indicatori di presunzione appena visti non avranno efficacia. In particolare, stiamo parlando:

  • delle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi stipulati dalle Confederazioni Sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore.
  • delle collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi Albi professionali (dunque le professioni ordinistiche);
  • delle attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
  • delle prestazioni di lavoro rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I. come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della Legge 27 dicembre 2002, n. 289.

Ma come si realizza la sanatoria?

Innanzitutto il lavoratore deve sottoscrivere con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, appositi atti di conciliazione in una delle sedi protette, di conciliazione o certificazione (articolo 2113, comma 4, del Codice civile, e all’art. 76 del D.Lgs. n. 276/2003), vale a dire:

  • davanti alla commissione territoriale di conciliazione;
  • in sede sindacale;
  • presso le sedi e con le modalità previste dai CCNL (enti bilaterali).

Inoltre è necessario che nei 12 mesi successivi alle assunzioni i datori di lavoro non recedano dal rapporto di lavoro, salvo che per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Sottoscrizione ruolo. Risponde il concessionario se non chiama in causa l’ente impositore

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il contribuente può rivolgere l’impugnazione contro il solo concessionario

Nel caso in cui sia impugnato un atto proprio dell’agente della riscossione facendo valere anche vizi afferenti all’attività dell’ente impositore cui l’atto impugnato si collega, ricade sull’agente della riscossione, non sul ricorrente, l’onere di chiamare in giudizio l’ente impositore.

È il principio di diritto tratto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione che la Commissione Tributaria Provinciale di Enna ha posto a fondamento dell’accoglimento di un ricorso avverso una cartella di pagamento emessa a seguito di iscrizione a ruolo dell’Agenzia delle Entrate.

Nella sentenza n. 1318/01/15 la CTP di Enna cita l’insegnamento delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 16412/2007) secondo cui, nelle ipotesi in cui venga impugnato un atto proprio dell’agente della riscossione facendo valere anche vizi afferenti all’attività dell’ente impositore, la “legittimazione passiva resta in capo all’ente titolare del diritto di credito e non al concessionario il quale, se fatto destinatario dell’impugnazione, dovrà chiamare in giudizio il predetto ente, se non vuole rispondere dell’esito della lite, non trattandosi nella specie di vizi che riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi: l’enunciato principio di responsabilità esclude, come già detto, che il giudice debba ordinare ex officio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non sussiste tra ente creditore e concessionario una fattispecie di litisconsorzio necessario”.

Inoltre, secondo Cass. (Sez. VI-T) 21220/12: “nel processo tributario, il fatto che il contribuente abbia individuato nel concessionario, piuttosto che nel titolare del credito tributario, il legittimato passivo, nei cui confronti dirigere l’impugnazione, non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore, onere che, tuttavia, grava sul convenuto, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio”.

E allora la CTP di Enna è giunta alla conclusione che, nel caso di specie, spettava all’Agente della riscossione chiamare in causa l’Agenzia delle Entrate “al fine di consentire a quest’ultima di dimostrare, in replica all’eccezione dl ricorrente, che il ruolo dal quale scaturisce la cartella impugnata era stato reso esecutivo giusta sottoscrizione da parte del titolare dell’ufficio ovvero di un suo delegato, con la conseguenza che dell’esito della lite non può che rispondere solo l’Agente della Riscossione” e che la stessa (lite) “non può che essere sfavorevole all’agente, poiché in assenza di dimostrazione della corretta sottoscrizione de ruolo, l’impugnata cartella di pagamento deve ritenersi nulla”.

In buona sostanza, quindi, Equitalia avrebbe dovuto chiamare in causa l’Agenzia o, in alternativa, dimostrare la correttezza della sottoscrizione del ruolo: ma nel caso esaminato il concessionario non ha fatto né l’uno né l’altro. Dal che la declaratoria di nullità della cartella impugnata.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Medici e attività intramoenia. Illegittime le trattenute dell’Asl

Illegittime le trattenute dell’Asl – Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cassazione Lavoro, sentenza depositata il 7 gennaio 2016

In tema di Irap, sono illegittime le trattenute dell’ASL al medico ospedaliero che svolge anche attività libero-professionale intramuraria.

L’azienda sanitaria può trasferire sui pazienti l’onere relativo all’Irap attraverso l’adeguamento delle tariffe del servizio.

È quanto emerge dalla sentenza 7 gennaio 2016, n. 79, della Corte di Cassazione – Sezione Lavoro.

La Corte d’Appello di L’Aquila ha condannato la locale azienda sanitaria a
restituire a un medico, svolgente attività libero-professionale intramoenia, le
somme trattenute a titolo di IRAP.

La condanna è stata motivata dalla Corte territoriale nel senso che il reddito inerente all’ALPI è assimilabile al reddito da lavoro dipendente e che il soggetto passivo dell’imposta regionale sulle attività produttive è unicamente l’ASL.

Pertanto, nel caso di specie, non potendo sopportare i costi per l’ALPI, l’ASL avrebbe dovuto determinare le tariffe del servizio, e così traslare gli oneri dell’imposta sui pazienti e non sui medici. L’Asl, dunque, non poteva pretendere che fossero i medici stessi a trasferire sui pazienti l’onere economico relativo all’IRAP.

Ebbene, la Sezione Lavoro della Suprema Corte ha mantenuto ferma la statuizione del giudice di secondo grado.

Gli ermellini hanno rilevato che soggetto passivo dell’imposta è L’ASL; inoltre è
incontroverso che l’ALPI è attività rientrante nello schema generale del lavoro subordinato.

I supremi giudici hanno aggiunto che, se anche il contratto collettivo decentrato prevede che l’onere del pagamento dell’imposta debba gravare sui pazienti, le tariffe del servizio sono nella disponibilità dell’ASL e non dei medici, i quali, per rispettarle, non possono in alcun modo trasferire l’Irap sui pazienti.

Resta poi esclusa, per i giudici di Piazza Cavour, la possibilità giuridica di trasferire la qualità di sostituto d’imposta dall’ASL ai medici, essendo questi ultimi estranei al rapporto tributario poiché “meri subordinati del
sostituto d’imposta IRAP”.

Infine in sentenza si legge: “né può dirsi violato il canone ermeneutico dell’art. 1363 c.c. in relazione al comportamento, anche successivo, delle parti sol perché nel successivo accordo integrativo aziendale dell’area dirigenza medica del 2007 è stata espressamente pattuita la suddetta traslazione: si tratta di una anfibologia perché, nel succedersi delle fonti collettive, una specificazione
non presente in quelle precedenti può essere intesa tanto come mera
interpretazione autentica quanto come innovazione rispetto al precedente
assetto negoziale”.

La convenienza del nuovo forfettario

La convenienza del nuovo forfettario – Agevolato l’avvio di nuove iniziative produttive

Premessa – A seguito dell’abrogazione del regime dei minimi il legislatore ha previsto nel nuovo regime forfettario la riduzione dell’aliquota dell’imposta sostituiva dal 15% al 5% per le start up con l’intento di continuare ad agevolare l’avvio di nuove iniziative produttive. Nel calcolo della convenienza del regime tale riduzione di aliquota va aggiunta alla forfetizzazione dei costi e al regime previdenziale agevolato per artigiani e commercianti.

Start up – La legge di stabilità 2016 prevede per i contribuenti forfettari la riduzione dell’aliquota d’imposta dal 15 % al 5 % per i primi cinque anni, solo nell’ipotesi di inizio di una nuova attività. I soggetti che al termine del quinquennio agevolato con tassazione al 5% possederanno ancora i requisiti richiesti dalla Legge 190/2014 (art. 1 commi da 54 a 89) potranno continuare ad avvalersi del regime di favore transitando attraverso la tassazione al 15%.

Abrogazione – Contemporaneamente viene definitivamente abrogato il regime previsto per l’imprenditoria giovanile ex D.L. 98/2011 per le nuove attività (c.d. “regime dei minimi”), poiché si prevede all’interno del forfettario (L. 190/2014) la suddetta possibilità di tassare in maniera più favorevole le start up ed inoltre viene cancellato il comma 65, art. 1 L. 190/2014 nella parte in cui ammetteva l’agevolazione prevista per i primi tre anni di attività consistente nella riduzione del reddito imponibile per 1/3.

Avvio nuove attività – La norma, dunque, persegue in maniera evidente la finalità di favorire l’avvio di nuove iniziative produttive. Si può infatti ben affermare che il vantaggio potrà essere ancora maggiore rispetto al passato poiché chi parte con una nuova attività dal 01.01.2016 oltre al beneficio legato all’aliquota 5% (già presente nei precedenti minimi) potrà ora aggiungere anche la forfettizzazione dei costi.

Reddito forfettario – Circa la determinazione del reddito forfetario bisogna sottolineare il fatto che la percentuale di costi forfetariamente riconosciuta è variabile in relazione all’attività economica, quindi per ciascuna posizione va verificata l’incidenza dei costi effettivi e confrontata con la percentuale forfetaria.

Carico fiscale – In relazione all’applicazione dell’imposta sostitutiva, invece, va considerato che l’aliquota irpef effettiva non corrisponde a quella nominale applicata in quanto l’imposta netta è influenzata dalla specifica detrazione d’imposta spettante per i possessori di redditi d’impresa/lavoro autonomo. In virtù di ciò l’aliquota al 5% è certamente più conveniente del regime ordinario irpef, al contrario l’applicazione dell’aliquota del 15% deve essere confrontata con l’Irpef ordinaria gravante sul contribuente sulla base del reddito effettivamente conseguito e delle detrazioni a lui spettanti.

Soglie dei ricavi – Anche l’aumento delle soglie dei ricavi avrà una convenienza tangibile per chi è già operativo e sarebbe stato tagliato fuori dalle condizioni più stringenti fissate lo scorso anno per accedere al forfetizzato.

Regime previdenziale – Per i soli imprenditori iscritti alla Gestione IVS va anche valutata la possibilità, in caso di applicazione del regime forfetario, di usufruire, in via facoltativa, di un regime previdenziale di favore consistente nel pagamento dei contributi previdenziali sul reddito in misura ridotta.

Autore: redazione fiscal focus

 

Stabilità 2016: note di variazione e procedure concorsuali

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con la Legge di Stabilità 2016 è stata ridisegnata la normativa che disciplina l’emissione delle note di variazione in diminuzione (art. 26, D.P.R. 633/1972), prevedendo in primo luogo una distinzione delle cause che legittimano l’emissione della nota di variazione e anticipando di termini di emissione della nota di variazione nei casi di cessionari e/o committenti assoggettati a procedure concorsuali. E’ proprio su quest’ultimo caso vogliamo concentrare l’attenzione in questo intervento.

Nella precedente normativa, ante Legge di Stabilità 2016, si prevedeva che nei casi di cessionari e/o committenti assoggettati a procedure concorsuali la nota di variazione potesse essere emessa esclusivamente alla conclusione infruttuosa di una procedura concorsuale o esecutiva.

La nuova formulazione normativa prevede importanti novità circa la data a partire dalla quale può essere emessa la nota di variazione.

Si prevede infatti che la nota di variazione in diminuzione può essere emessa anche in caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente:

  • a partire dalla data in cui quest’ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale;
  • dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267;
  • dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267;
  • a causa di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose.

Nella sostanza la nuova norma autorizza l’emissione della nota di accredito in relazione all’Iva addebitata e mai incassata dal creditore, senza dover attendere i lunghi tempi necessari per la conclusione dell’iter concorsuale. In più vi è un allineamento con la normativa prevista ai fini delle imposte sui redditi (art. 101, co. 5, D.P.R. 917/1986), la quale prevede la deduzione dalle imposte sui redditi delle perdite su crediti vantati nei confronti di soggetti assoggettati a procedure concorsuali già alla data di apertura alle stesse.

Per ciò che riguarda l’assoggettamento a procedure concorsuali, viene precisato che:

  • il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Inoltre, vengono individuate tre fattispecie al verificarsi delle quali una procedura esecutiva può definirsi infruttuosa:

  • nell’ipotesi di pignoramento presso terzi, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti che presso il terzo pignorato non vi sono beni o crediti da pignorare;
  • nell’ipotesi di pignoramento di beni mobili, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti la mancanza di beni da pignorare ovvero l’impossibilità di accesso al domicilio del debitore ovvero la sua irreperibilità;
  • nell’ipotesi in cui, dopo che per tre volte l’asta per la vendita del bene pignorato sia andata deserta, si decida di interrompere la procedura esecutiva per eccessiva onerosità.
Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

IMU e TASI immobili in comodato: entro il 20 gennaio la registrazione del contratto per lo sconto pieno

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Ci siamo! E’ scattato l’anno 2016 ed è scattata la corsa, da parte dei possessori di immobili, verso gli studi commerciali e CAF per chiedere informazioni e capire come agire alla luce delle novità IMU e TASI introdotte dalla legge di stabilità 2016.

