IVA: il trattamento degli omaggi NON rientranti nell’attività d’impresa

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cessione “irrilevante” ai fini IVA

Il trattamento fiscale degli omaggi dipende dalla natura del bene, dal soggetto destinatario, ma anche dal valore del bene. Tutte queste caratteristiche condizionano il trattamento fiscale degli omaggi, ciascuno con un proprio peso. In via generale, il punto di partenza per analizzare il trattamento fiscale degli omaggi ai fini Iva, e la distinzione tra beni che rientrano o meno nell’ambito dell’attività propria dell’impresa.

Beni che NON rientrano nell’attività d’impresa – Per tale fattispecie, il punto di partenza è il trattamento che i beni destinati ad essere “omaggiati” subiscono a “monte”. In base alle disposizioni dell’art. 19 bis1, co. 1, lett. h), D.P.R. 633/1972, non è ammessa in detrazione l’imposta relativa alle spese di rappresentanza, come definite ai fini delle imposte sul reddito, tranne quelle sostenute per l’acquisto di beni di costo unitario non superiore a lire cinquantamila” (euro 25,82).

Per quanto riguarda la definizione di spese di rappresentanza, anche ai fini IVA (C.M. 34/E/2009) è necessario fare riferimento a quanto disposto dall’art. 1, DM 19.11.2008 che definisce di rappresentanza “le spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare, anche potenzialmente, benefici economici per l’impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore”.

Affinché la spesa per l’omaggio rientri tra quelle di rappresentanza è necessario che le spese: I) siano sostenute con finalità promozionali e di pubbliche relazioni; II) siano ragionevoli in funzione dell’obiettivo di generare benefici economici; III) siano coerenti con gli usi e le pratiche commerciali del settore.

All’interno delle spese di rappresentanza individuate in base ai suddetti criteri, l’art. 19 bis1, co. 1, lett. h), D.P.R. 633/1972 prevede:

  • la detraibilità dell’IVA per i beni rientranti nelle spese di rappresentanza per i beni di costo unitario NON superiore a € 25,82;
  • l’indetraibilità dell’IVA per i beni rientranti nelle spese di rappresentanza per i beni di costo unitario superiore a € 25,82.

Il trattamento a “valle” – Il trattamento a “valle”, ai fini IVA, dei beni destinati ad essere omaggiati, NON rientranti nell’attività d’impresa, è rinvenibile nell’art. 2, co. 2, n. 4), D.P.R. 633/1972.La richiamata disposizione prevede che“Costituiscono inoltre cessioni di beni: 4) le cessioni gratuite di beni ad esclusione di quelli la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria dell’impresa se di costo unitario non superiore a lire cinquantamila (euro 25,82) e di quelli per i quali non sia stata operata, all’atto dell’acquisto o dell’importazione, la detrazione dell’imposta a norma dell’articolo 19, anche se per effetto dell’opzione di cui all’articolo 36-bis;.

La successiva cessione gratuita del bene (omaggio), dunque, indipendentemente da valore dell’omaggio è esclusa da campo di applicazione dell’IVA.

Le spese per alimenti e bevande – Per quanto riguarda l’acquisto di alimenti e bevande (ovviamente che non formano oggetto dell’attività d’impresa), l’art. 19, co. 1, lett. f), D.P.R. 633/1972 prevede che “non è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di alimenti e bevande ad eccezione di quelli che formano oggetto dell’attività propria dell’impresa o di somministrazione in mense scolastiche, aziendali o interaziendali o mediante distributori automatici collocati nei locali dell’impresa”.

Tuttavia, in deroga a tale disposizione, l’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 54/E/2002 ha riconosciuta la detrazione dell’IVA purché gli stessi siano di costo unitario non superiore a € 25,82 e rientrino fra le spese di rappresentanza per le quali trova applicazione la citata lett. h).

Omaggi ai dipendenti – Per quanto riguarda gli omaggi ai dipendenti NON rientranti nell’attività d’impresa, ai fini Iva, non possono essere considerate spese di rappresentanza, in quanto prive del requisito di sostenimento per finalità promozionali.

L’IVA relativa ai beni destinati ai dipendenti è da considerare indetraibile per mancanza di inerenza con l’esercizio dell’impresa.

Autore: redazione fiscal focus

Codice tributo per investimenti in beni strumentali

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Con la Risoluzione n. 96 di ieri le Entrate hanno istituito il relativo codice

Premessa – Con la risoluzione n. 96 di ieri 19 novembre, l’Agenzia delle Entrate ha istituito il codice tributo per l’utilizzo del credito d’imposta, mediante F24, dell’incentivo fiscale previsto dal “decreto competitività” a favore dei titolari di reddito d’impresa.

Ambito soggettivo – Beneficiari del credito d’imposta di cui all’articolo 18 del DL 91/2014 sono i contribuenti titolari di reddito d’impresa che, nel periodo compreso tra l’entrata in vigore della disposizione (25 giugno 2014) e il 30 giugno scorso, hanno effettuato investimenti in nuovi beni strumentali (macchinari e impianti) compresi nella divisione 28 della tabella Ateco 2007 e destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato.

Credito – Il bonus fiscale, pari al 15% delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media degli analoghi investimenti realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti (con facoltà di escludere dal calcolo della media il periodo in cui l’investimento è stato maggiore), è utilizzabile esclusivamente in compensazione, mediante modello F24, e deve essere ripartito in tre quote annuali di pari importo: la prima, a decorrere dal 1° gennaio del secondo periodo d’imposta successivo all’investimento.

Codice tributo – Per consentirne la fruizione a partire dall’inizio del prossimo anno, secondo le modalità fornite con la Circolare 5/2015, la Risoluzione 96/E del 19 novembre 2015 istituisce lo specifico codice tributo “6856”, operativo dal 1° gennaio 2016.

Compilazione – Questo va esposto nella sezione “Erario” del modello F24, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati” ovvero, nei casi in cui il contribuente debba procedere a riversare l’agevolazione, nella colonna “importi a debito versati”. Nel campo “anno di riferimento” deve essere riportato l’anno di sostenimento della spesa.

Autore: redazione fiscal focus

Equitalia: autodichiarazione per la sospensione

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Nuove regole per la riscossione della cartelle di pagamento

Premessa – Nell’istanza di sospensione di una cartella di pagamento è sufficiente un’autodichiarazione che indica le motivazioni poste alla base della richiesta del blocco delle procedure di riscossione.

Decreto riscossione – Il Decreto riscossione (D.Lgs. n.159/2015) in vigore dal 22 ottobre 2015, modifica le regole sulla sospensione legale della riscossione. In base alla normativa attualmente vigente, il contribuente raggiunto da un atto ritenuto indebito può richiedere il blocco delle procedure di riscossione nelle ipotesi di: intervenuta prescrizione; decadenza o pagamento del credito antecedente alla formazione del ruolo; ottenimento di sgravio emesso dall’ente creditore; annullamento o sospensione (amministrativa o giudiziale) dell’atto; qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito.

Autodichiarazione – A tal fine è sufficiente presentare un’autodichiarazione all’Agente della Riscossione, rappresentando il ricorrere di una delle suddette ipotesi. L’agente della riscossione ha poi 10 giorni di tempo per trasmettere l’istanza e la documentazione allegata all’ente creditore al fine di avere conferma circa la sussistenza delle ragioni del debitore ed ottenere, in caso affermativo, la sollecita trasmissione della sospensione o dello sgravio direttamente sui propri sistemi informativi. Nell’ambito della suddetta procedura, il termine entro cui il debitore, a pena di decadenza, dovrà presentare la richiesta di sospensione all’agente della riscossione è ridotto da 90 a 60 giorni, decorrenti dalla notifica della cartella di pagamento o del provvedimento esecutivo o cautelare ‘‘contestato’’ (art. 1). Per evitare la presentazione di istanze meramente dilatorie viene poi cancellata la ‘‘clausola aperta’’ che consentiva di richiedere la sospensione in virtù di ‘‘qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito’’. Tale previsione, chiarisce la relazione illustrativa, è tesa a evitare il possibile uso strumentale dell’istituto.

Ragioni – Fermo restando l’obbligo di dettagliare nell’istanza di sospensione le ragioni alla base della presunta illegittimità dell’atto, non sarà più possibile indicare una causa di inesigibilità diversa da quelle seguenti: prescrizione o decadenza del diritto al credito in data antecedente a quella in cui il ruolo è reso esecutivo; avvenuto sgravio o sospensione dell’atto sottostante, in via amministrativa o giudiziale; annullamento dell’atto sottostante con una sentenza emessa in un giudizio in cui l’agente per la riscossione non era parte; pagamento effettuato all’ente creditore in data antecedente alla formazione del ruolo.

Esito istruttoria – Rispetto alla vecchia disciplina, si prevede che l’ente creditore non debba più comunicare, nel termine di 60 giorni dal ricevimento dell’istanza, l’esito dell’istruttoria al debitore e all’agente della riscossione. La soppressione di tale adempimento, che nella realtà limita l’operatività dell’ente, consentirà a quest’ultimo di poter rispondere al debitore senza attendere il decorso dei predetti 60 giorni. Fino alla comunicazione di tale esito, si prevede la sospensione del termine di 200 giorni (previsto dall’art. 53, comma 1 del D.P.R. n. 602/ 1973) che comporta l’inefficacia del pignoramento eventualmente già eseguito.

Autore: redazione fiscal focus

Tardiva dichiarazione sganciata dalle violazioni sui versamenti

Ma la Cassazione ritiene necessario ravvedere sia la tardività che le violazioni sui versamenti

Processo tributario telematico

l processo tributario si rinnova:

dal 1° dicembre 2015 diventa pienamente operativo, anche se per ora solo nelle Commissioni tributarie provinciali e regionali dell’Umbria e della Toscana, il processo tributario telematico;

dal 1° gennaio 2016 entrano in vigore la quasi totalità delle nuove norme contenute nel D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 che ha riformato la disciplina del contenzioso tributario, in attuazione della delega fiscalecontenuta nella legge n. 23/2014.

Con la telematizzazione, gli atti viaggeranno, via PEC, in formato digitale (il formato principe sarà il PDF) e, nello stesso formato, avverranno tutte le notificazioni e comunicazioni del processo.

Tutto ruoterà intorno ad un sistema informatico messo a punto dal Ministero il Sistema Informativo della Giustizia Tributaria (S.I.Gi.T.) al quale possono accedere – previa autenticazione – i giudici tributari, le parti del processo, i procuratori e difensori (avvocati, dottori commercialisti, consulenti del lavoro ecc.), il personale abilitato delle segreterie delle Commissioni tributarie, i consulenti tecnici e altri soggetti, quali organi tecnici dell’Amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il Corpo della Guardia di finanza.

La piattaforma contiene le informazioni relative alla organizzazione delle Commissioni tributarie e alla modulistica utilizzata, garantendo l’accesso ai servizi telematici riservati ai contribuenti ed agli operatori di settore (“telecontenzioso” e “prenotazione on line” degli appuntamenti).

Il sistema entrerà in vigore il 1° dicembre 2015 ed interesserà le commissioni tributarie di Toscana ed Umbria, per poi essere esteso, dopo una prima fase di rodaggio, a tutto il territorio nazionale.

Dal 1° gennaio 2016, poi, entreranno in vigore anche le nuove norme sul contenzioso tributario introdotte dal D.Lgs. n. 156/2015. Tra le tante novità,  alcune si intrecciano, inevitabilmente, con la digitalizzazione del processo tributario. Ad esempio, per quanto riguarda le notifiche tramite PEC. In particolare, viene ampliato l’uso della posta elettronica certificata per le comunicazioni e le notificazioni nel processo tributario. Oltre a confermare quanto già previsto, si dispone che le notificazioni tra le parti e il successivo deposito presso la Commissione tributaria possano avvenire per via telematica, tenendo conto di quanto stabilito nel regolamento sul processo tributario telematico.

In definitiva, appare evidente che le nuove regole avranno un impatto notevole sull’intero sistema del contenzioso tributario rendendolo più efficiente e al passo con l’attuale era improntata sulla digitalizzazione.

Ciò comporta però una riformulazione di processi, attività e modi di operare, sia da parte della Pubblica amministrazione sia, soprattutto, da parte di chi, per professione, si occupa della difesa dei contribuenti innanzi alle Commissioni tributarie.

Fonte IPSOA

S.T.S.: NUOVA COMUNICAZIONE TELEMATICA PER I MEDICI ENTRO IL 31 GENNAIO 2016

La tipologia di spesa dovrà essere indicata in base ad un’apposita codifica prevista dal software di gestione dell’adempimento.

L’articolo 3, comma 3 del D.Lgs. 175/2014 prevede che il Sistema Tessera Sanitaria, metta a disposizione dell’Agenzia delle Entrate le informazioni concernenti le spese sanitarie sostenute dai cittadini, ai fini della predisposizione della dichiarazione dei redditi precompilata. A tal fine, la stessa disposizione stabilisce che le suddette informazioni debbano essere trasmesse telematicamente al Sistema Tessera Sanitaria dalle strutture sanitarie accreditate e dagli iscritti all’albo dei medici chirurghi e degli odontoiatri.

Di seguito con il D.M. 31 luglio 2015, sono state fissate le regole che i soggetti obbligati devono seguire per inviare in via telematica fatture e scontrini per prestazioni sanitarie al STS Sistema Tessera Sanitaria. Infatti, per rendere piùcompleto il modello 730 precompilato, entro il 31 gennaio 2016: le aziende sanitarie locali; le aziende ospedaliere; gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico; i policlinici universitari; le farmacie, pubbliche e private (scontrini e fatture); i presidi di specialistica ambulatoriale; le strutture per l’erogazione delle prestazioni di assistenza protesica e di assistenza integrativa, gli altri presidi e strutture accreditati per l’erogazione dei servizi sanitari; gli iscritti all’Albo dei medici chirurghi e degli odontoiatri, devono inviare al Sistema tessera sanitaria i dati relativi alle prestazioni erogate nel 2015, ai fini della loro messa a disposizione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Il primo invio dei dati entro il 31 gennaio 2016 riguarderà scontrini e fatture dell’intero anno 2015.

A titolo esemplificativo i medici e odontoiatri devono comunicare i dati relativi alle seguenti prestazioni:

  • spese per prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale esclusi gli interventi di chirurgia estetica;
  • visite mediche generiche e specialistiche o prestazioni diagnostiche e strumentali;
  • prestazioni chirurgiche ad esclusione della chirurgia estetica;
  • interventi di chirurgia estetica ambulatoriali o ospedalieri;
  • certificazioni mediche;
  • altre spese sanitarie non comprese nell’elenco.

Per ciascuna spesa o rimborso, i dati da comunicare sul Sistema Tessera Sanitaria sono:

  1. codice fiscale del contribuente o del familiare a carico cui si riferisce la spesa o il rimborso;
  2. codice fiscale o partita IVA e cognome e nome o denominazione del soggetto che ha emesso il documento fiscale (scontrino o fattura);
  3. data del documento fiscale che attesta la spesa;
  4. tipologia della spesa;
  5. importo della spesa o del rimborso.

Sono previste sanzioni di 100 euro per ogni comunicazione omessa, fino ad un massimo di 50.000 euro.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

DDL concorrenza: le proposte dei commercialisti

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Osservazioni e proposte di modifica del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili

I commercialisti sono tornati ad occuparsi del DDL sulla concorrenza, e hanno ribadito le loro precedenti posizioni presentando osservazioni e proposte di modifica nel corso dell’audizione del 18 novembre presso la Commissione Industria, Commercio e Turismo del Senato.

Il Consiglio nazionale ha altresì proposto, sempre nella stessa sede, una modifica all’attuale disciplina del trasferimento d’azienda, al fine di estendere agli atti di trasferimento della proprietà ed ai contratti che hanno per oggetto il godimento dell’azienda la procedura già prevista per la cessione di quote delle srl.

Le precedenti posizioni

In occasione della precedente audizione del Consiglio Nazionale dello scorso mese di giugno, l’attenzione si concentrò su alcune particolari disposizioni de DDL n. 3012, le quali sicuramente necessitavano di un’analisi più approfondita.

Più precisamente gli articoli del DDL oggetto delle osservazioni furono:

  • l’articolo 28, dedicato alla semplificazione del passaggio di proprietà dei beni immobili ad uso non abitativo di valore non superiore a 100.000 euro;
  • l’articolo 30, disciplinante le semplificazioni connesse al trasferimento di quote di srl e la costituzione sulle stesse di diritti parziali;
  • l’articolo 30, comma 2, relativo al deposito presso il registro delle imprese degli atti, delle denunce e delle comunicazioni per i quali non è previsto l’obbligo di atto pubblico o della scrittura privata autenticata.

Le perplessità espresse dal CNDCEC sono state parzialmente recepite dalla Commissione Giustizia e, quindi, molte delle disposizioni di cui al DDL n. 3012 non hanno trovato accoglimento nell’attuale DDL n. 2085.

Tuttavia ancora persistono degli aspetti che necessitano di attenzione, tra i quali il CNDCEC sottolinea:

  • l’articolo 45, dedicato alla sottoscrizione digitale di taluni atti;
  • l’attuale disciplina sul trasferimento d’azienda e l’estensione agli atti di trasferimento della proprietà ed ai contratti aventi ad oggetto il godimento dell’azienda della procedura di deposito presso il registro delle imprese prevista per il trasferimento di partecipazioni di srl.

Il trasferimento delle quote di srl

L’articolo 45, comma 1 del DDL n. 2085 prevede che “i contratti aventi ad oggetto il trasferimento di quote sociali di società a responsabilità limitata e la costituzione sulle stesse di diritti parziali sono redatti per atto pubblico o scrittura privata autenticata, ovvero con le modalità di cui all’articolo 36, comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, oppure, anche in deroga all’articolo 11, comma 4, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 1995, n. 581, per atto firmato digitalmente, ai sensi dell’articolo 25 del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, dalle parti del contratto e sono trasmessi ai competenti uffici del registro delle imprese attraverso un modello uniforme tipizzato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico”.

Pertanto, con il nuovo articolo 45 viene aggiunta una nuova modalità per il trasferimento delle partecipazioni sociali delle srl e di costituzione sulle stesse di diritti parziali, ovvero per atto firmato digitalmente dalle parti.

Ebbene, i commercialisti, in occasione dell’audizione hanno confermato le loro perplessità in merito alle nuove disposizioni introdotte, le quali “trasferiscono competenze proprie di alcune professioni regolamentate a soggetti che non sono abilitati all’esercizio della professione, che non vantano competenze specifiche nelle materie oggetto dell’intervento normativo e che, soprattutto, non forniscono all’utenza concrete garanzie circa l’affidabilità della prestazione resa.”

Il trasferimento d’azienda

In occasione dell’audizione presso la Commissione Industria, Commercio e Turismo del Senato è stata inoltre avanzata la proposta di estendere l’attuale disciplina in tema di trasferimento delle quote di Srl al trasferimento d’azienda.

Come sottolineato anche dal consigliere Maurizio Grosso, consigliere delegato alle Tecnologie informatiche “nell’ottica di aumentare la concorrenza e ridurre gli oneri a carico delle imprese, i vertici della professione propongono una modifica all’attuale disciplina del trasferimento d’azienda del codice civile (art. 2556) in modo da estendere agli atti di trasferimento della proprietà ed ai contratti che hanno per oggetto il godimento dell’azienda (con esclusione degli immobili) la procedura prevista per la cessione di quote di srl fin dal 2008. Gli intermediari commercialisti garantiscono così il versamento delle imposte indirette dovute, il rispetto degli adempimenti antiriciclaggio e la diffusione della digitalizzazione degli atti”.

Autore: redazione fiscal focus

INPS “Gestione Deleghe”: nuova versione sul web

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il nuovo sistema di “Gestione Deleghe” permetterà di visualizzare tutte le posizioni contributive mediante il codice fiscale del contribuente indicato

Il sistema di “Gestione Deleghe” si arricchisce di una nuova versione. Infatti, al fine di migliorare la comunicazione con gli intermediari delle aziende è in corso di rilascio una nuova versione internet del predetto sistema, integrata con il sistema di anagrafica unica del contribuente.L’applicazione è reperibile dalla sezione “Servizi per le Aziende e Consulenti”.

A darne notizia è l’INPS con il messaggio n. 6995/2015.

Funzioni – La nuova modalità permetterà, in fase di acquisizione di una o più deleghe, la visualizzazione di tutte le posizioni contributive legate al codice fiscale del soggetto contribuente indicato. Le posizioni contributive elencate saranno caratterizzate oltre che dal codice della posizione contributiva anche dalla gestione di appartenenza e dal codice unico della posizione registrato nell’anagrafica unica del contribuente.