Certamente tra tutti, quelle che vogliono capirci qualcosina in più sono i genitori che hanno, oltre alla propria abitazione principale, altri immobili a disposizione che potrebbero essere concessi (o che sono già concessi) in comodato gratuito ai figli (o anche i figli che vorrebbero concederli ai genitori).

La motivazione di quanto appena affermato è data dal comma 10 della legge di stabilità 2016, con il quale il legislatore stabilisce, per IMU e TASI, che “la base imponibile per il calcolo dell’imposta è ridotta del 50% per le unità immobiliari, fatta eccezione per quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale”.

Per alcuni, la predetta disposizione potrebbe essere considerata un passo indietro rispetto agli anni passati, poiché prima della manovra 2016, la possibilità di assimilazione dell’immobile concesso in comodato a parenti in linea retta era si prevista ma era lasciata alla completa autonomia comune (il quale poteva o no porre come condizione fondamentale l’obbligo di registrazione del contratto di comodato) ed inoltre era prevista solo ai fini IMU (e non TASI). L’assimilazione, tuttavia, consentiva l’esenzione totale dal tributo (sempre se l’immobile era non di lusso).

Quindi ad esempio, nel caso di un comune che nel 2015 aveva previsto tale possibilità, per il genitore che aveva provveduto a concedere l’immobile in comodato al figlio e da questi adibito ad abitazione principale, l’agevolazione prevista dal comma 10 della legge di stabilità 2016, potrebbe essere considerata un passo indietro, poiché se lo scorso anno l’immobile in questione era completamente esente da IMU (se non di lusso), nel 2016, invece, sarà soggetto ad IMU anche se con l’agevolazione del 50%. Tuttavia, per la TASI, la misura ha dei risvolti positivi, poiché se nel 2015 il tributo è stato assolto in misura piena, quest’anno godrà della riduzione del 50%.

Le condizioni – Con lo stesso comma 10 della manovra 2016, sono fissate altresì le condizioni per godere dell’agevolazione. In particolare, oltre al fatto che l’immobile (non di lusso) deve essere concesso in comodato al parente in linea retta entro il primo grado (quindi tra genitori e figli o viceversa) ed essere da questi adibito ad abitazione principale, è altresì necessario che:

  • il contratto di comodato sia registrato;
  • il comodante possieda un solo immobile in Italia e risieda anagraficamente nonché dimori abitualmente nello stesso comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato.

Tuttavia, il beneficio si applica altresì nel caso in cui il comodante oltre all’immobile concesso in comodato possieda nello stesso comune (in cui è ubicato l’immobile concesso in comodato) un altro immobile adibito a propria abitazione principale, ad eccezione delle unità abitative classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.

L’agevolazione spetterà anche alle pertinenze, ma al riguardo c’è da capire se resta ferma la regola che prevede il limite di tre pertinenze ciascuna appartenente a categoria catastale C/2, C/6 e C/7 (la legge di stabilità nulla dispone in tal senso).

La registrazione del contratto entro il 20 gennaio – La condizione da rispettare per godere dell’agevolazione che più di tutte sta facendo sorgere quesiti e richiesta di informazioni in questi giorni è quella della registrazione del contratto di comodato.

E ciò non solo per i costi da sostenere (200 euro d’imposta di registro e la marca da bollo da 16 euro, per ogni copia da registrare, ogni quattro facciate e comunque ogni 100 righi) ma soprattutto per la data di stipula e decorrenza.

Infatti, considerando che la registrazione di un contratto di comodato deve avvenire entro 20 giorni dalla data di stipula e dato che la data di stipula deve essere anteriore a quella di decorrenza, ne consegue che al fine di godere dell’agevolazione in esame per tutto l’anno 2016 (da gennaio a dicembre), le parti devono far si che la data di stipula e quella di decorrenza decadano entro i primi 15 giorni di gennaio. Infatti, vale sempre la regola che è considerato per intero il mese in cui il possesso si è protratto per più di 15 giorni.

Quindi, per un contratto di comodato con data di stipula e decorrenza 1 gennaio 2016, occorrerà procedere alla registrazione entro il 20 gennaio e l’agevolazione potrà essere applicata per tutto i mesi del 2016.

Così come, ad esempio, un contratto di comodato stipulato il 10 gennaio 2016, con decorrenza 14 gennaio 2016, andrà registrato entro il 30 gennaio (20 giorni dalla stipula), e consentirà l’agevolazione per tutti i mesi del 2016, poiché anche per gennaio, il possesso in capo al comodatario si protrae per più di 15 giorni (dal 14 gennaio) e quindi il mese va computato per intero.

Stessa cosa non si può, invece, dire ad esempio nel caso di un contratto di comodato stipulato il 1° febbraio 2016, con decorrenza 18 febbraio, il quale deve, comunque, essere registrato entro il 20 febbraio, ma consentirà l’agevolazione solo per 10 mesi (marzo – dicembre), mentre per due mesi (gennaio – febbraio) l’agevolazione non potrà essere applicata e ciò poiché per il mese di febbraio, il possesso in capo al comodatario si è protratto per meno di 15 giorni (dal 18 febbraio).

Infatti, considerando che la registrazione di un contratto di comodato deve avvenire entro 20 giorni dalla data di stipula, ne consegue che al fine di godere dell’agevolazione in esame per tutto l’anno 2016 (da gennaio a dicembre), le parti devono stipulare e far decorrere il comodato dal 1° gennaio 2016 e provvedere quindi alla registrazione entro il 20 gennaio. Inoltre, vale sempre la regola che è considerato per intero il mese in cui il possesso si è protratto per più di 15 giorni.

Quindi, ad esempio, un contratto di comodato stipulato il 1° febbraio 2016, con decorrenza 18 febbraio, deve, comunque, essere registrato entro il 20 febbraio, ma consentirà l’agevolazione solo per 10 mesi (marzo – dicembre), mentre per due mesi (gennaio – febbraio) l’agevolazione non potrà essere applicata.

Chi, invece, ad inizio 2016, ha già un contratto di comodato registrato (perché già fatto nel 2015 o in precedenza ed ancora in essere) potrà godere sicuramente dell’agevolazione per tutto il 2016.

E utile, infine, ricordare che, il comodante liquiderà IMU e TASI 2016 applicando le aliquote previste per le seconde case e che deve attestare i requisiti fissati dal comma 10 della legge di stabilità 2016, nella dichiarazione IMU (da presentarsi entro il 30/06/2017 in riferimento agli immobili concessi in comodato nel 2016).

Autore: Pasquale Pirone

Confronto tra POS e scontrini: presunzione di cessioni “in nero”

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

E’ noto come l’Amministrazione finanziaria nel corso di un’attività ispettiva, in presenza di una contabilità esistente e regolare, possa comunque procedere alla ricostruzione indiretta del volume d’affari del contribuente verificato, sulla base di elementi probatori di carattere, appunto, indiretto – presuntivo.

Sovente, nell’ambito di verifiche eseguite nei confronti di esercenti attività di commercio al minuto, soggetti all’obbligo di emissione dello scontrino o della ricevuta fiscale, le prove indirette – presuntive vengono acquisite dai verbalizzanti attraverso il confronto tra gli scontrini fiscali emessi (dati rilevabili dalle matrici delle ricevute fiscali e dal giornale di fondo del registratore di cassa) e gli accrediti sul conto dell’esercente, mediante utilizzo di carte di debito (bancomat), ovvero di carte di credito.

Il regime sanzionatorio dell’omessa certificazione dei corrispettivi. Il regime sanzionatorio concernente la mancata emissione dello scontrino o ricevuta fiscale è disciplinato dal combinato disposto dagli artt. art. 6, comma 3 e 12, commi da 2 a 2-quater del D.Lgs n. 471/1997.

In base alla prima disposizione richiamata, la mancata emissione dello scontrino o ricevuta fiscale è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 100% dell’imposta corrispondente all’importo non documentato. La stessa sanzione si applica in caso di omesse annotazioni su apposito registro dei corrispettivi relativi a ciascuna operazione in caso di mancato o irregolare funzionamento degli apparecchi misuratori fiscali.

Le sanzioni accessorie. L’art. 12, di contro, disciplina le sanzioni accessorie connesse alla violazione sopra citata; in particolare, a mente del comma 2, in caso di contestazione, nel corso di un quinquennio, di quattro distinte mancate emissioni del documento certificativo dei corrispettivi, commesse in giorni diversi, viene disposta la sospensione della licenza o dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività, ovvero dell’esercizio dell’attività medesima per un periodo da tre giorni ad un mese.

Peraltro, trattasi di un provvedimento immediatamente esecutivo, in deroga al principio sancito dall’art. 19, comma 7 del D.Lgs n. 472/1997, per il quale l’esecutività della sanzione accessoria tributaria interviene con la definitività del provvedimento di irrogazione.

L’art. 12, comma 2 in commento prevede inoltre un’aggravante speciale, per cui, se l’importo complessivo dei corrispettivi oggetto di contestazione eccede l’importo di 50 mila euro, la sospensione è disposta per un periodo da uno a sei mesi.

La ricostruzione indiretta dei corrispettivi. Sovente l’Amministrazione finanziaria, nel corso delle verifiche fiscali nei confronti di aziende obbligate alla certificazione dei corrispettivi tramite scontrino o ricevuta fiscale, procede alla ricostruzione indiretta del ciclo d’affari, confrontando i singoli documenti certificativi emessi (dati rilevati dalle matrici delle ricevute fiscali conservate, ovvero dal giornale di fondo del registratore di cassa) con i singoli pagamenti effettuati dal cliente tramite carte di debito o di credito.

Tale riscontro, oltre ad interessare masse di operazioni, viene anche eseguito per singola operazione di cessione o prestazione, nel senso che il personale ispettivo cerca tendenzialmente di rilevare la precisa corrispondenza tra la somma indicata nel documento certificativo emesso e l’importo accreditato sul conto aziendale mediante strumenti elettronici di pagamento.

La mancanza di tale corrispondenza può indurre i verificatori a ricostruire (in modo appunto indiretto) il volume d’affari imputando in aumento a quanto dichiarato dal contribuente le differenze positive tra gli accrediti operati con strumenti di pagamento elettronico e i singoli documenti dal medesimo emessi.

Indicazioni di prassi. La stessa Guardia di Finanza, nell’istruzione operativa n. 1/2008 in tema di verifiche fiscali, segnala ai propri Reparti la possibilità di esperire tale tipologia di riscontro, associandola di norma ad altre tipologie di verificazioni esperibili in locali aperti al pubblico (quali, bar, ristoranti, pub, pizzerie, discoteche, stabilimenti balneari, etc.); in particolare vengono evidenziate, quali attività utili per acquisire elementi di fatto su cui impostare un procedimento di ricostruzione del reale volume d’affari dell’azienda, la rilevazione delle presenze giornaliere della clientela mediante rilevamenti diretti da parte del personale ispettivo (anche in forma riservata), ovvero mediante rilevamenti fotografici.

Trattasi di rilevamenti (quelli delle presenze) che difficilmente possono, per se stessi, validamente supportare una ricostruzione di tipo indiretto e le conseguenti proposte di recupero a tassazione; tuttavia, qualora siano corroborati da altre circostanze, tra le quali, appunto, la discordanza tra importi certificati e importi risultanti dai pagamenti elettronici, ben possono fornire un quadro generale di carattere fortemente indiziario, su cui impostare proficuamente la ricostruzione del reale ciclo d’affari.

Lo stesso documento di prassi osserva, con specifico riferimento al confronto fra documenti fiscali emessi e risultanze degli strumenti di pagamento elettronico, come la stessa giurisprudenza di legittimità abbia, tra l’altro, “riconosciuto fondata, ex art. 54, comma 2, del D.P.R. n. 633/72, la presunzione di occultamento di maggiori ricavi ove dalla documentazione contabile risulti un divario tra la somma degli importi coperti da scontrini fiscali e la somma, superiore, degli importi incassati tramite carte di credito, in relazione all’obbligo del contribuente, ex art. 24 del medesimo decreto, di indicare, nell’apposito registro, l’ammontare complessivo dei corrispettivi giornalieri, ivi compresi quelli relativi a pagamenti parziali e nel giornale di fondo tutti i corrispettivi, anche se non riscossi”.

La difesa del contribuente. E’ evidente, tuttavia, come non esista alcuna norma positiva che imponga al contribuente una perfetta coincidenza tra importo certificato con scontrino o ricevuta fiscale e importo risultante dal pagamento elettronico.

Si pensi, a titolo esemplificativo, ai casi in cui la prestazione del ristorante sia stata fornita ad una comitiva di persone le quali, al termine della stessa, abbiano pagato separatamente le proprie consumazioni, alcuni con bancomat, altri con carta di credito, altri infine in contanti, a fronte dell’emissione di un unico scontrino fiscale per l’importo complessivo: l’organo verificatore, riscontrando in tal caso una serie di pagamenti elettronici a fronte dei quali non esistono documenti certificativi per ogni singolo importo, potrebbe contestare la mancata documentazione della sommatoria dei corrispettivi risultanti da tali pagamenti, nonché la mancata emissione di tanti scontrini, quanti sono numericamente gli accrediti bancari privi di riscontro.

E’ vero che in numerose occasioni la giurisprudenza di merito ha affermato che la mancata corrispondenza tra le risultanze del Pos e gli scontrini fiscali, rientrando nell’ambito delle ccdd. “presunzioni semplici”, non è, da sola, significativa della mancata emissione degli scontrini stessi (cfr, ad esempio sentenza CTR dell’Aquila, sezione distaccata Pescara, n. 188/2013); è anche vero che il contribuente, in sede di contraddittorio, potrebbe riuscire a giustificare le incongruenze evidenziate dai verbalizzanti utilizzando, ad esempio, documenti extracontabili normalmente emessi per la gestione dei tavoli; ma è altrettanto vero che, a distanza di tempo, tale ricostruzione analitica potrebbe risultare di fatto impossibile al contribuente che, di conseguenza, potrebbe trovarsi a gestire un contenzioso dall’esito incerto.

Il rischio connesso alla verbalizzazione di tali violazioni, soprattutto con riferimento alla possibilità per l’Amministrazione finanziaria di irrogare, dopo aver accertato quattro mancate emissioni in giorni diversi, la sanzione accessoria della chiusura dell’esercizio, dovrebbe suggerire al contribuente l’opportunità di uniformare le proprie procedure di certificazione dei corrispettivi, facendo sì che ad ogni accredito elettronico corrisponda necessariamente uno scontrino o una ricevuta fiscale per l’esatto importo, ancorché tale modus operandi si possa rivelare particolarmente oneroso.

Autore: Marco Brugnolo

Anno nuovo ravvedimento nuovo

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – Il D.lgs. 158/2015 ha modificato l’art. 13 del D.lgs. 472/1997, dimezzando la sanzione base prevista per gli omessi o insufficienti versamenti delle imposta.

Si passa così da una sanzione del 30% ad una sanzione del 15%. Tuttavia, tale riduzione si applica solo per i ritardi fino a 90 giorni. Dal 91° giorno la sanzione torna ad essere del 30%.

Inoltre, è dimezzata, altresì la sanzione base per i ritardi nei versamenti entro 14 giorni dalla violazione, passando così dal 2% all’1%.

La riforma del sistema sanzionatoria entra il vigore dal 1° gennaio 2016, con l’applicazione del favor rei.

Come cambia il ravvedimento dal 2016 – Il 31 dicembre 2015, dunque, va in pensione la sanzione del 30% per i ritardi di versamento entro i 90 giorni e del 2% per i ritardi entro i 14 giorni e ciò avrà dei riflessi anche per l’istituto del ravvedimento operoso, con la conseguenza che a decorre dal 1° gennaio 2016, le nuove sanzioni saranno:

  • Ravvedimento sprint: con sanzione, per ogni giorno di ritardo, pari a 1/10 della sanzione prevista per i pagamenti eseguiti entro 14 giorni dalla violazione (quindi 1/10 dell’1% cioè 0,1% per ogni giorno di ritardo fino al 14° giorno). In tal caso, dunque, la sanzione massima applicabile sarà del 1,4% (0,1 per 14 giorni di ritardo) a fronte del 2,8% ante-riforma (0,2% x 14 giorni di ritardo).
  • Ravvedimento breve: con sanzione pari ad 1/10 della sanzione base se il versamento è eseguito entro 30 giorni dalla violazione (quindi 1/10 del 15% e cioè 1,5%);
  • Ravvedimento intermedio: con sanzione pari ad 1/9 della sanzione base se il versamento è eseguito entro 90 giorni dalla violazione (quindi 1/9 del 15% e cioè 1,67%);
  • Ravvedimento lungo: con sanzione pari ad 1/8 della sanzione base (quindi 1/8 del 30% e cioè 3,75%) se il versamento è eseguito dal 91° giorno successivo la violazione ma entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione, ovvero, se non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall’omissione o dall’errore;
  • Ravvedimento ultrannuale (solo per i tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate) con sanzione pari al 4,29%, a condizione che il versamento sia eseguito entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione, ovvero, se non è prevista dichiarazione periodica, entro 2 anni dall’omissione o dall’errore;
  • Ravvedimento “lunghissimo (solo per i tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate) con sanzione pari al 5% se il versamento è eseguito oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione, ovvero, se non è prevista dichiarazione periodica, oltre 2 anni dall’omissione o dall’errore.

Gli effetti del favor rei – Come anticipato in premessa, la riforma sanzionatoria entra in vigore il 1° gennaio 2016 ma troverà applicazione il principio del favor rei, con la conseguenza che il contribuente potrà beneficiare della sanzione ulteriormente ridotta per regolarizzare anche le violazioni commesse nel 2015 con inevitabili risvolti positivi.

Cosi, ad esempio, con riferimento alla scadenza del 16 dicembre 2015 delle ritenute operate dal sostituto d’imposta sulle retribuzioni di novembre, qualora questi avesse omesso il versamento avrebbe potuto ravvedersi entro il 23 dicembre, poiché in tal caso avrebbe versato una sanzione massima pari a 1,4% (cioè 0,2% per 7 giorni di ritardo). Non gli sarebbe convenuto, invece, ravvedersi nel periodo 24/12 – 30/12, poiché in tal caso avrebbe applicato una sanzione superiore rispetto a quella applicabile attendendo il 2016.

Qualora, infatti, il sostituto d’imposta si fosse, ad esempio, ravveduto il 24 dicembre (il ravvedimento sprint è possibile fino a 14 giorni dalla violazione, quindi, fino al 30 dicembre) questi, avrebbe dovuto applicare una sanzione pari a 1,6% (0,2% per 8 giorni), ciò superiore a quella che applica aspettando il 2016 e ravvedendosi entro il 15 gennaio (1,5%).

Nemmeno gli converrebbe ravvedersi il 31 dicembre, poiché in tal caso dovrebbe applicare una sanzione ancora maggiore pari al 3% (1/10 del 30% e cioè quella del ravvedimento breve ante-riforma.)

Oltre, la sanzione, ovviamente occorre che egli versi l’importo omesso e gli interessi al tasso legale annuo per ciascun giorno di ritardo(pari allo 0,5% per il 2015 e allo 0,2% per il 2016).

Autore: Pasquale Pirone

Regime forfettario e attività escluse: continua a pagarne anche la seconda attività

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – il DDL di Stabilità 2016, definitivamente approvato (e quindi diventato legge) cambia ancora una volta il regime IVA agevolato dei minimi (forfettario dal 2015).

E’ possibile parlare di un vero e proprio mix tra quello che era il “vecchio regime dei minimi” (con aliquota del 5%) e il nuovo “regime forfettario” introdotto dalla Legge di stabilità 2015 (con aliquota del 15%).

Con la nuova manovra 2016, è, infatti, è innalzata di 15.000 (quindi si passa da 15.000 a 30.000 euro) la soglia di ricavi per l’accesso al regime per i liberi professionisti (per le altre categorie l’incremento della soglia è di 10.000 euro) ed è ridotta al 5% l’aliquota sostitutiva (in luogo del 15%) per i primi 5 anni di attività. Restano invece fermi gli altri requisiti di accesso (la spesa in un anno per dipendenti e collaboratori non deve superare i 5.000 euro lordi e non deve essere oltrepassata la soglia relativa all’acquisto di beni strumentali, fissata in 20.000 euro in un anno).

Inoltre, per chi, oltre all’attività di impresa, arte e professione esercitasse anche l’attività di lavoro dipendente, mentre la Legge di stabilità del 2015 prevedeva l’esclusione dal regime qualora i redditi da lavoro dipendente superassero i redditi d’impresa, arte e professione e contemporaneamente la somma dei redditi derivanti da attività professionale e dipendente eccedesse i 20.000 euro, la Legge di stabilità 2016 stabilisce, invece, che non può accedere al regime il contribuente che abbia conseguito, nell’anno precedente a quello in cui intende avvalersi del regime forfettario, un reddito da lavoro dipendente o assimilato superiore a 30.000 euro (salvo il caso in cui il lavoro dipendente risulti cessato).

Le attività che continuano ad esserne escluse – Continuano a restare “ex lege” esclusi dal regime agevolato in questione i soggetti che si avvalgono di regimi speciali IVA o di regimi forfetari del reddito (Risoluzione n. 73/E/2007). In particolare si tratta dei soggetti esercenti le seguenti attività: agricoltura e attività connesse e pesca; vendita sali e tabacchi; commercio dei fiammiferi; editoria; gestione di servizi di telefonia pubblica; rivendita di documenti di trasporto pubblico e di sosta; intrattenimenti, giochi e altre attività di cui alla tariffa allegata al D.P.R. n. 640/72; agenzie di viaggi e turismo; agriturismo; vendite a domicilio; rivendita di beni usati, di oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione; agenzie di vendite all’asta di oggetti d’arte, antiquariato o da collezione.

Sulla base di quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la successiva Circolare n. 7/E/2008 e in mancanza di successivi orientamenti, è da continuare a ritenersi valido, anche per il nuovo regime forfettario, quanto precisato nelle predetta circolare per i “vecchi minimi”. In particolare, quindi, un soggetto che esercita un’attività per cui è precluso l’accesso al regime forfettario (ad esempio agenzia di viaggi) non potrà avvalersi del regime forfettario nemmeno per una seconda attività che decidesse esercitare (ad esempio formatore per tour operetor). Infatti nella circolare, l’amministrazione finanziaria in risposta ad un quesito inerente affermava che “l’esercizio di una delle attività escluse, perché soggette ad un regime speciale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, comporta che il contribuente non potrà avvalersi del regime dei minimi neppure per le ulteriori attività di impresa o di lavoro autonomo eventualmente esercitate. In altri termini, l’esercizio di un’attività soggetta a regime speciale IVA, espressiva ai fini IRPEF di un reddito d’impresa, impedisce di avvalersi del regime dei minimi, non solo per il trattamento di tale attività, ma anche per le ulteriori attività di impresa, arte o professione”.

Nella stessa circolare l’Agenzia delle Entrate riporta, quindi a titolo esemplificativo, che l’esercente, una rivendita di tabacchi non potrà avvalersi del regime dei minimi per la stessa attività di rivendita tabacchi né per la connessa gestione del bar, a nulla rilevando che l’ammontare complessivo dei corrispettivi, riferito ad entrambe le attività, non superi i 30.000 euro.

Autore: Pasquale Pirone

Srl: opzione per il regime di trasparenza fiscale entro il 31 dicembre

Entro il prossimo 31 dicembre i soci di Srl che intendono aderire o prorogare di un ulteriore triennio il regime di trasparenza fiscale (c.d. “piccola trasparenza”) sono chiamati ad effettuare la comunicazione all’Agenzia delle Entrate, da trasmettere telematicamente su apposito modello.

Entro il termine del 31 dicembre 2014 le persone fisiche socie di società di capitali (con soci in numero non superiore a 10) o di società cooperative a responsabilità limitata (con soci in numero non superiore a 20) possono esercitare l’opzione per il regime della cosiddetta “piccolatrasparenza fiscale di cui all’art.116 Tuir con riferimento al triennio 2014 – 2016.

Entro lo stesso termine, va rinnovata l’opzione anche da parte di quelle persone fisiche che hanno aderito per il triennio 2011/2013 e intendono continuare ad applicare tale regime anche per il successivo triennio 2014/2016. L’opzione infatti non si rinnova automaticamente ma è richiesta una specifica conferma.

L’imputazione del reddito ai soci
Il regime fiscale della c.d. “piccolatrasparenza è un regime fiscale applicabile a società (Srl o Scarl) partecipate da sole persone fisiche. Il regime permette di tassare il reddito prodotto dalle Srl e dalle Scarl, con le modalità delle società di persone: in pratica, il reddito determinato in capo alla società viene ripartito e tassato in capo ai soci in relazione alle rispettive quote di partecipazione, mentre l’Irap continuerà ad essere dovuta dalla società.
Al pari delle società di persone, il reddito sarà tassato in capo ai soci indipendentemente dall’effettiva percezione, con riferimento al periodo di competenza; d’altro canto, quando la società distribuirà (anche in periodi d’imposta successivi alla vigenza dell’opzione) le riserve alimentate con utili conseguiti in vigenza dell’opzione per la trasparenza, i dividendi non subiranno alcuna ulteriore tassazione in capo ai soci.