Durante questa prima fase di rilascio della nuova versione, l’acquisizione delle deleghe è operativa esclusivamente su posizioni contributive afferenti all’area delle aziende con dipendenti. Successivamente, saranno attivate anche l’acquisizione di deleghe per le altre gestioni.

Sul punto, è stato specificato che il cambio di modalità di gestione è completamente trasparente e saranno automaticamente registrate tutte le deleghe attualmente in essere su aziende con dipendenti per cui non sarà necessario alcun intervento da parte dell’utenza esterna.

Operatori di Sede – Anche per gli operatori in sede è stata rilasciata una nuova versione nel portale intranet dell’applicazione di Gestione Deleghe integrata con la nuova piattaforma. La nuova versione, in particolare, permetterà laconsultazione dello stato di attivazione delle deleghe anche a livello di codice fiscale del soggetto contribuente.Anche in questo caso, le posizioni contributive elencate saranno caratterizzate oltre che dal codice della posizione contributiva anche dalla gestione di appartenenza e dal codice unico della posizione registrato nell’anagrafica unica del contribuente.

Autore: redazione fiscal focus

Recupero credito d’imposta. Avviso “sprint” nullo, salvo urgenza

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cassazione Tributaria, sentenza pubblicata il 18 novembre 2015

Salvo comprovati motivi d’urgenza, è nullo l’avviso di accertamento emesso prima del decorso del termine di sessanta giorni di cui all’art. 12 comma 7 dello Statuto dei contribuenti (L. 212/00).

È il principio di diritto ribadito dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (sentenza n. 23547/15, depositata ieri) nel decidere il caso di una società alla quale l’Amministrazione finanziaria, dopo la verifica esperita presso i locali dell’azienda, aveva contestato l’indebita fruizione del credito d’imposta per incremento occupazionale (art. 7 L. n. 388/2000).

La CTR ha ritenuto non sanzionabile con la nullità l’avviso di accertamento emesso senza rispettare, come nel caso di specie, il termine di 60 giorni previsto dall’art. 12 comma 7 della legge 212 del 2000; ma si è trattato di un assunto opportunamente censurato nel giudizio di legittimità.

Anche per l’avviso di recupero del credito d’imposta (v. Cass. n. 19561/2014), valgono i principi espressi dalle Sezioni Unite della Suprema Corte in materia di diritti e garanzie dei contribuenti sottoposti ad accessi, ispezioni o verifiche da parte degli organi di controllo dell’Amministrazione finanziaria.

Le Sezioni Unite (sentenza n. 18184/2013) hanno chiarito che la violazione del termine dilatorio di 60 giorni per l’emissione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del verbale di chiusura delle operazioni di verifica – determina di per sé l’illegittimità dell’atto impositivo emesso anticipatamente, salvo che non ricorrano specifiche ragioni d’urgenza (con onere probatorio sul punto in capo all’Ufficio procedente).

Ebbene, nella sentenza di ieri si legge: “manca nel caso di specie sia l’enunciazione sia la prova dei motivi d’urgenza che avrebbero consentito la notifica del recupero del credito d’imposta prima dei sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, non essendo sufficiente, come affermato dalla CTR, che il pvc fosse noto al contribuente in quanto notificato prima dell’avviso impugnato. Detto termine è infatti posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi di buona fede e collaborazione tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositivo”.

E allora l’impugnata sentenza della CTR è stata cassata, con decisione della causa nel merito. Per l’effetto, il ricorso introduttivo della società contribuente è stato accolto.

Autore: redazione fiscal focus

 

AGEVOLAZIONI PER L’Acquisto di un immobile ristrutturato

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

La detrazione è calcolata sul prezzo di cessione

Premessa – Per la cessione degli immobili ristrutturati, il 50% di detrazione Irpef spettante all’acquirente è calcolato sul 25% del prezzo dell’unità immobiliare risultante nell’atto pubblico di compravendita o di assegnazione.

Detrazione – È prevista una detrazione Irpef anche per gli acquisti di fabbricati, a uso abitativo, ristrutturati. In particolare, la detrazione si applica nel caso di interventi di ristrutturazione riguardanti interi fabbricati, eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie che provvedono, entro 18 mesi dalla data del termine dei lavori, alla successiva alienazione o assegnazione dell’immobile. Questo termine è stato elevato da 6 a 18 mesi dalla legge di stabilità 2015.

Aumento – Anche questa detrazione è stata elevata dal 36 al 50% quando le spese per l’acquisto dell’immobile sono sostenute nel periodo compreso tra il 26 giugno 2012 e il 31 dicembre 2015 e spetta entro l’importo massimo di 96.000 euro (invece che 48.000 euro). Dal 2016 (salvo eventuali proroghe già previste nella bozza della legge di stabilità 2016), la detrazione ritornerà alla misura ordinaria del 36% su un importo massimo di 48.000 euro.

Il calcolo – L’acquirente o l’assegnatario dell’immobile dovrà comunque calcolare la detrazione (del 50 o 36%), indipendentemente dal valore degli interventi eseguiti, su un importo forfetario, pari al 25% del prezzo di vendita o di assegnazione dell’abitazione. Ipotizzando che il 31 dicembre 2014 un contribuente acquisti un’abitazione al prezzo di 200.000 euro. Il costo forfetario di ristrutturazione (25% di 200.000 euro) è di 50.000 euro. La detrazione (50% di 50.000 euro) sarà pari a 25.000 euro.

Ripartizione – La detrazione deve essere sempre ripartita in 10 rate annuali di pari importo. Il limite massimo di spesa ammissibile (48.000 o 96.000 euro) deve essere riferito alla singola unità abitativa e non al numero di persone che partecipano alla spesa. Di conseguenza, questo importo va suddiviso tra tutti i soggetti aventi diritto all’agevolazione. La detrazione si applica quando sono stati effettuati interventi di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia di cui alle lettere c) e d) del comma 1 dell’art. 3 del Dpr 380/2001.

Condizioni – Per fruire della detrazione oltre al fatto che l’acquisto o l’assegnazione dell’unità abitativa deve avvenire entro i termini sopra indicati è necessario che l’immobile acquistato o assegnato faccia parte di un edificio sul quale sono stati eseguiti interventi di restauro e di risanamento conservativo o di ristrutturazione edilizia riguardanti l’intero edificio. L’agevolazione trova applicazione, pertanto, a condizione che gli interventi edilizi riguardino l’intero fabbricato (e non solo una parte di esso, anche se rilevante). Si ricorda che il termine “immobile” deve essere inteso come singola unità immobiliare e l’agevolazione non è legata alla cessione o assegnazione delle altre unità immobiliari, costituenti l’intero fabbricato, così che ciascun acquirente può beneficiare della detrazione con il proprio acquisto o assegnazione.

Compromesso – In caso di stipula del compromesso, per fruire della detrazione occorre che il rogito avvenga entro i termini previsti.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

APPELLO INAMMISSIBILE SE INCOMPLETO IL DEPOSITO

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

E’ inammissibile l’appello principale se la parte omette di depositare, presso la segreteria della Commissione tributaria regionale, copia della ricevuta di spedizione dell’appello eseguita per posta, anche se sono prodotti, in sede di udienza, i soli avvisi di ricevimento delle raccomandate.

Questo è quanto deciso dalla CTR di Catanzaro, con sentenza n. 1537/15, depositata in data 22 ottobre 2015, con la quale è stato dichiarato inammissibile l’appello presentato dall’Agenzia delle entrate per i motivi suesposti.

La costituzione in giudizio

L’articolo 53, comma 2, del D. Lgs. n. 546/1992, dispone che l’appellante, entro trenta giorni dalla proposizione dell’appello, deve costituirsi in giudizio secondo le modalità previste dall’articolo 22, commi 1, 2 e 3, del citato decreto. Pertanto, egli deve depositare presso la segreteria della Commissione tributaria regionale:

  1. copia dell’appello spedito alla controparte, con allegata la fotocopia della ricevuta della raccomandata a. r. di spedizione postale (possibilmente con la cartolina di ritorno), ovvero
  2. copia dell’atto di appello consegnato alla controparte, insieme con la fotocopia della ricevuta di consegna diretta, ovvero
  3. originale dell’atto di appello notificato a mezzo Ufficiale giudiziario (in questo caso alla controparte è stata notificata copia conforme all’originale).

Qualora l’appello sia stato proposto mediante spedizione postale o consegna diretta, l’appellante deve dichiarare la conformità dell’atto depositato o spedito presso la segreteria della Commissione e quello consegnato o spedito alla controparte.

La sentenza

I giudici dell’appello hanno ritenuto inammissibile l’impugnazione posta in essere dall’Agenzia delle entrate, in quanto “l’atto di appello (in copia od in originale), in assenza della ricevuta della spedizione per raccomandata, non risponde allo schema legale previsto ed è altresì inidoneo al raggiungimento del suo scopo, ossia: a) la tempestiva costituzione in giudizio dell’appellante, b) l’impedimento in giudicato della sentenza impugnata”.
Peraltro, scrivono i giudici, il mancato deposito della ricevuta di spedizione, non può essere sanato mediante la tradiva produzione del documento in sede di udienza di trattazione.

Riflessioni

La decisione presa dalla Regionale merita particolare attenzione. Si premette che, l’articolo 22, comma 1, del decreto n. 546/1992, richiamato dal menzionato articolo 53, prescrive che, presso la segreteria della Commissione tributaria regionale, deve essere depositata, oltre alla copia dell’appello, anche la fotocopia della ricevuta di spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale.
L’Agenzia delle entrate, con la circolare n. 36/E del 3 aprile 2001, ha chiarito che il ricorso in appello si intende proposto al momento della spedizione. Da questo momento decorrono i termini per la costituzione in giudizio del ricorrente/appellante. Per la regolare costituzione, quando l’appello è proposto tramite servizio postale, la norma richiede il deposito della sola ricevuta di spedizione, prescindendo dalla prova del perfezionamento della procedura di notifica, costituita dall’avviso di ricevimento. Questo è giustificato dal fatto che, spesso, l’avviso di ricevimento torni nella materiale disponibilità del ricorrente in una data successiva a quella entro cui lo stesso deve costituirsi in giudizio.
Nel caso della sentenza in commento, l’Ufficio ha depositato i soli avvisi di ricevimento, ma non la ricevuta di spedizione dell’appello che, invece, costituisce il documento essenziale per poter dimostrare il rispetto dei termini necessari per proporre il ricorso in appello. D’altro canto, il mancato deposito della ricevuta di spedizione, provoca l’inesistenza della notifica e della conseguente inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio di appello. In altri termini, i giudici di secondo grado, senza la “presa visione” della ricevuta di spedizione, non hanno la possibilità di stabilire se l’appello è stato prodotto nei termini di legge.
Pertanto, si condivide la decisione della Regionale, che ha applicato pedissequamente il dettato normativo disposto dal citato articolo 22, laddove è previsto che l’inammissibilità del ricorso è causata anche dal mancato deposito della fotocopia della ricevuta di spedizione, nel nostro caso, dell’appello.
Per completezza di argomento, va ricordato che, in precedenza, l’articolo 53, comma 2, secondo periodo, del D. Lgs n. 546/1992, prevedeva che l’atto di appello fosse depositato anche presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che aveva pronunciato la sentenza impugnata. L’articolo 36 del D. Lgs n. 175/2014, ha eliminato tale adempimento per gli appelli notificati dal 13 dicembre 2014, corrispondente alla data di entrata in vigore del decreto.

Autore: Francesco Barone

Equitalia: entro il 23 novembre la domanda di riammissione

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Si decade con il mancato pagamento di solo due rate anche non consecutive

Con un comunicato presente sul proprio sito, l’Agente della Riscossione ha reso noto che il termine originario di sabato 21 Novembre per la presentazione della domanda di riammissione alla dilazione di precedenti piani decaduti dal 22 ottobre 2013 al 21 ottobre 2015, è prorogato a lunedì 23 novembre, primo giorno utile lavorativo successivo alla scadenza originaria. La richiesta può essere presentata direttamente agli sportelli del concessionario o tramite raccomandata con ricevuta di ritorno. La domanda è disponibile sul sito di Equitalia: Modulistica – Rateizzazione- RICHIESTA DI RATEIZZAZIONE PER PIANI DECADUTI DAL 22/10/2013 AL 21/10/2015.

Per la riammissione alla rateazione, sono previste condizioni più restrittive rispetto a un primo accesso:
la durata massima non può superare le 72 mensilità (sei anni) e, di conseguenza, anche nelle circostanze di comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica ed estranea alla propria responsabilità, non sarà mai concessa al soggetto riammesso al beneficio la possibilità di accedere a un piano di rateazione straordinario fino a dieci anni; il nuovo piano non è prorogabile e decade con il mancato pagamento di solo due rate anche non consecutive.

Al momento, i primi dati ufficiali, evidenziano che le domande presentate sono pari a 18.688; l’88,2%, ossia 16.474 è stato accolto, per un importo collegato alla rateazione pari a € 426 mln e 134 mila euro.

Si ricorda che Il contribuente che ha ottenuto la riammissione al beneficio della rateazione, non sarà più considerato inadempiente, e cosa rilevante, potrà, se si tratta di un’impresa, riottenere Il DURC e il certificato di regolarità fiscale, il cui possesso è condizione essenziale per partecipare ad appalti di lavori, forniture e servizi.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Estromissione immobili impresa individuale: è la volta buona!

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

E’ stata approvata dalla Commissione Bilancio del Senato la proposta di modifica alla Legge di Stabilità che prevede l’estromissione agevolata degli immobili dalle imprese individuali.

La proposta – Viene data in sostanza all’imprenditore individuale, che alla data del 31 ottobre 2015 possiede beni immobili strumentali, la possibilità di optare entro il 31 maggio 2016 per l’esclusione dei predetti immobili dal patrimonio dell’impresa.

Per la determinazione della base imponibile e dell’imposta sostitutiva si rimanda a quanto previsto per l’assegnazione degli immobili ai soci.

Questo significa in termini pratici che la fuoriuscita dell’immobile dal perimetro dell’impresa sconterà una tassazione sostituiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP pari all’8%, che dovrà essere applicata sulla differenza tra il valore catastale del bene e il suo costo fiscale.
Estromissione immobili e Finanziaria 2008 – Da evidenziare che questa non è la prima volta che si introducono norme volte a permettere agli imprenditori in crisi la fuoriuscita dei beni dalla sfera d’impresa. In particolare, l’art. 1, comma 37, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Finanziaria 2008) dava facoltà agli imprenditori individuali di procedere all’esclusione dei beni immobili strumentali dal patrimonio dell’impresa, mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva.
L’esclusione dell’immobile dal patrimonio comportava il pagamento di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e dell’IRAP nella misura del 10% della differenza tra il valore normale dei beni e il relativo valore fiscale. Per gli immobili la cui estromissione rilevava come cessione soggetta a IVA ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, n. 5, D.P.R. 633/72 l’imposta sostitutiva era aumentata di un importo pari al 30% dell’Iva calcolata mediante applicazione al valore normale dell’aliquota propria del bene. Il carattere strumentale dell’immobile doveva essere verificato a una certa data e gli immobili potevano essere strumentali per natura o per destinazione. L’opzione per fruire dell’agevolazione doveva essere effettuata entro una data limite e aveva effetto dal 1° gennaio dell’anno successivo a quella data.
Il tentativo andato a vuoto – Altro tentativo di introdurre l’estromissione agevolata degli immobili dall’impresa individuale è stato effettuato nel 2012 (DDL 3375). Le notevoli difficoltà che la crisi economica stava causando a tanti piccoli imprenditori che si trovavano a fare i conti con la possibile chiusura della propria impresa ha portato alla presentazione del disegno di legge D.D.L. 3375 che riguardava l’estromissione agevolata degli immobili strumentali dall’impresa individuale.
Il disegno di legge riproponeva sostanzialmente i precedenti interventi normativi sul tema sennonché mentre i precedenti interventi normativi avevano una durata limitata nel tempo, il disegno di legge in esame garantiva una sorta di continuità nel tempo, cioè l’applicabilità in ogni periodo d’imposta.
La proposta – E’ proprio questo a nostro avviso l’obiettivo che dovrebbe porsi in Legislatore: introdurre una norma “stabile” piuttosto che disposizioni occasionali. Simili obiettivi garantirebbero certezza nella determinazione delle scelte imprenditoriali nel tempo. Al contrario, norme di carattere transitorio non consento all’imprenditore di poter effettuare delle puntuali previsioni di lungo periodo, date le numerose variabili da considerare, in primis quella relativa all’impianto legislativo di riferimento sottoposto a modifiche continue.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

RESPONSABILI DEL BOLLO PER AUTO IN LEASING

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

A chi spetta il pagamento del tributo

Con la sentenza 3526/27/2015 CTR Lombardia pronunciata il 19 giugno 2015 (deposito del 29 luglio) viene stabilito che l’utilizzatore è l’unico contribuente responsabile al versamento della tassa sulla circolazione alla Regione (“bollo auto”) in caso di leasing.

La norma

Tutto ruota sull’interpretazione dell’articolo 7 della Legge 99/2009, in vigore dal 15 agosto 2009, il quale stabilisce che, in caso di locazione finanziaria, il pagamento del tributo non ricada più sul concedente (società di leasing), ma solo sull’utilizzatore.

La normativa sopra indicata ha previsto che il soggetto passivo va identificato con chi materialmente utilizza il bene. Nello specifico, quindi sono da considerarsi soggetti passivi gli usufruttuari, gli acquirenti con patto di riservato dominio, ed il locatario (in caso di leasing o noleggio).

Sulla questione va sottolineato che era intervenuto anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) che con una specifica Nota del 27 giugno 2012 aveva stabilito che, non vi era alcuna soggettività passiva della società di leasing nel pagamento del bollo auto, poiché lo stesso era ad esclusivo carico del locatario.

La solidarietà passiva

Nel merito della questione è appena il caso di ricordare che la solidarietà passiva si verifica quando più debitori sono tutti obbligati per la medesima prestazione in modo che ciascuno di essi può essere costretto all’adempimento per l’intero tributo e il pagamento di uno libera tutti gli altri.

In ambito fiscale il classico esempio di solidarietà passiva si verifica nel campo dell’imposta di registro dove debitore principale è l’acquirente, ma in via di regresso potrebbe essere chiamato al pagamento pure il venditore, per cui entrambi sia pur a diversi livelli sono “responsabili solidali” per il tributo.

L’obbligazione solidale rappresenta una maggior garanzia per il soggetto che è creditore. Il vincolo solidale, infatti, rende più sicuro il diritto dell’ente creditore.

La nota dell’Agenzia delle Entrate

Sul punto sia pur in maniera non esplicita è possibile trovare una presa di posizione anche dell’Agenzia delle entrate (vedasi agg.2012 “Guida al pagamento del bollo auto e moto 2010) che ha avuto modo di esprimere lo stesso concetto sviluppato dal Mef nella nota (sopracitata) del 27/06/2012, ossia che l’unico soggetto responsabile del tributo sia l’utilizzatore.

Nonostante questo, però, molte Regioni fra cui, in primo luogo Lombardia ed Emilia Romagna, hanno protratto la richiesta di pagamento della tassa anche alle società di leasing diversamente invocando la presenza di un regime di responsabilità solidale con l’utilizzatore, provocando così, un nutrito contenzioso nel merito.

La norma di interpretazione autentica.

Sulla questione si deve ora segnalare l’approvazione di una norma di interpretazione autentica (art. 9 comma 9 bis Dl 78/2015) che dovrebbe mettere fine ad ogni tipo di contesa.

L’articolo citato stabilisce, infatti, che in caso di contratto di leasing il contribuente tenuto al pagamento della tassa automobilistica è solo l’utilizzatore non prevedendo alcuna responsabilità solidale del concedente.

L’unica eccezione a tale regola viene ammessa solo nell’ipotesi in cui il concedente provveda, a seguito di accordo fra le parti, ad effettuare il versamento cumulativo dei bolli auto dovuti per i periodi di tassazione compresi nella durata dei contratti di leasing stipulati secondo le modalità stabilite dall’Ente competente (circolare serie fiscale 23/2015 Assileia).

In relazione a quanto evidenziato vi è così l’auspicio che anche i funzionari della regione si conformino con il chiaro orientamento espresso dal legislatore (nonché dalla giurisprudenza), e questo non solo in rapporto alla gestione delle nuove pratiche (dove si rende possibile l’intervento in autotutela), ma anche con un’opportuna rinuncia al contenzioso ove esistente.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Start up innovative e assunzioni IN DIFETTO

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Secondo il Mise si mantiene l’iscrizione nella sezione speciale

L’art. 25 del Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179 definisce la start-up innovativa come una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano oppure Società Europea, le cui azioni o quote non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione. Vi rientrano, pertanto, sia le srl (compresa la nuova forma di srl semplificata o a capitale ridotto), sia le spa, le sapa, sia le società cooperative.