I vantaggi
I principali vantaggi derivanti dall’opzione per questo regime sono i seguenti:

  • se i soci hanno un’aliquota marginale Irpef inferiore a quella Ires (ad oggi il 27,5%) si ottiene una riduzione della tassazione complessiva;
  • si evita di tassare una seconda volta il dividendo in sede di distribuzione (il dividendo distribuito partecipa, seppure parzialmente, al reddito complessivo del socio se la partecipazione qualificata oppure è tassato con una sostitutiva del 26 % se la partecipazione è non qualificata);
  • si migliorano gli indici reddituali della società e quindi le analisi poste in essere dal sistema bancario (non sono accantonate in bilancio le imposte, quindi l’utile risulta formalmente più elevato);
  • incrementando il reddito dichiarato dal socio, si allontanano rischi di eventuali verifiche fiscali legate alle manifestazioni della capacità di spesa del socio stesso (redditometro).

Gli svantaggi
L’opzione per il regime presenta anche degli svantaggi (o, per meglio dire, degli aspetti a cui occorre prestare particolare attenzione):

  • poiché sono i singoli soci a versare le imposte in luogo della società anche senza aver ricevuto alcun dividendo, occorre pianificare con attenzione le risorse finanziarie necessarie per tali pagamenti;
  • sotto il profilo tributario i soci diventano illimitatamente responsabili in solido tra di loro e con la società (al contrario, senza opzione per il regime di trasparenza, solo la società è responsabile per le imposte da questa dovute). Il regime deve quindi essere sconsigliato se esistono rischi fiscali in capo alla società ovvero se non esiste perfetta sintonia tra i soci.

Requisiti e adempimenti per aderire alla trasparenza fiscale
L’articolo 116 del Tuir prevede che per esercitare l’opzione per l’esercizio della trasparenza fiscale siano rispettati i seguenti requisiti:

  • volume di ricavi della Srl non superiore alle soglie previste per l’applicazione degli tsudi di settore;
  • compagine sociale composta esclusivamente da persone fisiche in un numero non superiore a 10 (Srl) o 20 (cooperative);

Per aderire al regime è necessario raccogliere il consenso di tutti i soci, mediante comunicazione da inviarsi alla società, per raccomandata o Pec, ed inviare telematicamente all’Agenzia delle Entrate, entro il 31 dicembre, una comunicazione da parte della società trasparente per comunicare l’adesione o la proroga del regime.

Il regime di trasparenza per le S.r.l

L'approssimarsi della fine dell'anno richiede sempre una verifica puntuale della gestione e l'effettuazione di alcuni adempimenti necessari per l'anno successivo. In questo articolo mi vorrei soffermare brevemente sul regime di trasparenza per le S.r.l., di estrema importanza ed attualità per le piccole e medie Srl dopo la riforma del diritto societario. 
 
Il regime previgente. Con la vecchia normativa la Srl pagava l'IRPEG (ora sostituita dall'IRES) ed al momento della distribuzione del dividendo (utile) i soci potevano, con un particolare meccanismo, scomputare dalla loro IRPEF personale l'IRPEG già pagata dalla società. Quindi, alla fine, possiamo dire che l'IRPEG era sostanzialmente "neutra" per i soci. 
 
L'attuale regime. La riforma fiscale, dal 2004, ha radicalmente modificato questo sistema. La Srl ora paga l'IRES (attualmente pari al 27,50% - previgentemente l'aliquota era del 33%, sugli utili fino al 2007), ma al momento della distribuzione del dividendo (utile) questo diventa nuovamente imponibile per il 49,72% (40% per gli utili fino all'anno 2007) in capo ai soci. Per fare un esempio con dei numeri, se l'utile della società è pari a 100, la Srl paga 27,50 di IRES ed il dividendo netto da distribuire è quindi pari a 72,50: di questi 36,04 (il 49,72% di 72,50) vengono nuovamente tassati ai fini IRPEF in capo ai singoli soci, portando spesso ad un consistente aggravio della tassazione. Ipotizzando ad esempio un'aliquota media IRPEF sull'utile distribuito pari al 38%, questo significa un ulteriore pagamento da parte dei soci di 13,70 a causa della distribuzione del dividendo, per cui l'utile della S.r.l., quando distribuito, alla fine sconta un'imposta in questo caso pari al 41,2% (27,50% in capo alla società e 13,70 in capo ai soci), oltre naturalmente all'IRAP (3,90%) ed alle altre tasse e contributi previsti dalla legislazione vigente. 
 
Il regime di trasparenza. La riforma fiscale ha però contestualmente introdotto una nuova possibilità per le Srl che è appunto il regime di trasparenza: sostanzialmente è simile a quanto già avviene per le società di persone (s.n.c., s.a.s.), in pratica la Srl non versa più l'IRES ed il dividendo viene tassato integralmente in capo ai soci, in base alle rispettive quote di partecipazione agli utili, indipendentemente però dal fatto che il dividendo venga poi effettivamente distribuito ai soci o rimanga invece all'interno della società. E' evidente che in questo caso la tassazione risulta in linea generale assai più conveniente, soprattutto per le piccole società, perché evita una parziale doppia imposizione prima in capo alla società, poi in capo ai soci una volta che il dividendo viene distribuito. Nell'esempio di cui sopra, se l'utile è pari a 100, questo viene integralmente tassato in capo ai soci: ipotizzando anche ora un'aliquota media IRPEF del 38%, la tassazione è pari a 38 e non a 41,2. 

Il confronto tra i regimi. Il regime di trasparenza presume, come detto poc'anzi, che tutto l'utile fiscale si considera distribuito ai soci in base alle rispettive quote di partecipazione, ed indipendentemente dal fatto che poi l'utile vanga effettivamente, in tutto o in parte, distribuito ai soci o rimanga, anche parzialmente, nella società. Il regime di trasparenza è in tutto e per tutto assimilabile a quanto previsto per le società di persone.

Il regime ordinario per le società di capitali prevederebbe invece la tassazione ai fini IRPEF del 49,72% dell'utile effettivamente distribuito. Questo significa che il socio pagherà le imposte nell'esercizio di distribuzione effettiva degli utili (principio di cassa), ma anche che pagherà le imposte solamente sull'utile effettivamente percepito (utile civilistico, di bilancio) e non su quello rilevante ai fini fiscali. Per i soci con partecipazioni minoritarie (c.d. “non qualificate”) questi pagano una ritenuta d'imposta, sostitutiva dell'IRPEF, pari attualmente al 12,50% di tutto il dividendo distribuito.

Pertanto in caso di presenza di rilevanti costi indeducibili (in primis l'IRAP, e quindi le aziende con elevati costi del personale dipendente e/o oneri finanziari dovranno valutare attentamente se valga la pensa scegliere il regime di trasparenza) la convenienza del regime di trasparenza si fa via via meno sensibile, fino a portare anche ad un incremento dell'imposizione rispetto al regime normale.

Ritornando all'esempio fatto prima, se l'utile di bilancio fosse stato invece 60 ed i costi indeducibili fossero stati 40, l'utile fiscale sarebbe rimasto 100, ma con il regime ordinario la società avrebbe pagato sempre il 27,50% di IRES su 100 (e quindi 27,50 come nell'esempio precedente), ma l'utile distribuito non sarebbe stato 100 - 27,50 = 72,50, bensì 60 (utile di bilancio) - 27,50 = 32,50. Sul 49,72% di 32,50, e quindi su € 16,16, i soci avrebbero pagato la loro IRPEF, che in caso di aliquota media sempre pari al 38% (ma che in teoria dovrebbe essere minore, essendo minore il reddito) ammonterebbe ad € 6,14. L'aliquota fiscale complessiva tra società e soci sarebbe pertanto del 33,64%, e quindi assai più conveniente di quella del 38% ottenuta per trasparenza.

La convenienza. Quali regole potere a questo punto trarre, per individuare il regime più conveniente? Chiaramente non c'è una regola generale, valida in tutti i casi. Solamente l'esame concreto della specifica situazione, con una bozza di calcolo, può dare una risposta il più possibile attinente al caso esaminato. In linea di massima, si può comunque dire che, generalmente, il regime di trasparenza, conviene:
- Quando gli utili conseguiti sono modesti, o almeno la quota pro-socio è modesta, ed i soci non posseggano altri redditi in misura consistente, così che gli utili realizzati dalla società vengano tassati con le aliquote IRPEF più basse;
- Quanto l'utile di bilancio non sia troppo distante dall'utile fiscale, cioè quando la società non presenta rilevanti costi indeducibili. In questo modo l'utile fiscale e quello effettivamente distribuito sono abbastanza vicini tra loro, ed allora si aggiunge il vantaggio di non avere una parziale duplicazione di imposizione IRES+IRPEF. Si ricorda di considerare attentamente l'IRAP, in gran parte indeducibile, pertanto tutte le società che presentano elevati costi indeducibili ai fini IRAP come personale dipendente ed oneri finanziari, raramente avranno convenienza ad utilizzare il regime di trasparenza.

In pratica, nelle situazioni più comuni, e soprattutto nelle S.r.l. di minori dimensioni, con utili non particolarmente elevati e senza alti costi del personale dipendente, il regime di trasparenza consente spesso un vantaggio, talvolta anche notevole, in termini di imposizione fiscale. Viceversa, per le realtà di maggiori dimensioni o che impieghino molto personale, il regime di trasparenza può spesso portare a svantaggi.

Utili non distribuiti. Il discorso si ribalta per le società che sono abituate ad accantonare a riserva gli utili o a distribuirne solamente una minima parte ai soci. In questo caso, finché l'utile rimane all'interno della società, il regime ordinario risulta più conveniente rispetto al regime di trasparenza, in quando non venendo distribuiti utili, non c'è una doppia tassazione IRES-IRPEF, e l'aliquota IRES del 27,50% risulta generalmente vantaggiosa in confronto con l'IRPEF, a meno che non si tratti di redditi molto modesti (del resto risulta invero poco frequente che in caso di utili modesti, questi vengano tutti accantonati e non venga distribuito nulla ai soci).

I requisiti ed i termini per l'opzione. Per usufruire del regime di trasparenza occorre che la società possieda una serie di requisiti richiesti dalla legge, come, ad esempio, un ammontare dei ricavi non superiore generalmente a 5 milioni di Euro ed un numero di soci - che devono essere tutte persone fisiche - non superiore a 10; altri requisiti andavano invece eventualmente già valutati in corso d'anno per fare in modo di non trovarsi in prossimità della scadenza per l'opzione senza possedere i requisiti richiesti. L'opzione per il regime di trasparenza va comunicata all'Agenzia delle Entrate, esclusivamente in via telematica, entro il termine tassativo del 31 dicembre del primo anno di utilizzo di questo regime ed è vincolante per un periodo di tre anni.  È importante pertanto ricordarsi, ricorrendone i presupposti e la convenienza, di rinnovare il regime ogni tre anni, altrimenti decade.
 
Ulteriori vantaggi. Oltre a quanto già precisato, il regime di trasparenza, eliminando dal bilancio la tassazione IRES rende inoltre possibile, con un carico tributario complessivo come visto generalmente inferiore, la presentazione di un utile maggiore in bilancio, in quanto la tassazione è per la maggior parte "spostata" dalla società ai soci: questo elemento può risultare utile ad esempio quando il bilancio viene presentato in banca per richiedere affidamenti. Inoltre, in presenza di utili modesti e soprattutto in caso di oneri finanziari e/o costi del personale elevati, questa soluzione evita alla società, in utile prima del calcolo delle imposte, di evidenziare poi una perdita a causa dell'indeducibilità dell'IRAP dall'IRES. Questione complessa, che richiederebbe una trattazione più ampia che tuttavia esula dallo scopo di questa breve pagina. 
 
I compensi agli amministratori. Due parole sui compensi agli amministratori. Premesso che non è questa la sede per parlare di una materia così ampia e delicata, mi limito a sottolineare come alcune società, per ovviare il problema della parziale doppia tassazione IRES-IRPEF, abbiano deliberato consistenti compensi agli amministratori, in grado di assorbire tutto o quasi il reddito della società. A parte che un tale comportamento non è corretto, in quanto i compensi dovrebbero essere proporzionati all'attività amministrativa effettivamente prestata, ciò penalizzerebbe ulteriormente la società: infatti, senza conseguire alcun vantaggio in termini di tassazione, anzi avendone un aggravio a causa dei maggiori contributi previdenziali in questo caso dovuti sui compensi agli amministratori, si rischierebbe poi il possibile verificarsi di una eventuale situazione di non congruità con gli studi di settore, in quanto i compensi corrisposti agli amministratori presumono sempre maggiori ricavi. L'opzione del regime di trasparenza risolve invece direttamente il problema e quindi, in linea generale, è senz'altro la soluzione da preferire.