La società per essere definita start-up deve possedere alcuni seguenti requisiti tra i quali:

  • deve essere costituita e operare da non più di 60 mesi (modificato dal d.l. 3/2015);
  • è residente in Italia ai sensi dell’art. 73 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, o in uno degli stati membri dell’Unione Europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, purchè abbia una sede produttiva o una filiale in Italia (modificato dal d.l. 3/2015);
  • il totale del valore della produzione annua, a partire dal secondo anno di attività, non deve superare i 5 milioni di euro;
  • non deve distribuire o aver distribuito utili;
  • deve avere quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico;
  • non deve essere stata costituita per effetto di una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda.
  • impiegare personale altamente qualificato per almeno un terzo della propria forza lavoro ovvero in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva di personale in possesso di laurea magistrale ai sensi dell’art. 4 del d.m. n. 270/2004 (così integrato con d.l. n. 76/2013.

In relazione proprio a questo ultimo punto è da sottolineare che secondo il Mise non perde la qualifica di start-up innovativa la società che successivamente alla sua iscrizione nel registro delle imprese nella apposita sezione speciale, procede all’assunzione di soggetti in possesso di laurea triennale, a condizioni però che la stessa rispetti almeno un altro requisito indicato nella lettera h, punto 2 del D.L. 179/2012, ossia:

  • sostenere spese in ricerca e sviluppo in misura pari o superiore al 20 per cento del maggiore importo tra il costo e il valore della produzione; (percentuale ridotta al 15% con d.l. n. 76/2013);
  • essere titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa ad una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una varietà vegetale ovvero sia titolare dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, purchè tali privativesiano direttamente afferenti all’oggetto sociale e all’attività di impresa. (così integrato con d.l. n. 76/2013).

Quindi nel caso in cui vengano meno i requisiti relativi al personale qualificato, rispettando comunque almeno un’altra prescrizione contenuta nella lettera h dell’art. 25 comma 2 del D.L. 179/2012, la start up innovativa mantiene la sua iscrizione nella sezione speciale del Registro delle imprese riservata alle start up, provvedendo comunque all’opportuna pubblicità del mutamento delle condizioni ai fini dell’iscrizione nella sezione sopra citata.

Autore: redazione fiscal focus

Novità Legge di Stabilità: canone RAI, estromissione immobili, sconto IMU

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Gli emendamenti approvati in Commissione Bilancio del Senato

Numerosi gli emendamenti approvati ieri in Commissione Bilancio del Senato. Viene confermata la misura che prevede l’estromissione “agevolata” degli immobili strumentali dall’impresa individuale, viene introdotta una norma per evitare la corresponsione di affitti in nero, canone rai rateizzato e con franchigia di 8mila euro.

Estromissione immobili impresa individuale – Viene data in sostanza all’imprenditore individuale, che alla data del 31 ottobre 2015 possiede beni immobili strumentali, la possibilità di optare entro il 31 maggio 2016 per l’esclusione dei predetti immobili dal patrimonio dell’impresa.
Per la determinazione della base imponibile e dell’imposta sostitutiva si rimanda a quanto previsto per l’assegnazione degli immobili ai soci.

Questo significa in termini pratici che la fuoriuscita dell’immobile dal perimetro dell’impresa sconterà una tassazione sostituiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP pari all’8%, che dovrà essere applicata sulla differenza tra il valore catastale del bene e il suo costo fiscale.

Contrasto agli affitti in nero – Per evitare la corresponsione di affitti in nero si prevede cheÈ nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato”, prevedendo inoltre che “il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, può chiedere la restituzione delle somme corrisposte in misura superiore al canone risultante dal contratto scritto e registrato”.

Fondo per il credito alle aziende vittime di mancati pagamenti – Approvato un emendamento che prevede l’istituzione, presso il ministero dello Sviluppo economico, di un Fondo per il credito alle aziende vittime di mancati pagamenti, con una dotazione di 10 milioni di euro all’anno per il triennio 2016-2018.

Canone RAI: rateizzato e con franchigia – Confermata la misura che prevede la corresponsione del Canone RAI con il pagamento della bolletta elettrica, prevedendo tuttavia che l’importo sia suddiviso in dieci rate mensili, addebitate sulle fatture emesse dall’impresa elettrica aventi scadenza del pagamento immediatamente successiva alla scadenza delle rate. Si prevede inoltre che non siano tenuti alla corresponsione del Canone RAI i soggetti con età maggiore a 65 anni e reddito inferiore a 8.000,00 euro.

Chi affitta la seconda casa a canone concordato fruisce di uno sconto IMU del 25% – Uno sconto del 25% ai proprietari di secondo case che le affittano a canone concordato.

Meno risorse al SUD – L’imminente esigenza di aumentare le risorse per la sicurezza vienegarantita riducendo le risorse originariamente previste per il mezzogiorno.

Autore: redazione fiscal focus

Bancarotta. Il “nero” non salva l’imprenditore

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cassazione Penale, sentenza depositata il 17 novembre 2015

All’imprenditore accusato di bancarotta fraudolenta non giova invocare la circostanza dei pagamenti “in nero” ai dipendenti se la somma “distratta” è molto ingente, tanto che il lavoro si sarebbe dovuto svolgere pure di notte.

È quanto emerge dalla sentenza n. 45665/2015 della Quinta Sezione Penale della Cassazione.

La Suprema Corte si è occupata del caso di tre soggetti processati per fatti di bancarotta fraudolenta per avere, secondo l’accusa, tenuto libri e scritture contabili in maniera da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del volume d’affari della fallita (della quale erano stati pure distratti beni strumentali), nonché per aver sottratto un’ingente somma (circa un miliardo delle vecchie lire) registrata in contabilità sotto il conto “finanziamento ai soci”.

I giudici di merito hanno sposato le tesi dell’accusa e quindi inflitto la pena della reclusione a tutti i coimputati. Ne è conseguito il giudizio di cassazione, che però è terminato con la conferma del giudizio di responsabilità penale.

La Corte territoriale, ad avviso degli ermellini, non ha commesso nessuno degli errori denunciati dagli imputati. In particolare, il giudice di secondo grado ha giustamente ritenuto poco credibile l’asserzione difensiva concernente la destinazione della somma indicata come “distratta” al pagamento in nero degli operai.

In sentenza sul punto si legge: “per quanto concerne la destinazione della somma indicata come distratta al pagamento in nero degli operai, i quali in dibattimento hanno confermato di essere stati pagati fuori busta paga, non si presenta illogica la motivazione fornita dalla Corte territoriale circa la non plausibilità di tale versione, per essere davvero ingenti le somme in questione, tali che i dipendenti avrebbero dovuto lavorare anche di notte per giustificare importi sì elevati e comunque nell’anno contestato, erano stati già tutti licenziati, dunque non c’era necessità di corrispondere straordinari in nero”.

I ricorrenti dovranno pagare le spese processuali del grado.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Omaggi beni propri: imposte indirette

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Nella generalità dei casi, gli omaggi corrisposti ai clienti da parte delle imprese hanno per oggetto beni che esulano dal proprio core business. Può accadere però che vengano omaggiati beni ordinariamente prodotti o commercializzati dalla stessa impresa.

In tale caso, è necessario valutare attentamente il trattamento fiscale dell’operazione.

Gli omaggi di beni rientranti nell’attività d’impresa, secondo le indicazioni fornite dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 188/E/1998, non costituiscono spese di rappresentanza.

Pertanto:

  • l’IVA assolta all’atto dell’acquisto è detraibile. Non trova, infatti, applicazione la previsione di indetraibilità oggettiva di cui all’art. 19-bis1 co. 1 lett. h) del D.P.R. 633/72;
  • la cessione gratuita è imponibile IVA indipendentemente dal costo unitario dei beni (art. 2 comma 2 n. 4 del D.P.R. 633/72).

E’ da rilevare tuttavia che l’art. 16 della Direttiva 2006/112/UE non distingue tra omaggi di beni propri e omaggi di beni non rientranti nell’attività d’impresa, ma fa esclusivo riferimento a “omaggi di scarso valore”. Conformemente a quanto sancito nella Direttiva comunitaria, il D.M. 19.11.2008 non differenzia tra “beni oggetto” e “beni non oggetto” dell’attività e pertanto possono essere “di rappresentanza” le spese sostenute sia per gli uni che per gli altri beni, superando, in tal modo, le indicazioni fornite dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 188/E/1998.

Ritenendo valida tale interpretazione:

  • indipendentemente che la spesa relativa al bene da omaggiare possa o meno essere qualificata di rappresentanza, l’impresa ha la possibilità di scegliere di non detrarre l’IVA a credito relativa all’acquisto dei beni oggetto dell’attività e destinati a essere ceduti come omaggio, al fine di non assoggettare a IVA la successiva cessione gratuita.

Da un punto di vista pratico, dunque, qualora all’atto dell’acquisto o della produzione del bene già si preveda che tale bene sia destinato ad essere omaggiato piuttosto che essere destinato alla ordinaria commercializzazione, si potrà decidere di non detrarre l’IVA così da rendere la successiva cessione esclusa dal campo di applicazione dell’IVA ai sensi dell’art. 2 comma 2 n. 4 del D.P.R. 633/72.

E’ da segnalare inoltre che in merito all’effettiva imponibilità dell’operazione, qualora se ne verifichino i presupposti, è necessario distinguere a seconda della destinazione dell’omaggio.

Infatti, l’operazione sarà imponibile sia per gli omaggi destinati al consumo in Italia che per gli omaggi destinati al consumo in altri paesi UE, mentre la stessa sarà non imponibile se destinata al consumo in paesi extra – comunitari.

Ai beni (rientranti nell’attività d’impresa) che vengono ceduti gratuitamente a clienti o potenziali clienti comunitari non si applica la normativa comunitaria ma, bensì, la normativa interna, come chiarito dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. n. 13/1994, par. 2.1. Trattandosi infatti di operazioni nelle quali manca il requisito dell’onerosità, queste devono essere trattate come cessioni interne.

Ai beni (rientranti nell’attività d’impresa) che vengono ceduti gratuitamente a clienti o potenziali clienti extra – comunitari dovrà essere applicato il regime di non imponibilità previsto per le esportazioni. Questo perché l’art. 8, D.P.R. 633/1972, ai fini dell’applicazione del regime di non imponibilità non richiede, a differenza di quanto previsto per le cessioni intracomunitarie, che la cessione avvenga a titolo oneroso. Da rilevare che le suddette operazioni pur usufruendo del regime di non imponibilità, non sono rilevanti ai fini della formazione del plafond degli esportatori abituali (nota ministeriale 10367/1998).

Nel caso in cui si verifichino le condizioni per la cessione gratuita imponibile IVA si dovrà procedere alla determinazione della base imponibile e ad espletare gli obblighi documentali.

In tal senso, la base imponibile è rappresentata, ai sensi dell’art. 13, DPR n. 633/72, “dal prezzo di acquisto o, in mancanza, dal prezzo di costo dei beni o di beni simili, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni”.

Inoltre, è da tenere in debita considerazione chela rivalsa dell’IVA non è obbligatoria, come disposto dall’art. 18, DPR n. 633/72.

Di conseguenza, come spesso accade, l’IVA rimane quindi a carico del cedente e costituisce per quest’ultimo un costo indeducibileex art. 99, comma 1, TUIR.

Ai fini pratici, si potrà:

  • emettere una fattura con applicazione dell’IVA, senza addebitare la stessa al cliente, specificando che trattasi di “omaggio senza rivalsa dell’IVA ex art. 18, DPR n. 633/72;
  • emettere un’autofattura in unico esemplare, con indicazione del valore dei beni come sopra individuato (prezzo di acquisto o di costo), dell’aliquota e della relativa imposta, specificando che trattasi di “autofattura per omaggi”. La stessa può essere:
    • singola per ciascuna cessione (“autofattura immediata”);
    • globale mensile per tutte le cessioni effettuate nel mese (“autofattura differita”).

In alternativa, si potrà tenere il registro degli omaggi, sul quale annotare l’ammontare complessivo delle cessioni gratuite effettuate in ciascun giorno, distinte per aliquota.

Autore: redazione fiscal focus

Stabile organizzazione personale: il nuovo indirizzo dell’OCSE

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Nell’ambito del progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting), l’OCSE propone una definizione più stringente di stabile organizzazione personale, al fine di disincentivare comportamenti elusivi.

Va preliminarmente osservato che la definizione di stabile organizzazione personale è rinvenibile nell’art. 5, par. 5, del modello OCSE, laddove si prevede che affinché si configuri la fattispecie della stabile organizzazione personale, devono verificarsi:

  • il requisito soggettivo: le persone che possono configurare la stabile organizzazione personale sono gli agenti «dipendenti» a prescindere dal fatto che l’agente sia una persona fisica o una persona giuridica;
  • il requisito oggettivo: l’agente dispone di poteri che gli consentano di concludere contratti a nome dell’impresa e tali poteri devono essere esercitati abitualmente. Sono escluse le attività con carattere preparatorio e ausiliario.

Per ciò che attiene il requisito oggettivo, la configurazione della stabile organizzazione personale avviene se l’ agente “dipendente” ha il potere di concludere contratti a nome della stessa e tale potere viene esercitato abitualmente. Il potere di concludere contratti a nome dell’impresa indica il possesso da parte dell’agente del potere di rappresentanza e dunque stipulare atti in nome e per conto del proponente.

Proprio su questo aspetto interviene l’OCSE, precisando che la configurazione di una stabile organizzazione personale avviene ogni qualvolta un soggetto svolga abitualmente il ruolo decisivo nella conclusione di contratti che vengono sistematicamente perfezionati senza sostanziali modifiche da parte dell’impresa estera.

Si tratta di una condizione stringente, in quanto il solo fatto che l’agente dipendente intervenga in modo decisivo nella conclusione di contratti, anche se questi vengono poi sottoscritti dal mandante non residente, è condizione sufficiente per la configurazione della stabile organizzazione personale. Stabilire quando l’agente ha un ruolo decisivo nella conclusione dei contratti è estremamente complicato.

L’attuale versione del Commentario al Modello OCSE non si distacca da tale interpretazione: prevede infatti che il potere di concludere contratti in nome dell’impresa estera non è legato alla sottoscrizione materiale dell’atto, in quanto il potere di negoziare tutti gli elementi e dettagli di un contratto in modo vincolante per l’impresa estera già di per sé costituisce l’esercizio del potere di concludere contratti in nome dell’impresa estera.

In tal senso è opportuno evidenziare che già la Suprema Corte in alcune pronunce ha sancito l’esistenza della Stabile organizzazione personale in presenza di agenti dipendenti che svolgessero un ruolo chiave nella conclusione dei contratti, senza che quest’ultimi provvedessero alla stipula degli stessi.

In particolare, la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con la sentenza 17.01.2013, n. 1120, ha affrontato lo spinoso tema della c.d. stabile organizzazione personale, con particolare riferimento alle prove necessarie a dimostrare che l’agente dipendente abbia esercitato il potere di concludere contratti in nome e per conto della società estera.

I Giudici di Legittimità hanno affermato il principio secondo cui la configurazione della stabile organizzazione personale in territorio nazionaleavviene quando il fine dei soggetti operanti in territorio italiano è quello di esercitare – in modo non sporadico o occasionale – un’attività economica, che può consistere anche nella sola conclusione di contratti in nome e nell’interesse di una società non residente.

La Cassazione nell’accogliere il ricorso proposto dall’Amministrazione Finanziaria afferma che la rilevante attività negoziale svolta dal legale rappresentate della società estera in territorio italiano, comprovato da elementi probatori a carattere indiziario e presuntivo, considerati globalmente e nella loro reciproca connessione, costituiscono condizione sufficiente per configurare la stabile organizzazione personale.

Nelle conclusioni della Suprema Corte, contrariamente alle indicazioni dell’OCSE, non sono offerti elementi circa l’attività diretta del legale rappresentante della società estera che abbiano contribuito alla conclusione dei contratti stipulati dalla società estera in Italia.

Ciò che si vuole evidenziare è che già ora che le condizioni sono meno stringenti per la configurazione della stabile organizzazione personale, l’indirizzo giurisprudenziale tende a considerare anche solo la partecipazione alla conclusione dei contratti condizione sufficiente per la configurazione della stabile organizzazione personale.

Autore: redazione fiscal focus

Start up innovative per l’affitto d’azienda

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Secondo il Mise non ci sono preclusioni

Premessa – E’ possibile l’istituzione di una start-up innovative se questa è stata costituita a seguito di affitto d’azienda. Questo è quanto affermato dal Ministero dello Sviluppo economico in risposta ad una specifica domanda.

Start up innovative – Con la Legge 221/2012, che ha convertito il Dl Crescita 2.0, viene introdotta per la prima volta nell’ordinamento del nostro Paese la definizione di nuova impresa innovativa, la startup innovativa: per questo tipo di impresa viene predisposto un quadro di riferimento articolato e organico a livello nazionale che interviene su materie differenti come la semplificazione amministrativa, il mercato del lavoro, le agevolazioni fiscali e il diritto fallimentare.

Parere – Con il parere (prot. n. 155183 del 3 settembre 2015) stato posto un quesito al MISE inerente il caso delle start-up innovative e l’affitto d’azienda o ramo d’azienda. In particolare, la normativa di riferimento (art. 25, comma 2, lett. g), del D.L. n. 179/2012) afferma che non è possibile la costituzione di una start-up innovative se questa è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda. Non è mai preso in considerazione l’istituto dell’affitto del ramo di azienda e questo potrebbe voler significare, secondo l’istante, che in tale situazione la Start-up innovativa sia attuabile.

Riferimenti normativi – Il Ministero si era già pronunziato in passato (con nota diretta alla CCIAA di Rimini dell’8 ottobre 2013, n. 164029), affermando la tassatività del divieto contenuto nella declaratoria di cui alla lettera g) del comma 2, sopra riportata. Il criterio ispiratore della più recente ermeneutica, è improntato a quanto espressamente previsto dall’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, secondo cui “le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all’accesso ed all’esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l’iniziativa economica privata e’ libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all’ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l’utilità sociale, con l’ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica.”. In altri termini detti limiti devono essere considerati e valutati dalla pubblica amministrazione ricevente la domanda, nel caso l’ufficio del registro delle imprese, ma sempre nello spirito generale della norma (rilancio dell’economia e crescita del Paese) e nell’ambito della prescrizione generale di cui all’articolo 1, comma 2 sopra richiamato.

La risposta del MISE – Tanto premesso, il Ministero conviene con l’istante, nella specifica esclusione operata dal legislatore (nell’ambito della lettera g) della fattispecie dell’affitto dell’azienda o di un suo ramo. Da un punto di vista generale, se è vero che l’art. 2556 del Codice civile, accomuna le due fattispecie (cessione ed affitto) in unica norma, in realtà opera tale confusione solo ai fini della forma e della pubblicità dei relativi contratti. Sotto il profilo sostanziale, l’art. 2562 del Codice civile, rimanda alla disciplina dell’usufrutto d’azienda e non a quella generale della cessione d’azienda (o suo ramo) stante la natura provvisoria del trasferimento, il differente animus (possesso nel caso della cessione, godimento nel caso dell’affitto), e l’obbligo di restituzione finale, oltre agli obblighi ricorrenti. Se ne deduce una complessiva differenza tra i due istituti. Certamente sotto il profilo teleologico, la volontà insita nella disposizione del legislatore del D.L. 179, è quella di evitare che si creino delle start-up innovative frutto di spin-off di precedenti esperienze consolidate, che non avrebbero i requisiti di fondo che il legislatore lega alla figura della start-up stessa. In ogni caso la volontà espressa dal legislatore nella lettera g) del comma 2, appare chiara e tassativa, ed in virtù del criterio ermeneutico sopra richiamato porta alla conclusione della ammissibilità della fattispecie prospettata nel quesito.

Autore: redazione fiscal focus

Quadro RW: la dichiarazione integrativa non sana la violazione

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Il quadro RW deve essere compilato, ai fini del monitoraggio fiscale, dalle persone fisiche residenti in Italia che detengono investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria a titolo di proprietà o di altro diritto reale indipendentemente dalle modalità della loro acquisizione e, in ogni caso, ai fini dell’Imposta sul valore degli immobili all’estero (IVIE) e dell’Imposta sul valore dei prodotti finanziari dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero (IVAFE). L’obbligo di monitoraggio non si configura per i depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d’imposta non sia superiore a 10.000 euro (art. 2, comma 4-bis, del Decreto Legge 28 gennaio 2014, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2014, n. 50); resta fermo l’obbligo di compilazione del quadro laddove sia dovuta l’IVAFE.

Cosa succede nel caso in cui il contribuente obbligato alla compilazione del quadro Rw, non provvede alla sua presentazione? È possibile sanare la mancata presentazione con la dichiarazione integrativa?

Innanzitutto andiamo a ricordare quella che è la funzione della dichiarazione integrativa, rimarcando che la stessa interviene laddove emergono errori nella compilazione delle dichiarazioni UNICO, IRAP e IVA presentate dai contribuenti. Può trattarsi di errori dovuti alla semplice errata digitazione di un importo così come quelli derivanti da un’errata valutazione di un onere da dedurre o anche a una semplice dimenticanza nel dichiarare un reddito. Qualora il contribuente si accorga dell’errore commesso, nelle ipotesi in cui i termini di presentazione della dichiarazione siano già scaduti, può rettificarla o integrarla presentando una nuova dichiarazione denominata “Dichiarazione integrativa” entro la scadenza prevista per la dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo. In tal caso potrà applicare le regole del ravvedimento operoso, usufruendo di sanzioni ridotte a un ottavo del minimo.

Se invece il contribuente presenterà la dichiarazione integrativa a sfavore oltre i termini del ravvedimento, ma comunque entro i termini per l’accertamento (31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione), non vengono applicate le riduzioni alle sanzioni; Nel caso di mancata compilazione del quadro la dichiarazione integrativa non risana la violazione; parliamo di una violazione sostanziale e non formale in quanto i dati eventualmente indicati consentono all’Amministrazione di conoscere le disponibilità estere anche se non producono reddito imponibile; la dichiarazione integrativa non consente di far venir meno la sanzione irrogata per la mancata presentazione della sanzione corretta nei termini previsti. La stessa dichiarazione opera ai fini della ridefinizione del reddito imponibile, ma non elimina la sanzione. Il raddoppio dei termini ai fini dell’accertamento riveste rilevanza ai fini processuali, in quanto l’operatività dei termini normali di accertamento potrebbe portare il contribuente ad eccepire la scadenza dei termini utili ai fini della contestazione della violazione.

Autore: redazione fiscal focus

Antiriciclaggio: depenalizzati i reati

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Finalmente uno spiraglio di luce nella complessa disciplina antiriciclaggio e la prospettiva di una riformulazione delle pesanti sanzioni previste.

A trasformare le sanzioni penali di cui al D.Lgs. 231/2007 in sanzioni amministrative non sarà, per ora, il decreto di recepimento della nuova IV direttiva Ue, ma, anticipando i tempi, le riforme potrebbero arrivare dallo schema di decreto legislativo in materia di depenalizzazione.

Le novità previste dal decreto depenalizzazione

Lo schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di depenalizzazione, prevede, all’articolo 1, che “non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda”.

La nuova sanzione amministrativa sarà quindi determinata sulla base di quella che è l’attuale misura della pena pecuniaria prevista.

Più precisamente, potrà essere irrogata:

  • una sanzione da euro 5.000 ad euro 10.000 per i reati puniti con la multa o l’ammenda non superiore, nel massimo, a 5.000 euro;
  • una sanzione amministrativa da euro 5.000 ad euro 30.000 per i reati puniti con la multa o l’ammenda non superiore, nel massimo, a 20.000 euro;
  • ed, infine, una sanzione amministrativa da euro 10.000 ad euro 50.000 per i reati puniti con la multa o l’ammenda superiore a 20.000 euro.

L’impatto sulla disciplina antiriciclaggio

Come noto anche la disciplina antiriciclaggio contempla delle violazioni penalmente rilevanti per le quali è prevista esclusivamente la pena pecuniaria.

Con specifico riferimento ai professionisti tenuti al rispetto degli obblighi antiriciclaggio, l’articolo 55 del D.Lgs. 231/2007 prevede infatti che:

  • la violazione degli obblighi di identificazione è punita con la multa da euro 2.600 a 13.000 euro;
  • l’omessa, tardiva o incompleta registrazione è punita con la multa da euro 2.600 a 13.000 euro.

In entrambi i casi, con l’eventuale approvazione del decreto, le condotte non sarebbero più penalmente rilevanti, ma sarebbe prevista una sanzione amministrativa da euro 5.000 ad euro 30.000.

Le riforme sperate

A seguito delle novità introdotte non vengono eliminate le sanzioni antiriciclaggio, ma le condotte penalmente rilevanti potranno in futuro essere soggette alla sola sanzione amministrativa.

E’ tuttavia da rilevare come quest’ultima potrebbe essere più elevata, in termini economici, di quella attualmente prevista dal D.Lgs. 231/2007.

Mentre la sanzione attualmente prevista è infatti pari, nel massimo, ad una multa di euro 13.000, in futuro la sanzione amministrativa pecuniaria potrebbe raggiungere i 30.000 euro, ovvero più del doppio.

Inoltre, la “forbice” prevista dal legislatore appare sicuramente molto ampia: la sanzione può infatti essere compresa tra i 5.000 e i 30.000 euro. Questo punto va contro tutte le istanze finora avanzate.

Nonostante il possibile intervento riformatore, ci si augura quindi che il legislatore prenda contezza dell’attuale e persistente inadeguatezza del sistema sanzionatorio e possa, in occasione del recepimento della IV Direttiva, rivedere interamente la materia.

L’inadeguatezza e la non proporzionalità del sistema sanzionatorio previsto dal D.Lgs. n. 231/2007 è stato infatti più volte oggetto di attenzione, e, già da tempo, opera presso il Ministero dell’economia e delle finanze un tavolo tecnico volto alla revisione delle sanzioni irrogabili in caso di violazione della disciplina antiriciclaggio.

La speranza è quella che le sanzioni penali siano relegate ai soli casi in cui la violazione sia connessa all’utilizzo di dati e di documenti falsi, senza che possano rilevare, invece, mere inefficienze organizzative degli studi.

Le critiche del CNDCEC

Sicuramente critica è stata la posizione espressa dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili sulle riforme previste.

Come è stato infatti rilevato dal presidente, Gerardo Longobardi, “nel predisporre gli schemi dei decreti legislativi attuativi della delega contenuta nella legge n. 67/2014, relativa alla revisione del sistema sanzionatorio vigente si è posta l’attenzione anche su alcune sanzioni penali previste dalla normativa antiriciclaggio. Ne sono risultate depenalizzate, seppure indirettamente, le condotte previste dall’art. 55 del d.lgs. 231/2007, relative alla violazione degli obblighi di identificazione del cliente e di quelli di registrazione dei dati e delle informazioni acquisiti per l’adeguata verifica della clientela.

Un intervento che, paradossalmente, determinerà un sostanziale raddoppio dell’edittalità delle sanzioni pecuniarie attualmente previste a carico dei professionisti. La sanzione minima aumenterà infatti da € 2.600 a € 5.000 e quella massima da € 13.000 a € 30.000”.

L’effetto, pertanto, è soltanto quello di produrre un aggravio delle sanzioni pecuniarie a fronte di comportamenti che, il più delle volte, costituiscono dei meri inadempimenti formali.

Come ricordato a tal proposito dal Consigliere nazionale delegato all’antiriciclaggio, Attilio Liga, la speranza è quindi quella che “in sede di dibattito parlamentare si attui il necessario coordinamento tra le disposizioni generali contenute negli schemi dei provvedimenti attuativi della legge n. 67/2014 e l’esigenza di revisione delle sanzioni antiriciclaggio previste a carico dei professionisti, che già nella loro formulazione attuale appaiono assolutamente sproporzionate e irragionevoli. Questa, del resto, è un’esigenza condivisa anche dalle istituzioni, al punto da aver promosso la nascita del tavolo tecnico”.

Autore: Lucia Recchioni

Riaperta l’estromissione dell’immobile strumentale dell’imprenditore

Riaperta l’estromissione dell’immobile strumentale dell’imprenditore

La delega “in bianco” blocca l’accertamento

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Sentenza della CTP di Caserta che fa proprio il più recente orientamento della SC in materia di sottoscrizione degli atti di accertamento

La Sezione Tributaria della Cassazione con le sentenze n. 22810 e 22803 del 9 novembre 2015 ha enunciato importanti principi in tema di sottoscrizione degli avvisi di accertamento. Per la Suprema Corte, se da un lato sono validi gli atti sottoscritti dai funzionari delle Agenzie fiscali decaduti dall’incarico dirigenziale per effetto della sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale, dall’altro deve ritenersi affetto da nullità l’avviso di accertamento firmato sulla base di una delega “in bianco”, cioè priva del nominativo del soggetto delegato dal capo dell’ufficio.

In Cass. n. 22810/2015 si legge che l’art. 42 del D.P.R. 600/73 impone sotto pena di nullità che l’atto sia sottoscritto dal “capo dell’ufficio” o “da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato e che la norma quindi non richiede che il capo dell’ufficio o il funzionario delegato abbia a rivestire anche una qualifica dirigenziale. E allora, essendo la materia tributaria governata dal principio di tassatività delle cause di nullità degli atti fiscali e non occorrendo, ai meri fini della validità di tali atti, che i funzionari (delegati o deleganti) possiedano qualifiche dirigenziali, ne consegue che la sorte degli atti impositivi formati anteriormente alla sentenza della Corte costituzionale n. 37/2015, sottoscritti da soggetti al momento rivestenti funzioni di capo dell’ufficio, ovvero da funzionari della carriera direttiva appositamente delegati, e dunque da soggetti idonei ai sensi dell’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973, non è condizionata dalla validità o meno della qualifica dirigenziale attribuita per effetto della censurata disposizione di cui art. 8, 24° comma, del D.L. n. 16/2012.

In Cass. 22803/15, invece, si precisa che non è decisiva la modalità di attribuzione della delega di firma – che può essere conferita o con atto proprio o con ordine di servizio – purché vengano indicate:

  • le ragioni della delega (ad esempio carenza di personale, assenza, vacanza o malattia)
  • il termine di validità
  • il nominativo del soggetto delegato.

Conseguentemente deve essere considerata nulla la cosiddetta delega in bianco (priva del nominativo soggetto delegato)non essendo possibile verificare agevolmente da parte del contribuente se il delegatario avesse il potere di sottoscrivere l’atto impugnato e non essendo ragionevole attribuire al contribuente una tale indagine amministrativa al fine di verificare la legittimità dell’atto”.

Ebbene, questi principi hanno trovato immediata applicazione presso i giudici di merito. È il caso della CTP di Caserta che, con la sentenza n. 7443/14/15 (pubblicata l’11 novembre), ha annullato alcuni avvisi di accertamento per imposte (Irpef, Iva, Irap per il 2008) avendo rilevato il difetto di sottoscrizione lamentato in ricorso dal contribuente.

Nel caso di specie è risultato che gli atti impugnati non erano stati sottoscritti dal Capo dall’Ufficio ma un funzionario che, per effetto della sentenza n. 37/15 della Consulta, era decaduto dalla posizione di dirigente. Alla luce dell’interpretazione secondo la quale l’art. 42 del D.P.R. 600 non richiede la qualifica di dirigente in capo al soggetto che ha apposto la firma, per la CTP di Caserta si è trattato di indagare se il soggetto sottoscrittore fosse o meno in possesso di una valida delega di firma. Profilo che ha portato all’accoglimento del ricorso del contribuente, posto che l’Amministrazione non ha provato, com’era suo onere, che il soggetto sottoscrittore fosse munito di una delega “non in bianco”, bensì con la precisa indicazione del funzionario legittimato a firmare l’atto.

La CTP osserva, per un verso, che “per la sottoscrizione degli atti impositivi non è richiesto da alcuna norma, tanto più a pena di nullità, che il soggetto apponente la firma sia un dirigente, essendo sufficiente che costui sia il capo dell’ufficio o un funzionario, delegato da questi, appartenente alla terza area”, e per l’altro che, “in buona sostanza, ai fini di un valido conferimento, la delega deve contenere le ragioni e le cause che l’hanno resa necessaria, il termine di validità, il nominativo del delegato. Orbene, nessuna prova, in questa fase di giudizio, viene offerta da parte resistente, per cui l’atto tributario deve ritenersi nullo per difetto di sottoscrizione”.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Avviso all’amministratore di fatto. No all’impugnazione

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Una decisione della CTP di Frosinone

Il presunto amministratore “di fatto” non è legittimato a impugnare l’avviso d’accertamento per maggiori imposte emesso a carico della società. È quanto emerge dalla sentenza n. 764/03/15 della Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone.

La controversia è originata da un avviso di accertamento per maggiori imposte rivolto a una SRL. Poiché l’atto è stato notificato anche al soggetto ritenuto dall’Ufficio finanziario amministratore “di fatto”, questi ha proposto impugnazione davanti alla competente CTP di Frosinone che, però, l’ha respinta richiamando i principi enunciati dalla Cassazione con riguardo a un caso similare.

Per il collegio frusinate, la notifica degli avvisi di accertamento oggetto di controversia è stata eseguita non già per estendere al presunto amministratore di fatto la pretesa tributaria – atteso che soggetto accertato era solo la società -, ma solo in considerazione del ruolo pregnante che, a giudizio degli accertatori, egli continuava ad avere anche dopo la formale uscita dalla compagine sociale e dalla carica di amministratore; dunque a maggior tutela del contribuente.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 26491/14, così si è espressa: “Preliminarmente va rilevato che soggetto passivo dell’avviso di accertamento è la società, e che l’atto impositivo è stato soltanto notificato allo […] nella qualità di amministratore di fatto. L’originario ricorso innanzi alla Ctp è stato proposto da […] in proprio e non quale legale rappresentante della società, con motivi di censura inerenti peraltro non l’atto impositivo, ma la qualità, a lui attribuita in sede di notifica dell’atto, di amministratore di fatto della medesima. Il ricorrente era quindi privo della legittimazione a proporre in proprio l’impugnazione dell’atto impositivo, indirizzato, come si è visto, alla società e non a lui personalmente. Il conseguente difetto di ‘legitimatio ad causam’ è rilevabile di ufficio anche in sede di legittimità, essendo la Corte di cassazione dotata di poteri officiosi in tutte le ipotesi in cui il processo non poteva essere iniziato o proseguito e dovendo escludersi la formazione del giudicato implicito, per la decisione nel merito della controversia, nei casi in cui vi sia carenza assoluta di ‘potestas iudicandi’ da parte di qualunque giudice (Cass. 4 aprile 2012, n. 5375; 9 febbraio 2012, n. 1912). Alla luce di tutto quanto sopra esposto, decidendo sul ricorso, va dichiarata l’inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio e la sentenza impugnata (sulla quale soltanto può pronunciare questo giudice) va cassata senza rinvio a norma dell’ultima parte dell’art. 382 c.p.c., restando in tal modo travolta anche la sentenza di primo grado”.

E allora la CTP di Frosinone ha concluso per l’inammissibile dell’atto introduttivo del giudizio, con compensazione delle spese processuali.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

SRL a base ristretta. Motivazione dell’avviso ai soci

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

In caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, l’avviso di accertamento dei redditi del socio può essere motivato “per relationem”, cioè rinviando a quello relativo ai redditi della società e solo a quest’ultima notificato. Il socio, a norma dell’art. 2261 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società, quindi di prendere visione sia dell’accertamento presupposto che dei documenti richiamati a suo fondamento.

È quanto emerge dalla sentenza n. 3509/20/15 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

Una Srl, socia di altra Srl estinta e avente un debito verso l’erario, ha impugnato la decisione di prime cure sostenendone la nullità sul rilievo dell’asserita violazione del litisconsorzio necessario tra la società a ristretta base partecipativa e i suoi soci. Tale doglianza, però, è stata respinta dai giudici di secondo grado della Capitale, i quali hanno anche ricordato un principio espresso dalla Cassazione in tema di motivazione degli avvisi di accertamento in ambito societario.

In sentenza si legge che, “a parte la considerazione che in realtà nella fase di impugnazione si è pervenuti, (omissis) a una trattazione unitaria della vicenda (medesimo collegio, stessa vicenda), pur tenendo distinti i due procedimenti, il primo motivo risulta infondato perché l’art. 14, comma 1 del D.Lgs. n. 546/1992 prevede il litisconsorzio necessario quando l’oggetto del ricorso riguarda ‘inscindibilmente’ più soggetti, ossia l’ineludibile compresenza di più parti, giacché le nozioni di connessione e riunione dei procedimenti non coincidono e non si identificano con il litisconsorzio. Nella concreta fattispecie non ricorre un unico rapporto plurisoggettivo paritario ma due imputazioni di responsabilità: una, principale, concernete la società, l’altra accessoria, in capo ai soci. Nessuna violazione dei diritti alla difesa è quindi ravvisabile”.

E ancora: “con la sentenza n. 21184/2005 la Corte di cassazione così si è pronunciata su una vicenda affine a quella in esame: ‘in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’obbligo di porre il contribuente in condizione di conoscere le ragioni per le quali deriva la pretesa fiscale è soddisfatto dall’avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii ‘per relationem’ a quello relativo ai redditi della società solo a quest’ultima notificato, giacché il socio a norma dell’art. 2261 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società, e, quindi, di prendere visione sia dell’accertamento presupposto che dei documenti richiamati a suo fondamento, ovvero di rilevarne l’omessa comunicazione. Infatti l’obbligo di motivazione degli atti di accertamento può essere assolto dall’amministrazione finanziaria anche mediante il riferimento a elementi di fatto offerti da documenti che siano nella conoscibilità del destinatario’”.

Si segnala che la suddetta sentenza n. 21184/2005 della Cassazione ha riguardato una fattispecie anteriore all’entrata in vigore dell’art. 7 della L. n, n. 212 del 2000; e infatti in essa si precisa che “condizione necessaria e sufficiente perché – nella vigenza della disciplina precedente all’entrata in vigore dello Statuto del contribuente – la motivazione per relationem dell’atto impositivo possa ritenersi legittima senza che vi sia allegato l’atto di riferimento, è che il contribuente conosca o abbia potuto conoscere tale atto. Sicché non potrebbe affermarsi la nullità di un atto impositivo solo per il fatto che questo sia motivato per relationem (anche in presenza di “rinvio a catena”), ma è necessario che il giudice accerti in fatto – e all’Ufficio spetta il relativo onere probatorio – se l’atto di riferimento sia effettivamente rimasto ignoto al contribuente”.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Transfer price: valido in Dogana con “correzioni”

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Un tavolo congiunto tra Dogane e Agenzia delle Entrate per stabilire l’adattabilità dei metodi per giustificare il valore normale ai fini delle imposte dirette e anche per la determinazione del valore da utilizzare ai fini doganali. Viene evidenziato in primis chela definizione del valore in dogana è contenuto nell’art. 29 CDC, secondo il quale l’importo della transazione indicato in fattura – il prezzo pagato o da pagare per la merce – assurge a base dell’imponibile in dogana (previo aggiustamento degli elementi da addizionare o da escludere ai sensi degli artt. 32 e 33 CDC) e dunque costituisce oggetto dell’attività di accertamento doganale.

Ciò significa che, salva l’emersione di un ragionevole dubbio al riguardo, il valore di transazione è quello da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione dei diritti doganali. Può accadere tuttavia che nel caso di transazioni tra parti collegate si agisca sulla determinazione del prezzo attraverso un prezzo delle merci più basso (sotto-fatturazione) o più alto (sovra-fatturazione) rispetto a quello che un venditore, non legato al suo compratore, avrebbe praticato in identiche circostanze di spazio e di tempo.
A tal fine vengono ritenuti idonei, anche ai fini doganali, per dimostrare la congruità dei valori doganali, i metodi tradizionali OCSE di determinazione del prezzo di trasferimento infragruppo, sebbene con diversi gradi di affidabilità.
Si tratta dei seguenti metodi: CUP(Comparable Uncontrolled Price), RPM (Resale Price Method), CPM (Cost Plus Method) e PSM (Profit Split Method); qualche riserva solleva l’applicazione del TNMM (Transactional Net Margin Method).
I fattori di comparabilità, ossia quei fattori che possono assumere, in varia misura, rilevanza nel determinare la confrontabilità tra operazioni infragruppo rispetto a quelle intercorse tra parti indipendenti in condizioni similari, possono essere ritenuti validi con le seguenti considerazioni:

  • le caratteristiche dei beni ceduti (e dei servizi prestati) sono prese in considerazione anche ai fini della classificazione doganale delle merci e della determinazione della base imponibile con riferimento ad ogni singola partita dichiarata all’importazione e ad ogni singola circostanza della transazione internazionale sottostante;
  • l’analisi delle funzioni svolte, dei rischi assunti e dei beni strumentali utilizzati è particolarmente rilevante anche nello studio dei flussi dei pagamenti relativi a molteplici elementi che contribuiscono alla determinazione del valore in dogana;
  • i dettagli dei termini e delle clausole ricavabili dai contratti, la cui conoscenza consente di effettuare una comparazione dei contratti prodotti nell’ambito del regime degli “oneri documentali”, risponde all’esigenza di determinare molti aspetti inerenti alle responsabilità dei pagamenti effettuati o da effettuare in forza degli aggiustamenti di cui agli artt. 32 e 33 CDC, con particolare riferimento ai flussi dei pagamenti dovuti per l’utilizzo dei diritti di proprietà intellettuale, quali canoni e diritti di licenza;
  • le condizioni economiche, sono valutate anche ai fini doganali rilevando nell’ambito dei procedimenti autorizzatori o, ad esempio, ai fini della concessione dello status di operatore economico autorizzato (AEO);
  • le strategie di impresa sono tenute in debita considerazione anche in dogana tenuto conto che, nelle autorizzazioni preventive degli aggiustamenti ex art.156-bis DAC, è indispensabile l’analisi degli obiettivi strategici di medio e lungo periodo dell’intero gruppo societario ai fini dell’ammissibilità dei prezzi di trasferimento stabiliti tra venditori e importatori legati.