Accertamento nullo se firmato da soggetto non qualificato

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cassazione tributaria, sentenza depositata il 16 dicembre 2015

L’accertamento fiscale è nullo se l’Ufficio non prova che è stato firmato da un funzionario della carriera direttiva, ancorché non necessariamente un dirigente.

È quanto ha sostenuto la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nella sentenza 16 dicembre 2015, n. 25280.
Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate, ma senza successo.
Gli ermellini hanno confermato – e quindi reso definitivo – il verdetto della CTR di Venezia relativamente a un avviso di accertamento per imposte di cui il contribuente aveva sostenuto – sin dal ricorso introduttivo della lite – la nullità per difetto di sottoscrizione.
E, in effetti, secondo il giudice dell’appello, “l’Ufficio non ha mai provato che chi ha firmato l’atto avesse la nona qualifica funzionale richiesta dalla normativa”.
Nel caso di specie la CTR ha ravvisato il mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sull’Amministrazione finanziaria, nel senso che questa avrebbe dovuto provare i poteri del funzionario sottoscrittore oppure l’esistenza di una valida delega al medesimo; mentre è risultato pacifico che l’atto impugnato non era stato sottoscritto dal direttore dell’ufficio, né da un funzionario della carriera direttiva (nona qualifica) dallo stesso validamente delegato. Peraltro l’atto dispositivo non poteva essere considerato valida delega solo sulla base del suo tenore letterale. In esso, infatti, non si parlava “di una delega in caso di accertamento, nemmeno in favore del ‘Capo Area accertamento’, al quale la delega di firma è conferita solo per le ‘richieste di atti e notizie o segnalazioni di elementi di accertamento’”.
Da quanto sopra la CTR ha tratto l’illegittimità dell’atto in contestazione, per mancanza del requisito di sottoscrizione previsto, a pena di nullità, dall’art. 42, commi 1 e 3, del D.P.R. n. 600/73.
Ebbene, la Cassazione ha reputato corretta la conclusione della Commissione.
Innanzitutto perché la ricorrente Agenzia ha ammesso che l’eccezione di nullità per omessa sottoscrizione di un funzionario qualificato era stata dedotta dal contribuente fin dal ricorso introduttivo di primo grado, poi, effettivamente, l’Ufficio non ha mai provato che chi ha firmato avesse la nona qualifica funzionale richiesta dalla normativa, cioè fosse un funzionario della carriera direttiva (ancorché non necessariamente un dirigente).
Insomma, il ricorso prodotto dalla difesa erariale è stato respinto. Nulla sulle spese.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Voluntary disclosure: notifica via PEC dal 2016

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con un emendamento al disegno di legge di Stabilità 2016, che dovrà ottenere l’approvazione della Commissione bilancio della Camera, si prevede che, a partire dal 1° gennaio 2016, tutte le notifiche relative alla voluntary disclosure vengano inviate alla PEC del professionista che ha inviato l’istanza. Solo nei casi in cui l’indirizzo PEC fornito dal professionista in sede di presentazione dell’istanza risulti inattivo o irraggiungibile si procederà alla notifica degli atti con le tradizionali modalità.

Nel caso di invio via PEC degli atti della voluntary disclosure, la notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore della mail trasmette all’Agenzia delle Entrate la ricevuta di accettazione con la relativa attestazione temporale che certifica l’avvenuta spedizione del messaggio.

La novità in questione intende evitare problemi di comunicazione tra Agenzia e contribuente; quest’ultimo infatti per i più svariati motivi potrebbe non ricevere o ricevere in ritardo le notifiche da parte dell’agenzia delle Entrate, con possibili conseguenze negative sul perfezionamento della procedura. Ovviamente, giocherà un ruolo fondamentale il professionista che ha assistito il contribuente nell’adesione alla procedura di collaborazione volontaria. Sarà quest’ultimo che dovrà accettare la ricezione delle notifiche e poi comunicarle tempestivamente al contribuente.

Si ricorda che per le istanze presentate dal 10.11.2015 al 30.11 le notifiche arriveranno dal Centro operativo di Pescara, in quanto ufficio competente a gestire le suddette istanze.

Infatti, con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate Prot. n. 2015/142716 del 06.11.2015 è stato individuato nel Centro operativo di Pescara l’assegnatario delle istanze inviate a partire dal 10 Novembre, con la necessità dunque di inviare la relazione di accompagnamento e la documentazione a corredo all’istanza di voluntary disclosure, esclusivamente mediante posta elettronica certificata alla casella del Centro operativo di Pescara vd.cop@postacert.agenziaentrate.it.

E’ da evidenziare che si fa riferimento esclusivamente alle istanza inviate per la prima volta. Per le integrazioni di istanze già presentate prima del 10.11.2015 era necessario inoltrare la richiesta alla Direzione Regionale competente.

Nell’ottica di agevolare il rapporto con i contribuenti, è prevista la possibilità, su istanza del contribuente, di effettuare eventuali fasi del procedimento in contradditorio presso altre sedi dell’Agenzia.

Autore: redazione fiscal focus

Commercialisti e dichiarazione fraudolenta: assoluzione per la registrazione delle fatture

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cassazione Penale, sentenza depositata il 16 dicembre 2015

Affinchè si configuri il reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 del D.Lgs. 74/2000 è indispensabile la presentazione della dichiarazione fiscale nella quale vi sia stato l’effettivo inserimento di elementi passivi fittizi, mentre le condotte prodromiche di acquisizione e registrazione nelle scritture contabili di fatture o altri documenti falsi restano del tutto irrilevanti, sul piano penale, non potendo essere punite neppure a titolo di tentativo.

Deve pertanto essere mandato assolto, “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, il commercialista che ha registrato le fatture false per conto dei clienti se non è dimostrato l’inserimento delle stesse nelle varie dichiarazioni fiscali presentate.

È quanto emerge dalla sentenza n. 49570/15 della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione.

Un commercialista è stato riconosciuto responsabile dalla Corte d’Appello, a titolo di concorso, del reato previsto dall’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 per avere, secondo le accuse, fatto da tramite tra una società estera che emetteva fatture false e i destinatari delle stesse, suoi clienti (precisamente dei promotori finanziari per i quali teneva la contabilità), così consentendo loro di evadere le imposte.

Ebbene, il giudizio di responsabilità è stato annullato senza rinvio dalla Suprema Corte, in accoglimento del motivo difensivo centrato sulla violazione di legge, posto che l’addebito contestato non contemplava l’avvenuta presentazione di alcuna delle necessarie dichiarazioni annuali, riportanti le fittizie componenti passive enunciate, limitandosi genericamente a contestare l’utilizzazione delle fatture per operazioni inesistenti. Da qui, fra l’altro, la mancanza di accertamento, da parte del giudice di merito, del momento consumativo del reato contestato.

Gli Ermellini hanno argomentato che il reato in questione si consuma all’atto della presentazione della dichiarazione. In tal senso depone, infatti, il dato testuale dell’art. 2 D.lgs. 74/2000, norma rimasta immodificata anche a seguito del D.L. n. 158 del 2015.

Occorre poi evidenziare come l’art. 6 dello stesso decreto abbia previsto che il delitto in questione non sia comunque punibile a titolo di tentativo; ed è significativo che la stessa relazione ministeriale al D.Lgs. 74/00 spieghi che la ratio della norma è appunto quella di evitare che il trasparente intento del legislatore delegante di bandire il modello del reato prodromico risulti concretamente vanificato dall’applicazione dell’art. 56 del codice penale: si potrebbe sostenere, difatti, ad esempio, che le registrazioni in contabilità di fatture per operazioni inesistenti o sottofatturazioni, scoperte nel periodo d’imposta, rappresentino atti idonei diretti in modo non equivoco a porre in essere una successiva dichiarazione fraudolenta o infedele, come tali punibili ex se a titolo di delitto tentato. Da qui dunque la conseguenza, da un lato, che solo con la presentazione della dichiarazione il reato di cui all’art. 2 del D.Lgs. 74/00 può dirsi perfezionato e, dall’altro, che, a differenza di quanto in precedenza stabiliva l’art. 4, lett. g), della L. 516/82, le condotte ad essa pregresse restano, sul piano penale, del tutto irrilevanti, non potendo essere punite neppure a titolo di tentativo.

E allora il supremo collegio ha ravvisato giusti motivi per ritenere errato il verdetto di responsabilità pronunciato dalla Corte territoriale, poiché “il fatto contestato al professionista non ha disvalore penale, mancando in esso qualunque riferimento alla necessaria e imprescindibile indicazione in dichiarazione delle fatture emesse: nel capo d’imputazione riportato in sentenza, ed esattamente corrispondente al contenuto dell’addebito indicato nel decreto che dispone il giudizio, si è contestato infatti all’imputato di aver, in concorso con altre sessantanove persone, aver consentito a queste di evadere le imposte avvalendosi di fatture inesistenti, avendo in particolare fatto da tramite tra detti soggetti e la struttura della (omissis) s.a. che, attraverso società estere, curava l’emissione delle fatture ‘registrate nelle scritture contabili obbligatorie o tenute a fini di prova nel confronti dell’amministrazione finanziaria, a fronte di una provvigione sugli importi fatturati’. Ed è del resto significativo che la motivazione della sentenza impugnata, in qualche modo ‘accontentandosi’, ai fini della utilizzazione illecita, del dato invece neutro rappresentato dalla registrazione delle fatture nelle scritture contabili, non dia conto per nulla dell’avvenuta indicazione delle stesse nelle varie dichiarazioni”.

In definitiva, per la Suprema Corte il commercialista in questione non ha commesso alcun reato.

Autore: redazione fiscal focus

Pensione ai superstiti: a chi spetta?

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il passaggio a nuove nozze fa perdere il diritto al trattamento pensionistico ai superstiti

Nell’ambito dell’art. 22 della L. n. 903/1965, che disciplina il trattamento pensionistico ai superstiti, risulta di fondamentale importanza capire chi può accedere alla successione del de cuius e a quali requisiti. A tal fine, l’INPS con la recente Circolare n. 185/2015 ha tracciato una linea guida che vede – in ordine di spettanza – i seguenti beneficiari: coniuge superstite, coniuge divorziato superstite, figli ed equiparati, genitori, fratelli celibi e sorelle nubili.

Ma vediamo nel dettaglio i requisiti che ciascun potenziale percettore deve avere affinché veda riconosciuto il trattamento pensionistico.

Coniuge superstite – Partendo dal coniuge superstite, il conseguimento del diritto al trattamento pensionistico ai superstiti non è subordinato a nessuna condizione soggettiva. Unica eccezione si ha in caso di nuove nozze da parte del coniuge superstite; in tale caso, si ha diritto ad un assegno pari a due annualità della pensione, ex art. 3 del decreto legislativo luogotenenziale del 18 gennaio 1945, n. 39 nella misura spettante alla data del nuovo matrimonio.

Coniuge divorziato superstite – Particolare è invece il caso del coniuge divorziato superstite che, ai sensi del secondo comma dell’articolo 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, stabilisce che “in caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare dell’assegno ai sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza”.

Pertanto, nel caso in cui l’assicurato, a seguito di divorzio, non sia passato a nuove nozze, il coniuge divorziato superstite ha diritto al trattamento pensionistico in presenza delle seguenti condizioni:

  • abbia la titolarità dell’ assegno periodico divorzile di cui all’articolo 5 della legge n. 898 del 1970. Al riguardo, si precisa che, in caso di liquidazione dell’assegno divorzile in un’unica soluzione, il coniuge divorziato superstite che lo ha ricevuto perde il diritto al trattamento pensionistico ai superstiti, venendo meno il legame patrimoniale con il de cuius;
  • non risulti passato a nuove nozze. Il passaggio a nuove nozze esclude il coniuge divorziato dal diritto alla pensione ai superstiti anche se alla data del decesso dell’assicurato o del pensionato il nuovo matrimonio risulti sciolto per morte del coniuge o per divorzio;
  • la data di inizio del rapporto assicurativo del de cuius sia anteriore alla data della sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio;risultino perfezionati, in caso di decesso di assicurato, i requisiti di assicurazione e contribuzione stabiliti dalla legge.
  • risultino perfezionati, in caso di decesso di assicurato, i requisiti di assicurazione e contribuzione stabiliti dalla legge.

Sul punto si rammenta che, in caso di concorso di coniuge divorziato e coniuge superstite, mancando nella norma previsioni circa le aliquote di pensione spettanti, la ripartizione sarà operata dal Tribunale a cui il coniuge divorziato dovrà rivolgersi per ottenere il riconoscimento del proprio diritto e la determinazione della relativa misura. L’importo del trattamento pensionistico complessivamente attribuibile al coniuge superstite e al coniuge divorziato è pari al 60% della pensione già liquidata o che sarebbe spettata all’assicurato deceduto.