Secondo i principi di precauzione, trasparenza e partecipazione al procedimento amministrativo, le disposizioni recate dall’art. 156-bis delle DAC prevedono la possibilità di “concordare” con la dogana una pre-determinazione del valore sulla base di criteri di “congruità del prezzo” costantemente monitorabili.

In sostanza, la Dogana incentiva gli operatori al ruling preventivo per veder riconosciuto il prezzo di trasferimento praticato dalle aziende multinazionali nell’ambito degli scambi cross-border.
A tal fine è allegato alla circolare un formulario da presentare alle Dogane per fornire tutte le informazioni e la documentazione necessaria per veder riconosciuta la propria strategia di fissazione dei prezzi di trasferimento.

Autore: redazione fiscal focus

Ristrutturazione: quando si perde la detrazione

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

I vincoli da rispettare

Premessa – Se il pagamento delle spese per interventi di ristrutturazione non è stato eseguito tramite bonifico bancario o postale o è stato effettuato un bonifico che non riporti le indicazioni richieste la detrazione Irpef non viene riconosciuta.

Detrazione per ristrutturazione – La detrazione fiscale delle spese per interventi di ristrutturazione edilizia è disciplinata dall’art. 16-bis del D.P.R. 917/86 (Testo unico delle imposte sui redditi). Dal 1° gennaio 2012 l’agevolazione è stata resa permanente dal decreto legge n. 201/2011 e inserita tra gli oneri detraibili dall’Irpef. La detrazione è pari al 36% delle spese sostenute, fino a un ammontare complessivo delle stesse non superiore a 48.000 euro per unità immobiliare. Tuttavia, per le spese effettuate dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2015, il decreto legge n. 83/2012 ha elevato al 50% la misura della detrazione e a 96.000 euro l’importo massimo di spesa ammessa al beneficio.
La perdita – La detrazione non è riconosciuta, e l’importo eventualmente fruito viene recuperato dagli uffici, quando:

  • non è stata effettuata la comunicazione preventiva all’Asl competente, se obbligatoria;
  • il pagamento non è stato eseguito tramite bonifico bancario o postale o è stato effettuato un bonifico che non riporti le indicazioni richieste (causale del versamento, codice fiscale del beneficiario della detrazione, numero di partita Iva o codice fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è effettuato);
  • non sono esibite le fatture o le ricevute che dimostrano le spese effettuate;
  • non è esibita la ricevuta del bonifico o questa è intestata a persona diversa da quella che richiede la detrazione;
  • le opere edilizie eseguite non rispettano le norme urbanistiche ed edilizie comunali;
  • sono state violate le norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e quelle relative agli obblighi contributivi. Per queste violazioni il contribuente non decade dal diritto all’agevolazione se è in possesso della dichiarazione di osservanza delle suddette disposizioni resa dalla ditta esecutrice dei lavori (ai sensi del Dpr 28 dicembre 2000, n. 445).

Se cambia il possesso – Se l’immobile sul quale è stato eseguito l’intervento di recupero edilizio è venduto prima che sia trascorso l’intero periodo per fruire dell’agevolazione, il diritto alla detrazione delle quote non utilizzate è trasferito, salvo diverso accordo delle parti, all’acquirente dell’unità immobiliare (se persona fisica).

Vendita – In sostanza, in caso di vendita e, più in generale, di trasferimento per atto tra vivi, il venditore ha la possibilità di scegliere se continuare a usufruire delle detrazioni non ancora utilizzate o trasferire il diritto all’acquirente (persona fisica) dell’immobile. Tuttavia, in assenza di specifiche indicazioni nell’atto di compravendita, il beneficio viene automaticamente trasferito all’acquirente dell’immobile.
Decesso -In caso di decesso dell’avente diritto, la fruizione del beneficio fiscale si trasmette, per intero, esclusivamente all’erede che conserva la detenzione materiale e diretta dell’immobile.
Trasferimento dell’inquilino o del comodatario – La cessazione dello stato di locazione o comodato non fa venire meno il diritto alla detrazione in capo all’inquilino o al comodatario che hanno eseguito gli interventi oggetto della detrazione, i quali continueranno quindi a fruirne fino alla conclusione del periodo di godimento.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Cessione aziende: il registro non guida l’accertamento

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Per le cessioni di immobili o di aziende, nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali su di essi, ai fini IRPEF, IRES ed IRAP, l’esistenza di un maggior valore non può più essere presunta soltanto sulla base del valore anche se dichiarato o accertato ai fini dell’imposta di registro ovvero delle imposte ipocatastali.

E’ quanto prevede il Decreto crescita e internalizzazione (art. 5, co. 3, D.lgs.147/2015), che con norma di interpretazione autentica ha risolto una questione assai dibattuta in dottrina e giurisprudenza.

La questione – La corte di Cassazione più volte si era espressa sulla questione, ritenendo legittima la rettifica della plusvalenza da cessione di azienda in base al maggior valore dichiarato ai fini dell’imposta di registro. Era onere del contribuente dare prova contraria.

Nell’esprimerne tale posizione né la giurisprudenza né l’Amministrazione Finanziaria tenevano conto dei diversi metodi di calcolo della base imponibile ai fini delle imposte dirette e ai fini dell’imposta di registro. Mentre ai fini delle imposte dirette ciò che conta è il corrispettivo stabilito dalle parti, ai fini dell’imposta di registro si fa riferimento al valore venale in comune commercio. Il primo un dato certo risultante dalle disposizioni negoziali, l’altro invece un dato presuntivo che si base sulla individuazione del prezzo che sarebbe stato applicato in normali condizioni di mercato. Che quest’ultimo sia un dato discrezionale non v’è dubbio. Ecco allora che i due parametri non possono essere messi a confronto: si tratterebbe di misurare due fattispecie diverse con gli stessi criteri.

I valori OMI e l’accertamento ai fini dell’imposta di registro – A complicare la situazione, la definizione del valore venale in comune commercio, che originariamente avveniva da parte dell’Amministrazione Finanziaria facendo riferimento esclusivo ai valori OMI (Osservatorio del Mercato immobiliare). Per fortuna la Cassazione ha rotto il collegamento diretto tra dati OMI e valore venale in comune commercio.

Interpretazione poi adottata dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 18/E/2010, laddove l’Agenzia, recependo modifiche normative risalenti al 2008, ha riconosciuto che lo scostamento dei corrispettivi dichiarati per le cessioni di beni immobili rispetto al valore normale (valore OMI) rappresenta un elemento presuntivo semplice, e indirizzando gli uffici, con riferimento alle controversie pendenti, a valutare se le motivazioni degli accertamenti impugnati si dimostrino comunque adeguate o se, invece, si rivelino insufficienti così da richiedere l’abbandono del contenzioso in corso.

In altri termini, il solo discostamento del corrispettivo dai valori OMI non era stato ritenuto sufficiente per l’accertamento, ritenendo necessari anche ulteriori elementi presuntivi idonei ad integrare la prova della pretesa (quali, a titolo meramente esemplificativo, il valore del mutuo qualora di importo superiore a quello della compravendita, i prezzi che emergono dagli accertamenti effettuati con la ricostruzione dei ricavi sulla base delle risultanze delle indagini finanziarie, i prezzi che emergono da precedenti atti di compravendita del medesimo immobile). Questa interpretazione viene ora promossa a legge ad opera del Decreto crescita e internalizzazione.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Finanziamenti a fondo perduto per attività agricole, requisiti e tipologie nel 2015

I finanziamenti statali a fondo perduto vengono erogati da Invitalia – Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa- e sono destinati ad aziende che operano in aree più svantaggiate, ancora in fase di start up o costituite da giovani.

La legge 135/97 prevede incentivi e contributi a fondo perduto destinati a coloro che intendono avviare nuove attività agricole oppure a giovani imprenditori che andranno a subentrare nell’azienda agraria di famiglia. In questo caso il capitale erogato sarà rimborsabile solo per il 50% dell’importo totale di cui si è beneficiato. Un supporto dunque importante in quanto si rimborsa solo una parte del capitale ottenuto e si avvia un’attività imprenditoriale con maggiore sicurezza economica.

Per accedere a questa forma di finanziamento per la nascita di una nuova attività agricola bisogna avere determinati requisiti:

  • età anagrafica compresa tra i 18 e i 36 anni;
  • essere in possesso della qualifica di imprenditore agricolo;
  • conseguire la qualifica di imprenditore agricolo entro due anni dalla data di presentazione della domanda di finanziamento;
  • certificazione di reddito per il lavoro nella propria azienda agricola;
  • in caso di subentro nella conduzione dell’azienda, il parente deve essere titolare dell’azienda agricola;
  • avere la residenza in uno dei territori di cui agli obiettivi 1, 2, 5b e art. 92.3.c del Trattato UE;
  • la sede dell’azienda agricola deve essere in uno dei territori di cui agli obiettivi sopra.

Finanziamenti a fondo perduto per attività agricole: le categorie

I finanziamenti statali a fondo perduto sono suddivisi principalmente in più categorie:

  • Autoimprenditorialità: si tratta di fondi statali finalizzati ad incoraggiare la nascita di nuove società o ad ampliare altre già esistenti. Questi finanziamenti sono rivolti ad imprese caratterizzate per lo più da giovani tra i 18 e i 35 anni che intendono avere un supporto per realizzare i propri obiettivi in tema di produzione di beni e di fornitura di servizi. Tale iniziativa consiste in agevolazioni erogati come contributi a fondo perduto o anche mutuo agevolato. L’intera operazione sarà seguita da controlli per evitare atteggiamenti sbagliati da parte delle aziende beneficiarie;
  • Autoimpiego: Questi incentivi sostengono l’avvio di piccole attività imprenditoriali da parte di soggetti in cerca di prima occupazione o disoccupati che intendono investire in microimprese o franchising. Come nel caso precedente la domanda dovrà essere corredata da un progetto dell’impresa che presenti al suo interno gli obiettivi dell’iniziativa;
  • Smart & Smart: questi finanziamenti sono rivolti a nuove imprese a carattere più innovativo. Solitamente presentano come sfondo imprese dell’Italia meridionale o comuni del cratere sismico dell’Abruzzo. Tale misura finanziaria è caratterizzata da incentivi cumulabili.

Nel caso di attività agricole il capitale erogato sarà suddiviso in questo modo: un 50% non rimborsabile e a fondo perduto, mentre l’altro 50% rimborsabile ma mediante rate caratterizzate da tasso di interesse agevolato. Tali incentivi e contributi vengono concessi secondo i limiti stabiliti dall’Unione Europea. La legge 135/97 va infatti incontro a tutti coloro che intendono avviare nuove attività nel settore agricolo.

I settori dell’agricoltura che possono essere beneficiari di tali agevolazioni sono vari e riguardano le coltivazioni, la floricoltura, l’orticoltura, la silvicoltura, l’allevamento, la pesca, sia in acque dolci che salate. In ogni caso alla domanda di richiesta del contributo a fondo perduto o dell’incentivo bisogna allegare un business plan ovvero il preventivo spesa del progetto che si intende avviare

Incentivi per il settore primario: ecco come agire nel 2015

Gli imprenditori agricoli, che intendono avviare un’attività nel settore primario o anche ottimizzare un’impresa già esistente, possono partecipare a determinati bandi per ottenere i contributi e gli incentivi finalizzati ad aumentare la produzione del proprio lavoro. Così come negli anni scorsi, anche nel 2015, sarà fondamentale possedere un requisito per poter richiedere tale forma di finanziamento: l’imprenditore agricolo dovrà mantenere la propria azienda per un periodo di almeno 5 anni dopo aver ricevuto i capitali. Inoltre tale impresario dovrà risultare inoccupato altrimenti sarà revocato il finanziamento.

Questa forma di credito nasce in primis per sostenere i giovani, di età compresa tra i 18 e i 35 anni, che vogliono dedicarsi al settore dell’agricoltura e dell’imprenditoria. Un tipo di attività che in alcune zone d’Italia risulta fondamentale per le aree che si prestano a tale tipo di economia. I fondi stanziati serviranno non solo ad avviare nuove attività imprenditoriali, ma anche ad acquistare strumentazioni ed attrezzature per ottimizzare la produzione e ridurre i tempi.

Per richiedere ed ottenere contributi ed incentivi per il settore primario, il soggetto dovrà possedere determinati requisiti:

  • Età compresa tra i 18 e i 35 anni;
  • Stato di inoccupazione;
  • Idea di mantenimento della società per almeno 5 anni,
  • Residenza nel territorio nazionale da almeno 6 anni.

In un secondo momento sarà redatta una graduatoria in base al territorio in cui è ubicata l’azienda agricola. Il capitale erogato varia a seconda del preventivo di spesa che annovera i vari interventi da realizzare. Il piano di ammortamento prevede una durata fino a 7 anni ed un tasso di interesse agevolato. I bandi di partecipazione per l’ottenimento dei contributi e incentivi finalizzati ad ottimizzare il settore primario possono cambiare a seconda del territorio regionale; i requisiti potranno infatti presentare delle differenze in base all’area di riferimento e alla disponibilità dei fondi per quel territorio. Solitamente si dà priorità alle zone con basso livello di sviluppo e come già anticipato il destinatario degli incentivi dovrà mantenere l’attività per almeno 5 anni. La rata sarà trimestrale.

I bandi regionali si differenziano, dunque, in base al territorio regionale e alla disponibilità dei fondi. Essi possono essere consultati anche sul sito ufficiale della Invitalia alla pagina sui finanziamenti per l’agricoltura, Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa che agisce su mandato del Governo per accrescere la competitività del Paese, in particolare del Mezzogiorno, e per sostenere i settori strategici per lo sviluppo. I suoi obiettivi prioritari sono infatti favorire l’attrazione di investimenti esteri, sostenere l’innovazione e la crescita del sistema produttivo, valorizzare le potenzialità dei territori.

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Crisi da sovraindebitamento dei soggetti non fallibili: l’accordo del debitore

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

I soggetti non fallibili, che si trovano in uno stato di crisi da sovraindebitamento possono, al ricorrere di determinate condizioni, fare riferimento a tre diversi istituti previsti con la Legge n°3 del 27 gennaio 2012, ossia:

  • accordo debitore;
  • piano del consumatore;
  • liquidazione del patrimonio.

E’ opportuno soffermarsi sull’accordo del debitore, andando a ricordare quelle che sono le condizioni per il ricorso a tale procedura, nonché i contenuti e la modalità di presentazione della proposta.

Il debitore non fallibile deve trovarsi in uno stato conclamato di “sovraindebitamento”, ossia di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte.

Gli articoli da 6 a 9 della Legge n°3/2012 stabiliscono che il debitore in stato di sovraindebitamento può proporre ai creditori un accordo di ristrutturazione presentando un piano che: preveda scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi; indichi le eventuali garanzie eventualmente prestate anche da terzi; riporti le eventuali modalità per la liquidazione dei beni.

presentazione della proposta – La proposta di accordo o il piano devono essere depositati presso il Tribunale del luogo di residenza del debitore e devono essere corredati dalla seguente documentazione (art. 9, comma 1, Legge n. 3/2012);.

  • elenco dei creditori, con indicazione delle somme dovute, di tutti i beni del debitore e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi 5 anni;
  • dichiarazione dei redditi degli ultimi 3 anni;
  • attestazione di fattibilità del piano (rilasciata dall’Organismo di composizione della crisi o dal professionista);
  • elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento del debitore e del suo nucleo familiare, per il tempo previsto dal piano, corredato da un certificato dello stato di famiglia;
  • (solo per il debitore che svolge attività d’impresa) le scritture contabili degli ultimi 3 esercizi, unitamente alla dichiarazione che ne attesta la conformità all’originale. Contestualmente al deposito della proposta presso il Tribunale, l’organismo di composizione della crisi (OCC) deve provvedere a depositarne copia presso l’agente della riscossione e presso gli uffici fiscali competenti sulla base dell’ultimo domicilio tributario del proponente. La proposta deve contenere la ricostruzione della posizione fiscale del debitore e deve dare contezza di eventuali conten­ziosi pendenti.

Inoltre alla proposta di piano del consumatore è allegata una relazione particolareggiata dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) contenente (art. 9, comma 3-bis, Legge 3/2012):

  • l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal consuma­tore nell’assumere volontariamente le obbligazioni;
  • l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte;
  • il resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi cinque anni;
  • l’indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori;
  • il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata dal consumatore a corredo della proposta, nonché sulla probabile convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria.

Il Giudice se i requisiti sono rispettati, fissa l’udienza e dispone la comunicazione della proposta e del decreto di fissazione dell’udienza.

L’accordo deve essere raggiunto con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti, evidenziando che non concorrono al raggiungimento della soglia di approvazione: i creditori privilegiati, per i quali la proposta può prevedere l’integrale pagamento; il coniuge del debitore, i suoi parenti e affini entro il 4° grado; i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

L’acquisto dell’abitazione principale e la detrazione degli interessi passivi

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

La percentuale di detrazione è pari al 19% calcolato su un importo massimo di 4.000 euro

Il contribuente che ha stipulato un mutuo per l’acquisto dell’abitazione principale, in sede di determinazione Irpef, può procedere alla detrazione degli interessi passivi collegati al contratto di mutuo; la detrazione opera in misura pari al 19 % calcolato su un importo massimo di € 4.000; quindi la detrazione massima prevista è nel complesso pari a € 760.

La detrazione spetta al contribuente acquirente ed intestatario del contratto di mutuo, anche se l’immobile è adibito ad abitazione principale di un suo familiare (coniuge, parenti entro il terzo grado ed affini entro il secondo grado); nel caso di separazione legale anche il coniuge separato, finché non intervenga l’annotazione della sentenza di divorzio, rientra tra i familiari. In caso di divorzio, al coniuge che ha trasferito la propria dimora abituale spetta comunque il beneficio della detrazione per la quota di competenza, se presso l’immobile hanno la propria dimora abituale i suoi familiari. La detrazione spetta anche al “nudo proprietario” (e cioè al proprietario dell’immobile gravato, ad esempio, da un usufrutto in favore di altra persona) sempre che ricorrano tutte le condizioni richieste, mentre non compete mai all’usufruttuario in quanto lo stesso non acquista l’unità immobiliare.

Regime di detraibilitàPer i contratti di mutuo stipulati antecedentemente al 1° gennaio 1993 è stabilito che l’abitazione principale doveva configurarsi entro l’8 dicembre 1993, e che a partire da questa data il contribuente non doveva cambiare la propria abitazione principale, se non solo per motivi di natura lavorativa; la detrazione massima va calcolata su un importo di interessi non superiore a 4.000 euro per ciascun intestatario., per i contratti di mutuo risalenti al periodo che va dal 1 gennaio 1993 fino al 31 dicembre 2000, l’importo massimo della detrazione è calcolato su € 4.000 complessivi, ed è ammessa solo se l’immobile sia diventato abitazione principale entro sei mesi dall’acquisto e che lo stesso acquisto sia avvenuto entro sei mesi antecedenti alla stipula del mutuo o nei sei mesi successivi; infine, per i contratti di mutuo accesi a partire dal 1 gennaio 2001, la detrazione è definita sulla base di un importo massimo relativo agli interessi pari a € 4000 complessivi, se l’immobile è diventato abitazione principale entro un anno dall’acquisto, e se l’acquisto è avvenuto entro l’anno antecedente o successivo all’accensione del mutuo.

Spese detraibili – oltre alla quota di interessi passivi, si possono detrarre anche gli oneri accessori relativi alla stipula del mutuo con la banca, eventuali oneri fiscali e spese aggiuntive come l’imposta di iscrizione o cancellazione di ipoteca e l’imposta sostitutiva sul capitale prestato.

Anche la provvigione per lo scarto rateizzato, le spese notarili sostenute per l’istruzione della pratica di mutuo e le eventuali perizie tecniche rientrano nel conteggio, così come l’apertura di un conto corrente accessorio; è utile evidenziare che l’importo massimo portato in detrazione in ogni caso non può superare le 760 € complessivi.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Patent box: le questioni da risolvere

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Una questione è stata risolta ed è quella relativa alla modalità di esercizio dell’opzione. Infatti con il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 10.11.2015 (Prot.n. 144042) sono state rese note le modalità per l’esercizio dell’opzione per il patent box per i primi due periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2014 (2015 e 2016 nella generalità dei casi).

Ma restano ancora numerosi i nodi da scogliere e le risposte devono essere date a breve, per permettere a tutti una completa valutazione sulla convenienze dell’adesione al regime del patent box.

Esercizio dell’opzione: pronto il modello – Per ciò che riguarda l’esercizio dell’opzione, per i primi due periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2014, essa è comunicata all’Agenzia delle Entrate secondo le modalità stabilite da un apposito provvedimento del direttore della stessa Agenzia. Come chiarito dal Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, l’opzione per il regime di tassazione agevolata dei redditi derivanti dall’utilizzo di bei immateriali è esercitata, per i primi due periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2014, entro il periodo d’imposta in cui ha inizio il regime di tassazione e riguarda il predetto periodo d’imposta e i successivi quattro.

Pertanto chi intende esercitare l’opzione per il periodo d’imposta 2015 dovrà provvedervi entro la fine dell’anno in corso e l’opzione avrà efficacia fino al 2019.

Il ruling – Una delle questioni che andrà risolta al più presto è quella relativa alla determinazione dei compenti negativi e positivi per chi utilizza direttamente il bene immateriale. Si ricorda che in caso di utilizzo diretto degli intangibles sarà escluso da imposizione la quota parte del reddito derivante dall’utilizzo dei beni immateriali, determinata in contraddittorio con le Entrate sulla base di una procedura di ruling.

In tali ipotesi la procedura di ruling ha ad oggetto la determinazione, in via preventiva e in contraddittorio con l’Agenzia delle entrate, dell’ammontare dei componenti positivi di reddito impliciti e dei criteri per l’individuazione dei componenti negativi riferibili ai predetti componenti positivi.

Si tratta, in sostanza, di un accordo preventivo con l’Agenzia delle Entrate. L’accordo, che ha una durata di 5 anni, è vincolante per l’amministrazione finanziaria che non può procedere a rettificare gli elementi coperti dall’accordo stesso.

Ad oggi non sono note le modalità per l’instaurazione del contradditorio con l’Amministrazione Finanziaria. Senza il preventivo contradditorio con l’Agenzia, l’opzione non potrà essere esercitata.

E’ se si genera una perdita? – Altra questione che andrà presto chiarita è relativa allo sfruttamento dei beni immateriali per i quali nel periodo iniziale si genera una perdita, in quanto il medesimo bene non esplica i propri effetti sui ricavi. In tale caso ci si chiede come deve essere trattata tale perdita, con autorevoli autori che sostengono la di consentire la deducibilità piena e immediata di tali perdite dal reddito d’impresa. Si attendono immediati chiarimenti sul tema.

Relazione tra costi e attività di R&S – Il co. 41 della Legge di Stabilità 2015 definisce le condizioni necessarie per usufruire dell’agevolazione in questione. In particolare si prevede che l’opzione per il regime di tassazione agevolata è consentita a condizione che i soggetti svolgano le attività di ricerca e sviluppo, anche mediante contratti di ricerca stipulati con Università o enti di ricerca e organismi equiparati, finalizzati alla produzione dei beni immateriali oggetto del regime agevolato.

Su tale condizione si pone la necessità di stabilire se debba esservi una proporzionalità tra reddito agevolabile e costi di ricerca e sviluppo relativi all’intangibile sostenuti nel periodo di imposta. Tale necessità deriva dall’impostazione dell’OCSE, in base alla quale il reddito agevolato non deve essere eccessivamente elevato rispetto alla percentuale di costi qualificati sostenuta da contribuenti qualificati. A quanto ammonta tale percentuale?

PMI navigano al buoi – La normativa fondante il regime del patent box prevede delle modalità semplificate per l’accesso al ruling da parte delle piccole e medie imprese. Queste modalità semplificate sono tutt’ora sconosciute.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Sas fallita. Obbligatoria la notifica all’accomandatario

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

La cartella non può essere notificata solo al curatore

L’intimazione di pagamento è atto impugnabile in CTP quando il socio accomandatario della Sas fallita non ha ricevuto la notifica né della cartella di pagamento né del prodromico avviso di accertamento.

È quanto emerge dalla sentenza n. 322/03/15 della Commissione Tributaria Provinciale di Como.

È stata annullata una pretesa erariale portata da una cartella di pagamento notificata al solo curatore di una Sas fallita.

La CTP ha sposato le tesi del socio accomandatario circa il vizio di notifica (con riguardo sia alla cartella sia all’avviso di accertamento sui cui essa si basava, atto divenuto definitivo per mancanza d’impugnazione), con conseguente riconoscimento, in capo al medesimo, del diritto di proporre ricorso avverso l’intimazione di pagamento.

L’adito Collegio comasco, respingendo l’eccezione preliminare d’inammissibilità opposta dalla convenuta Agenzia delle entrate, ha osservato che, se è vero che l’intimazione di pagamento non rientra fra gli atti autonomamente impugnabili ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/92 (il che si giustifica con il fatto che l’intimazione fa seguito alla cartella di pagamento, atto con cui è comunicata al contribuente una pretesa tributaria ormai ben definita), è altresì vero che la mancata notifica della cartella o comunque dell’atto presupposto rende ammissibile l’impugnazione dell’atto successivo (nel caso di specie dell’intimazione di pagamento) ex art. 19, ultimo comma, D.Lgs. n. 546/92. Nel caso in esame, osservano i giudici, ricorre appunto tale circostanza:quanto alla cartella, essa risulta notificata al citato curatore nella data del 17/12/2009, ma non risulta che analoga notifica sia avvenuta nei confronti del (omissis) né vi è prova che detto organo del fallimento abbia informato il fallito della esistenza di tale pretesa tributaria (facente carico a società diversa da quella fallita e circa la quale il ricorrente nega di aver assunto alcun ruolo); come ritenuto dalla costante giurisprudenza di legittimità, l’accertamento tributario, se relativo a crediti maturati prima della dichiarazione di fallimento, deve essere notificato non solo al curatore ma anche al contribuente personalmente (essendo egli esposto alle conseguenze della definitività dell’atto impositivo), che è eccezionalmente abilitato a impugnarlo nella inerzia degli organi fallimentari, non potendo attribuirsi carattere assoluto alla perdita della capacità processuale conseguente alla dichiarazione del fallimento, che può essere eccepita esclusivamente dal curatore nell’interesse della massa dei creditori (cfr. Cass. 2910/09, 17687/13, 4113/14, 9434/14)”.

Insomma, i giudici della Provinciale di Como hanno ritenuto l’irritualità della notifica della cartella di pagamento, quindi l’illegittimità della conseguente intimazione di pagamento.

Il ricorso del socio è stato pertanto accolto, ma non rispetto alla domanda di annullamento dell’atto di diniego all’istanza di autotutela, non essendo esso, ad avviso del collegio giudicante, autonomamente impugnabile davanti al giudice tributario.

Stante la parziale reciproca soccombenza, la Commissione ha disposto l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

Autore: redazione fiscal focus

Servizi digitali: esonero da certificazione fiscale

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Decreto 27.10.2015 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 263 del 11-11-2015

E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 263 dell’11-11-2015 il Decreto 27.10.2015 che prevede l’esonero da certificazione fiscale per gli operatori del commercio elettronico diretto per le prestazioni rese a committenti privati.

Va ricordato che con l’entrata in vigore del D.lgs. 42/2015 pubblicato sulla G.U. n. 90 del18.04.2015, dal 03.05.2015 è efficace l’esonero degli obblighi di fatturazione in relazione all’imposta sul valore aggiunto dovuta sulle prestazioni dei servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione o elettronici effettuate nel territorio dello Stato.

A tal proposito si evidenzia che con il D.lgs.42/2015 è stato previsto l’inserimento di un nuovo comma 6-ter, nell’art. 22, Decreto IVA, in base al quale l’emissione della fattura non è obbligatoria, se non è richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell’operazione, per le prestazioni di servizi di telecomunicazione, di servizi di teleradiodiffusione e di servizi elettronici resi a committenti che agiscono al di fuori dell’esercizio d’impresa, arte o professione.

Ciò detto, va evidenziato che l’obbligo di fatturazione rimane per i rapporti B2B.

In base al comma 6-ter, art. 22, Decreto IVA, i soggetti passivi italiani che erogano servizi di e-commerce a privati italiani, indipendentemente dall’adesione al MOSS, sono dispensati dagli obblighi di fatturazione. In tale caso andava chiarito se fosse comunque necessario procedere alla certificazione fiscale dell’operazione.

L’art. 1 del D.M. 27.10.2015 prevede che “non sono soggette all’obbligo di certificazione dei corrispettivi le seguenti tipologie di operazioni: …. a) prestazioni di servizi di telecomunicazione, di servizi di teleradiodiffusione e di servizi elettronici rese a committenti che agiscono al di fuori dell’esercizio d’impresa, arte o professione.”

L’esonero dalla certificazione fiscale si aggiunge all’esonero dalla fatturazione. Nessun adempimento dunque per le prestazioni rientranti nel commercio elettronico diretto rese a privati consumatori italiani.

Per ciò che riguarda l’efficacia delle nuove disposizioni, l’art. 2 del D.M. 27.10.2015 prevede l’applicazione delle nuove regole alle operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2015.

Continuando la nostra analisi sulle modalità di fatturazione nel commercio elettronico diretto, analizziamo il caso delle prestazioni rese da soggetti passivi IVA che aderiscono al MOSS in Italia nei confronti di privati UE.

Per i soggetti passivi IVA che aderiscono al MOSS in Italia ed erogano prestazioni di e-commerce a privati UE, si tratta di un ‘operazione extra territoriale. Per quanto riguarda gli obblighi di fatturazione, è opportuno verificare se in base alle regoli generali IVA sia necessario emettere fattura.

In particolare:

  • in caso di cliente privato comunitario:
    • l’articolo 21, co. 6bis, lett. a), D.P.R. 633/1972, stabilisce che la fattura va emessa per le operazioni extraterritoriali effettuate (solo) nei confronti di altri soggetti passivi che sono debitori dell’imposta in un altro Paese Ue. Dal lato Italiano non sarà dunque necessaria l’emissione della fattura.

Inoltre, trattandosi di un’operazione territorialmente rilevante in un altro paese UE, bisogna verificare in tale Stato se sussistono obblighi di fatturazione, nonché l’aliquota Iva da applicare.

Sono inoltre esentate dalla fatturazione, le prestazioni di servizi elettronici resi da soggetti passivi comunitari o extra comunitari a privati consumatori italiani.

Autore: redazione fiscal focus

RATEAZIONE E PIANI DECADUTI:NUOVE POSSIBILITÀ

Si avvicina il termine del 21 novembre per la riammissione alla dilazione

Ci avviciniamo alla scadenza del 21 Novembre, ossia termine ultimo per la presentazione di riammissione alla dilazione di precedenti rateazioni decadute entro il 22 ottobre 2013.

Il D.Lgs. n.159/2015 sulla semplificazione e razionalizzazione della riscossione, ha introdotto la possibilità, per precedenti rateizzazioni decadute entro il 22 ottobre 2013, di chiedere una nuova dilazione, tramite apposita istanza da presentare entro il 21 novembre 2015. La suddetta dilazione di pagamento non può prevedere una durata superiore ai 72 mesi, con una previsione di decadenza che interviene in seguito al mancato pagamento di due rate anche non consecutive.

Effetti su ipoteche e azioni esecutive – Alla ricezione della richiesta di rateazione, l’agente della riscossione può iscrivere l’ipoteca di cui all’articolo 77 o il fermo di cui all’articolo 86, solo nel caso in cui la richiesta di rateazione non venga accolta, ovvero in caso di decadenza ai sensi del comma 3. Sono fatti comunque salvi i fermi e le ipoteche già iscritti alla data di concessione della rateazione. A seguito della presentazione di tale richiesta, fatta eccezione per le somme oggetto di verifica ai sensi dell’articolo 48-bis, per le quali non può essere concessa la dilazione, non possono essere avviate nuove azioni esecutive sino all’eventuale rigetto della stessa e, in caso di relativo accoglimento, il pagamento della prima rata determina l’impossibilita di proseguire le procedure di recupero coattivo precedentemente avviate, a condizione, che non si sia ancora tenuto l’incanto con esito positivo, o non sia stata presentata istanza di assegnazione, ovvero il terzo non abbia reso dichiarazione positiva o non sia stato già emesso provvedimento di assegnazione dei crediti pignorati.
Per i contribuenti che in quel periodo preciso avevano avuto accesso ad un piano di rateazione, al quale non sono riusciti a far fronte, è prevista la possibilità di chiedere nuovamente, entro il 21 Novembre 2015, la riammissione al beneficio tramite apposita documentazione disponibile sul sito di Equitalia alla sezione ModulisticaRateizzazioneRICHIESTA DI RATEIZZAZIONE PER PIANI DECADUTI DAL 22/10/2013 AL 21/10/2015.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

ACCONTI DA VERSARE: IL REGIME FORFETTARIO E QUELLO DEI MINIMI

I contribuenti che, a partire dal 01.01.2015, hanno optato, o sono naturalmente transitati per il regime forfettario di cui all’articolo 1, commi da 54 a 89, della legge 190/2014, non devono per quest’anno versare alcun acconto con riferimento all’imposta sostitutiva dovuta con aliquota del 15%.

L’acconto per le start up

Per chi ha iniziato l’attività direttamente nel nuovo regime non ci sono problemi di sorta poiché; la norma istitutiva del nuovo sistema contabile si limita a stabilire che il pagamento dell’imposta sostitutiva (del 15%) va effettuato negli stessi termini e con le modalità previste per il versamento Irpef.

Nel merito della questione si ricorda che con risoluzione 59/E/2015 le Entrate hanno stabilito gli appositi codici tributo previsti per il versamento delle imposte legate per l’appunto al nuovo regime a forfait. In particolare per la seconda rata di acconto è stato stabilito l’utilizzo del codice “1791”.

E’ evidente però che trattandosi del primo anno di applicazione, il codice segnalato non verrà utilizzato per la prossima scadenza del 30 novembre, in quanto, mancando una base storica di riferimento, i contribuenti in esame non sono tenuti a effettuare alcun versamento in acconto.

L’acconto per chi aveva redditi nel 2014

Il contribuente che, nel 2015, è transitato per obbligo o per opzione nel regime forfettario provenendo da un regime ordinario dovrà valutate attentamente il da farsi.

Sul punto va detto che manca nel regime forfettario di cui alla legge di Stabilità 2015 una disposizione analoga a quella prevista all’abrogato articolo 1, comma 117, della legge 244/2007 che obbligava i “minimi” a considerare anche in sede di calcolo previsionale le regole ordinarie e non quelle del regime agevolato.

Pertanto, in assenza di indicazioni previste in tal senso, il contribuente in questi casi potrebbe validamente procedere a rideterminare l’acconto non su basi storiche ma su quelle previsionali arrivando per questi versi anche ad azzerare quanto dovuto.

In questo senso potrà procedere con un totale annullamento del secondo acconto dovuto il contribuente che non possiede ulteriori redditi soggetti all’ Irpef. In tal caso, infatti, la presenza del solo reddito forfettario fa si che il metodo previsionale assicuri comunque la certezza di non incorrere in sanzioni legate a possibili minori versamenti effettuati in acconto.

Viceversa se esistono, comunque, in aggiunta al reddito determinato a forfait, altri redditi soggetti ad Irpef il ricalcolo sulla base del previsionale va invece adattato alle previste ipotesi di imponibile che presumibilmente sarà dichiarato per il 2015 con riferimento all’imposta ordinaria.

Chi è rimasto nel regime dei minimi

Il contribuente che per effetto delle norme transitorie ha mantenuto il regime dei minimi di cui alla Legge 244/2007 (art. 1 comma 117) adottato fin già dal 2014 anche per il periodo d’imposta 2015 deve calcolare l’acconto con le regole previste per tale regime.

In pratica l’acconto va calcolato adottando il metodo storico, nella misura del 100% di quanto dovuto a titolo di imposta complessiva per il 2014. In particolare si dovrà fare riferimento al rigo LM14 di Unico 2015.

L’acconto va versato in due rate se l’importo della prima supera € 103.

Anche in questo caso è possibile utilizzare il metodo previsionale in sostituzione di quello storico qualora si preveda che il reddito imponibile soggetto all’imposta sostitutiva del 5% sia, nel 2015, inferiore rispetto a quello maturato nel corso del 2014. L’insufficiente versamento è sempre punito con la sanzione del 30%, se a consuntivo quanto versato a titolo di acconto si dimostra incapiente in relazione al totale dell’imposta determinata per l’annualità d’imposta 2015.

Nessun anticipo va versato se tale rigo riporta un’imposta pari od inferiore a 51 euro o se l’attività è iniziata nel 2015 direttamente nel regime dei minimi.

Il minimo che è diventato ordinario

Infine per chi passa dal regime dei minimi (2014) al regime ordinario (2015) non è chiaro se l’acconto sia obbligatoriamente dovuto sulla base del metodo storico.

Seguendo le regole generali, in linea di principio l’acconto calcolato avvalendosi del metodo previsionale non dovrebbe essere dovuto. Tuttavia è presente in Unico un apposito spazio (rigo RN38, colonna 4), in cui il contribuente può scomputare, in sede di saldo Irpef, l’acconto versato relativamente all’imposta sostitutiva.

In assenza di istruzioni diverse, la presenza di tale campo non dovrebbe deporre per l’obbligatorietà per chi è in regime dei minimi di versare obbligatoriamente l’acconto dovuto con il metodo storico determinato secondo tale regime, ma starebbe solo a consentire l’opzione di poter scomputare l’anno successivo quanto versato con il regime precedente.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Proroghe di vecchie CIGS: vale il termine di 25gg

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Si applica la disciplina previgente in caso di proroghe CIGS presentate dopo il 24 settembre 2015

Qualora un’impresa abbia chiesto la CIGS per riorganizzazione o ristrutturazione aziendale (di durata iniziale pari a 24 mesi) in data antecedente al 24 settembre 2015 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 148/2015) e voglia ora prorogare l’intervento salariale straordinario in favore dei propri dipendenti, deve presentare istanza entro il termine di 25 gg dalla fine del periodo di paga in corso al termine della settimana in cui ha avuto inizio la sospensione o la riduzione dell’orario di lavoro. In tali casi, quindi, si applica la normativa previgente che concede, in luogo dei 7 gg attualmente previsti, un arco temporale più ampio per le imprese.

L’interpretazione ministeriale è supportata dal fatto che, secondo la vecchia normativa, l’articolazione temporale delle istanze e dei decreti di autorizzazione dei trattamenti non poteva essere relativa a periodi superiori a 12 mesi, sia pure nell’ambito di programmi o contratti di solidarietà di durata già prevista e concordata fino a 24 mesi.
I medesimi principi si applicano anche alle istanze per il secondo anno di programmi di cessazioni biennali di attività eventualmente presentate dal 24 settembre 2015.
Resta fermo che alle domande riferite al primo anno del programma di riorganizzazione e ristrutturazione o dei contratti di solidarietà, presentate dopo il 23 settembre 2015, si applica la nuova normativa, sebbene l’accordo sia stato sottoscritto e l’inizio delle sospensioni avvenga in data precedente al 24 settembre 2015.

A chiarirlo è il Ministero del Lavoro con la Circolare n. 30/2015.