La sentenza del giudice costituisce giuridicamente il titolo per la determinazione dell’ammontare delle relative quote spettanti.

Pertanto, in tale fattispecie, le sedi, in attesa della notifica della sentenza del Tribunale:

  1. verificheranno se sulla pensione diretta del dante causa veniva trattenuto l’importo dell’assegno divorzile e, in caso affermativo, accantoneranno cautelativamente una somma mensile di pari importo dalla quota di pensione spettante al coniuge superstite;
  2. non erogheranno al coniuge divorziato alcuna quota di pensione;
  3. effettueranno i pagamenti nella misura stabilita al soggetto avente diritto, ossia al coniuge superstite, detraendo da detta quota, un importo pari all’assegno divorzile di cui al precedente punto 1.

A decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello della notifica del provvedimento del Tribunale, le sedi ripartiranno la prestazione tra gli aventi diritto che abbiano presentato domanda di pensione, sulla base di quanto stabilito dal Giudice. Contestualmente al primo pagamento, al coniuge divorziato verrà liquidata l’eventuale quota cautelativamente accantonata.

Figli ed equiparati – A seguito dell’equiparazione giuridica tra “figli legittimi” e “figli naturali”, sostituendo tali termini semplicemente con quello di “figlio”, l’art. 22 del D.Lgs. n. 903/1965 stabilisce che hanno diritto alla pensione ai superstiti i figli e le persone ad essi equiparati che alla data di decesso dell’assicurato o del pensionato non abbiano superato il 18° anno di età o, indipendentemente dall’età, siano riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di quest’ultimo.

Sul punto, si ricorda che per i figli superstiti studenti che non prestino lavoro retribuito e a carico del genitore defunto al momento della morte, il limite di 18 anni è elevato a 21 anni in caso di frequenza di scuola media o professionale e a tutta la durata del corso di laurea, ma non oltre al 26° anno di età, in caso di frequenza dell’Università.

Genitori – In assenza del coniuge e dei figli o se, pur esistendo essi non abbiano diritto alla pensione ai superstiti, il diritto al trattamento pensionistico in parola è riconosciuto ai genitori dell’assicurato o pensionato che al momento della morte di quest’ultimo:

  • abbiano compiuto il 65° anno di età;
  • non siano titolari di pensione diretta o indiretta;
  • siano a carico del lavoratore deceduto.

Resta fermo che qualora il genitore, dopo il conseguimento del trattamento pensionistico ai superstiti, diventa beneficiario di un’altra pensione, perde il diritto alla pensione ai superstiti con effetto dal primo giorno del mese successivo a quello di decorrenza della nuova pensione.

Fratelli celibi e sorelle nubili – Infine, in assenza sia del coniuge che dei figli o del genitore o se, pur esistendo essi non abbiano diritto alla pensione ai superstiti, il diritto al trattamento pensionistico in parola è riconosciuto ai fratelli celibi e sorelle nubili dell’assicurato o pensionato che al momento della morte di quest’ultimo:

  • siano inabili al lavoro;
  • non siano titolari di pensione diretta o indiretta;
  • siano a carico del lavoratore deceduto.
Autore: redazione fiscal focus

Pensioni: fermo il limite dei 1.000 euro

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Sempre più caos nella complessa disciplina della circolazione del contante: pensioni bloccate a 1.000 euro e carte di credito per il parchimetro

Il limite per la circolazione del contante, dal 2016, si innalzerà a 3.000 euro, ma non se a pagare è una pubblica amministrazione: in questo caso, il limite rimarrà fermo a 1.000 euro.

Micro-pagamenti con carte di credito che si affiancano a maxi-pagamenti in contanti, obblighi differenziati in base alla natura pubblica o privata del soggetto che procede al versamento delle somme: insomma, se oggi ci lamentiamo del caos che regna in tema di pagamenti in contanti, sicuramente le nostre speranze non potranno essere riposte nel futuro.

Il limite dei 1.000 euro

Con un emendamento della legge di Stabilità approvato nella giornata di martedì viene previsto che “si mantiene fermo per le pubbliche amministrazioni l’obbligo di procedere al pagamento degli emolumenti a qualsiasi titolo erogati superiori a mille euro esclusivamente mediante l’utilizzo di strumenti telematici“.

È stata quindi accolta la proposta del presidente dell’Inps Tito Boeri, che in occasione dell’audizione in commissione Enti previdenziali, aveva chiesto al governo particolari cautele con riferimento alle corresponsioni, in contanti, delle pensioni.

Il rischio è infatti soprattutto quello che i pensionati finiscano per essere truffati nel prelievo del contante, ma, altro aspetto essenziale è dato anche dal fatto che, parte del 20 % dei complessivi risparmi nei costi operativi dell’Inps negli ultimi tre anni è imputabile ai pagamenti effettuati mediante bonifico o assegno.

Nonostante l’innalzamento del limite per il pagamento in contanti, rimarrà quindi l’obbligo, per molti pensionati, di ricevere i versamenti mediante strumenti tracciabili di pagamento: l’emendamento, però, si badi bene, non si limita a riproporre il vecchio limite soltanto per le pensioni erogate dall’Inps, ma anche in tutti i casi in cui a pagare sia una pubblica amministrazione.

Gli altri provvedimenti

Il mini-restyling della legge di stabilità è stato l’esito di una lunga maratona di 37 ore in Commissione Bilancio alla Camera.

Dalla mattinata di lunedì al martedì sono stati infatti accolti una serie di emendamenti e il testo definitivo è stato approvato soltanto in tarda serata.

Per questi motivi, il provvedimento arriverà in Aula soltanto nella giornata di oggi, con uno slittamento di un giorno rispetto ai previsti programmi, mentre l’approvazione della Camera è previsto per domenica.

Molti i provvedimenti allo studio: dall’innalzamento delle borse di studio, alla card di 500 euro ai diciottenni per l’acquisto di libri, l’accesso a monumenti, aree archeologiche, parchi naturali, cinema, teatro, mostre e spettacoli dal vivo, ma anche il nuovo credito d’imposta per l’installazione d’impianti di allarme e l’eliminazione della “supertassa” su yacht e imbarcazioni di lusso introdotta nel 2011.

Sempre sul fronte “contanti”, un’altra novità potrebbe essere introdotta dal 1° luglio 2016: la possibilità di pagare il parchimetro sulle strisce blu con bancomat e carte di credito.

Autore: redazione fiscal focus

Notifica agli eredi. La costituzione in giudizio sana il vizio

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Sentenza della Cassazione in tema di notifica irregolare agli eredi

L’eventuale vizio di notifica dell’avviso di accertamento intestato a soggetto deceduto può dirsi sanato dall’impugnazione dell’atto da parte dei suoi eredi.

È quanto emerge dalla sentenza 4 novembre 2015, n. 22476, della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione.

La CTR della Lombardia confermava l’accoglimento del ricorso proposto dagli eredi di un contribuente divenuto destinatario – in ragione del maggior reddito accertato nei confronti della Snc della quale era socio – di un avviso di accertamento a titolo di IRPEF e ILOR.

Il giudice d’appello ha ritenuto la nullità insanabile del suddetto avviso a causa della “irregolarità” della notificazione, poiché effettuata impersonalmente e collettivamente agli eredi nell’ultimo domicilio del defunto, laddove tale modalità di notifica è possibile quando, diversamente dal caso di specie, non è stata data comunicazione all’AdE dei nomi e degli indirizzi degli eredi.

Ebbene, la Cassazione ha accolto il ricorso prodotto dall’Agenzia delle Entrate, con rinvio della causa al giudice di secondo grado.

In motivazione gli ermellini riaffermano il principio secondo il quale, in tema di atti d’imposizione tributaria, la notificazione non è un requisito di giuridica esistenza e perfezionamento dell’atto, ma una condizione integrativa d’efficacia, sicché la sua invalidità (o anche inesistenza) non determina in via automatica l’inesistenza dell’atto, quando ne risulti inequivocabilmente la piena conoscenza da parte del contribuente entro il termine di decadenza concesso per l’esercizio del potere all’Amministrazione finanziaria (da ultimo, Cass. n. 8374 del 2015).

In particolare, quindi, nel caso di atto impositivo intestato a soggetto deceduto, l’esecuzione della notifica, ai sensi dell’articolo 65 comma 4 del D.P.R. n. 600 del 1973, presso il suo ultimo domicilio, impersonalmente e collettivamente agli eredi, nonostante questi abbiano effettuato, almeno trenta giorni prima, la comunicazione all’Ufficio delle proprie generalità e del domicilio fiscale, configura anch’essa una ipotesi di nullità della notificazione stessa, soggetta quindi al regime della sanatoria ex art. 156 c.p.c.,laddove la insanabile inesistenza della notificazione deve ritenersi limitata alla sola ipotesi di notifica dell’atto indirizzata al soggetto deceduto, perché essa, in tal caso, va ad incidere in realtà sul momento strutturale del rapporto tributario (e quindi sull’atto), che non è evidentemente configurabile nei confronti di un soggetto non più esistente (tra le altre, Cass. n. 18729 del 2014).

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

 

Agevolazioni:immobili destinati alla locazione

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Le spese che godono dell’agevolazione

Premessa – E’ stato pubblicato in “Gazzetta Ufficiale” n. 282 del 3 dicembre il decreto 8 settembre che regolamenta la deduzione Irpef del 20% sul prezzo di acquisto degli immobili destinati alla locazione. Secondo quanto previsto per fruire dell’agevolazione le unità immobiliari devono risultare invendute alla data del 12 novembre 2014.

Agevolazione – Come noto, a favore delle persone fisiche (privati) che nel periodo 1.1.2014 – 31.12.2017 sostengono spese per l’acquisto/costruzione di unità immobiliari da destinare a locazione, l’art. 21, DL n. 133/2014 riconosce una specifica deduzione dal reddito complessivo. Con il Decreto 8.9.2015, pubblicato sulla G.U. 3.12.2015, n. 282, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) e il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) hanno definito, ai sensi del comma 6 del citato art. 21, “le ulteriori modalità attuative”, stante la “ravvisata necessità di fornire ai contribuenti un’informazione completa sui soggetti legittimati, sui titoli abilitanti, sui termini previsti e sugli adempimenti amministrativi necessari per usufruire della deduzione …”.

Le spese – L’agevolazione in esame spetta per le spese sostenute dall’1.1.2014 al 31.12.2017 in relazione all’acquisto ovvero alla costruzione su un’area edificabile già posseduta. La deduzione è riconosciuta per l’acquisto di unità immobiliari a destinazione residenziale di nuova costruzione ovvero oggetto di ristrutturazione/restauro/risanamento conservativo ex art. 3, comma 1, lett. c) e d), DPR n. 380/2001 cedute dall’impresa/cooperativa edilizia costruttrice o che ha effettuato il predetto intervento.

Unità invendute – Ai fini dell’agevolazione l’unità immobiliare deve risultare invenduta al 12.11.2014 (data di entrata in vigore della legge di conversione del DL n. 133/2014). Come precisato dall’art. 1 del recente DM, è considerata tale quella che a detta data era già interamente/parzialmente costruita ovvero per la quale a tale data era stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio, comunque denominato ovvero per la quale a tale data “era stato dato concreto avvio agli adempimenti propedeutici all’edificazione quali la convenzione tra Comune e soggetto attuatore dell’intervento, ovvero gli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale”.

Soggetti – Come stabilito dall’art. 2 del citato DM la deduzione è riconosciuta ai soggetti titolari del diritto di proprietà dell’unità immobiliare in relazione alla quota di proprietà per l’acquisto di unità abitative per le quali, nel periodo 1.1.2014 – 31.12.2017, è stato rilasciato il certificato di agibilità o si sia formato il silenzio – assenso ex art. 25, DPR n. 380/2001.

Costruzione – L’agevolazione spetta altresì per le prestazioni di servizi, dipendenti da un contratto d’appalto, per la costruzione di unità immobiliari a destinazione residenziale su aree edificabili possedute prima dell’inizio dei lavori o sulle quali sono già riconosciuti diritti edificatori. Come specificato dall’art. 3 del citato DM, le spese devono essere attestate dalle fatture emesse dall’impresa che esegue i lavori di costruzione. La deduzione è riconosciuta per la costruzione di unità immobiliari, da ultimare entro il 31.12.2017, per le quali prima del 12.11.2014 è stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio, comunque denominato e per le spese attestate nel periodo 1.1.2014 – 31.12.2017.

Autore: redazione fiscal focus

Responsabilità TASI tra comproprietari e coinquilini

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – La caratteristica peculiare della TASI è che, a differenza dell’IMU, si tratta di un tributo dovuto sia dal possessore dell’immobile (a titolo di proprietà, usufrutto, ecc.) sia dal detentore/occupante l’immobile. La percentuale di TASI dovuta da quest’ultimo è quella fissata dalla stessa delibera comunale nel rispetto dei limiti di legge (tra il 10% e il 30% e se nulla prevede la delibera si deve intendere la misura del 10%).