Campo di applicazione – Altro interessante chiarimento è giunto in merito al campo di applicazione della nuova CIGS, con particolare riferimento all’art. 20, co. 1, lett. f) del Decreto in trattazione. Quest’ultima disposizione, nel dettaglio, precisa che rientrano nel campo di applicazione le “imprese cooperative di trasformazione di prodotti agricoli e loro consorzi”. Sul punto, il Ministero del Welfare tiene a sottolineare che nel concetto di “trasformazione” rientra, altresì, anche il concetto di “manipolazione”. Quindi, anche le imprese cooperative e loro consorzi che commercializzano prodotti agricoli rientrano nel campo di applicazione dell’istituto ma il relativo riferimento normativo è da rinvenirsi all’art. 20, co. 2, lett. a).
Crisi aziendale a causale d’intervento – Terzo e ultimo chiarimento riguarda la fattispecie della crisi per cessazione di attività. Al riguardo, è stato chiarito che, con riferimento all’unità produttiva oggetto di cessazione, i cui lavoratori hanno già fruito, anche in costanza della normativa previgente, del trattamento CIGS per crisi per cessazione, non sarà possibile accedere nuovamente ad un trattamento CIGS, per qualunque causale, in quanto l’unità produttiva è evidentemente cessata e i lavoratori gestiti alla luce del piano di gestione degli esuberi già articolato nella precedente istanza di accesso al trattamento per la causale di crisi per cessazione.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Raddoppio. Denuncia in tempi stretti

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Una sentenza dei giudici tributari di Napoli

Il raddoppio dei termini per l’accertamento opera solamente ove la denuncia di reato sia trasmessa alla competente Procura della Repubblica entro la scadenza dei termini ordinari previsti in materia d’imposte dirette e IVA, rispettivamente, dagli articoli 43 D.P.R. 600/73 e 57 del D.P.R. 633/72, e ciò è vero anche per gli atti emessi prima dell’entrata in vigore della disposizioni del D.Lgs. n. 128/2015.
È quanto emerge dalla sentenza n. 22591/14/15 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli.
Il Collegio giudicante ha accolto il ricorso di una SRL in relazione a un accertamento a fini IRES, IVA e IRAP per il 2006. L’Ufficio ha spiccato i relativi avvisi usufruendo dell’allungamento dei termini per l’accertamento avendo ipotizzato, in capo alla contribuente, il reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D.Lgs. n. 74/2000; ma proprio sotto tale profilo l’operato dell’Ufficio è stato delegittimato dai giudici: la denuncia inoltrata all’autorità giudiziaria, come evidenziato dalla società ricorrente, recava la data del 6 dicembre 2012, “data nella quale era già intervenuto il termine di decadenza per l’accertamento d’imposta anno 2006”.
Sul raddoppio dei termini per l’accertamento, la società contribuente ha evidenziato che, anche in presenza di modifiche introdotte dall’art. 2 del D.Lgs. n. 128, l’Ufficio non aveva dato alcuna prova del deposito e/o della trasmissione della ipotesi di reato ex art. 331 c.p.p. alla Procura e che, comunque, era intervenuta la decadenza dal potere impositivo “stante sulla presunta denuncia la data del 7.12.2012 oltre i termini (31.12.2011)”. Ebbene, a riguardo i giudici partenopei scrivono: “[…] la società lamenta una violazione della disciplina del raddoppio dei termini, sotto il duplice profilo: a) della mancata allegazione della denuncia penale (così da comportare anche una violazione dell’articolo 7 dello Statuto del contribuente); b) del mancato inoltro della denuncia penale entro i termini di decadenza dei termini ordinari di accertamento. L’argomento del raddoppio dei termini è stato recentemente oggetto di riforma da parte del legislatore che ha dapprima impartito ordine al governo con la legge delega 11 marzo, n. 23, poi recepita con l’emanazione del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 che, all’articolo 2, introduce la disposizione per cui il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui ai commi precedenti.Sebbene la disposizione normativa non contempli un effetto retroattivo, facendo invece salvi gli effetti degli atti già notificati alla data di entrata in vigore, un filone consistente della giurisprudenza tributaria ha inteso che tale adempimento, l’invio della denuncia entro la scadenza degli ordinari termini d’accertamento, rappresenti un elemento imprescindibile per l’applicazione del raddoppio indipendentemente da una sua esplicitazione normativa. Ciò perché, diversamente opinando, l’utilizzo del raddoppio dei termini si porrebbe come una condizione strumentale, volta unicamente alla riapertura di periodi d’imposta già definiti. In altre parole, il mancato tempestivo inoltro della denuncia penale da parte del pubblico operatore, si dovrebbe leggere come sintomo di un utilizzo strumentale e pretestuoso della disciplina, in contrasto con la ratio perseguita dal legislatore quando ha introdotto il raddoppio termini. In senso conforme si è espressa la CTR di Roma nella richiamata sentenza n. 3571 nei confronti della ricorrente, ma anche CTP di Milano (sentenza n. 4670/26/15), CTP di Bergamo (sentenza n. 266/02/15), CTP di Novara (sentenza n. 24/03/15), solo per citarne alcune. Da ciò consegue che, nel caso di specie, l’accertamento risulta emesso oltre il periodo di decadenza del potere impositivo, in violazione dell’articolo 43 del DPR n. 600/73”.

Autore: Redazione Fiscal Focus

REDDITI DIVERSI: BED AND BREAKFAST GLI ASPETTI FISCALI

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

L’attività di B&B, se esercitata in maniera occasionale non è un’attività soggetta ad Iva e, di conseguenza, chi la gestisce non dovrà emettere documenti fiscali, ma esclusivamente ricevute comprovanti l’avvenuto pagamento.

Il carattere saltuario o occasionale, infatti, consente l’esclusione dal campo di applicazione dell’IVA.
In sostanza, quindi, l’attività di Bed and Breakfast esercitata da persone fisiche che usufruiscono, in maniera occasionale e con assenza di organizzazione di mezzi (Ris. 13 ottobre 2000 n. 155/E e 14 dicembre 1998, n. 180/E), di parte della propria abitazione di residenza per offrire alloggio e prima colazione, esclude la soggettività imprenditoriale.
In caso contrario, ossia quando l’attività è esercitata per professione abituale, si deve obbligatoriamente aprire la partita IVA e dichiarare il relativo reddito d’impresa.

Requisiti soggettivi

Chi esercita tale attività deve essere in possesso dei seguenti requisiti soggettivi:

  • possesso dei requisiti morali previsti dall’articolo 11 del R.D. n. 773/1931 (T.U.L.P.S.);
  • assenza di pregiudiziali ai sensi della legge antimafia;
  • assenza di condanne ai sensi della Legge 20 Febbraio 1958 n. 75 (Legge Merlin).

Iva

Il contribuente che gestisce un’attività di Bed and Breakfast in maniera saltuaria e senza organizzazione di mezzi dovrà rilasciare al cliente una ricevuta non fiscale, datata, numerata con l’indicazione del corrispettivo incassato e del numero dei giorni di pernottamento.
In questo caso la “madre” resterà al titolare del B&B e la “figlia” verrà consegnata all’ospite. L’unico accorgimento da prendere è quello di applicare una marca da bollo da € 2,00 qualora l’importo superi € 77,47.
In alcuni comuni occorrerà addebitare ai turisti anche la tassa di soggiorno e provvedere al suo versamento.

Redditi

Sotto il profilo tributario queste attività occasionali sono tassate come redditi diversi.
Il principio applicabile è quello di cassa: vanno dichiarati i soli proventi effettivamente percepiti.
Ogni spesa considerata “specificamente inerente” l’attività esercitata può essere dedotta nel quadro RL del mod. UNICO PF o nel quadro D del 730, dall’ammontare dei proventi incassati.
Pertanto ad esempio, nel quadro RL di Unico sarà necessario procedere a compilare il rigo RL14 (il riferimento è a Unico 2015) e ad indicare in colonna 1 l’ammontare dei proventi incassati, in colonna 2 il totale dei costi, mentre a rigo RL19 è necessario riepilogare il reddito netto conseguito.
Tale reddito farà eventualmente cumulo con gli altri posseduti dal contribuente che devono essere poi riepilogati tutti nel quadro RN dove avviene la liquidazione complessiva dell’IRPEF dovuta.
Il contribuente deve anche redigere e conservare un prospetto riepilogativo (da esibire a richiesta dell’amministrazione finanziaria) dove riportare l’indicazione dell’ammontare lordo dei corrispettivi e delle spese inerenti, dalla cui somma algebrica si ricava il reddito da dichiarare.
Sul punto si ricorda che le spese inerenti vanno opportunamente documentate.
Una questione complessa diventa spesso quella di separare in modo chiaro e netto le spese inerenti, da quelle normali del ménage familiare (per esempio, quelle per l’energia elettrica, l’acqua, il gas, ecc.). In tale caso per i consumi energetici, un criterio opportuno, potrebbe essere quello di effettuare un calcolo pro-quota su base millesimale e in proporzione al tempo di occupazione.

Agevolazioni ristrutturazione (50%)

In fine per gli interventi relativi a spese di ristrutturazione dell’unità immobiliare residenziale utilizzata per l’attività di B&B si ricorda che con la Risoluzione n. 18/E/2008, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che le spese di ristrutturazione delle abitazioni private adibite promiscuamente anche all’esercizio di un’attività commerciale, Bed and Breakfast, possono usufruire della detrazione d’imposta prevista, ai fini Irpef del 50%, per il recupero del patrimonio edilizio, delle spese effettivamente sostenute dal contribuente, purché ulteriormente ridotte del 50%.

Autore: redazione fiscal focus

Sanzioni in caso di PEC non propria

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Premessa – L’obbligo di dotarsi di un indirizzo PEC da comunicare ai fini dell’iscrizione nel registro delle imprese è sancito dall’art. 16 comma 6 del Dl 185/2008 e dall’art. 5, commi 1 e 2 del Dl 179/2012.

Spesso accade che al registro delle imprese sia comunicato, sulla posizione di un’impresa, l’indirizzo PEC di cui è titolare un’altra impresa oppure è comunicato l’indirizzo PEC di chi ha predisposto la pratica di iscrizione al registro stesso (ad esempio è indicata la PEC del commercialista).

Le imprese che si trovano in una situazione appena descritta sono chiamate a dotarsi di un indirizzo PEC proprio e a comunicarlo al Registro Imprese, pena l’applicazione di sanzioni.

L’obbligo di dotarsi di PEC propria – L’obbligo di dotarsi di PEC propria da comunicare anche al Registro Imprese è specificamente stato chiarito con la Circolare n. 77684/2014 del Ministero dello Sviluppo Economico , in cui è stato affermato che “considerato quanto previsto dall’art. 16, cc. 6 e 6-bis del DL 185/08, e dall’art. 5, cc. 1 e 2, del DL 179/2012”, si ritiene che “nel caso si rilevi, d’ufficio o su segnalazione di terzi, l’iscrizione di un indirizzo PEC, di cui sia titolare una determinata impresa, sulla posizione di un’altra (o di più altre) – ovvero, comunque, l’iscrizione sulla posizione di un’impresa di un indirizzo PEC che non sia proprio della stessa – dovrà avviarsi la procedura di cancellazione del dato in questione ai sensi dell’art. 2191 c.c., previa intimazione, all’impresa interessata (o alle imprese interessate), a sostituire l’indirizzo registrato con un indirizzo di PEC proprio”.

Inoltre, nella stessa circolare è anche precisato che lo stesso Ministero aveva già avuto occasione di chiarire, (con nota n. 120610 del 16/07/2013, all. 1), che precedenti indicazioni operative fornite in passato, secondo cui era possibile, per le imprese, indicare l’indirizzo di PEC di un terzo, sono da ritenersi ormai superate alla luce della successiva evoluzione normativa, risultando “indubitabile” che per ogni impresa debba essere iscritto, nel registro delle imprese, un indirizzo di PEC alla stessa esclusivamente riconducibile.

Le sanzioni – Sulla base di quanto affermato nella circolare n. 77684/2014, dunque, la Camera di Commercio, prima di procedere alla cancellazione della PEC risultante sulla posizione di un’impresa che non sia quella “propria”, invia a quest’ultima una comunicazione in cui invita a sostituire il predetto dato con un indirizzo PEC proprio.

Nel caso in cui, l’impresa interessata non aderisce a tale invito nel termine indicato nella comunicazione stessa, oltre alla cancellazione dell’indirizzo PEC si rende applicabile la specifica sanzione prevista dall’art. 16, c. 6-bis, del DL 185/08 (nel caso delle società), e dall’art. 5, c. 2, secondo periodo, del DL 179/12 (nel caso delle imprese individuali), secondo le modalità indicate nel parere n. 141955 del 29/08/2013 del Ministero stesso.

In particolare, è prevista una sanzione da 103 a 1.032 euro, con riduzione a 1/3 se l’impresa comunica la PEC “propria” entro i 30 giorni successivi all’irrogazione della sanzione.

E’ importante dare attenzione all’argomento trattato nel presente articolo, poiché l’eventuale cancellazione della PEC sulla propria posizione avrà delle ripercussioni anche sul rapporto tra registro imprese e impresa stessa. Si ricorda, infatti, che l’indirizzo PEC iscritto nel registro delle imprese ha carattere di ufficialità nel rapporto con i terzi e che lo stesso costituisce il sistema di collegamento preferenziale o esclusivo della Pubblica Amministrazione, compresa l’Autorità Giudiziaria e l’Amministrazione Finanziaria.

Autore: Pasquale Pirone

Stabili organizzazioni: quando è dovuta l’IVA in Italia?

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Affinché si possa ritenere che la stabile organizzazione in Italia di un soggetto estero partecipi a un’operazione e sia tenuto per la suddetta operazione al versamento dell’IVA è necessario non solo che la stabile organizzazione partecipi all’operazione ma la stabile deve svolgere una parte essenziale dell’operazione. E’ quanto chiarito dall’Amministrazione Finanziaria in risposta ad un interpello reso noto dalla stampa specializzata (Sole 24 ore del 04.11.2015) che amplia l’interpretazione restrittiva fornita dall’Amministrazione Finanziaria nella C.M. 37/E/2011.

La stabile organizzazione ai fini IVA: rapporti con la casa madre – Il Regolamento Ue 282/2011, facendo proprie numerose interpretazioni giurisprudenziali, ha fornito la definizione di stabile organizzazione ai fini Iva. Il citato Regolamento, oltre a definire puntualmente il concetto di stabile organizzazione ai fini Iva, interviene sulla stabile organizzazione regolando i rapporti con la casa madre e gli effetti ai fini delle regole territoriali relative alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi.
In particolare:

  • l’art. 11 del citato Regolamento, fornisce la definizione di stabile organizzazione;
  • gli articoli 53 e 21 del Regolamento UE n. 282/2011 stabiliscono quando la stabile organizzazione, partecipando, rispettivamente dal lato attivo e da quello passivo, all’effettuazione dell’operazione, viene considerata soggetto passivo ai fini IVA in luogo della sede dell’attività economica.

La partecipazione delle stabile organizzazione all’effettuazione dell’operazione – La stabile organizzazione è tenuta al versamento dell’IVA solo se partecipa all’effettuazione dell’operazione (art. 192-bis della direttiva 2006/112/CE). L’art. 192-bis della dir. 2006/112/CE, sancisce che, la stabile organizzazione, identificata in uno Stato membro diverso da quello del soggetto da cui essa dipende, fa venir meno l’obbligo generalizzato del reverse charge per i servizi e per i beni forniti al committente nazionale sotto due condizioni: 1. la casa madre effettua operazioni rilevanti nel territorio dello Stato (in cui la stabile organizzazione è identificata); 2. la stabile organizzazione partecipa alla esecuzione del servizio.

Cosa si debba intendere per partecipazione è indicato nel Regolamento UE 282/2011.

L’ articolo 53 del Regolamento Ue 282/2011 individua i casi un cui la stabile organizzazione, che opera come soggetto attivo, sia da prendere in considerazione come soggetto passivo ai fini IVA, in luogo della sede dell’attività economica.
In particolare, la citata disposizione sancisce quando la stabile organizzazione è (non è) tenuta al versamento dell’IVA:

  • non lo è se NON partecipa alla cessione di beni o alla prestazione di servizi ai sensi dell’art. 192- bis, lett. b), della Direttiva n. 2006/112/CE, a meno che la sua struttura sia utilizzata dalla casa madre per operazioni inerenti alla realizzazione della cessione o prestazione, prima o durante l’effettuazione della predetta cessione o prestazione;
  • non lo è se non partecipa alla cessione di beni o alla prestazione di servizi o se ha unicamente funzioni di supporto amministrativo (per esempio, la contabilità, la fatturazione e il recupero crediti);
  • infine, se, viene emessa una fattura con il numero di identificazione IVA attribuito dallo Stato membro della stabile organizzazione alla stessa, si considera, salvo prova contraria, che tale stabile organizzazione abbia partecipato alla cessione di beni o alla prestazione di servizi effettuata in tale Stato membro.

Tali aspetti sono stati oggetto di un intervento operato dall’Amministrazione Finanziaria con la circolare 37/E del 2011. In base ai chiarimenti contenuti nella circolare, “deve escludersi che la stabile organizzazione partecipi all’effettuazione del servizio quando in nessun modo il cedente o prestatore utilizzi le risorse tecniche o umane della stabile organizzazione in Italia per l’esecuzione della cessione o della prestazione in considerazione”.
L’interpretazione fornita dall’Amministrazione Finanziaria non pare del tutto in linea con le indicazioni del Regolamento UE 282/2011, facendo riferimento al semplice utilizzo delle risorse tecniche o umane della stabile organizzazione. Tale interpretazione è stata “ampliata” dalla Commissione UE che nel Working Paper n. 791 del 2014 e Working Paper n. 857/2015) ha precisato, su richiesta italiana, che una stabile organizzazione partecipa all’operazione se i mezzi umani e tecnici della stabile organizzazione sono stati effettivamente utilizzati nel caso concreto al fine di fornire (prima o durante l’esecuzione) un supporto in merito al completamento dell’operazione.
Tale interpretazione viene fatta propria dall’Agenzia delle Entrate, la quale, in risposta ad un interpello reso noto dalla stampa specializzata, ha affermato che affinché si possa ritenere che la stabile organizzazione in Italia di un soggetto estero partecipi a un’operazione e sia tenuto per la suddetta operazione al versamento dell’IVA è necessario non solo che la stabile organizzazione partecipi all’operazione ma la stabile deve svolgere una parte essenziale dell’operazione. E’ quanto chiarito dall’Amministrazione Finanziaria in risposta ad un interpello reso noto dalla stampa specializzata.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Patent box: esercizio dell’opzione

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 10.11.2015 (Prot.n. 144042)

Con il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 10.11.2015 (Prot.n. 144042) sono state rese note le modalità per l’esercizio dell’opzione per il patent box per i primi due periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2014 (2015 e 2016 nella generalità dei casi).

Si premette che il patent box è un regime opzionale di tassazione agevolata per i redditi derivanti dall’utilizzo di opere dell’ingegno, di brevetti industriali, di marchi, di disegni e modelli, nonché di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili.

Va altresì sottolineato che in merito all’esercizio dell’opzione per il patent box, il D.M. 30.07.2015 prevede che l’opzione una volta esercitata è efficace per cinque periodi d’imposta, durante i quali è irrevocabile. Al termine del periodo di durata, l’opzione è rinnovabile.

Per ciò che riguarda l’esercizio dell’opzione:

  • per i primi due periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2014, essa è comunicata all’Agenzia delle Entrate secondo le modalità stabilite da un apposito provvedimento del direttore della stessa Agenzia;
  • per i periodi d’imposta successivi, invece, l’opzione è esercitata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta a decorrere dal quale il contribuente fruisce del regime agevolato.

E’ proprio per consentire l’esercizio dell’opzione nella prima ipotesi suddetta, il Provvedimento citato ha approvato il modello “Opzione per il regime di tassazione agevolata dei redditi derivanti dall’utilizzo di beni immateriali”, da utilizzare per l’esercizio dell’opzione per i primi due periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2014.

Il modello è composto dall’informativa sul trattamento dei dati personali, dai riquadri contenenti i dati anagrafici del soggetto che esercita l’opzione e quelli dell’eventuale rappresentante firmatario nonché l’impegno alla presentazione telematica da parte dell’intermediario incaricato della trasmissione.

Come chiarito dal Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate :

  • l’opzione per il regime di tassazione agevolata dei redditi derivanti dall’utilizzo di bei immateriali è esercitata, per i primi due periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2014, entro il periodo d’imposta in cui ha inizio il regime di tassazione e riguarda il predetto periodo d’imposta e i successivi quattro;
  • i soggetti che intendono optare per il regime opzionale comunicano in via telematica i dati previsti nel modello, direttamente o tramite soggetti incaricati della trasmissione di cui all’articolo 3, commi 2-bis e 3, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322;
  • la prova della comunicazione è costituita dalla ricevuta rilasciata in via telematica dall’Agenzia delle entrate;
  • la trasmissione telematica è effettuata utilizzando il software denominato “PATENT_BOX”, che sarà disponibile gratuitamente sul sito internet www.agenziaentrate.it entro il corrente mese di novembre;
  • i soggetti incaricati della trasmissione telematica hanno l’obbligo di rilasciare al richiedente una copia della comunicazione predisposta con l’utilizzo del software “PATENT_BOX”, nonché copia della ricevuta rilasciata dall’Agenzia delle entrate.

Non residenti: la modifica della detrazione obbliga al ricalcolo degli acconti

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Situazione tutta da valutare per i non residenti nel versamento del secondo acconto, in scadenza il prossimo 30 Novembre. Ciò deriva da alcune nuove disposizioni normative e dalla mancata proroga di altre disposizioni. Si tratta in particolare:

    • dell’art. 7 della L. n. 161/2014 (Legge Europea bis) che ha introdotto il nuovo co. 3 – bis all’art. 24 del D.P.R. 917/1986, che ha esteso le medesime detrazioni e deduzioni previste per i soggetti residenti nel territorio dello Stato ai contribuenti che, pur residenti fiscalmente in un altro Stato membro o in un Paese dello Spazio economico europeo, producono almeno il 75% del proprio reddito complessivo in Italia, oltreché prevedere la possibilità per i soggetti non residenti di optare per il regime dei minimi;
    • della mancata proroga per il 2015 delle detrazione per carichi di famiglia prevista per la generalità dei soggetti non residenti.

Analizziamo gli effetti delle nuove (o mancate) disposizioni sul versamento del secondo acconto.

Detrazioni per carichi di famiglia – L’art. 24, co. 3, D.P.R. 917/1986 dispone esplicitamente che ai non residenti non spettano le detrazioni per carichi di famiglia. Tuttavia, in deroga alla citata diposizione normativa, nei confronti del cittadino straniero, comunitario o extracomunitario, che assume una soggettività tributaria in Italia, l’articolo 1, comma 1324, della legge 296/2006 (con effetti prorogati fino al 2012 dal D.L. 216/2011, il cosiddetto milleproroghe) ha riconosciuto il diritto alla detrazione per familiari a carico, fra i quali figurano il coniuge e i figli, ancorché residenti all’estero.
La Legge di Stabilità del 2013 (L. 228/2012) aveva prorogato tale beneficio anche per il 2013. Anche per il 2014 è stato prorogato tale beneficio. Infatti, il Decreto Milleproroghe (D.L. 150/2013) ha confermato, anche per il 2014, la spettanza delle detrazioni per carichi di famiglia ai soggetti non residenti.
Niente proroga invece per il 2015, salvo sorprese delle ultime ore. L’immediata conseguenza è il ricalcolo (in aumento) dell’acconto in scadenza il prossimo 30 Novembre, escludendo dal calcolo dell’imposta dovuta per il 2014 (per chi ha adottato il metodo storico) delle detrazioni per carichi di famiglia, come precisato anche nelle istruzioni alla compilazione del modello Unico PF 2015.

Non residenti Schumacker: il ricalcolo degli acconti – L’art. 7 della L. n. 161/2014 (Legge Europea bis 2013) ha introdotto il nuovo co. 3 – bis all’art. 24 del D.P.R. 917/1986, estendendo le medesime detrazioni e deduzioni previste per i soggetti residenti nel territorio dello Stato ai contribuenti che, pur residenti fiscalmente in un altro Stato membro o in un Paese dello Spazio economico europeo, producono almeno il 75% del proprio reddito complessivo in Italia.
E’ stata inoltre prevista la possibilità per i soggetti non residenti di aderire al regime dei nuovi minimi, introdotto dal D.L. n. 98/2011.
Le nuove disposizioni normative rispondono all’esigenza di far fronte alla procedura d’infrazione aperta dalla Commissione UE nei confronti dell’Italia, per la violazione degli articoli 21, 45 e 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) e dei corrispondenti articoli 28 e 31 dell’accordo See, in virtù del fatto che non si consente ai soggetti non residenti che producono la maggior parte del proprio reddito in Italia di fruire delle deduzioni e detrazioni previste per i residenti nel territorio dello Stato, ed espressamente esclude l’ applicabilità ai non residenti del regime agevolato dei “minimi”.
Da un punto di vista dichiarativo, per i non residenti Schumacker era necessario nella predisposizione del Modello UNICO 2015, periodo d’imposta 2014, oltre a compilare nel frontespizio la parte residente all’estero, barrare l’apposita casella riservata.
Da evidenziare che il Decreto attuativo è stato emanato con notevole ritardo, considerando il fatto che le nuove disposizioni si applicavano già da UNICO 2015 (periodo d’imposta 2014), la cui presentazione era fissata al 30.09.2015. Chi dunque non ha usufruito delle suddette agevolazioni per mancanza dei necessari chiarimenti, dovrà procedere eventualmente alla integrazione della dichiarazione già presentata, ricalcolare le imposte dovute per il 2014 e sul nuovo importo calcolare gli acconti 2015. La differenza tra tale importo e quanto versato in sede primo acconto 2015 costituirà l’importo da corrispondere in sede di versamento del secondo acconto.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Accertamento. Quando il fisco sbaglia con il “ricarico”

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Sentenza della Cassazione in tema di accertamento induttivo dei ricavi

Quanto le scritture contabili non presentano irregolarità, l’Ufficio non può contestare maggiori ricavi sol perché il contribuente ha applicato una percentuale di ricarico molto bassa per il settore di appartenenza.

È quanto emerge dalla sentenza n. 22464/15 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.

Un contribuente, esercente attività di installazione di impianti idraulici e sanitari e di commercio dei relativi articoli, ha ottenuto dalla Cassazione il definitivo annullamento dell’atto impositivo con cui l’Agenzia delle Entrate gli aveva contestato maggiori ricavi, quindi maggiori imposte, in virtù della rettifica con metodo induttivo della dichiarazione dei redditi.

La rettifica, nella specie, è scaturita dall’applicazione di una percentuale di ricarico diversa da quella dichiarata poiché quest’ultima è risultata di oltre 20 volte inferiore a quella di settore.

Nel giudizio dinanzi alla Suprema Corte la difesa erariale ha lamentato la violazione dell’art. 39 del D.P.R. 600/73 e degli artt. 2727 e 2697 C.c., in quanto la CTR, alla luce di un ricarico dichiarato molto basso rispetto al settore di appartenenza, avrebbe dovuto ravvisare una legittima presunzione di maggiori ricavi e quindi non dichiarare l’illegittimità della ripresa.

Ebbene, la Suprema Corte ha respinto la doglianza del fisco avendo ritenuto corretto il ragionamento decisionale del giudice di secondo grado.

In tema di accertamento delle imposte dirette, hanno ricordato i supremi giudici, “per presumere l’esistenza di ricavi superiori a quelli contabilizzati e assoggettati ad imposta, non bastano semplici indizi, ma occorrono circostanze gravi, precise e concordanti. Ne consegue che non è legittima la presunzione di ricavi, maggiori di quelli denunciati, fondata sul raffronto tra prezzi di acquisto e di rivendita operato su alcuni articoli anziché su un inventario generale delle merci da porre a base dell’accertamento, né si rende legittimo il ricorso al sistema della media semplice, anziché a quello della media ponderale, quando tra i vari tipi di merce esiste una notevole differenza di valore ed i tipi più venduti presentano una percentuale di ricarico inferiore a quella risultante dal ricarico medio”.

L’Ufficio ha sostenuto di aver proceduto alla determinazione del ricarico in base alla “media ponderata”, ma la CTR ha messo in luce le numerose falle di questo procedimento.

Il giudice d’appello ha rilevato che la determinazione del ricarico è stata “tutt’altro che puntuale e precisa” per avere l’Ufficio “erroneamente attinto i prezzi di vendita da confrontare con i prezzi di acquisto dalle fatture emesse a carico di enti pubblici; per aver, talvolta, rapportato il prezzo di vendita con Iva al prezzo di acquisto senza l’imposta; per essere ‘troppo disomogenei’ i beni raggruppati per categorie omogenee, in realtà non coerenti, con conseguente troppo elevato scarto fra prezzo minimo e prezzo massimo”; per essere stato falsato, inoltre, il rapporto tra prezzo d’acquisto di oltre 7000 articoli e i prezzi di vendita oltre 2000 articoli; per aver l’Ufficio considerato nei prezzi d’acquisto sconti e abbuoni di competenza dell’anno precedente, e per non aver tenuto conto che nei prezzi di vendita era compresa la posa in opera degli articoli acquistati, con evidente incidenza del costo della mano d’opera sul prezzo di vendita praticato.

A fronte di questi rilievi, la CTR ha giustamente ritenuto inficiato il risultato ottenuto, poi posto a base dell’accertamento impugnato, anche perché, con riguardo all’oggetto dell’attività del contribuente, attività di fatto rappresentata da merci molto disomogenee, non può dirsi legittimo un accertamento che non sia basato sul rigoroso calcolo della media ponderata. Pertanto la CTR ha affermato, trovando l’avallo dei Supremi Giudici, che “in presenza di scritture contabili corrette e quindi non contestate dall’ufficio, il solo rilievo che il contribuente abbia applicato una percentuale di ricarico diversa dal settore di appartenenza non è sufficiente a legittimare una presunzione di maggior reddito, come nel caso di specie”.

L’Agenzia delle entrate è stata condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Autore: redazione fiscal focus

Cassetto previdenziale: nuove funzionalità per i committenti

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Nasce la funzione della “Bidirezionalità”: ampliati i servizi telematici per i committenti della Gestione separata INPS

Il Cassetto previdenziale per i committenti della Gestione separata INPS si arricchisce di una nuova funzionalità. Infatti, a decorrere dal 6 ottobre 2015, all’interno del menu “Comunicazione Bidirezionale” è stata inserita la funzione “Bidirezionalità”, che comprende i seguenti sottomenu: “Comunicazioni irregolarità da leggere”; “Comunicazioni irregolarità lette”; “Lista richieste”; “Nuova richiesta” e “Istanze Online”.

Con riferimento all’opzione di “Nuova richiesta” è stato definito un ambito circoscritto di tipologie di comunicazioni che possono essere inviate, strettamente collegate alle funzionalità previste per il Cassetto Previdenziale per i Committenti.

Pertanto, in fase di composizione di una nuova comunicazione, è necessario indicare:

  • indirizzo e-mail e numero di telefono (è obbligatorio inserire almeno uno dei due);
  • oggetto della richiesta. Per l’oggetto è prevista una struttura ad albero a due livelli che guida l’utente. La selezione dall’elenco predefinito consente di canalizzare in modo puntuale la richiesta così da ottenere una risposta dalla sede competente;
  • altri dati facoltativi quali il consenso a ricevere notifiche via mail o sms, numero di telefono fisso, fax.

Dopo aver premuto il tasto “invia”, la richiesta viene inserita e l’utente potrà trovarla all’interno del link “Lista richieste”.

Al riguardo, non bisogna dimenticare che per l’accesso ai servizi telematici è necessario essere in possesso del Pin dispositivo.

A comunicarlo è stato l’INPS con il messaggio n. 6838/2015.

Cassetto previdenziale – Il Cassetto previdenziale per i committenti della GS INPS è stato reso operativo a decorrere dal 31 dicembre 2012 (INPS msg. n. 6838/2013) e nasce dall’esigenza di facilitare i soggetti contribuenti operanti nell’ambito della Gestione Separata nella consultazione dei dati contenuti negli archivi dell’Istituto, fornendo una situazione riassuntiva delle informazioni inerenti la propria posizione previdenziale.Infatti, l’utilizzo del canale telematico semplifica e facilita notevolmente l’attività demandata ai processi di back office, realizzando nel contempo una più efficace assistenza e consulenza specialistica e un miglioramento complessivo della qualità dei servizi. Esso offre all’interessato una visione d’insieme della situazione aziendale tramite un unico canale di accesso alle informazioni contenute negli archivi gestionali dell’INPS.

Il Cassetto, in particolare, è riservato ai committenti di collaboratori coordinati e continuativi (anche a progetto), alle figure ad essi assimilate ed agli associanti, nonché agli intermediari autorizzati ad operare per loro conto.

Le funzioni – Attraverso questo nuovo applicativo, gli utenti possono utilizzare le varie attività di consultazione previste per: visualizzare la posizione anagrafica dell’azienda; accedere, limitatamente al committente persona fisica e al Legale Rappresentante, alla lista dei collaboratori; visualizzare, limitatamente al committente persona fisica e al Legale Rappresentante, tutte le denunce Emens presentate; visualizzare, limitatamente al delegato, le denunce Emens da lui inviate; visualizzare il riepilogo dei versamenti effettuati; gestire l’attività di delega all’accesso alle funzioni previste dal Cassetto Previdenziale a soggetto di propria fiducia, con le funzioni di inserimento e cancellazione di eventuali deleghe. Particolarmente significativa è la funzione di delega diretta, riservata ai committenti persone fisiche e ai Legali Rappresentanti che, nel rispetto dell’ambito di applicazione della L. n. 12/79, offre la possibilità di delegare un soggetto di propria fiducia, visualizzare, modificare o cessare una delega già rilasciata.

Autore: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Sequestro in caso di pegno regolare

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

La Cassazione si è pronunciata sul ricorso di una Banca

In tema di reati fiscali, il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, può investire anche i beni costituiti dall’indagato in pegno regolare in favore della Banca, ma in tale ipotesi al giudice è richiesto di operare un bilanciamento fra l’interesse pubblico alla non dispersione definitiva dei beni nella disponibilità dell’indagato e la tutela delle ragioni del terzo creditore estraneo al reato.

È quanto emerge dalla sentenza n. 44010/15 della Terza Sezione Penale della Suprema Corte.

Gli ermellini hanno esaminato il ricorso prodotto da una Banca, nell’ambito di un procedimento a carico di un cliente della stessa, accusato del reato di omesso versamento di IVA ex art. 10-ter D.Lgs. 74/2000.

Precisamente, il ricorso ha avuto a oggetto il provvedimento di sequestro preventivo delle quote di un Fondo per oltre 2milioni e mezzo di euro, quote costituite in pegno regolare dall’indagato.

La gravata decisione del giudice della cautela è stata cassata con rinvio poiché, a giudizio dei supremi giudici, non conforme all’orientamento prevalente in tema di misure cautelari su titoli costituiti dall’indagato in pegno a favore di un istituto di credito.

Le Sezioni Unite Penali della Suprema Corte, con la sentenza n. 9 del 1994 – poi ripresa da pronunce successive (Cass. nn. 47400/2003 e 45400/2008) – hanno chiarito che il sequestro preventivo può avere ad oggetto anche i beni che siano stati costituiti dall’indagato in pegno regolare, e ciò in quanto la disponibilità di questi, da parte del creditore, pur penetrante, non può essere considerata assoluta né esaustiva di tutte le facoltà spettanti al debitore garante, il quale, oltre all’eventuale recupero dell’eccedenza di pegno, può sempre alienare il bene o attivarsi per l’estinzione dell’obbligazione e ottenere la restituzione della eadem res fornita in garanzia. Le S.U. hanno però precisato che “il giudice di merito che dispone la misura può limitare l’estensione del vincolo alle facoltà spettanti al debitore indagato o imputato, lasciando impregiudicate le facoltà di esclusiva pertinenza del creditore pignoratizio estraneo all’illecito penale; ed anzi tale scissione delle rispettive sfere di disponibilità, ai fini di una diversa diversificazione dell’ambito di efficacia del vincolo, è da considerarsi doverosa quando le esigenze cautelari che fondano la misura consistono nel pericolo di commissione di nuovi reati, o di aggravamento di quelli già commessi, derivante soltanto dal comportamento del debitore indagato”.

Pertanto, compete al giudice che sequestra o, in caso di ricorso, al giudice del riesame, valutare se sia il caso di limitare il vincolo per scindere la posizione del creditore rispetto a quella dell’indagato ai fini dell’efficacia della cautela; ragion per cui, nel caso esaminato, non corrisponde all’insegnamento nomofilattico “l’asserto del Tribunale di Trieste per cui comunque è sempre necessario dare prevalenza all’interesse pubblico anche se il terzo ne patisce conseguenze pregiudizievoli. Quello che il giudice deve operare, invero, non è un automatico e totale assoggettamento del terzo all’interesse pubblico, bensì un bilanciamento, per quanto possibile ovvero nella misura ottimale, tra quest’ultimo e l’interesse privato” (si veda Cass. n. 36293/2011).

Autore: redazione fiscal focus

Cartelle. Affissione dell’avviso alla porta di casa

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Nulla la notifica della cartella esattoriale senza prova che c’era l’avviso di deposito sulla porta di casa

Se il destinatario della cartella esattoriale è irreperibile, l’ufficiale giudiziario deve depositare la copia nella casa del Comune dove la notificazione deve eseguirsi e affiggere l’avviso del deposito alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, che deve essere pure informato con raccomandata A/r. Il giudice deve accertare il rispetto di questa procedura dalla quale dipende la validità della notifica.

È quanto emerge dalla sentenza 22 ottobre 2015, n. 21529, della Seconda Sezione Civile della Cassazione.

Gli ermellini hanno accolto il ricorso di un cittadino che ha proposto opposizione ex artt. 615 e 617 C.p.c. contro la cartella esattoriale inviatagli da Equitalia per verbali non pagati relativi a infrazioni al Codice della strada.

Nel giudizio di cassazione ha trovato ingresso la contestazione riguardante il vizio di notifica delle cartelle, essendo mancata l’affissione dell’avviso di deposito sulla porta dell’abitazione – in violazione dell’art. 140 C.p.c. – ed essendo stata prodotta in giudizio una copia del frontespizio della busta che non consentiva la riferibilità della raccomandata inviata.

“La censura relativa alla mancata affissione”, scrive la Suprema Corte, “è fondata perché è carente l’accertamento del Giudice di pace sulle modalità della notifica ed in particolare sull’affissione alla porta dell’abitazione”.

La Suprema Corte ha poi chiarito che “avverso la cartella esattoriale sono ammissibili l’opposizione ai sensi della legge n. 689 del 1981 in funzione recuperatoria della pregressa tutela o quella all’esecuzione ex art. 615 Cpc od agli atti esecutivi ex art. 617 Cpc. La prima ha come unici interlocutori gli enti impositori, le altre presuppongono che si instauri correttamente un giudizio di opposizione all’esecuzione od agli atti esecutivi nelle forme e con le modalità del codice di rito”. Nel caso di specie, “il ricorso fa riferimento nell’esposizione del fatto a un avviso di accertamento reperito nel corso del 2010 in cassetta postale e ad una omessa notifica e la sentenza ad una opposizione in cui si deduceva anche l’inesistenza del titolo”.

La causa è stata rimessa al giudice di merito per nuovo giudizio.

Autore: redazione fiscal focus

Perdite su crediti: periodo di deducibilità

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Per i crediti di modesto imposto i sei mesi rappresentano il momento di inizio

Premessa – Per le perdite su crediti di modesta entità il termine dei sei mesi rappresenta il momento a partire dal quale (“dies a quo”) la perdita può essere fiscalmente dedotta: è la corretta adozione dei principi contabili che determina la cancellazione del credito dal bilancio, derivante dall’esercizio in cui è imputata a conto economico a titolo di svalutazione secondo l’apprezzamento degli amministratori.

Decreto internazionalizzazione – Il D.Lgs. n. 147/2015 “Decreto Internazionalizzazione” è intervenuto al fine di dare maggiore certezza al periodo di deducibilità della perdita riferita a crediti di modesto importo (€ 2.500/5.000) che risultano scaduti da almeno 6 mesi.

Testo legislativo – Il nuovo comma 5-bis del citato art. 101, introdotto dall’art. 13, comma 1, lett. d) del Decreto in esame, dispone che la deduzione delle perdite sui predetti crediti: “è ammessa (…) nel periodo di imputazione in bilancio, anche quando detta imputazione avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui (…) sussistono gli elementi certi e precisi ovvero il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale, sempreché l’imputazione non avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione del credito dal bilancio”.

Principi contabili – Di conseguenza la deducibilità di una perdita su crediti di modesto importo/nei confronti di soggetti interessati da procedure concorsuali è ammessa nel medesimo periodo d’imposta di imputazione della stessa a bilancio sulla base dell’applicazione dei Principi contabili, ancorché lo stesso sia successivo a quello di manifestazione delle condizioni per la deducibilità.

Limite temporale – È comunque posto un limite temporale entro il quale è consentita la deducibilità, rappresentato dal periodo d’imposta nel quale, in base ai predetti Principi contabili, il credito avrebbe dovuto essere cancellato dal bilancio (così, ad esempio, per effetto della cessione del credito a terzi, per prescrizione, per effetto della stipula di un accordo di saldo o di stralcio).

Crediti di modesto importo – Relativamente alla perdita su crediti di modesto importo, il Decreto in esame, come evidenziato nella Relazione illustrativa, “accoglie” le soluzioni interpretative già fornite dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare 1.8.2013 n. 26/E, in base alle quali il verificarsi della condizione temporale (decorso dei 6 mesi) rappresenta il momento a decorrere dal quale la perdita può essere dedotta; la stessa, non deve necessariamente essere contabilizzata nell’esercizio in cui si è realizzata la predetta condizione.

Periodo successivo – Pertanto, anche qualora l’imputazione secondo la corretta applicazione dei principi contabili avvenga in un periodo di imposta successivo a quello della scadenza del sesto mese dal termine di pagamento concordato, la perdita sarà deducibile in quel periodo di imposta

Periodo d’imputazione – Più precisamente, se la perdita, in applicazione dei Principi contabili è imputata in un esercizio successivo a quello in cui si realizza il requisito del decorso dei 6 mesi, la stessa è deducibile nell’esercizio di imputazione a Conto economico, mentre se la perdita è imputata in un esercizio precedente a quello in cui si realizza il requisito del decorso dei 6 mesi, la stessa è deducibile in quest’ultimo esercizio.

Autore: redazione fiscal focus