Dunque, se per il versamento dell’IMU la responsabilità del versamento ricade sul proprietario (o comproprietari con responsabilità “autonoma” e non solidale tra di essi), per la TASI oltre al proprietario è tenuto al versamento anche l’eventuale occupante (inquilino).

Tuttavia, il detentore dell’immobile (inquilino) è tenuto al versamento della sua quota TASI solo se nell’anno il possesso in capo ad egli si è protratto per più di sei mesi (considerando per intero il mese in cui il possesso si è protratto per più di 15 giorni). Infatti, ai sensi del comma 673 Legge n. 147/2013 (Legge di Stabilità 2014) “in caso di detenzione temporanea di durata non superiore a sei mesi nel corso dello stesso anno solare, la TASI è dovuta soltanto dal possessore dei locali e delle aree a titolo di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e superficie”.

Per la TASI, dunque, c’è da ben sapere su chi ricade la responsabilità in caso di omesso o insufficiente versamento tra comproprietari, coinquilini e tra proprietario e inquilino.

La responsabilità tra i comproprietari – A differenza dell’IMU, in cui ogni comproprietario è responsabile autonomamente della propria obbligazione tributaria, per la TASI i comproprietari sono responsabili solidalmente (comma 671 Legge n. 147/2013).

Dunque, ad esempio, in ipotesi di comproprietà tra due coniugi di un immobile soggetto alla TASI, in caso di omesso o insufficiente versamento da parte di uno dei due della propria quota TASI, ne risponde in solido anche l’altro coniuge comproprietario e, dunque, il comune, per il recupero delle somme dovute, potrà rivolgersi indifferentemente a tutti e due i comproprietari.

La responsabilità tra i coinquilini – Spesso può accadere che l’inquilino dell’immobile sia più di uno e in tal caso ognuno verserà la sua quota TASI in ragione della percentuale di possesso. Quindi, ad esempio, nel caso di contratto di locazione cointestato tra tre conduttori, ognuno versa la sua quota TASI nella misura del 33,33 per cento ciascuno. Al riguardo si supponga un immobile con rendita catastale di 1.700,00 euro e che la delibera TASI stabilisca un’aliquota al 2 per mille (sia per acconto che saldo) e la quota TASI a carico dell’occupante nella misura del 20%. La TASI dovuta da ciascun coinquilino sarà così determinata:

  • TASI complessiva= [(1.700 + 5%) x 160] x 0,2% = 571,20
  • TASI complessiva occupante = 571,20 x 20% = 114,24
  • TASI ciascun coinquilino = 114,24 x 33,33% = 38,08

Ciascun inquilino versa una TASI 2015 per l’importo complessivo di 38,08 euro da ripartire tra acconto e saldo.

Come per i comproprietari, anche per i coinquilini, il comma 671 della Legge n. 147/2013, sancisce la responsabilità solidale tra di essi. Pertanto, in caso di omesso o insufficiente versamento da parte di uno dei tre inquilini, ne rispondono in solido anche gli altri e, dunque, il comune, per il recupero delle somme dovute, potrà rivolgersi indifferentemente a tutti e tre.

La responsabilità tra proprietario e occupante – Ultima ipotesi da esaminare e la responsabilità tra proprietario e occupante l’immobile. In particolare, ai sensi del comma 681 della stessa Legge n. 147/2013 “nel caso in cui l’unità immobiliare è occupata da un soggetto diverso dal titolare del diritto reale sull’unità immobiliare, quest’ultimo e l’occupante sono titolari di un’autonoma obbligazione tributaria”.

Pertanto, proprietario e inquilino rispondono ciascuno per la propria quota TASI non versata o versata in maniera insufficiente, senza responsabilità solidale tra di essi.

In conclusione, dunque, riguardo la TASI, la responsabilità solidale esiste tra comproprietari e tra coinquilini, mentre non esiste tra proprietario e inquilino, i quali sono titolari di un’autonoma obbligazione tributaria.

Autore: PASQUALE PIRONE

La Guardia di Finanza definisce gli obiettivi operativi per il 2016

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Quattro sono gli obiettivi individuati dal Comando Generale della Guardia di Finanza nella circolare concernente la programmazione operativa per l’anno 2016, pubblicata il 10 dicembre scorso. Tre di tali obiettivi sono definiti “strategici”, quindi vincolanti; il quarto, “obiettivo di natura strutturale”.

Trattasi, in aderenza alle direttive programmatiche in precedenza impartite dall’Autorità di governo, di azioni di contrasto agli illeciti in materia tributaria e di spesa pubblica, ma anche finalizzate alla tutela dell’economia legale, in conformità ai compiti istituzionali riconosciuti al Corpo dal D.Lgs 19 marzo 2001, n. 68, nel suo ruolo di Polizia economica e finanziaria.

Contrasto all’evasione, all’elusione e alle frodi fiscali. L’obiettivo, definito “strategico”, riguarda il core business del Corpo; lo stesso dovrà essere attuato mediante l’esecuzione di 20 piani operativi, la metà dei quali “con indicatore di attuazione predeterminato”; i restanti “con indicatore di attuazione generico”.

I 10 piani vincolanti riguardano i tradizionali settori delle verifiche e dei controlli fiscali; nulla di nuovo sotto tale aspetto, in quanto nel target delle attività ispettive da programmare nel prossimo anno rientrano tutti i contribuenti titolari di partiva IVA: imprese di minori, medie e rilevanti dimensioni, lavoratori autonomi, enti non commerciali e Onlus.

Oggetto delle attività ispettive saranno tutti i comparti tributari (imposte sui redditi, Iva, altri tributi indiretti, accise) e comprenderanno, come già avvenuto nei precedenti anni, anche il contrasto alle frodi all’Iva comunitaria, i controlli richiesti da Autorità fiscali estere su base convenzionale, le azioni a tutela della riscossione, nonché il controllo economico del territorio attuato anche mediante il servizio di pubblica utilità “117”.

I 10 piani operativi con indicatore di attuazione generico riguardano comunque settori che hanno caratterizzato l’azione operativa della Guardia di Finanza anche nelle precedenti annualità ma, essendo privi di vincoli predeterminati, saranno adattati in corso d’anno; i settori operativi interessati vengono individuati nel sommerso d’azienda e di lavoro, fiscalità internazionale, evasione immobiliare e affitti in nero, giochi e scommesse illegali, imprese in perdita sistemica, indebite compensazioni di crediti d’imposta.

I numeri dei controlli. Sotto il profilo quantitativo, la direttiva del Comando generale prevede l’esecuzione di un piano ispettivo generale basato sugli stessi numeri dell’anno in corso, prevedendo tuttavia una riduzione del carico operativo assegnato al Comandi Regionali Emilia Romagna e Lazio.

Nel primo caso, la riduzione operativa si giustifica con la necessità di completare gli interventi ispettivi scaturiti dalle risultanze dell’indagine nota come “Operazione Torre d’Avorio”, delegata dalla Procura di Forlì al locale Nucleo di Polizia Tributaria, nel cui contesto sono stati acquisiti dati relativi agli anni dal 2006 al 2014, su rapporti bancari detenuti presso istituti di credito sanmarinesi da circa 27 mila soggetti (per lo più imprenditori e lavoratori autonomi), due terzi dei quali risultano residenti nelle regioni prossime alla Repubblica del Titano.

La riduzione del carico prevista per i Reparti laziali è invece connessa alle esigenze di concorso con le altre forze di polizia all’ordine e alla sicurezza pubblica in occasione del Giubileo.

Contrasto agli illeciti in materia di spesa pubblica. L’obiettivo strategico in questione dovrà essere attuato mediante l’esecuzione di 10 piani operativi. In tale contesto vanno ricomprese tutte le attività di prevenzione e contrasto alle truffe a danno dei finanziamenti nazionali, comunitari, nonché dei contributi a carico dei bilanci delle regioni e deli enti locali.

Contrasto alla criminalità economica e finanziaria. Anche il terzo obiettivo, ugualmente di natura strategica, si profila in continuità con le linee operative degli anni precedenti. In tale ambito sono ricomprese le indagini patrimoniali per l’individuazione dei fondi e dei beni illecitamente accumulati dalla criminalità organizzata.

Nell’obiettivo in questione rientrano altresì le consuete azioni di contrasto al riciclaggio, sia sotto il profilo penale su delega dell’Autorità giudiziaria, sia su quello amministrativo con la programmazione di ispezioni e controlli antiriciclaggio; in tale contesto verranno incrementate le attività investigative nei confronti di soggetti con elevato tenore di vita e redditi dichiarati esigui se non nulli, proprio al fine di individuare fenomeni di riciclaggio o reinvestimento di proventi provenienti da attività criminose. Saranno peraltro perseguite anche le condotte di autoriciclaggio da evasione e frode fiscale, poste in essere dal 1° gennaio scorso, alla luce della nuova fattispecie delittuosa prevista e punita dall’art. 648-ter.1 del codice penale, introdotta dall’art. 3, comma 3 della Legge 15/12/2014, n. 186.

Concorso alla sicurezza interna del Paese. In tale ambito, ancora in continuità con l’azione operativa realizzata in passato, rientra il contrasto agli altri traffici illeciti, tra i quali quello concernente gli stupefacenti e le armi, nonché il contrasto all’immigrazione clandestina e alla tratta di esseri umani.

Si profila, tuttavia, analogamente a quanto previsto per le altre forze di polizia, un incremento dei servizi di vigilanza e di controllo del territorio per la sicurezza del Paese in occasione del Giubileo straordinario, recentemente indetto dal Santo Padre.

Autore: Marco Brugnolo

Lavoro & Previdenza 730: stop alle sanzioni di lieve entità

A cura di Antonio Gigliotti

Non sarà sanzionabile, per l’anno 2015, l’invio tardivo del mod. 730 precompilato. Le sanzioni si applicheranno solo dal prossimo anno

Sospiro di sollievo per professionisti, CAF e contribuenti che saranno “salvi” in caso di sanzioni per ritardi ed errori di lieve entità nella trasmissione del mod. 730 precompilato e della Certificazione Unica 2015. A prevederlo è un emendamento al Disegno di Legge Stabilità 2016 presentato giovedì scorso al Governo in commissione Bilancio alla Camera.

In ogni caso, non sfuggono alle sanzioni: la mancata presentazione del 730 ovvero l’indebita fruizione di detrazioni o deduzioni.

La novità si è resa necessaria in considerazione del fatto che il 2015, anno nel quale è stato introdotto il mod. 730 precompilato, ha carattere sperimentale; di conseguenza, le sanzioni previste avranno efficacia solo a partire dal prossimo anno.

Sul punto, si ricorda che la Legge di Stabilità 2016 ha previsto nuove modifiche in merito alle detrazione da inserire nel mod. 730. Innanzitutto, si segnala la possibilità di poter detrarre – fino ad un importo massimo di 1.550,00 euro – le spese funebri. Detrazione, che spetta sia ai parenti del defunto (de cuius) ma anche da chiunque abbia pagato le spese funebri. Per quanto riguarda, invece, le spese sostenute per la frequenza di corsi universitari non statali è previsto che la detraibilità massima sia parificata a quella degli istituti non provati e che vari a seconda della facoltà.

Sempre sul fronte delle detrazioni, appare opportuno evidenziare la possibilità di poter detrarre, anche per il 2016, al 50% le agevolazioni su ristrutturazioni edilizie e al 65% quelle per la riqualificazione energetica; mentre per il bonus mobili è al 50%. Altra detrazione al 50% concerne gli immobili acquistati da giovani coppie come prima casa, per un tetto di spesa fino a 16.000,00 euro.

L’emendamento, inoltre, ha previsto nuovi obblighi di trasmissione all’Agenzia delle Entrate da parte di medici e strutture sanitarie dei dati sulle prestazioni erogate nel 2015: tali dati dovranno essere inviati tramite il “Sistema Tessera Sanitaria”.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Accertamenti e sottoscrizione. La delega “impersonale” annulla l’atto

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cassazione Tributaria, sentenza pubblicata l’11 dicembre 2015

In tema di sottoscrizione dell’avviso di accertamento tributario, devono considerarsi nulli gli atti firmati in forza di una delega che reca la sola qualifica professionale del destinatario, senza alcun riferimento alle sue generalità. Per rendere legittima la delega non è sufficiente, ad esempio, l’indicazione come delegato del “capo team”.

È quanto emerge dalla sentenza 11 dicembre 2015, n. 25017, della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione.

Accogliendo il ricorso proposto da un contribuente Siciliano – raggiunto da un avviso di accertamento a fini IRPEF, e che ha lamentato la nullità dell’atto per violazione dell’art. 42 del D.P.R. 600/73, in quanto sottoscritto, a suo dire, da soggetto che non era in possesso della qualifica richiesta e senza l’annotazione della delega ricevuta -, i supremi giudici hanno osservato, a beneficio del giudice del rinvio, che non è indifferente che un atto complesso come l’accertamento tributario sia emesso da un funzionario privo della necessaria qualifica, quindi – deve presumersi – della necessaria capacità tecnica.

E infatti, in base all’art. 42 citato, l’avviso di accertamento è nullo se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Tale delega, ha precisato il supremo collegio, può essere conferita o con atto proprio o con ordine di servizio purché siano indicati, unitamente alle ragioni della delega (ossia le cause che ne hanno resa necessaria l’adozione, quali carenza di personale, assenza, vacanza, malattia, etc.):

  • il termine di validità
  • ed il nominativo del soggetto delegato.

Non è sufficiente, perciò, sia in caso di delega di firma sia in caso di delega di funzione, l’indicazione della sola qualifica professionale del destinatario della delega, senza alcun riferimento nominativo alle generalità di chi effettivamente rivesta la qualifica richiesta.

E allora sono “illegittime le deleghe impersonali, anche ‘ratione offici’, prive di indicazione nominativa del soggetto delegato. E tale illegittimità si riflette sulla nullità dell’atto impositivo. Non è dunque sufficiente l’indicazione come delegato del capo team per rendere legittima la delega”.

Autore: redazione fiscal focus

Liti fiscali. La sentenza favorevole alla società blocca l’accertamento nei confronti del socio

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cassazione Tributaria, sentenza pubblicata il 4 dicembre 2015

In tema di società a ristretta base sociale, l’accertamento negativo, con sentenza passata in giudicato, dell’utile extracontabile della società rimuove il presupposto da cui dipende l’accertamento del maggior utile da partecipazione del socio.

È quanto emerge dalla sentenza 24793/15, pubblicata il 4 dicembre dalla Sesta Sezione Civile – T della Cassazione.

La controversia è scaturita da un avviso di accertamento per IRPEF 1995, con cui l’Agenzia delle Entrate aveva ripreso a tassazione i redditi di partecipazione del contribuente a una Srl, società a propria volta destinataria di un avviso di accertamento per il medesimo anno d’imposta, atto poi divenuto oggetto d’impugnazione.

Ebbene, l’annullamento, con sentenza passata in giudicato, dell’accertamento nei confronti della società ha determinato anche l’annullamento dell’atto impositivo inviato al socio e impugnato con ricorso autonomo.

L’Agenzia delle Entrate, nel giudizio di cassazione, ha sostenuto che il presupposto della pretesa nei confronti del socio non è la formazione di un accertamento definitivo nei confronti della società, ma il fatto storico dell’esistenza di redditi della società non dichiarati; sicché l’accertamento nei confronti della società potrebbe vincolare quello nei confronti del socio solo quando la pretesa nei confronti della società sia ritenuta inesistente nel merito e non, come nella specie, per un vizio procedurale. Infatti, nel caso di specie, il ricorso per cassazione contro la sentenza della CTR favorevole alla società era stato dichiarato inammissibile per mancato deposito dell’avviso di ricevimento della relativa notifica per posta.

I giudici del Palazzaccio non hanno ritenuto di poter condividere gli assunti della ricorrente Agenzia.

In tema di effetti del giudicato è già stato chiarito (Cass. n. 6788/13 e 2137/14), in via generale, che la sentenza passata in giudicato, oltre ad avere un’efficacia diretta tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, ne ha anche una riflessa, poiché, quale affermazione oggettiva di verità, produce conseguenze giuridiche anche nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo nei quali sia stata resa qualora essi siano titolari di diritti dipendenti dalla situazione definitiva in quel processo, o comunque subordinati a questa.

Sulla scorta di quanto sopra (nonché dei principi affermati in Cass. n. 24049/11), i giudici della Sesta Sezione del Palazzaccio hanno ritenuto di poter enunciare il principio secondo cui, nel giudizio avente a oggetto l’avviso di accertamento relativo al socio di una società di capitali a ristretta base sociale, deve riconoscersi l’efficacia riflessa del giudicato, formatosi nel giudizio intercorso tra l’Agenzia delle Entrate e la società, con cui è stata accertata la insussistenza di utili extracontabili della società. L’accertamento negativo dell’utile extracontabile della società rimuove, infatti, il presupposto da cui dipende l’accertamento del maggior utile da partecipazione del socio.

I giudici del Palazzaccio (in risposta all’assunto del fisco secondo cui il giudicato favorevole alla società farebbe stato nei confronti del socio “solo quando la pretesa nei confronti della società viene ritenuta inesistente nel merito”) hanno aggiunto che nel caso di specie il giudicato esterno vincolante non è la sentenza – effettivamente tutta in rito – con cui la Cassazione ha rigettato il ricorso contro la sentenza d’appello favorevole alla società, ma proprio la sentenza d’appello che ha annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti dalla società non per ragioni di legittimità formale degli atti o del procedimento impositivo, bensì sulla scorta di un giudizio che ha portato la CTR a ritenere che l’Amministrazione finanziaria non avesse adempiuto all’onere di dimostrare i fatti costitutivi della pretesa fiscale.

Per gli ermellini, dunque, la sentenza ottenuta dalla società ha operato un accertamento negativo del credito tributario di cui ha potuto beneficiare il socio: cioè essa sentenza, dopo il suo passaggio in giudicato, ha fatto stato anche nel giudizio intrapreso dal socio. Dal che il rigetto del ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

 

Iscrizione ipotecaria nulla senza preavviso

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 4 dicembre 2015

Equitalia deve comunicare preventivamente l’iscrizione ipotecaria per i debiti erariali non pagati, altrimenti il provvedimento è illegittimo per violazione del diritto del debitore alla partecipazione al procedimento, garantito anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (artt. 41,47 e 48).

In ipotesi di omessa attivazione del contraddittorio endoprocedimentale, l’iscrizione mantiene la sua efficacia fino alla declaratoria giudiziale dell’illegittimità, attesa la natura reale dell’ipoteca.

È quanto emerge dalla sentenza n. 24794/15 della Sesta Sezione Civile – T della Cassazione.

La controversia è originata da una comunicazione d’iscrizione ipotecaria ex art. 77 D.P.R. 602/73, provvedimento confermato dalla Commissione Tributaria Regionale di Venezia-Mestre, il cui verdetto è stato prontamente impugnato in Cassazione dal debitore.

Ebbene, la Suprema Corte ha ribaltato le sorti del giudizio decidendo la causa nel merito alla luce dell’insegnamento delle Sezioni Unite secondo cui, anche in materia d’iscrizione ipotecaria, s’impone il rispetto del contraddittorio endoprocedimentale.

Gli ermellini hanno accolto il motivo di ricorso concernente la violazione di legge per avere la CTR ritenuto legittima l’ipoteca esattoriale oggetto d’impugnazione sebbene questa fosse stata iscritta senza alcun preventivo avviso finalizzato a indurre il debitore ad adempiere.

Il diritto al contraddittorio preventivo è sancito negli articoli 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e, secondo la Corte di Giustizia, deve trovare applicazione ogniqualvolta l’amministrazione di uno Stato membro si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto a esso lesivo. Ed è per questa ragione che le Sezioni Unite (sentenze n. 19667 e 19668 del 2014) hanno sostenuto che, in tema di riscossione coattiva delle imposte, l’amministrazione finanziaria, prima di iscrivere ipoteca ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, articolo 77, deve comunicare al contribuente che intende procedere alla predetta iscrizione sui suoi beni immobili, concedendo a quest’ultimo un termine – che, per coerenza con altre analoghe previsioni normative presenti nel sistema, può essere fissato in trenta giorniperché egli possa esercitare il proprio diritto di difesa, presentando opportune osservazioni, o provveda al pagamento del dovuto.

L’iscrizione di ipoteca non preceduta dalla comunicazione al contribuente è nulla, in ragione della violazione dell’obbligo che incombe all’amministrazione di attivare il “contraddittorio endoprocedimentale”, mediante la preventiva comunicazione al contribuente della prevista adozione di un atto o provvedimento che abbia la capacità di incidere negativamente, determinandone una lesione, sui diritti e sugli interessi del contribuente medesimo.

Tuttavia, in ragione della natura reale dell’ipoteca, l’iscrizione eseguita in violazione del predetto obbligo conserva la propria efficacia fino a quando il giudice non ne abbia ordinato la cancellazione, accertandone l’illegittimità.

Alla stregua di questi rilievi, la Suprema Corte ha cassato senza rinvio la sentenza della CTR veneta disponendo, per l’effetto, la cancellazione dell’iscrizione ipotecaria impugnata.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Forfettari: novità anche per chi ha aderito nel 2015

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Nuovo limite dei ricavi e imposta ridotta per le start up

Premessa – Secondo quanto previsto dal disegno di legge di stabilità 2016 per i contribuenti forfettari dal 2016 sono previsti limiti di ricavi più elevati e per le start up un’imposta sostitutiva del 5 %. Tali nuove norme verranno applicate anche a coloro che hanno aderito a al regime agevolato già dal 2015.

Legge di stabilità 2016 – Come noto il D.D.L. Stabilità 2016 prevede una serie di modifiche al regime forfettario tra cui l’innalzamento delle soglie di ricavi e compensi che consentono di accedere al regime aumentandole di 10.000 euro per tutte le attività ad eccezione delle attività professionali ed equiparate il cui aumento è pari a 15.000 euro portando così il tetto a 30.000 euro.

Limite dei ricavi – La verifica del suddetto requisito va effettuata avendo riguardo all’anno precedente quello di riferimento. Pertanto con riferimento al 2016, le condizioni di accesso vanno verificate nel 2015. Si ritiene, quindi, che i nuovi limiti dei ricavi che entreranno in vigore dal 1.1.2016 si applicheranno per la verifica dei requisiti per il periodo d’imposta 2016 prendendo ad esame il periodo d’imposta 2015. Un libero professionista che nel 2015 ha applicato il regime forfettario conseguendo ricavi per € 20.000 potrà quindi operare nel regime forfettario anche nel 2016 in quanto il limite in vigore al 1.1.2016 corrisponde a 30.000 euro ed il contribuente avendo conseguito nel 2015 ricavi per 20.000 euro può rimanere nel regime agevolato anche nel 2016.

Start up – Altra modifica è data dal fatto che per i contribuenti che rispettano i requisiti per il regime forfettario e che intraprendono un’attività “nuova”, il reddito determinato con le regole previste per il regime forfettario non sarà più ridotto di 1/3 per l’anno di inizio attività e per i due successivi ma al contrario secondo quanto previsto dal testo del disegno di Legge di Stabilità 2016 dal 2016, si applicherà l’aliquota del 5% per i primi 5 anni di attività.

Inizio nel 2015 – Nel comma 3 dell’art. 8 del DDL di Stabilità 2016 è stato espressamente stabilito che i contribuenti che hanno intrapreso una nuova attività nel 2015 avvalendosi della riduzione di un terzo del reddito possono applicare la nuova aliquota del 5% nei successivi 4 anni, cioè dal 2016 al 2019. Al contrario il contribuente che nel 2015 ha operato in regime ordinario qualora nel 2016 transiti al regime forfettario dovrà applicare l’aliquota piena del 15%.

Regime Inps – I commi da 76 a 84, art. 1, Legge di Stabilità 2015, hanno introdotto una misura agevolativa in ambito previdenziale, riservata ai soli contribuenti obbligati al versamento previdenziale presso le gestioni speciali artigiani e commercianti. I soli contribuenti esercenti attività d’impresa, se applicano il regime forfettario, possono usufruire di un regime agevolato contributivo che consiste nel non applicare il minimale contributivo di cui all’articolo 1, comma 3, Legge n. 233/1990.

Modifiche – Il disegno di Legge di Stabilità interviene ora sul comma 77 sostituendolo integralmente. In virtù delle modifiche apportate si prevede che sul reddito forfettario determinato sulla base delle percentuali di redditività come modificate dallo stesso DDL la contribuzione dovuta ai fini previdenziali sia “ridotta del 35 per cento”. Non essendo state apportate altre modifiche, è confermato anche che il regime contributivo in questione potrà essere attivato esclusivamente su opzione del contribuente.

Comunicazione – Dovrà essere chiarito al riguardo se i soggetti che hanno optato nel corso del 2015 per la contribuzione ridotta, versione Stabilità 2015, siano automaticamente attratti dalle nuove modalità di versamento ovvero se si debba in qualche modo confermare l’opzione. Sul punto l’Inps dovrà, eventualmente, fornire istruzioni.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS