730 tardivo: la regolarizzazione della violazione scatta dal 23/7

Solo i mod. 730 presentati dopo il 23 luglio devono essere considerati tardivi

Il dies a quo per la regolarizzazione della violazione di tardiva presentazione del mod. 730 decorre dal termine prorogato con DPCM 26 giugno 2015, vale a dire dal 23 luglio 2015 anziché dalla data originaria del 7 luglio 2015.

Il chiarimento è riscontrabile nel testo della Circolare AE n. 34/2015, nella quale la consulta dei Centri di Assistenza Fiscale (CAF) ha chiesto all’Amministrazione Finanziaria quale dei due termini debba essere considerato ai fini della valutazione dell’invio tardivo dei modelli 730 del corrente anno, ossia il 7 luglio ovvero il 23 luglio 2015.

La proroga – Il DPCM 26 giugno 2015 considerata l’opportunità di prevedere un maggior termine per il corretto svolgimento dei relativi adempimenti e tenendo conto delle esigenze dei contribuenti e dell’Amministrazione Finanziaria, ha consentito ai CAF-dipendenti e ai professionisti abilitati, di “completare, entro il 23 luglio 2015, (…) la trasmissione in via telematica all’Agenzia delle entrate delle dichiarazioni presentate ai sensi dell’articolo 13 del decreto ministeriale 31 maggio 1999, n. 164, a condizione che entro il 7 luglio 2015 abbiano effettuato la trasmissione di almeno l’ottanta per cento delle medesime dichiarazioni”.

L’ampliamento del termine, si ricorda, era motivato dalle difficoltà segnalate dagli operatori nel primo anno di applicazione della normativa – che ha modificato le modalità di svolgimento dell’assistenza fiscale con l’introduzione della dichiarazione precompilata – dalle disposizioni che hanno previsto la revisione dei requisiti e delle garanzie richiesti per l’attività di assistenza nonché dalla concomitanSolo i mod. 730 presentati dopo il 23 luglio devono essere considerati tardiviza di altre scadenze fiscali.

Tali circostanze hanno determinato, per gli intermediari abilitati, l’insorgere di grosse difficoltà nel far fronte alle richieste dei lavoratori dipendenti e dei pensionati che, in modo massivo e in contemporanea, hanno richiesto assistenza.

Chiarimento AE – L’Agenzia delle Entrate è stata recentemente interrogata dal Coordinamento Nazionale dei CAF in merito all’individuazione del termine a partire dal quale scatta la violazione per l’invio tardivo del mod. 730. Sul punto, l’Amministrazione Finanziaria ritiene innanzitutto opportuno individuare il momento in cui la violazione può dirsi commessa, anche alla luce della proroga disposta con DPCM 26 giugno 2015.

Tenuto conto delle finalità del menzionato Decreto ed anche al fine di semplificare gli adempimenti, l’Agenzia delle Entrate ritiene che il dies a quo per la regolarizzazione della violazione decorra comunque dal termine prorogato, ossia dal 23 luglio 2015.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Società estinte: differimento quinquennale senza retroattività

Le disposizioni del D.L. Semplificazioni si applicano quando la richiesta di cancellazione è avvenuta nella vigenza del decreto

Le disposizioni in materia di società estinte introdotte dal D.Lgs. n. 175/14 (c.d. Semplificazioni) non hanno efficacia retroattiva, quindi non si applicano alle società – di capitali o di persone – che abbiano fatto richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese prima del 13 dicembre 2014, ossia prima della data di entrata in vigore del suddetto decreto.

È quanto ha ribadito la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18385/2015 (nello stesso senso Cass. Sez. trib. n. 6743/2015).

La S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso di una Srl perché il giudizio in primo grado è stato instaurato quando la società era già estinta e, quindi, la medesima non aveva capacità a impugnare.

Precisamente, l’impugnazione davanti alla CTP è stata proposta successivamente al 1° gennaio 2004, data nella quale si era prodotto l’effetto estintivo della società, e il giudice di primo grado avrebbe dovuto rilevare il difetto di capacità della società e, quindi, l’improponibilità del ricorso stesso. Ma così non è stato. E allora il vizio di legittimazione attiva è stato rilevato dai supremi giudici, i quali hanno escluso l’applicabilità al caso dello ius superveniens in materia di società di estinte.

L’art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014, entrato in vigore il 13 dicembre 2014 ed emesso in attuazione degli artt. 1 e 7 della legge di delegazione n. 23 del 2014 stabilisce: “Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese”.

Ebbene, tale disposizione, per la Suprema Corte, non si applica alla fattispecie di causa in quanto, contrariamente a quanto talora sostenuto dall’Amministrazione finanziaria nelle sue circolari (il riferimento degli ermellini è alle circolari n. 31/E del 2014 e n. 6/E del 2015), opera su un piano sostanziale, non si risolve in una diversa regolamentazione dei termini processuali o dei tempi e delle procedure di accertamento o di riscossione e non ha valenza interpretativa.

Pertanto, il differimento quinquennale (operante nei soli confronti dell’Amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione, indicati nella disposizione in discorso, con riguardo a tributi o contributi) degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495, secondo comma, C.c. si applica esclusivamente ai casi (diversi da quello di specie) in cui la richiesta di cancellazione della società dal Registro delle imprese (richiesta che costituisce il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza di detto decreto legislativo (cioè il 13.12.2014 o successivamente).

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Compensi amministratori. Deducibili con delibera ad hoc

Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 28 ottobre 2015

In tema di società di capitali, i costi sostenuti per il compenso degli amministratori sono deducibili dal reddito d’impresa ove determinati nello Statuto, oppure con una specifica delibera dell’assemblea. È quanto emerge dalla sentenza n. 21953/15, pubblicata ieridalla Corte di Cassazione – Sezione Tributaria Civile.

La CTR annullava un recupero d’imposte (Irpeg e Iva per il 2003) conseguente al disconoscimento dei costi portati in deduzione da una Srl – appartenente a un Gruppo societario -e relativi ai compensi corrisposti ai membri del consiglio d’amministrazione.

L’Ufficio aveva giustificato la ripresa nel senso che la misura dei compensi in questioni non era stata determinata nello Statuto, né deliberata preventivamente dall’assemblea dei soci, con conseguente violazione dell’art. 2389 C.C. Quindi, ad avviso dell’Ufficio, si trattava di costi non certi nell’esistenza e neppure obiettivamente determinabili come richiesto invece dal TUIR (art. 75) e dal decreto IVA (art. 19.

Di diverso parere la CTR, secondo cui non vi erano impedimenti a che la contribuente determinasse “ex post” il compenso degli amministratori con la delibera assembleare di approvazione del bilancio di chiusura dell’esercizio.

Ebbene, secondo la S.C., la CTR è incorsa in errore di diritto perché ha ritenuto deducibile nell’esercizio di competenza (anno 2003) la spesa sostenuta dalla contribuente Srl per compensi agli amministratori, sebbene difettassero i requisiti di certezza e di oggettiva determinabilità dell’ammontare del costo, richiesti dall’art. 75 del TUIR, “sia in considerazioni dell’invalidità del titolo di spesa sia in difetto di indicazioni nell’atto costitutivo dei criteri di liquidazione, non essendo stato preventivamente stabilito l’importo dei compensi dalla delibera dell’assemblea dei soci, richiesta ai sensi degli artt. 2364 comma 1 n. 3) e 2389 C.c. – espressamente richiamati per le società a responsabilità limitata dagli artt. 2486 comma 2 e 2487 comma 2 C.c., nel testo anteriore alla riforma del diritto societario (D.Lgs. n. 6/2003), applicabili ratione temporis -, e neppure essendo stata deliberata la misura dei compensi, in sede si approvazione del bilancio, a seguito di specifica discussione e con la partecipazione totalitaria dei soci”.

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso del Fisco, ha evidenziato, in particolare, come l’esigenza di un’espressa previsione statutaria o di una specifica delibera assembleare avente ad oggetto la determinazione dei compensi degli amministratori, nel regime normativo anteriore alla riforma del D.Lgs. n. 6/2003, è stata ritenuta funzionale a garantire la piena trasparenza e la previa conoscenza di tutti i soci della relativa voce di spesa, in quanto elemento essenziale del rapporto fiduciario che presiede all’affidamento dell’incarico di amministrazione; esigenza che si ritiene soddisfatta soltanto attraverso la previsione di una specifica manifestazione volitiva dell’assemblea dei soci diretta alla assunzione dell’onere patrimoniale connesso al funzionamento dell’organo di direzione della società.

Ne consegue, sempre secondo la Corte, che devono essere sanzionati con l’invalidità gli atti degli organi societari diversi dalla delibera dell’assemblea, così come la delibera assembleare assunta in modo difforme dalla previsione dell’art. 2389 c.c., in quanto avente a oggetto questioni estranee alla attribuzione dei compensi agli amministratori, come nel caso di specie, in cui la liquidazione delle somme da erogare agli amministratori sia meramente indicata in una delle voci di spesa del bilancio di chiusura esercizio presentato alla approvazione dell’assemblea.

La causa è stata decisa dagli ermellini nel merito (con rigetto del ricorso introduttivo) e la società contribuente dovrà pagare le spese del giudizio di legittimità.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Commercialisti. Prestazioni gratuite per parenti e amici

Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 28 ottobre 2015

È nullo l’accertamento a carico del professionista quando, a fronte delle mere supposizioni dell’Ufficio, appaia plausibile la gratuità delle prestazioni non fatturate in quanto svolte in favore di parenti e amici, anche allo scopo di incrementare la clientela.

È quanto emerge dalla sentenza 28 ottobre 2015 n. 21972 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.

Un consulente fiscale è divenuto destinatario di un avviso di accertamento per maggiori imposte (IVA, IRPEF e IRAP per il 2001) fondato sui compensi non fatturati e non registrati in relazione a oltre 70 clienti.

Riformando il verdetto pro-fisco pronunciato dalla CTP, la CTR ha dichiarato illegittima la ripresa a tassazione alla luce del fatto che il contribuente aveva giustificato la mancata registrazione e fatturazione dei compensi con i rapporti di amicizia o parentela intercorrenti tra lui e i clienti in questione i quali, peraltro, per il 70 per cento, risultavano soci di società di persone la cui contabilità era curata proprio dal contribuente, ragion per cui ogni eventuale compenso si poteva ritenere rientrante in quello già corrisposto dalla società di appartenenza. La CTR ha dato penso anche all’accertata circostanza che l’attività asseritamente gratuita riguardava soltanto l’invio telematico delle dichiarazioni dei redditi; e tale attività era finalizzata all’incremento della clientela.

Ebbene, investita dell’esame della controversia, in forza del ricorso del Fisco, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile, sotto il profilo motivazionale, la sentenza del giudice dell’appello.

La CTR – dice la Sezione Tributaria di Palazzaccio – ha ritenuto con “motivazione congrua e non contraddittoria, plausibile, a fronte delle mere supposizioni dell’Ufficio erariale, la gratuità dell’opera svolta dal professionista, in considerazione dei rapporti di parentela e di amicizia con gli stessi clienti, nonché del fatto che il 70% di tali soggetti risultano soci di società di persone, la cui contabilità è affidata alle cure del contribuente, per cui ogni eventuale compenso rientra in quello già corrisposto dalla società di appartenenza (e non è contestato che dette società fossero clienti del professionista e che le stesse non rientrassero nell’elenco, individuato dai verificatori, dei soggetti non paganti) e della circostanza, accertata oltre che pacifica, che l’attività svolta in loro favore riguardava soltanto l’invio telematico delle dichiarazioni dei redditi ed era finalizzata all’incremento della clientela, cosicché la semplicità della prestazione in sé rende verosimile l’assunto del contribuente circa la sua gratuità”.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Fallimenti, Iva recuperata solo dal 2017

Con una modifica dell’ultima ora sul testo circolato nei giorni scorsi è stato corretto l’articolo 9 del Ddl di stabilità 2016, stabilendo che la possibilità di emettere la nota di accredito Iva all’avvio delle procedura concorsuale si applichi per le sole «operazioni effettuate dal 1 gennaio 2017».

Il testo del disegno di legge che ha ufficialmente iniziato l’iter parlamentare, fa rimanere quindi in stand by il diritto del creditore a vedere soddisfatto fin dall’inizio della procedura che sembrava, in un primo momento, certamente fruibile a partire dal primo gennaio 2016.
Pertanto ancora per un altro anno, per recuperare l’Iva sui crediti incagliati in procedure concorsuali e para concorsuali si dovrà attendere la chiusura della procedura.

Il disegno di legge. L’Iva sulle procedure concorsuali – Nel merito della questione va ricordato che Il Ddl interviene sull’articolo 26 del Dpr n. 633/72 in tema di recupero Iva sui crediti in sofferenza riferiti a clienti assoggettati ad una delle procedure previste dalla legge fallimentare.
Nella sostanza la nuova norma autorizza l’emissione della nota di accredito in relazione all’Iva addebitata e mai incassata dal creditore, senza dover attendere i lunghi tempi necessari per la conclusione dell’iter concorsuale.
La versione oggi in vigore, lo si ricorda, prevede la necessità di attendere sempre l’infruttuosità della procedura prima di poter esperire la nota di variazione, condizione che si verifica solo con la chiusura della stessa.

La decorrenza – Con il nuovo testo, reso pubblico solo venerdì, è stata disposta la modifica del comma 10 dell’articolo 9 che prevede che «le disposizioni di cui all’articolo 26, comma 4, lettera a), e comma 5, secondo periodo, del Dpr 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal presente articolo, si applicano alle operazioni effettuate dal 1° gennaio 2017».
Per effetto di tale modifica, la nota di accredito si potrà riferire alle sole cessioni di beni o alle prestazioni di servizi rese dopo il primo gennaio 2017.
Ciò fuga subito uno dei dubbi che si erano posti in prima lettura della nuova norma (si veda la nostra Fiscal flash del 27 ottobre 2015); in ragione di tale precisazione quindi l’emissione della nota di accredito rimane preclusa per tutte quelle realtà dove la procedura concorsuale è ancora in svolgimento.
Per cui paradossalmente anche se la procedura stessa iniziasse dopo il 1 gennaio 2017, sarebbe comunque preclusa la possibilità di emissione della nota di accredito, poichè l’operazione rilevante ai fini Iva è stata posta in essere antecedentemente a tale data.
Se così stanno le cose è forte il rischio che la modifica introdotta rimanga inoperosa per un tempo eccessivo.
In questo contesto l’auspicio, sarebbe quello che nel corso del dibattito Parlamentare ci sia un dietrofront che anticipi la decorrenza della nuova disciplina.

Le altre modifiche – L’articolo 9 del Ddl Stabilità prevede ulteriori modifiche sull’articolo 26 del Dpr 633/72.
In particolare vengono stabilite tre distinte categorie di cause giuridiche che legittimano l’emissione della nota di variazione iva.
La prima attiene la possibilità di variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta in presenza di abbuoni e sconti contrattualmente previsti. In base al nuovo comma 3 dell’articolo 26, infatti, la nota di variazione non può essere emessa dopo il decorso di un anno dall’operazione. Tale regola si applica anche in ipotesi in cui la rettifica riguardi delle operazioni inesistenti (articolo 21 comma 7 del Dpr 633/72).
La seconda possibilità riguarda le cause giuridiche che determinano la riduzione dell’imposta e della base imponibile in forza di una dichiarazione di nullità, annullamento, revoca e risoluzione. In tali casistiche per l’emissione della nota di variazione non opera la limitazione annuale di cui all’ipotesi sopra evidenziata, poiché le variazioni non si verificano in dipendenza di un sopravvenuto accordo fra le parti; quindi la nota di accredito potrà essere emessa anche oltre l’anno.
La terza casistica si rinviene nel caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, del corrispettivo da parte del cessionario/committente.
Per questa via la nota di accredito può essere emessa solo al verificarsi di eventi particolari individuati dalla norma stessa e riconducibili a procedure concorsuali o a piani di ristrutturazione del debito o a procedure esecutive individuali rimaste infruttuose. Per quest’ultima ipotesi, come sopra esaminato, a differenza delle due precedenti (la cui efficacia sarà dal 01.01.2016) la novella entrerà in vigore dalle operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2017.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Riammissione alla rateazione ed effetti sulle procedure esecutive

La ripresa della rateazione può bloccare le procedure avviate

Il D.Lgs. 159/2015 ha introdotto importanti novità in merito alla possibilità di rateazioni di pdr precedentemente decaduti nell’arco temporale che va dal 22 ottobre 2013 al 21 ottobre 2015; Per i contribuenti che in quel periodo preciso avevano avuto accesso ad un piano di rateazione, al quale non sono riusciti a far fronte, è prevista la possibilità di chiedere nuovamente, entro il 21 Novembre 2015, la riammissione al beneficio tramite apposita documentazione disponibile sul sito di Equitalia alla sezione ModulisticaRateizzazione-RICHIESTA DI RATEIZZAZIONE PER PIANI DECADUTI DAL 22/10/2013 AL 21/10/2015.

In ogni caso i contribuenti che sono stati riammessi alla rateazione, decadranno dal beneficio in seguito al mancato pagamento di solo due rate anche non successive, non quindi di otto rate come era previsto per le dilazioni concesse dal 23 Giugno 2013 al 21 ottobre 2015, o di 5 rate come stabilito per le nuove dilazioni poste in essere dal 22 ottobre 2015. Ad esempio se la rateazione è stata concessa il 7 settembre 2015, la nuova disciplina non è ancora applicabile (le nuove regole non erano ancora in vigore) e il mancato pagamento, ad esempio di sette rate, non determina la decadenza dal beneficio. La dilazione viene concessa considerando lo stesso numero di rate prevista per il precedente pdr. La ripresa della rateazione comporta anche degli effetti sulle procedure esecutive intraprese.
Alla ricezione della richiesta di rateazione, l’Agenzia delle Entrate può iscrivere l’ipoteca, solo nel caso in cui la richiesta non venga accolta, ovvero in caso di decadenza del beneficio stesso. Sono fatti comunque salvi i fermi e le ipoteche già iscritti alla data di concessione della rateazione, il pagamento della prima rata del pdr determina l’impossibilita di proseguire le procedure di recupero coattivo precedentemente avviate solo se:
• non si sia ancora tenuto l’incanto con esito positivo,
• non sia stata presentata istanza di assegnazione,
• il terzo non abbia reso dichiarazione positiva o non sia stato già emesso provvedimento di assegnazione dei crediti pignorati.
Anche per i fermi amministrativi, se prima dell’ammissione o al pagamento della 1° rata non ha ancora provveduto, l’agente della riscossione non potrà iscrivere alcun fermo.
Il contribuente che ha ottenuto la riammissione al beneficio della rateazione, non sarà più considerato inadempiente, e cosa rilevante, potrà, se si tratta di un’impresa, riottenere Il DURC e il certificato di regolarità fiscale, il cui possesso è condizione essenziale per partecipare ad appalti di lavori, forniture e servizi.

 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Assegnazione beni ai soci al valore catastale

Prende forma l’agevolazione per la fuoriuscita dei beni dal perimetro societario. Dopo la presentazione al Senato del DDL n. 2111 (Disegno di Legge Stabilità 2016) può tracciarsi un primo bilancio sulla formulazione della nuova norma, che a tale stadio pare essere di maggior vantaggio rispetto alle precedenti versioni.

Si tratta in sostanza della riproposizione della norma che agevola la fuoriuscita dei beni dalla società, prevedendo in luogo dell’applicazione della normale tassazione ordinaria (IRES E IRAP) il pagamento di un’imposta sostitutiva, che andrebbe calcolata sulla differenza tra il valore catastale del bene e il suo costo fiscale.Non è un refuso, si tratta proprio del valore catastale del bene da prendere a riferimento per il calcolo della base imponibile sui cui applicare l’imposta sostitutiva.
Nell’attuale versione della norma si prevede l’applicazione di un imposta sostitutiva:

  • delle imposte sui redditi e dell’IRAP pari all’8%;
  • che diventa del 10,5% se la società risulta di comodo in almeno due dei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al momento della assegnazione. Nelle precedenti versioni della norma le società di comodo erano escluse dalla possibilità di fruire della norma agevolativa.

Il valore catastale facoltativo – Ad onor del vero non è obbligatorio utilizzare il valore catastale. Si dà infatti la possibilità al contribuente che aderisce al regime agevolativo di poter optare tra le seguenti scelte:

  • il valore di mercato così come definito dall’art. 9, D.P.R. 917/1986;
  • il valore catastale utilizzando i moltiplicatori ex art. 52, D.P.R. 131/1986.

Optando per il valore catastale si dovrà procedere a porre in essere il seguente calcolo:

rendita catastale + il 5% della rendita catastale * imoltiplicatori ex art. 52, D.P.R. 131/1986.

Per i terreni la rendita catastale andrà rivalutata del 25%.

Si tratta certo di un confronto impari, in quanto il valore catastale è generalmente inferiore al valore di mercato e se confrontato con il costo fiscale del bene condurrebbe alla fuoriuscita del bene pagando una minima imposta sostitutiva, addirittura azzerata nel caso in cui il costo fiscale del bene sia superiore al valore catastale.

I moltiplicatori – Per quanto riguarda i moltiplicatori il riferimento è all’art. 52, D.P.R. 131/1986.

Applicando la richiamata disposizione i moltiplicatori da applicare sono i seguenti:

100 per le unità immobiliari classificate nei gruppi catastali A, B e C;

50 e 34 rispettivamente per le unità immobiliari classificate nelle categorie castali A/10 e C/1;

50 e 34 rispettivamente per le unità immobiliari classificate nelle categorie castali D e E;

75 per i terreni, esclusi quelli per i quali gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria.

I suddetti moltiplicatori sono stati innalzati del 20% dall’articolo 1-bis, Decreto Legge n. 168/2004 (e di un ulteriore 40% solo per la categoria catastale B, ai sensi dell’articolo 2, comma 45, Decreto Legge n. 262/2006).

I moltiplicatori da applicare sono quelli indicati nella tabella in calce.

Agevolata anche l’imposta di registro – Dal punto di vista delle altre imposte indirette rimane ferma l’applicazione dell’IVA, mentre in merito all’applicazione dell’imposta di registro, va ricordato che l’articolo 40 del DPR n.131/86, al comma 1 stabilisce il principio di alternatività tra Iva e registro. Dunque va applicata l’imposta di registro in misura fissa pari ad € 200 per le cessioni (assegnazioni) imponibili, “ad eccezione delle operazioni esenti ai sensi dell’art. 10, numeri 8), 8-bis) e 27-quinquies)” nelle cui situazioni trova applicazione l’imposta di registro proporzionale (9%).

Nel caso di assegnazioni di immobili abitativi:

  • se l’operazione è imponibile ai fini IVA, si sconteranno oltre all’imposta di registro fissa di euro 200,00, anche le ipocatastali nella misura fissa di 200 euro cadauna;
  • se l’operazione non è imponibile ai fini IVA, oltre all’imposta di registro proporzionale del 9% (2% con i requisiti prima.

Anche su tale aspetto interviene in Legislatore, il quale prevede che in caso di applicazione dell’imposta proporzionale di registro questa sia dimezzata. Dunque si passerebbe da un imposta di registro del 9% ad una misura dimezzata, pari dunque al 4,5%.

Beni agevolabili e a versamento imposta sostitutiva – Attenzione va posta al fatto che la misura agevolativa non è rivolta a tutti beni dell’impresa, ma si limita l’applicazione:

  • ai beni immobili (tranne quelli strumentali per destinazione);
  • ed ai beni mobili iscritti in pubblici registri non utilizzati quali beni strumentali nell’esercizio dell’impresa.

Si prevede infine che l’imposta sostitutiva sulle plusvalenze venga versata:

  • entro il 30 novembre 2016 per il 60% del suo ammontare;
  • e il restante 40% entro il 16 giugno 2017.
 Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

SOCIETÀ ESTINTE: DIFFERIMENTO QUINQUENNALE SENZA RETROATTIVITÀ

29 OTTOBRE 2015

Le disposizioni del D.L. Semplificazioni si applicano quando la richiesta di cancellazione è avvenuta nella vigenza del decreto

Le disposizioni in materia di società estinte introdotte dal D.Lgs. n. 175/14 (c.d. Semplificazioni) non hanno efficacia retroattiva, quindi non si applicano alle società – di capitali o di persone – che abbiano fatto richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese prima del 13 dicembre 2014, ossia prima della data di entrata in vigore del suddetto decreto.

È quanto ha ribadito la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18385/2015 (nello stesso senso Cass. Sez. trib. n. 6743/2015).

La S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso di una Srl perché il giudizio in primo grado è stato instaurato quando la società era già estinta e, quindi, la medesima non aveva capacità a impugnare.

Precisamente, l’impugnazione davanti alla CTP è stata proposta successivamente al 1° gennaio 2004, data nella quale si era prodotto l’effetto estintivo della società, e il giudice di primo grado avrebbe dovuto rilevare il difetto di capacità della società e, quindi, l’improponibilità del ricorso stesso. Ma così non è stato. E allora il vizio di legittimazione attiva è stato rilevato dai supremi giudici, i quali hanno escluso l’applicabilità al caso dello ius superveniens in materia di società di estinte.

L’art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014, entrato in vigore il 13 dicembre 2014 ed emesso in attuazione degli artt. 1 e 7 della legge di delegazione n. 23 del 2014 stabilisce: “Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese”.

Ebbene, tale disposizione, per la Suprema Corte, non si applica alla fattispecie di causa in quanto, contrariamente a quanto talora sostenuto dall’Amministrazione finanziaria nelle sue circolari (il riferimento degli ermellini è alle circolari n. 31/E del 2014 e n. 6/E del 2015), opera su un piano sostanziale, non si risolve in una diversa regolamentazione dei termini processuali o dei tempi e delle procedure di accertamento o di riscossione e non ha valenza interpretativa.

Fonte: Fiscal Focus

PAGAMENTI DELLE PA: È NECESSARIO IL PLACET DI EQUITALIA

29 OTTOBRE 2015

La verifica scatta per i pagamenti superiori ai 10.000 euro

Gli uffici della Pubblica Amministrazione, incaricati di effettuare pagamenti, in generale, superiori a 10.000 euro, a favore di determinati soggetti, devono confrontarsi con l’Agenzia delle entrate al fine di verificare l’eventuale inadempienza del destinatario delle somme, in merito a possibili notifiche (anche ancora non perfezionata) di una o più cartelle di importo totale pari almeno a euro diecimila.

La procedura – prima di quietanzare un pagamento, la Pubblica Amministrazione, deve inviare una richiesta ad Equitalia, che nei 5 giorni feriali successivi, provvede ad inoltrare la risposta relativa al soggetto, possibile destinatario delle somme; nel caso in cui dovesse rilevarsi una segnalazione a carico, potrebbero determinarsi due situazioni:

  • pagamento parziale, qualora l’importo per il quale il soggetto è debitore è inferiore all’importo a lui spettante;
  • mancato pagamento, nel caso in cui l’importo a debito è maggiore rispetto a quello a lui spettante.

Trascorsi 30 giorni dall’ottenimento della risposta di Equitalia, senza che la stessa provveda alla notifica dell’atto per il quale il pagamento è stato bloccato, la PA provvede al pagamento delle somme per le quali era stata avanzata richiesta di verifica. Il pagamento inoltre avviene, naturalmente, qualora non risulti nessuna segnalazione in merito al soggetto per il quale si è inoltrata la richiesta, o quando nei cinque giorni successivi alla richiesta, Equitalia non abbia provveduto ad inoltrare la relativa risposta.

Pagamenti di più fatture – La circolare n° 29 dell’otto ottobre 2009 precisa che, in caso di pagamento, in unica soluzione, di più fatture riguardanti lo stesso soggetto, bisogna considerare, ai fini delle richiesta di controllo ad Equitalia, l’importo contenuto nelle fatture, singolarmente analizzate, ossia, nel caso in cui nessuna delle singole fatture riporti un importo superiore a €10.000 euro, non si procederà ad inoltrare proposta di verifica ad Equitalia, anche se complessivamente viene superata la soglia indicata. Stessa interpretazione è prescritta in caso di pagamenti connessi ad appalti di lavoro o di servizi.

Eccezioni – La ragioneria dello stato ha indicato alcuni pagamenti per i quali non è necessaria la procedura sopra indicata, ossia:

  • collegati a specifiche disposizioni di legge;
  • riguardano esecutività di progetti cofinanziati dall’Unione Europea o clausole di accordi internazionali;
  • importi che per loro natura sono impignorabili;
  • tributi e contributi assistenziali o previdenziali;
  • rimborsi di spese sanitarie e relative a cure rivolte alla persona, e indennità;
  • importi a titolo di assegno alimentare;
  • sussidi e provvidenze per maternità, malattie e sostentamento;
  • spese collegate a esigenze di difese nazionali o missioni di peacekeeping;
  • spese interventi di ordine pubblico nonché per fronteggiare situazioni di calamità;
  • finanziamenti di progetti aventi scopi umanitari.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

Nota di accredito IVA: emissione all’inizio della procedura fallimentare

Dal primo gennaio 2016 note di accredito Iva all’apertura delle procedure concorsuali.
La bozza di Ddl di Stabilità 2016 approvata al Governo e in attesa di conversione in legge alle Camere, prevede infatti, che per l’emissione della nota di variazione Iva, il creditore particolare della procedura concorsuale non debba più attendere l’infruttuosità della stessa.
La novella consentirà alle imprese colpite dall’insolvenza del proprio debitore, di recuperare fin da subito l’Iva addebitata e mai incassata, senza dover aspettare i tempi spesso lunghi per la conclusione dell’iter concorsuale.

La procedura attuale
Prima dell’intervento previsto nel disegno di legge di Stabilità, il momento nel quale sorge il presupposto dell’infruttuosità delle procedure concorsuali (essenziale per poter operare la detrazione dell’IVA), veniva fatto coincidere (secondo quanto anche indicato nella circolare n. 77/E del 2000):

  • per il fallimento, con la scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni al piano di riparto, ovvero, se il fallimento si chiude senza un piano di riparto, con la scadenza del termine entro il quale è possibile proporre reclamo avverso il decreto di chiusura della procedura;
  • per il concordato fallimentare, con il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione;
  • per la liquidazione coatta amministrativa, con l’approvazione del piano di riparto.

Il nuovo articolo 26 D.p.r. 633/72.
Il Ddl Stabilità 2016, prevede ora la revisione dell’articolo 26 del Dpr 633/1972 disponendo, tra le altre, che la nota di credito in caso di mancato pagamento da parte del cessionario o committente, possa essere emessa già a partire dall’inizio del procedimento.
In relazione all’entrata in vigore del provvedimento in questione la norma non specifica se lo stesso sarà operativo solo per i fallimenti decretati a partire dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità e quindi dal 01.01.2016, oppure se lo stesso sarà applicabile anche per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della novella.
Sul punto, ovvero sull’applicazione anche ai procedimenti in corso (essendo scontata invece quella ai “nuovi fallimenti”) saranno probabilmente decisivi i chiarimenti che l’agenzia delle entrate dovrà fornire con la consueta circolare, da emanarsi nei primi mesi del 2016, che solitamente accompagna le novità normative entrate in vigore, salvo che in sede di conversione o direttamente nella relazione illustrativa al provvedimento venga specificato qualcosa in merito a tale questione.

Procedure fallimentari: Il momento di emissione della nota
Sotto il profilo operativo questo significa che la nota di credito andrà emessa in momenti diversi a seconda del tipo di procedura interessata. In altre parole si potrà emettere la nota di credito in caso di procedure concorsuali tipiche in concomitanza con la data della sentenza dichiarativa del fallimento.
Per le altre procedure si dovrà procedere con riferimento alla:

  • data del decreto che omologa l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex articolo 182-bis della legge fallimentare;
  • data di pubblicazione nel registro delle imprese del piano attestato ex articolo 67, comma 3, lettera d), della legge fallimentare;
  • data del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa;
  • data del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo;
  • data del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Il caso generale
In ipotesi di mancato incasso del credito al di fuori dei procedimenti previsti dalla legge fallimentare, si applica invece la regola che la nota di variazione può essere emessa solo a seguito dell’avvenuta dimostrazione che la procedura esecutiva è rimasta infruttuosa. Infine si segnala che il nuovo articolo 26 previsto nel Ddl, inoltre, non fa invece alcun riferimento alle speciali misure di composizione della crisi previste per i soggetti non fallibili (legge 3/2012).

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Bilancio: novità per tutti

Con la Direttiva 26 giugno 2013, n. 2013/34/Ue sono state abrogate le precedenti Direttive contabili comunitarie relative alla redazione del bilancio di esercizio e consolidato (Direttiva 78/660/Cee e 83/349/Cee), ed è stata introdotta una nuova disciplina che doveva essere recepita dagli Stati membri entro il 20 luglio 2015.

Obiettivo delle riforme introdotte è stato duplice, e ha visto da un lato, la necessità di migliorare gli obblighi informativi per le imprese di maggiori dimensioni, mentre, dall’altro, si è concretizzato nella volontà di semplificare gli obblighi previsti per le piccole e medie imprese.

Se, infatti, è ovvio che il bilancio rappresenti il principale strumento per conoscere l’andamento aziendale, è pur vero che la riduzione degli oneri amministrativi per le imprese di minori dimensioni può comportare aumenti della redditività, e, quindi, della produttività delle stesse.

Il recepimento della direttiva in Italia

Con la Legge 7 ottobre 2014, n.154, il Governo è stato autorizzato a recepire la Direttiva 2013/34/UE.

Più precisamente, la Direttiva 2013/34/UE è stata recepita in due distinti schemi di decreti legislativi:

-il D.Lgs. n. 139 del 18.08.2015, pubblicato nella G.U. n. 205 del 04.09.2015, relativo al bilancio d’esercizio e consolidato;

-il D.Lgs. n. 136 del 18.08.2015, pubblicato nella G.U. n. 202 del 01.09.2015, relativo ai conti annuali ed ai conti consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari.

Le novità per il conto economico e lo stato patrimoniale

Con il D.Lgs. n. 139 del 18.08.2015 sono state introdotte importanti novità in tema di bilancio.

Giova a tal proposito di essere ricordato non solo il nuovo bilancio per le micro-imprese, nel quale sparisce la nota integrativa, ma anche l’obbligo di redazione del rendiconto finanziario per le società di maggiori dimensioni.

Anche i prospetti contabili, però, sono stati interessati da modifiche di non poco conto.

Si pensi, a tal proposito, allo stato patrimoniale, in calce al quale spariscono i conti d’ordine (sostituiti da un’apposita informativa nella nota integrativa).

Non è poi più prevista la possibilità di capitalizzare i costi di ricerca e pubblicità: nell’attivo patrimoniale troveranno spazio solo i costi di sviluppo.

Altre modifiche riguardano inoltre l’introduzione di specifiche voci di dettaglio sia tra le immobilizzazioni finanziarie che tra i crediti immobilizzati relative ai rapporti intercorsi con le imprese sottoposte al controllo delle controllanti (c.d. imprese sorelle). Lo stesso maggior dettaglio viene richiesto anche nell’esposizione dei debiti.

Vengono riformulate anche le riserve indicate nel patrimonio netto. Più precisamente, è eliminata la riserva per azioni proprie in portafoglio ed è introdotta non solo la riserva per operazioni di copertura di flussi finanziari attesi ma anche la riserva negativa per azioni proprie in portafoglio.

E’ questa la naturale conseguenza della nuova disciplina introdotta per le azioni proprie in bilancio.

In passato, come noto, era prevista l’iscrizione delle azioni proprie nell’attivo patrimoniale, con la contestuale accensione di una riserva indisponibile di pari importo.

A seguito delle novità introdotte, invece, le azioni proprie devono essere iscritte in bilancio in diretta riduzione del patrimonio netto.

La modifica è di non poco conto, non solo per le modifiche nei prospetti dei bilanci, ma anche per i suoi riflessi su una serie di norme che fanno riferimento alla nozione di patrimonio netto. Si pensi, ad esempio, al limite previsto per l’emissione delle obbligazioni.

Passando ora al conto economico, la novità più rilevante consiste sicuramente nell’eliminazione delle voci di costo e di ricavo relative alla sezione straordinaria.

Vengono poi introdotte specifiche voci di dettaglio relative ai rapporti intercorsi con imprese sottoposte al controllo delle controllanti, e la macroclasse “D) Rettifiche di valore delle attività finanziarie” è sostituita da “D) Rettifiche di valore delle attività e passività finanziarie”.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Bonus mobili per giovani coppie

Allargata la possibilità di fruire della detrazione Irpef del 50%

Premessa – Il disegno di legge di stabilità 2016 riconferma per il 2016 il bonus mobili, che premia con uno sgravio fiscale del 50% (su un tetto agevolabile di 10 mila euro) chi, beneficiando già della detrazione per interventi di recupero del patrimonio edilizio, acquista mobili e grandi elettrodomestici di classe energetica non inferiore alla A+ (A per i forni). Ma la novità spuntata nelle ultime ore riguarda le giovani coppie che potranno fruire della detrazione anche senza l’intervento di ristrutturazione.

Bonus mobili – Come noto l’articolo 16 co. 2 del D.L. n.63/2013 (più volte prorogato) ha introdotto il “bonus mobili”, che consiste nel fatto che i contribuenti che fruiscono della detrazione per interventi di recupero del patrimonio edilizio possono fruire di un’ulteriore riduzione d’imposta per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici di classe energetica non inferiore alla A+ (A per i forni), per le apparecchiature per le quali sia prevista l’etichetta energetica, finalizzati all’arredo di immobili oggetto di ristrutturazione.

Detrazione La detrazione, che va ripartita tra gli aventi diritto in dieci quote annuali di pari importo, e secondo le norme attualmente in vigore spetta sulle spese sostenute dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2015 ed è calcolata su un ammontare complessivo non superiore a 10.000 euro. Per l’esattezza, i contribuenti ammessi a beneficiare del bonus arredi sono gli stessi che fruiscono della detrazione con la maggiore aliquota e con il maggior limite di 96.000 euro di spese ammissibili; quindi, le ristrutturazioni edilizie con spese sostenute dal 26 giugno 2012.

Legge di stabilità 2016 – Tale agevolazione prorogata da ultimo dalla legge di stabilità 2015 fino al 31.12.2015 risulta oggetto di ulteriore proroga fino al 31.12.2016 sulla base di quanto previsto dal disegno di legge di stabilità 2016.

Agevolazione per giovani coppie – Ma la novità sta nel fatto che al “bonus Mobili” tradizionale si aggiunge un nuovo incentivo fiscale, esclusivamente per giovani coppie: una detrazione del 50% fino a 8.000 euro (le prime bozze circolate del disegno di legge indicavano 20.000 poi abbassato) per acquisto di arredi destinati all’abitazione principale appena acquistata. Obiettivo, incentivare il mercato delle compravendite immobiliari dopo quello delle ristrutturazioni edilizie. Per la prima volta questo legame stretto fra le due agevolazioni (lavori e mobili) sarebbe superato e subentrerebbe invece un’altra condizione necessaria per ottenere lo sgravio: l’acquisto di una casa (abitazione principale). Si evidenza che sulla base del testo del disegno di legge si deve trattare di “acquirenti” e non già proprietari dell’abitazione.

Giovani coppie – Per giovani coppie si intende un nucleo familiare costituito da coniugi o da conviventi more uxorio che abbiano costituto un nucleo da almeno tre anni in cui almeno uno dei due componenti non abbia superato i 35 anni.

Ripartizione – Anche tale detrazione sarà distribuita in dieci quote annuali di uguale importo e dovrà essere ripartita tra gli aventi diritto. Trattandosi di una spesa con limite massimo di 8.000 la detrazione sarà quindi pari a 400 euro annuali.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

ASSEGNAZIONE AGEVOLATA BENI AI SOCI: NUOVA POSSIBILITÀ

22 OTTOBRE 2015

Legge di Stabilità 2016

Viene riproposta la normativa agevolativa sull’assegnazione dei beni ai soci. La normativa sarà applicabile per le assegnazioni effettuate entro il 30.09.2016. 
La normativa di riferimento – Per comprendere la significativa portata della novità normativa, va preliminarmente osservato che:
– ai sensi dell’art. 2, co. 2, n. 6), DPR 633/1972, ai fini IVA l’assegnazione dei beni ai soci è equiparata alla cessione di beni a titolo oneroso. Tale operazione dunque costituisce operazione rilevante ai fini IVA, sia se posta in essere da società di persone che da società di capitali, qualunque sia l’oggetto della società e qualunque sia il titolo in relazione al quale l’assegnazione viene effettuata. Anche in questo caso, dunque, l’imponibilità dell’operazione dovrà essere individuata in base alle regole sancite dall’art. 10, co. 1, n. 8 –bis e 8-ter, D.P.R. 633/1972, a seconda che si tratti di immobile abitativo o di immobile strumentale;
– dal punto di vista delle altre imposte indirette, e nello specifico circa l’applicazione dell’imposta di registro, va ricordato che l’articolo 40 del DPR n.131/86, al comma 1 stabilisce il principio di alternatività tra Iva e registro. Dunque va applicata l’imposta di registro in misura fissa pari ad € 200 per le cessioni (assegnazioni) imponibili, “ad eccezione delle operazioni esenti ai sensi dell’art. 10, numeri 8), 8-bis) e 27-quinquies)” nelle cui situazioni trova applicazione l’imposta di registro proporzionale (9%).
Nel caso di assegnazioni di immobili abitativi:
* se l’operazione è imponibile ai fini IVA, si sconteranno oltre all’imposta di registro fissa di euro 200,00, anche le ipocatastali nella misura fissa di 200 euro cadauna;
* se l’operazione non è imponibile ai fini IVA, oltre all’imposta di registro proporzionale del 9% (2% con i requisiti prima casa) saranno dovute le imposte ipotecarie e catastali nella misura di euro 50,00 cadauna.

– ai fini delle imposte dirette, l’assegnazione dell’immobile al socio (indipendentemente dalla causa) può far emergere in capo alla società materia imponibile, come ricavi tipici della società o plusvalenze degli immobili relativi all’impresa;
– per quanto riguarda il socio assegnatario, invece, è possibile che si verifichi la distribuzione di utili in natura, con la conseguenza di un reddito tassabile in capo al socio persona fisica non imprenditore.
La misura agevolativa – Per evitare gli effetti estremamente penalizzanti dell’assegnazione degli immobili ai soci, il Legislatore reintroduce la possibilità di far fuoriuscire gli immobili pagando una imposta sostitutiva:
– delle imposte sui redditi e dell’IRAP pari all’8%;
– che diventa dal 10,5% se la società risulta di comodo in almeno due dei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al momento della assegnazione. Nelle precedenti versioni della norma le società di comodo erano escluse dalla possibilità di fruire della norma agevolativa.
Per quanto riguarda il socio, si prevede che l’eventuale distribuzione di utili in natura sia esclusa dall’ambito applicativo dell’art. 47 del Tuir.
Inoltre:
– è prevista la riduzione alla metà dell’imposta di registro eventualmente dovuta per l’assegnazione, nonché l’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa.
In sostanza, pur pagando l’imposta sostitutiva, si dovranno continuare a valutare i riflessi IVA dell’operazione.
Per quanto riguarda la base imponibile sulla quale applicare l’imposta sostitutiva si fa riferimento alla differenza:
– tra il valore normale del bene assegnato e il costo fiscalmente riconosciuto.
La base imponibile dell’imposta sostitutiva può essere determinata facendo riferimento al valore catastale dell’immobile in luogo del meno conveniente valore normale.

Attenzione va posta al fatto che a misura agevolativa non è rivolta a tutti beni dell’impresa, ma si limita l’applicazione:
• ai beni immobili (tranne quelli strumentali per destinazione);
• e ai beni mobili iscritti in pubblici registri non utilizzati quali beni strumentali nell’esercizio dell’impresa.
Si prevede infine che l’imposta sostitutiva sulle plusvalenze venga versata:
– entro il 30 novembre 2016 per il 60% del suo ammontare;
– e il restante 40% entro il 16 giugno 2017.

Inquilino moroso. Niente fattura per i canoni

Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 23 ottobre 2015

Per le locazioni, ai fini IVA, rileva l’incasso del corrispettivo e, pertanto, in caso di morosità del conduttore, la società locatrice non è tenuta a emettere fattura. Diversamente, ai fini dell’imposizione diretta, i canoni vanno dichiarati anche quando non percepiti ed essi non concorrono più alla formazione del reddito d’impresa solamente dopo la risoluzione del contratto e/o convalida di sfratto. Per quanto concerne i canoni maturati per competenza, possono essere dedotti come perdite su crediti se sia dimostrata la certezza della perdita, non essendo a tal fine sufficiente il semplice sfratto o l’accertamento giudiziale della morosità del conduttore.

È quanto ha chiarito, in tema di reddito d’impresa, la Sezione Tributaria della Cassazione con la sentenza 23 ottobre 2015, n. 21621.

Gli ermellini hanno parzialmente accolto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito di una controversia instaurata da una società che non ha percepito i canoni relativi a un locale commerciale.

La CTR, non facendo distinzione tra imposizione diretta e indiretta, ha ritenuto che la società dovesse dichiarare i canoni solamente al momento del pagamento, mentre per l’Ufficio la società avrebbe dovuto fatturare i canoni maturati a carico dell’inquilino, perché, nelle locazioni commerciali, i locatori sono soggetti a imposizione fiscale secondo il sistema normale del reddito ordinario medio, con conseguente obbligo di dichiarazione e fatturazione.

Ebbene, con riguardo alla dedotta violazione di legge (artt. 109 e 23 – ora 26 – del TUIR e 6 del D.P.R. 633/72), la Suprema Corte ha osservato che “per le locazioni, vere e proprie prestazioni di servizi nell’imposizione indiretta e armonizzata sul valore aggiunto, il momento impositivo coincide con l’incasso del corrispettivo. Perciò, in caso di morosità del conduttore, il locatore non è tenuto a emettere fattura”.

Ai fini dell’imposizione diretta, invece, per le locazioni d’immobili non abitativi, il legislatore tributario ha previsto la regola generale di cui all’art. 23 [ora 26] del TUIR secondo cui i redditi fondiari sono imputati al possessore indipendentemente dalla loro percezione. Sicché anche per il reddito da locazione non è richiesta, ai fini dell’imponibilità del canone, la materiale percezione del provento. Dunque, il relativo canone va dichiarato, anche se non percepito, nella misura in cui risulta dal contratto di locazione fino a quando non intervenga una causa di risoluzione del contratto medesimo. Fra l’altro, la Corte costituzionale, pronunziando sull’art. 23 (ora 26) citato ha ritenuto che il sistema di tassazione delle locazioni non abitative non è irragionevole dato che il locatore può avvalersi di tutti i rimedi apprestati dall’ordinamento per conseguire la risoluzione della locazione in modo da riportare sollecitamente la tassazione dell’imponibile sotto la normale regola del reddito fondiario secondo rendita catastale. Con la risoluzione del contratto e/o la convalida di sfratto, la locazione cessa e i canoni non possono più concorrere alla formazione del reddito d’impresa.

Inoltre, con riferimento ai redditi di società, i canoni maturati per competenza possono essere dedotti come perdite su crediti se sia dimostrata la certezza della perdita, non essendo a tal fine sufficiente il semplice sfratto o l’accertamento giudiziale della morosità del conduttore (v. Cass. nn. 651/12 e 11158/13).

In conclusione la Suprema Corte ha cassato la sentenza della CTR limitatamente alle imposte dirette. Sul punto il giudice del rinvio dovrà applicare i principi enunciati dagli ermellini.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Riforma del bilancio: altre novità in arrivo

Come noto, con il D.Lgs. n. 139 del 18.08.2015, pubblicato nella G.U. n. 205 del 04.09.2015, sono state introdotte importanti novità nella disciplina del bilancio d’esercizio, le quali troveranno applicazione nei bilanci relativi agli esercizi finanziari aventi inizio a partire dal 1° gennaio 2016.

Per le società con esercizio coincidente con l’anno solare, pertanto, dal prossimo gennaio 2016 sarà necessario rispettare le nuove disposizioni introdotte.
Poco più di un paio di mesi, dunque, per “assimilare” le novità, le quali sono certamente non di poco conto.
Ciò assume ancora più rilevanza ove si consideri che, nello stesso lasso di tempo, saranno necessari interventi per adeguare i principi contabili e le norme fiscali alle novità introdotte.
O almeno, ci si augura che il “cerchio” delle riforme venga chiuso prima dell’inizio dell’esercizio, per non costringere le società ad un 2016 pieno di incertezze.

I nuovi principi contabili nazionali – Molte delle nuove disposizioni introdotte richiedono l’intervento dell’Organismo Italiano di contabilità, il quale dovrà aggiornare i principi contabili al fine di tener conto delle modifiche apportate alla disciplina.
Più precisamente, si rendono necessari specifici principi volti ad accompagnare le imprese nella prima applicazione delle nuove norme, così come deve ritenersi essenziale fornire la necessaria declinazione pratica di norme di carattere generale.
E’ stato quindi avviato dall’Oic un piano di aggiornamento dei principi contabili nazionali, il quale prevede non solo la modifica dei principi emanati nel 2014 (con riferimento ai quali erano stati sottolineati alcuni punti degni di riflessione), ma anche la revisione di tutti i principi contabili al fine di tener conto delle novità introdotte con il D.Lgs. 139/2015.
Saranno pertanto sicuramente oggetto di modifiche anche l’Oic 3 sui derivati, e l’Oic 11 sui postulati di bilancio, i quali non erano stati intaccati dal recente processo di revisione.

La disciplina fiscale – Le riforme introdotte richiederebbero alcune modifiche anche nella disciplina fiscale.
Si pensi, a tal proposito, alla disciplina Irap: a seguito delle modifiche legislative, nel conto economico non saranno più esposti gli oneri e i proventi straordinari, per cui anche i componenti in oggetto confluirebbero nel calcolo del valore della produzione netta.
È necessario quindi, che, a seguito dell’intervenuta riforma del bilancio, il legislatore intervenga per adeguare la normativa fiscale.
Con riferimento ad altre fattispecie deve invece ritenersi che le novità introdotte non abbiano ricadute sugli aspetti fiscali, nonostante il loro forte impatto sulle poste di bilancio.
Si pensi, a tal proposito, alle spese di pubblicità e ricerca, le quali, dal 2016 non saranno più capitalizzabili e concorreranno quindi alla determinazione del reddito integralmente nell’esercizio.
Purtuttavia, l’articolo 108 Tuir continua a prevedere la deduzione sia in un solo esercizio che in più esercizi, ragion per cui, dal punto di vista fiscale, le spese in oggetto potranno concorrere alla determinazione del reddito anche in più esercizi.
Intatti gli obblighi di deposito – Nell’ambito delle novità introdotte, sicura rilevanza assume il nuovo bilancio per le micro-imprese, soprattutto in considerazione del fatto che è previsto non solo l’esonero dalla redazione della relazione sulla gestione e del rendiconto finanziario, ma anche della stessa nota integrativa, se determinate informazioni sono riportate in calce allo stato patrimoniale.
In ogni caso, anche il bilancio delle micro-imprese, seppur composto dai soli documenti contabili, dovrà essere depositato presso il Registro delle imprese alle ordinarie scadenze e con le modalità note (nonostante la direttiva prevedesse, appunto, la facoltà di dispensare le piccole imprese dal deposito in oggetto).
Ai fini del deposito del bilancio, pertanto, rimangono fermi gli attuali obblighi.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Dirigenti decaduti. Eccezione proponibile solo col ricorso introduttivo

Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 23 ottobre 2015

Nel processo tributario, la nullità dell’avviso di accertamento per il vizio di sottoscrizione non è rilevabile d’ufficio e la relativa questione, se non prospettata nel giudizio di primo grado – o più esattamente nel ricorso introduttivo – non può essere introdotta successivamente. Ciò si deve alle preclusioni che derivano del peculiare regime di carattere impugnatorio del processo tributario.

È quanto ha sostenuto la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nella sentenza n. 21616/2015.

Gli ermellini hanno deciso il caso di un professionista che ha impugnato un accertamento bancario e che, alla luce della sentenza n. 37/15 della Corte costituzionale, ha dedotto – per la prima volta – nel giudizio di legittimità la mancanza del requisito dirigenziale in capo al funzionario firmatario dell’atto impugnato.

Ebbene, trattandosi di un’eccezione nuova, la Suprema Corte l’ha dichiarata inammissibile.

La questione della nullità dell’impugnato avviso di accertamento per vizio di sottoscrizione, si legge in sentenza, “è stata avanzata dal contribuente, per la prima volta, nel corso dell’odierna discussione orale. Egli invoca gli effetti invalidanti, a suo dire rilevabili anche d’ufficio, della recente declaratoria d’illegittimità costituzionale di taluni strumenti normativi d’inquadramento dirigenziale del personale dell’Agenzia delle entrate. Si ritiene, sul piano processuale, che la pretesa nullità dell’avviso di accertamento per l’asserita carenza dei requisiti (soggettivi) indicati nell’art. 42 d.p.r. 600/1973 e nell’art. 56 d.p.r. 633/1972 non è rilevabile d’ufficio e la relativa questione, se non prospettata nel giudizio di primo grado – o più esattamente nel ricorso introduttivo col passaggio dal d.p.r. 636/1972 al d.lgs. 546/1992 – non può essere introdotta successivamente. Restano, dunque, ferme le preclusioni che derivano del peculiare regime di carattere impugnatorio del processo tributario” (v. Cass. n. 8114/02, n. 13087/03, n. 10802/10).

Nel caso di specie, dunque, la Suprema Corte ha ritenuto il ricorrente decaduto dalla possibilità di eccepire, nel giudizio di cassazione, l’invalidità dell’atto impugnato sotto il nuovo profilo della pretesa carenza dei requisiti dirigenziali in capo al funzionario firmatario.

È già stato chiarito (in Cass. n. 18448/15) che, diversamente da quanto accade nel diritto amministrativo, in materia fiscale opera un regime unitario del vizio dell’atto che deve essere fatto valere nella forma e nel termine di decadenza prevista dall’art. 21 del D.Lgs. n. 546/92. In difetto, il provvedimento diventa incensurabile sul punto.

Il legislatore fiscale, hanno evidenziato i supremi giudici, usa la sanzione della “nullità” in senso a-tecnico, nel senso che la sua reale natura giuridica va intesa come “annullabilità”; e il regime dei vizi degli atti amministrativi (art. 21-septies L. 241/90) non può essere automaticamente esteso in ambito tributario, essendo applicabile solo laddove non sia incompatibile con le norme di diritto che disciplinano il procedimento impositivo.

– Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

TITOLO II – IL PROCESSO
CAPO I – Il procedimento dinanzi alla Commissione Tributaria provinciale
Sezione I – Introduzione del giudizio

Articolo 21 – Termine per la proposizione del ricorso

1. Il ricorso deve essere proposto a pena d’inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato. La notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del ruolo.

2. Il ricorso avverso il rifiuto tacito della restituzione di cui all’articolo 19, comma 1, lettera g), può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto. La domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

Il computo del termine. Questo articolo fissa al primo comma il termine di decadenza per la proponibilità del ricorso; esso è il tradizionale termine di sessanta giorni dalla notificazione dell’atto impugnato. Tale termine, da computarsi – a norma dell’articolo 2963 C.c. – non tenendo conto del giorno in cui si è ricevuta la notifica ma computando il sessantesimo sino alla mezzanotte, è prorogato al primo giorno feriale successivo se cade in un giorno festivo. Allo stesso modo risulta applicabile la disciplina della sospensione dei termini processuali, fissata dalla L. n. 742/69, che va dal 1° agosto al 15 settembre.

La rimessione in termini. Il generale rinvio alle norme del codice di procedura civile lascia poi ritenere applicabile la disciplina della rimessione in termini di cui all’articolo 184 C.p.c.E’ infatti prevista la possibilità che il giudice possa, appunto, rimettere in termini la parte che dimostri di non aver rispettato gli stessi per causa ad essa non imputabile. A riguardo, comunque, è da ritenersi che un simile strumento troverà modesta e difficoltosa attuazione nell’ambito del processo tributario a causa delle limitazioni probatorie di cui si è detto a commento dell’articolo 7. Uno dei casi che certamente potrebbero costituire valida giustificazione del ritardo è l’ipotesi in cui l’ufficio abbia indicato un termine d’impugnazione errato nell’atto impositivo.

Sempre al primo comma viene, inoltre, specificato che la notificazione della cartella di pagamento vale anche come notificazione del relativo ruolo. Come abbiamo visto in merito all’articolo precedente, infatti, le sorti di questi due atti sono strettamente connesse.

Il comma 2 fissa, invece, il termine d’impugnazione avverso il rifiuto tacito. Trattandosi di un atto che non ha una sua reale esistenza e tanto meno, quindi, una data di notificazione da utilizzare come giorno da cui computare i termini per la proposizione del ricorso, il Legislatore si è preoccupato di fissare anzitutto il dies a quo.

Dies a quo. La norma dice, infatti, che il ricorso può essere presentato dopo il novantesimo giorno dalla data di presentazione dell’istanza di restituzione che, a sua volta, deve essere presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta ovvero, in mancanza di esplicita previsione normativa, entro due anni dal pagamento. Il comma 2 si chiude con la previsione di un ulteriore termine di presentazione della domanda di restituzione. Qualora, infatti, il presupposto per la restituzione si verifichi (ad esempio a seguito di una decisione giurisdizionale, come è avvenuto per il caso delle tasse di concessione governativa sulle società) dopo il trascorrere dei due anni dal pagamento, il termine comincia a decorrere da quest’ultimo momento.

Dies ad quem. Il dies ad quem, il termine ultimo cioè entro il quale proporre il ricorso, corrisponde, invece, al termine prescrizionale del diritto alla restituzione che, in assenza di specifiche disposizioni, è quello di dieci anni.

Inammissibilità ed inefficacia. L’inosservanza di questo ultimo termine comporta inequivocabilmente la inammissibilità del ricorso. Invece, la eventuale proposizione dello stesso prima dello scadere del novantesimo giorno (dies a quo per il ricorso avverso il rifiuto tacito), quando cioè il silenzio rifiuto non si è ancora formato quale atto impugnabile, è causa di dibattito tra i commentatori. Alcuni ritengono, infatti, che in tale ipotesi il ricorso sia inammissibile (cfr. CTC 25.7.87, n. 5901); altri, come chi scrive, lo ritengono, invece, ammissibile ma semplicemente inefficace sino allo scadere del novantesimo giorno (cfr.CTC 29.3.85, n. 3128, CTC 5.5.92, n. 3284).

Imposta di successione: le novità per la dilazione

Premessa – Ai sensi della formulazione originaria del comma 1 art. 38 D.lgs. n. 346/1990, al contribuente che riceve avviso di liquidazione con cui l’Agenzia delle Entrate liquida l’imposta di successione, può essere concesso di eseguire il pagamento nella misura non inferiore al 20% delle imposte, delle sanzioni amministrative e degli interessi di mora, nel termine di 60 giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione e versare il rimanente importo in 5 rate annuali posticipate. La dilazione è richiesta alla stessa Agenzia delle Entrate e da questa accordata o negata entro novanta giorni dalla data della richiesta stessa.

Sugli importi dilazionati sono dovuti, con decorrenza dalla data di concessione della dilazione, gli interessi.
Ad ogni modo la dilazione è concessa a condizione che sia prestata idonea garanzia mediante ipoteca o cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato al valore di borsa, o fideiussione rilasciata da istituto o azienda di credito o polizza fideiussoria rilasciata da impresa di assicurazioni autorizzata. Gli atti e le formalità relativi alla costituzione e alla estinzione di queste garanzie sono soggetti all’imposta di registro e ipotecaria in misura fissa.
Inoltre, il contribuente ha in ogni caso diritto di ottenere la dilazione se offre di iscrivere ipoteca su beni o diritti compresi nell’attivo ereditario di valore complessivo superiore di almeno un terzo all’importo da dilazionare, maggiorato dell’ammontare dei crediti garantiti da eventuali ipoteche di grado anteriore iscritte sugli stessi beni e diritti.Le nuove regole per la dilazione – Con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale n. 55 del 7 ottobre 2015 del d.lgs. n. 159/2015 (“Misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione, in attuazione dell’articolo 3, comma 1, lettera a), della legge 11 marzo 2014, n. 23”), è sostanzialmente modificato il predetto art. 38 del d.lgs. n. 346/1990.
In particolare, sulla base del novellato art. 38, fermo restando la necessità di eseguire, entro 60 giorni dalla notifica, il versamento di almeno il 20% dell’importo indicato nell’avviso di liquidazione, l’erede, dall’entrata in vigore del decreto, può rateizzare il restante importo in modo automatico senza la necessità di ottenere l’autorizzazione da parte dell’ufficio dell’Agenzia delle Entrate.
Il numero delle rate è fissato in 8 trimestrali (prima erano 5 rate annuali). Tuttavia, per importi superiori a ventimila euro, il numero massimo di rate trimestrali è fissato in 12. Inoltre, la dilazione non è ammessa per importi inferiori a 1.000 euro e non occorre più prestare garanzia.
Sugli importi dilazionati sono dovuti gli interessi, calcolati dal primo giorno successivo al pagamento del 20% dell’imposta liquidata. Le rate trimestrali nelle quali il pagamento è dilazionato scadono l’ultimo giorno di ciascun trimestre. La decadenza del beneficio – Il d.lgs. n. 159/2015 interviene modificando anche le cause di decadenza dal beneficio della rateizzazione. Prima della modifica, il comma 5 dell’art 38 disponeva che il contribuente, salva l’applicazione delle sanzioni stabilite per il ritardo nel pagamento, decadeva dal beneficio della dilazione se non provvedeva al pagamento delle rate scadute entro 60 giorni dalla notificazione di apposito avviso. Era tuttavia in facoltà dell’ufficio competente concedere una nuova dilazione.
In base al nuovo comma 3 del predetto art. 38, invece, è il mancato pagamento della somma pari al 20% dell’imposta liquidata, entro il termine di 60 giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione, ovvero il mancato pagamento di una delle rate entro il termine di pagamento della rata successiva, che fa decadere l’erede dalla rateazione con la conseguenza che l’importo dovuto, dedotto quanto versato, è iscritto a ruolo con relative sanzioni e interessi.Il lieve inadempimento – E’, tuttavia, introdotto il concetto del “lieve inadempimento, in base al quale, il contribuente non decade dalla rateizzazione in due ipotesi:
a) insufficiente versamento della rata, per una frazione non superiore al 3% e in ogni caso, a euro 10mila;
b) tardivo versamento della somma iniziale pari al 20%, non superiore a sette giorni.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Finanziamenti soci: necessaria la prova scritta

La documentazione utile per il corretto inquadramento

Premessa – La disciplina normativa relativa al finanziamento da parte dei soci, cerca di porre un freno alla sottocapitalizzazione delle “piccole” società. L’inquadramento del finanziamento soci non è agevole: in concreto può oscillare tra capitale di rischio e capitale di credito. Tale difficile classificazione, oltre ad essere possibile causa di contenzioso tra le parti, può ingenerare problemi di natura fiscale. 
Versamento da pare di soci – Nella prassi è in uso, soprattutto nelle società di piccole e medie dimensioni, sopperire al fabbisogno finanziario, oltre che con il ricorso a terzi (banche, fornitori), anche con l’acquisizione della disponibilità direttamente dai soci sia sotto forma di finanziamento che sia sotto forma di versamenti atipici

Finanziamento – Il finanziamento dei soci, è una operazione distinta da quella del conferimento di capitale di rischio. Con l’acquisizione di capitali tramite il finanziamento dei soci, la società si obbliga a remunerare il capitale ricevuto (se non è prevista la gratuità) pattuendone il rimborso, con una operazione che, per giurisprudenza e dottrina consolidate, è assimilabile al contratto di mutuo, di cui apprende la disciplina dettata dall’art. 1813 e seguenti del Codice Civile. In termini generali, gli apporti dei soci rappresentano erogazioni a vantaggio della società partecipata per accrescerne la dotazione finanziaria, o anche patrimoniale, necessaria per l’equilibrato svolgimento della gestione.
Individuazione – Sul piano concreto, se da un lato è facile individuare il conferimento di capitale sociale da parte del socio, dall’altro non è sempre agevole accertare se un versamento effettuato dal socio a favore della società rappresenti un reale apporto di capitale proprio o una operazione di finanziamento concessa alla società.

Convenienza – Nella prassi, invero, spesso accade che i versamenti dei soci trovino giustificazione non nella incapacità dell’azienda di acquisire credito da terzi, ma in calcoli di convenienza, tra cui, ad esempio l’arbitraggio fiscale dato dal risparmio di imposta in capo alla società, per la deduzione dal reddito di impresa degli interessi passivi maturati, se maggiore delle imposte dovute dai soci sugli interessi percepiti. Può risultare utile anche per la volontà dei soci di non superare la soglia minima del capitale sociale prevista per l’obbligatorietà del collegio sindacale e, quindi, per ottenere un risparmio in termini di costi amministrativi di gestione e per evitare le verifiche di legge che competono all’organo di controllo. Altro aspetto da considerare è la volontà di sottrarre al rischio imprenditoriale i capitali investiti nell’impresa, considerato che le somme versate a titolo di finanziamento sono rimborsabili dalla società senza i vincoli di legge dettati per il rimborso del capitale di rischio, perché l’operazione è assimilabile al contratto di mutuo.

Accordo scritto – Non di rado, nella pratica corrente, il rapporto di finanziamento non viene regolato da alcun accordo scritto e il suo trattamento si può dedurre esclusivamente dal comportamento concludente delle parti e dall’iscrizione di tale operazione tre i debiti esposti in bilancio d’esercizio. Tale modo di operare può ingenerare problemi di natura fiscale.

Comunicazione – Tali problematiche si riverberano anche per l’adempimento in scadenza a fine mese riguardante la comunicazione dei beni/finanziamenti soci. L’ottemperanza a tale obbligo tributario può costringere la società a raccogliere e mettere in ordine i documenti necessari ed effettuare una ulteriore utile verifica sulla correttezza di questi ultimi e del comportamento contabile relativo al finanziamento.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Socio e rinuncia al credito: la sopravvenienza cambia regime di tassazione

26 ottobre 2015

Premessa – E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 220 del 22 settembre 2015, il Decreto LEgislativo n. 147/2015 recante misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese.

Il decreto il questione, dispone importanti modifiche in merito al regime di tassazione della sopravvenienza attiva proveniente dalla rinuncia del credito che il socio vanta nei confronti della società.
Si ricorda che il regime fiscale cui è soggetta la predetta tipologia di sopravvenienza attiva è contenuto nel comma 4 dell’art. 88 del TUIR.
La rinuncia del credito che il socio vanta nei confronti della società è anche una delle procedure utilizzate per eseguire aumento del capitale sociale: il socio rinuncia al credito e a fronte di tale rinuncia sottoscrive un aumento di capitale deliberato dalla società.
Si genera sopravvenienza attiva, ad esempio, quando il socio acquista un credito vantato da un terzo nei confronti della società e lo acquista per un corrispettivo inferiore al debito originario e poi rinuncia al credito.
L’attuale formulazione dell’art. 88 TUIR – Il comma 4 dell’art. 88 TUIR nella sua formulazione attuale dispone che “non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società’ e agli enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), dai propri soci e la rinuncia dei soci ai crediti, ne gli apporti effettuati dai possessori di strumenti similari alle azioni, ne la riduzione dei debiti dell’impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo o per effetto della partecipazione delle perdite da parte dell’associato in partecipazione. In caso di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, pubblicato nel registro delle imprese, la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all’articolo 84”.
Dunque, attualmente, per espressa previsione normativa la sopravvenienza attiva derivante dalla rinuncia al credito da parte del socio è completamente detassata.

La nuova formulazione dell’art. 88 TUIR – Quanto esposto in precedenza, resta in vigore fino al periodo d’imposta 2015. Infatti, l’art. 13 del decreto legislativo per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese (d.lgs. n. 147/2015) ha modificato il comma 4 dell’art. 88 del TUIR, disponendo che la detassazione della sopravvenienza attiva derivante dalla rinuncia del credito da parte del socio avviene nei limiti del valore fiscale del credito stesso.
In particolare, all’art. 88 sono apportate le seguenti modificazioni:
• il comma 4, è sostituito dal seguente: “non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società e agli enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), dai propri soci, ne gli apporti effettuati dai possessori di strumenti similari alle azioni”.
• è aggiunto il comma 4-bis, in cui, al primo periodo è disposto che “la rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale. A tal fine, il socio, con dichiarazione sostitutiva di atto notorio, comunica alla partecipata tale valore; in assenza di tale comunicazione, il valore fiscale del credito è assunto pari a zero. Nei casi di operazioni di conversione del credito in partecipazioni si applicano le disposizioni dei periodi precedenti e il valore fiscale delle medesime partecipazioni viene assunto in un importo pari al valore fiscale del credito oggetto di conversione, al netto delle perdite sui crediti eventualmente deducibili per il creditore per effetto della conversione stessa”.

La dichiarazione sostitutiva del socio – Il secondo periodo del nuovo comma 4 bis, impone al socio la necessità di consegnare alla società una dichiarazione sostitutiva in cui comunica il valore fiscale del credito. In mancanza di tale dichiarazione il valore fiscale sarà considerato pari a 0 con la conseguenza che tutto il valore originario del credito sarà considerato sopravvenienza e quindi interamente tassato.

La decorrenza del nuovo regime di tassazione – Il comma 2 dell’art. 13 D.lgs. 147/2015 espressamente dispone che le nuove regole di tassazione fin qui esposte si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di entrata in vigore del decreto stesso e quindi a decorrere dal 2016.

Autore: Pasquale Pirone

Canone RAI in bolletta. Vale solo il possesso della TV

Il possesso del televisore resta il requisito per il pagamento del canone RAI. È quanto ha ritenuto di dover precisare l’esecutivo dopo le voci di una possibile estensione del canone TV anche al possesso di altri dispositivi (vedi PC, tablet e smartphone) con cui è possibile vedere i canali RAI.

La legge di Stabilità per il 2016 prevede il pagamento del canone RAI attraverso la bolletta elettrica. Il canone – il cui importo per il 2016 scende a 100 euro (contro gli attuali 113,50) – dovrebbe essere diviso in sei rate da 16.66 euro ciascuna e si dovrebbe pagare solamente in relazione alla prima casa. Così il governo pensa di porre fine al fenomeno evasivo che affligge questa tassa sul possesso “di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive”.

Poiché sulla misura sono circolate informazioni a volte contrastanti, il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, intervenendo a Radio 24 su “Mattina 24”, ha precisato che il nuovo metodo di pagamento del canone non modificherà, almeno per il momento, l’impianto della normativa in vigore e che pertanto “È il possesso di un televisore il requisito per il pagamento del canone, non degli altri device”, quali computer, tablet e smartphone.

Nella norma abbiamo solo aggiunto una presunzione del possesso del televisore che è il contratto di fornitura elettrica”, ha detto ancora il sottosegretario Giovannelli, che, a proposito del contrasto all’evasione, ha evidenziato come “secondo i dati Istat il 97% degli italiani possiede un televisore. Eppure questo non emerge dai dati sul pagamento del canone”.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

ASPI per lavoratori sospesi: prorogata fino alla fine dell’anno

Dietrofront del Ministero del Lavoro sull’erogazione dell’ASpI per lavoratori sospesi: nella prestazione rientrano anche le cessazioni intervenute dal 23.10 al 31.12 di quest’anno.

L’”indennità di disoccupazione ASpI per lavoratori sospesi” spetta anche per periodi di sospensione dell’attività attivati entro il 23 settembre e fino al 31 dicembre 2015, nel limite massimo di 20 milioni di euro. A tal fine, è necessario che la relativa istanza sia stata presentata nel termine ultimo di 20 giorni dall’inizio delle sospensioni, vale a dire entro il 12 ottobre 2015.

A darne notizia è il Ministero del Lavoro con la circolare n. 27/2015.

ASpI per lavoratori sospesi – La Riforma Fornero (L. n. 92/2012) all’art. 3, co. 17 ha riconosciuto – in via sperimentale per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015 – l’indennità ASpI anche per i lavoratori sospesi per crisi aziendali od occupazionali. La durata massima del trattamento, in tal caso, non può superare 90 giornate da computare in un biennio mobile. A tal fine, sono state dedicate risorse finanziarie per un importo non superiore a 20 milioni di euro per ciascuno dei suddetti anni.

Stop all’ASpI – Ora, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 148/2015 (24 settembre 2015), è stata prevista l’abrogazione della suddetta norma. Ragione per cui, l’INPS – su parere concorde del Ministero del Lavoro – non potrà più erogare prestazioni di “indennità di disoccupazione ASpI per lavoratori sospesi” per le giornate di sospensione intervenute dal 24 settembre 2015.

Cosa significa tutto questo? La risposta è rinvenibile tra le righe del messaggio n. 6024/2015. In pratica, per le richieste di “indennità di disoccupazione ASpI per lavoratori sospesi”, per periodi che contengono anche le giornate successive al 23 settembre 2015, la procedura INPS, al momento della liquidazione delle suddette indennità, automaticamente prenderà in considerazione solo i periodi fino al 23 settembre 2015, ultimo giorno di vigenza della normativa.
Quindi le aziende, i consulenti e gli Enti bilaterali hanno potuto presentare le domande di indennità di disoccupazione ASpI per lavoratori sospesi, fino alla data del 12 ottobre 2015, corrispondente al 20° giorno successivo al 23 settembre 2015 (ultimo giorno utile di sospensione).

Dietrofront del MLPS – Tuttavia, spiega il Ministero del Lavoro, tale interpretazione incide su fattispecie già perfezionate, determinando un evidente vuoto di tutele, a causa del venir meno di una misura prevista, seppur in via sperimentale, sino a tutto il 2015. Alla luce di ciò, secondo la Direzione generale degli ammortizzatori sociali sarebbe più opportuno assumere un’ interpretazione estensiva della norma, che pone in particolare rilievo la validità degli impegni assunti dalle parti in sede di consultazione sindacali, attraverso accordi stipulati prima dell’entrata in vigore della norma abrogativa, che abbiano previsto l’inizio delle sospensioni entro la medesima data e sino al 31.12.2015, e le cui istanze siano state presentate entro il 20° giorno successivo al 23 settembre 2015, ultimo giorno utile di inizio delle sospensioni, fermo restando, naturalmente, il limite di spesa pari a 20 milioni di euro per l’anno 2015.

In altri termini, entro la data del 23 settembre 2015 è necessario che sia stato stipulato l’accordo con la previsione delle sospensioni entro la medesima data e sino al 31 dicembre 2015, e che la relativa istanza sia stata presentata nel termine ultimo di 20 giorni dall’inizio delle sospensioni, vale a dire entro il 12 ottobre 2015.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Professionisti “senza cassa”: nuovo blocco dell’aliquota INPS

Per il terzo anno consecutivo il Governo blocca l’aliquota della Gestione separata INPS al 27,72%

Il Governo corre in aiuto ai liberi professionisti non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie iscritti alla gestione separata INPS (art. 2, co. 26 della L. n. 335/1995). Per questi ultimi, infatti, l’aliquota contributiva dovuta per il 2016 rimane fissata nella stessa misura del 2015, ossia al 27,72%.
A prevederlo è l’attuale bozza del Ddl Stabilità 2016, che sottrae temporaneamente per il terzo anno consecutivo i professionisti iscritti alla Gestione separata INPS alla tabella di marcia prevista dalla Riforma Fornero (art. 2, comma 57, L. n. 92/2012).
Per quest’anno, infatti, si doveva pagare il 28,72% come previsto dal “Decreto Milleproroghe” (L. n. 11/2015), fino ad arrivare al 33,72% nel 2018.

Soggetti interessati – L’obbligo assicurativo a favore dei lavoratori iscritti alla Gestione separata INPS prende le mosse dalla riforma previdenziale del Governo Dini (L. n. 335/1995), che ha istituito presso l’INPS una previdenza obbligatoria, finalizzata a tutelare tutte quelle figure professionali emergenti, privi di appositi albi (i c.d. “senza cassa”).

Ai sensi dell’art. 2, co. 25-33 della L. n. 335/1995, i soggetti tenuti all’iscrizione alla Gestione separata INPS, sono coloro che percepiscono le seguenti categorie di reddito:
• redditi derivanti dall’esercizio abituale e professionale di un’attività di lavoro autonomo per la quale non è stata prevista una specifica cassa previdenziale. Si tratta di tutti i professionisti senza Albo, degli iscritti ad Albi per i quali non è prevista una Cassa di previdenza e, dei professionisti iscritti ad Albi per i quali è prevista la Cassa di previdenza ma risultano essere esonerati dalla stessa;
• redditi derivanti dai rapporti di collaborazione a progetto o di collaborazione coordinata e continuativa, nonché i redditi derivanti da rapporti di lavoro autonomo occasionale che superano la soglia dei 7.000 euro (limite rivalutato dal D.Lgs. n. 81/2015);
• redditi derivanti da attività di vendita a domicilio ex art. 36, L. n. 426/71;
• redditi derivanti da altre specifiche attività che sono state ricondotte a questa forma previdenziale. Si pensi, a tal proposito, agli assegni di ricerca, alle borse per dottorati di ricerca, ai redditi percepiti dagli amministratori locali, agli associati in partecipazione e ai prestatori di lavoro occasionale accessorio.

Blocco aliquota INPS – Il progressivo incremento dell’aliquota contributiva IVS degli iscritti alla Gestione separata INPS, fa parte della tabella di marcia introdotta dalla Riforma Fornero (art. 2, comma 57, L. n. 92/2012), successivamente modificata dal D.L. Sviluppo (art. 46-bis, comma 1, lett. g, del D.L. n. 83/2012, convertito nella L. n. 134/2012), dalla Legge di Stabilità 2014 (art. 1, comma 491 e 744 della L. n. 147/2013) dal Decreto Milleproroghe (art. 10-bis del D.L. n. 192/2014) e da ultimo dal Ddl Stabilità 2016.

A tal proposito, si ricorda che il “Decreto Milleproroghe” (L. n. 11/2015) all’art. 10-bis ha previsto che: “Per i lavoratori autonomi, titolari di posizione fiscale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, iscritti alla Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, che non risultino iscritti ad altre gestioni di previdenza obbligatoria ne’ pensionati, l’aliquota contributiva, di cui all’articolo 1, comma 79, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, e successive modificazioni, è del 27 per cento per gli anni 2014 e 2015, del 28 per cento per l’anno 2016 e del 29 per cento per l’anno 2017”.

Ora, alla luce della recente Manovra Finanziaria, tale incremento contributivo è destinato a subire profondi cambiamenti, a cominciare dall’anno prossimo quando l’aliquota INPS sarà bloccata al 27,72%.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Reati fiscali. La banca può chiedere il dissequestro del saldo attivo del C/c

Cassazione Penale, sentenza depositata il 22 ottobre 2015

Il pegno irregolare attribuisce il diritto di proprietà sul saldo attivo del conto corrente bancario e quindi l’istituto di credito, nel procedimento a carico del presunto evasore fiscale, è legittimato a chiedere il dissequestro delle somme. 
È quanto emerge dall’interessantissima sentenza n. 42464/15 della Terza Sezione Penale della Suprema Corte.

Gli ermellini hanno ribadito che il pegno irregolare, in tema di anticipazione bancaria, risponde a uno schema negoziale di portata generale ed è accomunabile al pegno c.d. regolare (artt. 2784 C.c. e ss.) sia per il profilo strutturale della natura reale del contratto sia per il profilo funzionale della condivisa causa di garanzia. Il pegno irregolare, però, è connotato da una sua specificità di contenuto e di effetti. L’effetto reale, che nel pegno regolare si esaurisce nella creazione di un diritto su cosa altrui opponibile “erga omnes”, assume, invece, nel pegno irregolare la più ampia valenza di un vero e proprio trasferimento di proprietà delle cose attribuite in garanzia. Inoltre, l’obbligazione restitutoria gravante sul creditore, concerne l’equivalente di quanto ricevuto in garanzia, mentre nel pegno regolare ha a oggetto la medesima cosa di cui egli ha avuto temporaneamente la detenzione.

In sintesi, il pegno irregolare può essere definito come il contratto con cui il garante consegna e attribuisce in proprietà al creditore denaro o beni aventi un prezzo corrente di mercato, e perciò reputati fungibili con il denaro, dei quali colui che riceve deve restituire l’equivalente solo se e quando interviene l’adempimento dell’obbligazione garantita; altrimenti, l’obbligazione restitutoria attiene all’eventuale eccedenza del valore dei beni trasferiti in proprietà rispetto al valore della prestazione garantita rimasta inadempiuta.
Il contratto di pegno irregolare, di conseguenza, non elimina il diritto della Banca a pretendere l’adempimento, quanto piuttosto esaurisce “in limine” l’interesse del creditore a percorrere la via dell’esecuzione forzata, essendo anticipato con lo strumento negoziale l’effetto finale della tutela processuale.

Da quanto sopra esposto deriva, per gli ermellini, che il sequestro penale presso il creditore di beni costituiti dall’indagato-debitore in pegno irregolare, vincolerebbe a garanzia degli interessi perseguiti con la misura cautelare reale beni non più di proprietà del costituente, non potendo d’altra parte il sequestro presso terzi avere a oggetto crediti puramente eventuali. Pertanto sussiste la legittimazione della Banca a impugnare il sequestro, quale persona giuridica alla quale le cose sono state sequestrate.

Nel caso di specie, il Tribunale dovrà riesaminare l’istanza di dissequestro avanzata dalla Banca riguardo al conto corrente del presunto evasore.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

730: le risposte del Fisco ai Caf

Circolare n. 34/E del 22 ottobre 2015

Premessa – CAF e professionisti chiamano, Fisco risponde. Arrivano le risposte delle Entrate alle ulteriori richieste di chiarimenti sulla dichiarazione precompilata. Con la circolare n. 34/E pubblicata ieri, infatti, l’Agenzia sgombra il campo dai dubbi sorti sul visto di conformità infedele e sulla tempistica di presentazione dei modelli 730 originario e rettificativo. 
Sanzione visto infedele – La disposizione secondo cui il contribuente non è soggetto ad attività di accertamento, iscrizione a ruolo e riscossione per crediti il cui ammontare non superi 30 euro, vale anche ad escludere la punibilità per l’apposizione del visto infedele sulla relativa dichiarazione. L’ammontare di tale limite è stato innalzato a 30 euro a decorrere dal 1° luglio 2012. Il nuovo limite si applica anche per escludere la punibilità del visto infedele, per l’attività posta in essere dagli uffici a decorrere da tale data, anche se relativa a pregressi periodi d’imposta.

Come presentare il modello rettificativo – Nel caso in cui il Caf o il professionista presentino la dichiarazione rettificativa entro il 10 novembre, pagheranno la sola sanzione ridotta e non anche imposte e interessi, purché il versamento venga effettuato entro la stessa data. Rimane fermo che, se il modello rettificativo sia presentato per correggere un 730 originario presentato tardivamente, ossia dopo la scadenza del 23 luglio, sarà dovuta anche la sanzione per la ritardata presentazione dello stesso.

Sulla tardività vale la proroga – E’ il 23 luglio 2015 il termine superato il quale la presentazione del modello 730 s’intende effettuata tardivamente. E’ sempre da questa data quindi che decorre il termine per regolarizzare la violazione della tardività. Le Entrate chiariscono che il riferimento temporale, nel caso della tardività dei modelli, coincide con il termine prorogato dal Dpcm del 26 giugno 2015 per la presentazione del 730. Scelta questa che, prevedendo più tempo per il corretto svolgimento dei relativi adempimenti e tendendo conto delle esigenze dei contribuenti e dell’Amministrazione Finanziaria, ha consentito ai Caf e ai professionisti di completare la trasmissione in via telematica delle dichiarazioni presentate entro i termini previsti.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Nuova rivalutazione dei beni d’impresa

Obbligo di pagare l’imposta sostitutiva nella bozza della Legge di Stabilità 2016

Premessa – Il disegno di Legge Stabilità 2016 ripropone la rivalutazione dei beni d’impresa risultanti dal bilancio 2014 e ancora presenti in quello successivo. La rivalutazione non potrà essere effettuata solo civilisticamente in quanto l’incremento dei valori nel bilancio d’esercizio comporterà necessariamente l’applicazione dell’imposta sostitutiva. 
Rivalutazione – Secondo quanto previsto dalla bozza della Legge di Stabilità 2016 è possibile, per i soggetti giuridici indicati alle lettere a) e b), del comma 1, dell’art. 73 del Tuir, rivalutare beni d’impresa e partecipazioni, con la sola esclusione dei beni alla cui produzione o scambio è diretta l’attività d’impresa (beni merce), come risultanti dal bilancio al 31/12/2014. I soggetti ammessi alla rivalutazione sono tutti gli esercenti attività d’impresa, inclusi gli enti non commerciali in relazione al patrimonio destinato all’attività d’impresa e le società ed enti non residenti relativamente alle stabili organizzazioni possedute nel territorio dello Stato.

Bilancio – La detta rivalutazione deve essere eseguita nel bilancio successivo al 2014 (per i solari, al 31/12/2015), deve riguardare tutti i beni appartenenti alla medesima categoria e deve essere indicata nell’inventario e nella nota integrativa; i beni non possono essere estromessi, ceduti, utilizzati dall’imprenditore o assegnati, prima del quarto esercizio successivo alla rivalutazione. In assenza di un bilancio che dia evidenza contabile del patrimonio dell’impresa, la rivalutazione deve essere evidenziata in un prospetto dal quale devono risultare il costo fiscalmente riconosciuto dei beni e le rivalutazioni operate.

Imposta sostitutiva – Sui maggiori importi occorre versare un’imposta sostitutiva del 16% per i beni ammortizzabili e del 12% per quelli non ammortizzabili (terreni e partecipazioni). La riserva in sospensione d’imposta contabilizzata a fronte della rivalutazione può essere affrancata versando un ulteriore tributo del 10 per cento. La rivalutazione non potrà essere effettuata solo civilisticamente: l’incremento dei valori nel bilancio d’esercizio comporterà necessariamente l’applicazione dell’imposta sostitutiva. Il versamento di quest’ultima avverrà in tre rate di uguale importo (al 16 giugno del 2016, 2017, 2018) senza interessi.

Effetti della rivalutazione – La rivalutazione, così come proposta dal disegno di legge, non ha effetti fiscali immediati in quanto gli stessi sono differiti al terzo periodo d’imposta successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita; in sostanza, considerato che la rivalutazione va eseguita nel bilancio dell’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, il recupero fiscale della rivalutazione avverrà a partire dall’esercizio 2018 per quanto attiene alla deduzione degli ammortamenti. Per la rilevanza ai fini di plusvalenze e minusvalenze da cessione visto che l’effetto è differito al quarto periodo d’imposta successivo, occorrerà attendere il 1° gennaio 2019.

A cura di Antonio Gigliotti

Riscossione: nuova possibilità di rateizzazione

Premessa – I contribuenti che avevano perso la possibilità di rateizzare i debiti con il fisco, perché erano decaduti, hanno la possibilità di richiedere di nuovo un piano di rateizzazione. Lo annuncia Equitalia in una nota. La domanda, che si può presentare da ieri fino al 21 novembre, riguarda i contribuenti “decaduti” negli ultimi 2 anni.

Novità riscossione – E’ di fatto diventato operativo il Decreto Legislativo che prevede le “Misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme di materie di riscossione” che, tra l’altro, prevede a regime anche la possibilità, per le nuove rateizzazione, di essere sempre riammesso alle rate (ma saldando subito le rate scadute) e lo stop ai pagamenti in caso di sospensione da parte di un giudice. Ecco come Equitalia spiega le novità scattate ieri.

Nuova finestra per i vecchi piani revocati. – Chi è decaduto dal piano di rateizzazione tra il 22 ottobre 2013 e il 21 ottobre 2015, può chiedere nuovamente una dilazione delle somme non versate fino a un massimo di 72 rate mensili. Occorre presentare la domanda entro il 21 novembre. I moduli sono disponibili allo sportello o nella sezione Rateizzazione – Modulistica presente nell’Area Cittadini e nell’Area Imprese del sito www.gruppoequitalia.it.

Limiti – Ci sono però alcuni limiti alle regole generali sulla rateizzazione: il nuovo piano concesso non è prorogabile e si decade in caso di mancato pagamento di due rate anche non consecutive.

Riammissione per le nuove rateizzazioni – Per i piani concessi a partire dal 22 ottobre 2015, la rateizzazione decade con il mancato pagamento di cinque rate anche non consecutive. Tuttavia, pagando le rate che risultano scadute, si può chiedere un nuovo piano di dilazione e riprendere i pagamenti.

Stop ai pagamenti in caso di sospensione. – Il contribuente che ha ottenuto una sospensione giudiziale o amministrativa può interrompere i pagamenti delle rate, limitatamente ai tributi interessati, per tutta la durata del provvedimento. Allo scadere della sospensione può chiedere di rateizzare il debito residuo fino a un massimo di 72 rate.

Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cartelle. Prescrizione breve

Si applica la prescrizione quinquennale – e non quella decennale – ai crediti portati dalle cartelle di pagamento che non sono state precedute da un atto d’accertamento divenuto definitivo. È quanto emerge dall’ordinanza n. 20213/15 della Corte di Cassazione – Sesta Sezione (T) -, pubblicata l’8 ottobre.

In una controversia per cartelle di pagamento TIA/TARSU, i giudici tributari della Calabria hanno accolto l’impugnazione del contribuente (avverso gli avvisi di mora) sul presupposto che fosse intervenuta la prescrizione quinquennale del potere esattivo dell’imposta, posto che i ruoli risultavano consegnati tardivamente all’esattore, per quanto poi fossero state regolarmente notificate le cartelle.

Dunque la CTP e la CTR hanno ritenuto applicabile al caso di specie il termine di prescrizione di cui all’art. 2948 del Codice civile e non quello stabilito dall’art. 2946, come invece sostenuto dal concessionario della riscossione.

Ebbene, la controversia è approdata in Cassazione dove Equitalia ha subito una definitiva battuta d’arresto.

In motivazione si legge: “premesso che la parte ricorrente ha dato generico conto della sequenza temporale delle intervenute notificazioni delle cartelle di pagamento (sicché, quand’anche volesse considerarsi ciò che si assume in ricorso a proposito di rispetto del termine breve di prescrizione, o meglio del termine decadenziale previsto per la notifica degli atti esattivi, il motivo sarebbe difettoso in punto di autosufficienza), resta comunque che la giurisprudenza che la parte ricorrente ha valorizzato in ricorso a proposito della applicabilità del termine di prescrizione ordinaria è tutta riferibile a titoli di accertamento-condanna (amministrativi o giudiziari) divenuti definitivi, non già invece a cartelle esattive che – se adottate in virtù di procedure che consentono di prescindere dal previo accertamento dell’irretrattabilità e definitività dell’esistenza del titolo – non possono per questo considerarsi rette dall’irretrattabilità e definitività del titolo di accertamento e ripetono la loro legittimità (sotto il profilo della tempestività della procedura di notifica alla parte destinataria) dalla legge che le regola”.

E allora la Suprema Corte conclude dicendo che, “per poter postulare l’applicabilità alla specie di causa del termine di prescrizione decennale”, Equitalia avrebbe dovuto “indicare l’esistenza di un titolo definitivo a pretendere, antecedente all’emissione delle cartelle, di cui non è stata fatta menzione alcune”.

In conseguenza del rigetto del ricorso, il concessionario è stato condannato a pagare un ulteriore somma a titolo di contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, TUSG. Nulla sulle spese.

A cura di Antonio Gigliotti
Autore: Redazione Fiscal Focus

Vizio di sottoscrizione. Non può essere fatto valere in Cassazione

 Cassazione Tributaria, ordinanza del 20 ottobre 2015

Nel giudizio di cassazione non può trovare ingresso l’eccezione riguardante la sottoscrizione dell’avviso d’accertamento: se si tratta di un motivo nuovo, gli ermellini non se ne possono occupare.

È quanto emerge dall’ordinanza 20 ottobre 2015 n. 21307 della Sesta Sezione Civile – T della Suprema Corte.

Gli ermellini hanno esaminato il ricorso di un contribuente romano che ha impugnato un avviso di accertamento sintetico basato sul possesso di più autovetture e di plurime abitazioni principali e secondarie.

Mentre la Commissione di prima istanza ha annullato la ripresa, la Commissione regionale ha ritenuto che il contribuente non avesse assolto all’onere probatorio imposto dall’art. 38 del D.P.R. n. 600/73; il che ha comportato la riforma del verdetto di prime cure. Di poi il ricorso di legittimità del contribuente, cha ha avuto esito felice.

I giudici tributari del Palazzaccio hanno ritenuto viziata la sentenza di seconde cure e pertanto l’hanno cassata, con rinvio alla CTR Lazio (in diversa composizione) per nuovo giudizio.

I supremi giudici, però, hanno dichiarato inammissibili i motivi nuovi formulati dal contribuente con una memoria illustrativa.

Precisamente, con la memoria illustrativa, il ricorrente ha dedotto motivi nuovi a sostegno dell’assunto di invalidità dell’atto impugnato; motivi certamente innovativi, secondo la Suprema Corte, rispetto al contenuto del ricorso per cassazione e dello stesso ricorso introduttivo di primo grado.

Il contribuente cioè ha lamentato, ma solo nell’ultimo grado di giudizio, la carenza del “potere di firma” in capo al sottoscrittore dell’atto oggetto di lite, “siccome incaricato di funzioni dirigenziali e non dirigente a seguito di concorso pubblico”.

Ebbene, i giudici con l’ermellino hanno ritenuto questa nuova contestazione inammissibile e “quand’anche si trattasse, invero, di argomenti deducibili, indipendentemente dalle preclusioni che regolano il rito tributario (artt. 18 e 24; 57 del D.Lgs. n. 546/1992), essi sarebbero stati comunque introdotti in violazione dei principi che regolano il rito in Cassazione, non potendo in nessun caso la Corte apprezzare le circostanze di fatto che costituiscono il presupposto sostanziale degli assunti del contribuente, il cui onere di allegazione e prova in ordine a detti fatti appare comunque manifesto e imprescindibile”.

A cura di Antonio Gigliotti
Autore: Redazione Fiscal Focus

Fatturazione scambi internazionali: le regole

Si rileva una contrastata armonizzazione delle procedure tra i diversi attori internazionali

Le legislazioni nazionali, nonostante la politica di armonizzazione posta in essere dall’Unione Europea, presentano delle caratteristiche tali da configurare una situazione di incertezza circa la definizione di prescrizioni comuni riguardanti la fatturazione negli scambi internazionali con i Paesi Ue ed extra UE.

La circolare n. 21 del 20 febbraio 2015 rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, conformandosi alla normative Ue, stabilisce che qualora il fornitore sia residente in un altro Paese dell’Unione Europea, quando la transazione ha ad oggetto la cessione di beni e servizi per la quale l’imposta è dovuta in Italia dal committente, lo stesso deve emettere una fattura riportando la partita Iva rilasciatagli nel Paese residente.
L’art 219-bis della direttiva 2006/112/Ce del 28 novembre 2006, stabilisce che la fatturazione è soggetta alle regole dello Stato membro in cui è localizzata la cessione di beni o la prestazione di servizi; lo stesso articolo prevede invece di seguire le regole vigenti nello stato membro del fornitore qualora:

• il fornitore non è stabilito nello stato membro in cui l’imposta è dovuta e il soggetto passivo dell’imposta è il cessionario/committente;
• quando l’operazione non è effettuata all’interno dell’Ue.
Il comma 6bis dell’art 21 del D.P.R. 633/72, con il quale il nostro ordinamento ha recepito le direttive prima indicate, prevede i casi in cui il soggetto passivo stabilito in Italia è obbligato a emettere fattura anche per le “operazioni esenti” con riferimento al requisito della territorialità (difetto di territorialità), ossia:

• le operazioni (eccetto quelle esenti indicati ai comma 1,2,3,4,9 dello stesso dpr), sono effettuate nei confronti di soggetti passivi debitori dell’imposta in un altro stato membro; nella fattura occorre riportare l’indicazione “inversione contabile”; basti pensare per esempio alla vendita di un bene che si trova, al momento della cessione, fuori dal territorio UE, acquistato e rivenduto negli Stati Uniti;
• le operazioni effettuate fuori dall’UE, in questo caso bisogna riportare la dicitura “operazione non soggetta”.
Anche se si tratta di operazioni esenti comunque la fatturazione concorre alla determinazione del volume d’affari, con conseguenze su una serie di adempimenti; l’influenza di tali fatturazioni è stata limitata dalle agevolazioni previste per gli acquisti in sospensione d’imposta prevista per gli esportatori abituali. Possiamo parlare di esportatori abituali qualora, il volume di affari delle operazioni non imponibili sono maggiori del 10%, in questo caso lo stesso non concorre alla formazione del volume d’affari generale.
Omissione della fatturazione – La Legge n. 228/2012 ha modificato l’art.6, comma 2, del D.Lgs. n. 471/97 estende l’applicazione delle sanzioni per omessa registrazioni e documentazione anche alle operazioni non soggette; è previsto un importo sanzionatorio che va dal 5% al 10% dell’importo non registrato, o da 258 a 2065 euro qualora la violazione non ha conseguenze nella determinazione del reddito. A partire dal 1° gennaio 2016, con le novità introdotte dal D.Lgs. 158/2015 l’importo della sanzione andrà da 250 a 2 mila euro.

A cura di Antonio Gigliotti
Autore: Redazione Fiscal Focus

Autovetture: duplice beneficio nella Legge di Stabilità 2016

Autovetture: duplice beneficio nella Legge di Stabilità 2016 – Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Si profila finalmente un intervento che mira a incentivare l’utilizzo di autovetture nell’attività d’impresa. Il cambio di passo è indicato nella Legge di Stabilità 2016 (ancora allo stato embrionale).

Se le misure dovessero essere confermate per le autovetture a deducibilità limitata acquistate nel periodo 15.10.2015 – 31.12.2016 si potrebbe usufruire di una percentuale di deducibilità maggiore rispetto a quella attualmente prevista. A tale vantaggio, si aggiunge l’ulteriore misura agevolativa del super ammortamento.

Il super ammortamento anche per le auto – Una delle misure contenute nel disegno di legge di Stabilità 2016 che incide in maniera positiva sulle imprese (ma anche sui professionisti) è quella del super ammortamento. In sostanza, la previsione normativa concede la possibilità a imprese e professionisti che acquistano beni strumentali nel periodo 15.10.2015 – 31.12.2016 di maggiorare le ordinarie quote di ammortamento di un importo pari al 40%.

Da un punto di vista oggettivo, la norma in cantiere prevede che il super ammortamento si applichi a tutti i beni strumentali. Restano esclusi i fabbricati e le costruzioni, i beni con coefficiente di ammortamento inferiore al 6,5% e di taluni beni espressamente individuati dalla norma.

Beneficio anche per le auto – Tra i beni per i quali si potrà usufruire del super ammortamento rientrano le auto, compresi gli acquisti di autovetture a deducibilità ridotta (articolo 164, Tuir), fermo restando il limite massimo di deduzione pari 18.076 euro.

A tale misura agevolativa se ne aggiunge un’altra: l’incremento delle percentuali di deducibilità limitato alle auto acquistate nel periodo 15.10.2015 – 31.12.2016. In particolare, si prevedono i seguenti incrementi dei limiti di deducibilità:

• per le auto in benefit a dipendenti si passerebbe dall’attuale percentuale di deducibilità del 70% al 98%;
• per le autovetture a uso promiscuo non assegnate si passerebbe dall’attuale percentuale di deducibilità del 20% al 28%;
• per gli agenti la percentuale di deducibilità viene innalzata al 100% (dall’80%).

In pratica, l’acquisto di autovetture nel periodo 15.10.2015 – 31.12.2016 consentirebbe di calcolare una maggiore percentuale di deducibilità (98%, 28%, 100%) sul 140% del costo effettivo.

Il costo effettivo massimo, pur maggiorato del 40%, non dovrebbe eccedere il limite massimo di deduzione pari a 18.076 euro che prendiamo a base di calcolo per l’ammortamento. Definito l’ammortamento per ciascun periodo d’imposta, questo potrà essere detto per il 28%.

Se il costo d’acquisto maggiorato eccede il suddetto limite, si avrà non il 28% del costo di acquisto maggiorato, ma il 28% del limite massimo di deduzione. In sostanza, si dovrà prendere il minore tra il costo di acquisto “maggiorato” e il limite massimo di deduzione.

A parere della dottrina la misura agevolativa dovrebbe riguardare anche i canoni di leasing delle autovetture, mentre dovrebbero essere esclusi i veicoli utilizzati in noleggio a lungo termine e agli altri costi di gestione (carburanti, manutenzioni, eccetera).

In caso di vendita della autovetture, il super ammortamento non influirà nel calcolo di plusvalenze e minusvalenze. Nessuna influenza nemmeno per il calcolo del plafond delle manutenzioni e per il test delle società di comodo.

Si potrà tener conto della misura agevolativa per gli acconti previsionali del prossimo 30 novembre.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Comunicazioni 36-bis del D.P.R. n. 600/1973: codici tributo

R.M. 90/E/2015

Con la risoluzione 90/E del 20.10.2015, l’Amministrazione Finanziaria, al fine di consentire il versamento, con le modalità di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, delle somme dovute a seguito delle comunicazioni inviate ai sensi dell’articolo 36-bis del D.P.R. n. 600/1973, ha istituito i necessari codici tributo, come evidenziato nella tabella in calce. 
In tal caso, deve essere predisposto un modello F24 nel quale i codici istituiti sono esposti nella sezione “Erario”, esclusivamente in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a debito versati”, riportando anche, nei campi specificamente denominati, il codice atto e l’anno di riferimento (nella forma “AAAA”) reperibili all’interno della stessa comunicazione.
Immagine ART. 21.10.2015
 A cura di Antonio Gigliotti
Autore: Redazione Fiscal Focus

Anticorruzione e falso in bilancio: approvata la nuova legge

REATI SOCIETARI
22 maggio 2015 ore 06:00

di Saverio Cinieri – Dottore commercialista e pubblicista
La Camera, ieri, ha approvato in via definitiva la proposta di legge” Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”. Diventano, quindi, legge le nuove norme che prevedono un inasprimento della pena per il falso in bilancio, delitto che torna ad essere applicato a tutte le imprese e non solo a quelle quotate in borsa.
Il falso in bilancio ritorna ad essere un reato che può essere contestato a tutte le società e non solo a quelle quotate in borsa.
E’ una delle più importanti novità che emergono dalla nuova legge in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio (A.C. 3008) approvato, in via definitiva, dalla Camera dei deputati il 21 maggio.
Come appena accennato, la novità principale è che il falso in bilancio torna ad essere un delitto per tutte le imprese, non solo per quelle quotate in borsa.
La reclusione per le società quotateva da 3 a 8 anni (oggi è fra i 6 mesi e i 3 anni), mentre per le aziende non quotate va da 1 a 5 anni (oggi la pena è l’arresto fino a due anni, ma vi sono casi di esclusione della punibilità, che vengono cancellati dalla nuova legge).
Previsto anche un inasprimento delle sanzioni amministrative a carico delle società.
La struttura della nuova legge
La legge approvata non contiene solo norme sul falso in bilancio ma è volta a contrastare i
fenomeni corruttivi attraverso una serie di misure che vanno dall’incremento generalizzato delle sanzioni per i reati contro la pubblica amministrazione, a quelle volte al recupero delle somme indebitamente percepite dal pubblico ufficiale, alla revisione, appunto, del reato di falso in bilancio.
Il provvedimento, composto di 12 articoli, si suddivide in due parti:
– la prima (artt. da 1 a 8) riguarda, in particolare, i reati contro la pubblica amministrazione (vedi tabella che segue);
– la seconda parte (artt. da 9 a 12) ha per oggetto i delitti di false comunicazioni sociali.
Tabella – Reati contro la pubblica amministrazione

Articolo Novità
1 – reati contro la P.A.
– passano a 3 e 5 anni (attualmente, un anno e tre anni) i limiti di durata minima e massima dell’incapacità di contrattare con la P.A. (art. 32-ter c.p.);
– si disciplinano i casi nei quali alla condanna consegue l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego, per prevedere che tale pena accessoria nei confronti del dipendente di pubbliche amministrazioni consegue alla condanna alla reclusione non inferiore ai 2 anni (oggi è per pene non inferiori a 3 anni) per i delitti di peculato, concussione, corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità, ovvero corruzione di persona incaricata di pubblico servizio (art. 32-quinquies c.p.);
– aumenta (si passa, rispettivamente, dagli attuali 15 gg. e 2 anni a 3 mesi e 3 anni) il
tempo minimo e massimo di durata della sospensione dall’esercizio di una professione (art. 35 c.p.);
– aumenta l’entità delle pene previste dal codice penale per una serie di reati del pubblico ufficiale contro la P.A.;
– si introduce una nuova circostanza attenuante nell’art. 323-bis c.p. che consente una
Come cambia il falso in bilancio
Il piatto forte della nuova legge consiste nella modifica del reato di falso in bilancio.
In particolare, l’articolo 9 della nuova legge modifica l’articolo 2621 del codice civile.
L’attuale norma prevede l’arresto fino a due anni per “gli amministratori, i direttori generali, i
dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione”.
Tale punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o
amministrati dalla società per conto di terzi, mentre viene esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene.
Inoltre, sono previste alcune soglie di non punibilità (che, con la nuova legge scompaiono):
infatti, la punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del
risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una
variazione del patrimonio netto non superiore all’1 per cento.
In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta.
In questi casi, scatta una sanzione amministrativa (da uno a cento quote), l’interdizione dagli uffici direttivi da sei mesi a tre anni, e da una serie di cariche societarie (come amministratori, sindaci, liquidatori, dirigenti con funzioni anche contabili).
Ora, invece, si cambia rotta: il nuovo articolo 2621 codice civile prevede alcune modifiche della diminuzione della pena da un terzo a due terzi per colui che, responsabile di specifici
delitti contro la P.A. (artt. 318, 319, 319-ter e quater, 320, 321, 322 e 322-bis c.p.), si sia
efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze
ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili
ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite.
2 – sospensione condizionale
Si subordina, all’art. 165 c.p., l’accesso alla sospensione condizionale della pena per un
catalogo di reati contro la P.A. (artt. 314, 317, 318, 319, 319-ter e quater, 320 e 322-bis
c.p.) al pagamento, a titolo di riparazione pecuniaria di una somma equivalente al profiitto del reato ovvero all’ammontare di quanto indebitamente percepito, fermo restando il diritto all’eventuale risarcimento del danno
3 – concussione
Si modifica la fattispecie di concussione (art. 317 c.p.), ampliandone l’ambito soggettivo
di applicazione per ricomprendervi anche “l’incaricato di un pubblico servizio”, così tornando alla formulazione ante-legge Severino (L. 190/2012).
4 – riparazione pecuniaria
Si inserisce nel codice penale l’art. 322-quater che stabilisce che, con la sentenza di
condanna per un delitto contro la p.a., venga sempre ordinato il pagamento di una somma pari all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale (o dall’incaricato di un pubblico servizio) a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione di appartenenza, ovvero, in caso di corruzione in atti giudiziari, in favore dell’amministrazione della giustizia, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno.
5 – associazione mafiosa
Si introduce un aumento generalizzato delle pene per il reato di associazione mafiosa
(art. 416-bis c.p.).
6 – patteggiamento
Si modifica la disciplina del patteggiamento, per condizionare l’accesso al rito speciale, con riguardo ai procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato
7 – Autorità anticorruzione
Si pongono in capo al PM che esercita l’azione penale per reati contro la pubblica amministrazione obblighi informativi nei confronti del Presidente dell’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione).
8 – Legge
Severino Si apportano alcune modifiche alla legge Severino (L. n. 190/2012). fattispecie (in relazione al dolo, alla rilevanza dei fatti esposti e della loro concretezza ad indurre in errore i destinatati delle comunicazioni) e stabilisce che il reato è sempre punito come delitto con pene detentive che possono andare da 1 a 5 anni (il limite di pena non consente, però, l’uso delle intercettazioni).
La nuova legge prevede anche casi in cui si applicano pene ridotte:
– se i fatti sono di lieve entità la pena va da un minimo di 6 mesi a un massimo di 3 anni
(nuovo art. 2621-bis); la lieve entità viene valutata dal giudice, in base alla natura e alle
dimensioni della società e alle modalità o gli effetti della condotta dolosa;
– la stessa pena ridotta (da 6 mesi a 3 anni) si applica nel caso in cui il falso in bilancio riguardi le società che non possono fallire (quelle che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell’articolo 1 della legge fallimentare). In questo caso, il reato è perseguibile a querela di parte (della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale) e non d’ufficio.
Inoltre:
– con l’introduzione di un nuovo art. 2621-ter, si prevede una ipotesi di non punibilità per
particolare tenuità del falso in bilancio;
– vengono inasprite le sanzioni pecuniarie previste dal D.Lgs n. 231/2001 (art. 25-ter) a carico delle società per il falso in bilancio di cui all’art. 2621 c.c. (da 200 a 400 quote, invece delle 100 – 150 attuali); per il falso in bilancio di lieve entità le sanzioni pecuniarie sono, invece, stabilite tra 100 e 200 quote.
Infine, si modifica l’art. 2622 c.c. ovvero la disciplina del falso in bilancio nelle società
quotate.
Tale norma civilistica, nella versione attuale riguarda il falso in bilancio in danno della società, dei soci o dei creditori e prevede una detenzione da sei mesi a 3 anni.
La norma, così come esce modificata dalla nuova legge, presenta le seguenti novità:
– riferisce l’illecito alle società quotate aumentando la pena (reclusione da 3 a 8 anni);
– trasforma il falso in bilancio in reato di pericolo anziché (come è previsto attualmente) di
danno, la procedibilità è d’ufficio (anziché a querela);
– come nel falso in bilancio delle società non quotate, elimina le soglie di non punibilità.
Infine, alle società quotate vengono equiparate: le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea, le emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano, le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea, e le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono.
Anche in tal caso, aumentano le sanzioni pecuniarie previste dal citato D.Lgs. n. 231/2001, che – per il falso i bilancio nelle società quotate – vanno da 400 a 600 quote (dalle attuali 150-330).
Tabella – Falso in bilancio
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Come è Come sarà
– società quotate: reclusione fra i 6 mesi e i 3 anni;
– aziende non quotate: arresto fino a due anni, con casi di esclusione della punibilità.
società quotate: reclusione da 3 a 8 aziende non quotate: reclusione da 1 a 5 anni nessuna causa di esclusione della punibilità

730 precompilato. Lettere bonarie mettono al riparo dai controlli

Le lettere bonarie – 220mila contribuenti sono stati raggiunti dalle lettere bonarie emesse dall’Agenzia delle Entrate volte ad avvisarli circa la possibilità di anomalie relative alla dichiarazione dei redditi. I contribuenti destinatari delle missive sono stati invitati a verificare le rispettive posizioni e a provvedere a sanare le eventuali anomalie senza che si imponga la necessità di ricorrere ai controlli. Questo avviso a tappeto condotto dalle Entrate è stato attuato soprattutto alla luce degli ottimi risultati ottenuti con la dichiarazione precompilata, oltreché grazie ai dati trasmessi dai datori di lavoro e dagli enti previdenziali.

Controlli addio? – Dunque, queste lettere bonarie rappresentano un’alternativa ai controlli, ossia un’esortazione a regolarizzare la propria posizione innanzi al Fisco meno radicale rispetto a quello che potrebbe essere un controllo vero e proprio. È per tale ragione che negli ultimi giorni l’Agenzia si è presa la briga di inviare tali comunicazioni esortando i contribuenti a verificare in maniera autonoma la propria posizione, in genere qualora si presenti una situazione con più redditi (senza conguaglio) per i quali non siano stata presentata la dichiarazione per il periodo d’imposta 2014. Le anomalie alle quali le Entrate fanno riferimento nelle missive, in genere emergono dopo diversi anni dalla presentazione della dichiarazione e implicano l’applicazione di sanzioni e interessi in misura piena. La precompilata ha rivoluzionato l’intero contesto, permettendo l’individuazione in tempo reale e garantendo ai contribuenti un avviso preventivo grazie al quale è possibile porre rimedio avvalendosi del ravvedimento operoso, senza passare dunque per la via dei controlli.
Chi sono i destinatari – A chi è arrivata la lettera dell’Agenzia? Queste lettere bonarie hanno raggiunto tutti i contribuenti che non hanno provveduto a effettuare la presentazione della dichiarazione nonostante abbiano “percepito più redditi da lavoro dipendente o da pensione da diversi sostituti (datori di lavoro o enti previdenziali) i quali non hanno effettuato il conguaglio delle imposte. Chi riceve la lettera può presentare il modello Unico Persone Fisiche entro il 29 dicembre 2015 (entro 90 giorni dalla scadenza ordinaria del 30 settembre) beneficiando con il ravvedimento operoso di una significativa riduzione delle sanzioni dovute per la tardiva dichiarazione e per gli eventuali versamenti”, come spiega la stessa Agenzia in una nota diffusa ieri.Contatti e assistenza – L’Agenzia delle Entrate ha altresì diffuso i contatti e i numeri ai quali i contribuenti potranno rivolgersi per ottenere assistenza e maggiori informazioni. Seguendo le indicazioni, questi potranno rivolgersi agli uffici territoriali delle Entrate sul sito internet dell’Agenzia – nella sezione Contatta l’Agenzia > Assistenza fiscale > Uffici Entrate) oppure chiamare il call center al numero 848.800.444 dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 17, e il sabato, dalle 9 alle 13, al costo della tariffa urbana a tempo.
Autore: Redazione Fiscal Focus

A cura di Antonio Gigliotti

730 integrativo a più mani

L’invio diretto del 730 integrativo da parte del contribuente può avvenire solo nel caso in cui il primo sostituto respinge il 730/4

Non rimane ancora molto tempo ai contribuenti che intendono presentare il “mod. 730 integrativo”. Infatti, qualora questi ultimi si accorgono di aver presentato un mod. 730 precompilato dal quale risulti un maggior credito o minor debito d’imposta, possono presentare il c.d. “730 integrativo” entro lunedì prossimo (26 ottobre 2015), anche se l’originario modello è stato presentato direttamente o tramite il sostituto d’imposta. Tale data, in particolare, vale esclusivamente per i mod. 730 dai quali si accerti un maggior credito o minor debito d’imposta; in questo caso, infatti, si parla di dichiarazione “a favore”.

A tal fine, è necessario che il sostituto errato prima deve procedere al respingimento del 730/2014 e soltanto dopo il contribuente può procedere alla trasmissione diretta dell’integrativa.

Mod. 730 integrativo – Premesso che il mod. 730 integrativo può essere presentato solo da un Caf o da un professionista abilitato, anche se precedentemente il contribuente era stato assistito dal sostituto, il nuovo dichiarativo va compilato un tutte le sue parti, indicando il codice “1” sul frontespizio in corrispondenza della casella “730 integrativo”.

Tuttavia qualora il sostituto d’imposta, accortosi della propria incompetenza nel ricevere il 730/4, abbia espressamente respinto la comunicazione ricevuta nella propria area riservata, il contribuente può trasmettere il 730 integrativo anche direttamente attivando l’apposita opzione all’interno della propria area dedicata del sistema Entratel. In particolare, lo scarto del 730/4 ricevuto da parte del primo sostituto fa automaticamente partire una mail informativa al contribuente, rendendo così operativa l’area riservata a quest’ultimo; in caso contrario, ossia in caso di mancato scarto del mod. 730/4 del primo sostituto, il contribuente deve rivolgersi a un CAF o professionista abilitati.

A tal proposito, appare opportuno ricordare che se il contribuente presenta una dichiarazione integrativa, deve esibire la documentazione relativa all’integrazione effettuata per permettere al CAF o al professionista abilitato di effettuare il controllo della conformità.
Tuttavia se il Caf o l’intermediario è lo stesso cui a suo tempo era stata consegnata la dichiarazione semplificata, deve essere esibita solo la documentazione relativa all’integrazione. Se invece il mod. 730 è stato precedentemente elaborato dal sostituto d’imposta o da un diverso CAF/professionista, il contribuente deve esibire al CAF/professionista abilitato tutta la documentazione necessaria per il controllo di conformità.

Ai fini operativi, si evidenzia che:
• va indicato il codice “2”, nel caso in cui l’integrazione della dichiarazione dovesse avvenire solo per fornire dati, o correggere quelli già indicati, necessari per identificare il sostituto d’imposta che effettuerà il conguaglio;
• il codice “3”, nel caso in cui il contribuente si dovesse accorgere di non aver fornito non solo tutti i dati del sostituto che effettuerà il conguaglio ma anche altri elementi da indicare in dichiarazione.

Autore: Redazione Fiscal Focus

– Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Stabilità 2016 e imprese: super ammortamenti e taglio IRES

Stabilità 2016 e imprese: super ammortamenti e taglio IRES – Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Due importanti misure inserite nella Legge di Stabilità per il 2016 per le imprese. Si tratta della riduzione dell’aliquota IRES e un super ammortamento sull’acquisto di beni strumentali da parte delle imprese.

Taglio IRES: 2016 o 2017? – Per quanto riguarda il taglio dell’IRES, nel disegno di legge viene rinviato al 2017 il taglio dal 27,5% al 24% dell’IRES, salvo anticipare la riduzione al 2016 se verrà concessa una maggiore flessibilità nei conti da parte dell’Unione europea.
In particolare ciò sarà possibile se la Commissione Ue riconoscerà lo 0,2% di flessibilità sul deficit, circa 3,3 miliardi, per l’evento migratorio eccezionale. Come sottolineato dal Ministro Padoan nella lettera inviata all’UE “il costo degli eventi eccezionali migratori è pari a 3,1 miliardi, 0,2 del Pil. E ove questa clausola sia riconosciuta, noi anticiperemo al 2016 misure che abbiamo già previsto per il 2017, segnatamente l’Ires, segnatamente i denari per ulteriori investimenti sull’edilizia scolastica. Si tratta, in attesa di Bruxelles, di un’approvazione condizionata”.

Dunque la volontà è quella di anticipare il taglio dell’IRES al 2016, ma questo sarà possibile solo nel rispetto del rapporto deficit/PIL stabilito tempo a dietro con gli organi europei.

Tuttavia, anche lo 0,2% di deficit in più non basterebbe per l’intero taglio dell’IRES nel 2016. Si dovrà pertanto procedere in due tappe: un taglio di 1,5% nel 2015 e la restante parte nel 2017.

E la tassazione dei dividendi… – Non va dimenticato che per non “sterilizzare” gli effetti positivi del taglio dell’aliquota IRES sarà necessario aumentare la percentuale di non imponibilità dei dividendi ora fissata al 49,72% per le partecipazioni qualificate. Se così non fosse, si ribalterebbe (parzialmente) il costo della riduzione IRES sui soci della società.

Super ammortamenti per i beni acquistati dal 15 ottobre – Altra misura favorevole alle imprese è quella che mira a consentire il super ammortamento al 140% che dovrà essere ripartita in modo lineare sulla vita utile del bene.

Da quanto si apprende la misura agevolativa si applicherà ai beni acquistati nel 2016 e anche quelli acquisti nell’ultimo trimestre del 2015 a partire dal 15 ottobre.
Per quanto riguarda l’ambito soggettivo, ad ora potrebbero fruire dell’agevolazione anche i professionisti. Dall’ambito oggettivo dovrebbe essere esclusi gli immobili. Così come accaduto nella precedente agevolazione per l’acquisto di macchinari (art. 18, D.L. 91/2014, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 144 del 24.06.2014, conv. con mod. dalla L. 116/2014 pubb. G.U. del 20.08.2014), gli investimenti che dovrebbero dar diritto all’agevolazione sono solo quelli:
nuovi, nel senso che non devono essere stati, a qualunque titolo, già utilizzati;
compresi nella divisione 28 della tabella Ateco 2007.

Rispetto alla precedente versione non dovrebbero essere presenti limiti quantitativi.

Da un punto di vista pratico, per l’acquisto di un bene agevolabile con costo fiscale di 100, ammortizzabile al 10% in 10 anni, si potrà fruire di una maggiore deduzione del 4%, con un aliquota complessiva di ammortamento per ciascun periodo d’imposta del 14%. In sostanza, si potrà dedurre un ammortamento pari a 14 in luogo di un ammortamento di 10. Il maggior ammortamento risulterebbe pari a 40 nei dieci anni.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Legge di Stabilità 2016: tutte le novità fiscali!

Legge di Stabilità 2016: tutte le novità fiscali! – Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Per approfondire consulta la Fiscal Approfondimento n. 38 del 20.10.2015

È stato approvato nel Consiglio dei Ministri del 15.10.2015 il disegno di Legge di Stabilità 2016. L’annuncio è arrivato con 25 tweet da parte del Premier Matteo Renzi, che riassumono i principali interventi contenuti nella Legge di Stabilità. Analizziamo quali sono i principali interventi contenuti nella Legge di Stabilità, evidenziando sin da ora che si tratta solo di un disegno di legge che viene trasmesso alle Camere per proseguire il normale iter parlamentare che porterà all’approvazione definitiva. In questo iter, il disegno di legge potrà subire modifiche, delle quali vi daremo conto in modo tempestivo. 
IMU – Abolizione dell’imposta sull’abitazione principale, anche sulle case di lusso adibite ad abitazione principale, nonché sui terreni agricoli (in questo caso vi sono delle modifiche importanti sulle norme già a suo tempo introdotte) e abolizione dell’imposta sui c.d. macchinari imbullonati tramite una procedura particolare che li esclude dal novero della rendita catastale.

TASI – Scompare la TASI nelle seguente situazioni:
• in caso di immobile destinato dal proprietario ad abitazione principale per sé e la propria famiglia;
• in caso di immobile affittato dal proprietario, ma destinato dall’inquilino (possessore) ad abitazione principale per sé e per i propria famiglia.

Taglio aliquota IRES – Previsto dal 2017 il taglio dal 27,5% al 24% dell’IRES, salvo anticipare la riduzione al 2016 se verrà concessa una maggiore flessibilità nei conti da parte dell’Unione europea.

Super ammortamenti per i beni acquistati dal 15 ottobre – Altra misura favorevole alle imprese è quella che mira a consentire il super ammortamento al 140% che dovrà essere ripartita in modo lineare sulla vita utile del bene. Da quanto si apprende la misura agevolativa si applicherà ai beni acquistati nel 2016 e anche quelli acquisti nell’ultimo trimestre del 2015 a partire dal 15 ottobre.
Aumento del limite dei ricavi per i forfettari – Nella bozza della Legge di Stabilità 2016 vengono introdotti dei nuovi limiti di ricavi per il regime forfettario aumentando le attuali soglie (diversificati sulla base dell’attività svolta) con un incremento di 10.000 euro per tutti che diventa di 15.000 euro per i professionisti aumentando così il limite per quest’ultimi a 30.000 euro.

Bonus edilizi prorogati per il 2016 – Il disegno di Legge di Stabilità 2016 varato dal governo nella giornata di giovedì 15 ottobre proroga di un anno, fino al 31 dicembre 2016, la detrazione Irpef del 65% per gli interventi di efficientamento energetico e del 50% per le ristrutturazioni e l’acquisto di mobili ed elettrodomestici.

Sale il limite del contante – Tra le novità dell’ultima ora contenute nel disegno di Legge di Stabilità 2016 spicca l’aumento del limite del contante dai 999,99 euro attuali a 3.000,00 euro.

Assegnazione beni ai soci: nuova opportunità – Il Legislatore reintroduce la possibilità di far fuoriuscire gli immobili pagando una imposta sostitutiva:
• delle imposte sui redditi e dell’IRAP pari all’8%;
• che diventa dal 10,5% se la società risulta di comodo in almeno due dei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al momento della assegnazione. Nelle precedenti versione della norma le società di comodo erano escluse dalla possibilità di fruire della norma agevolativa.

Per quanto riguarda il socio, si prevede che l’eventuale distribuzione di utili in natura sia esclusa dall’ambito applicativo dell’art. 47 del Tuir.
Rivalutazione dei beni aziendali e rivalutazione di quote e terreni da parte delle persone fisiche – Relativamente alla rivalutazione di quote e terreni il disegno di legge ripropone la possibilità, per le persone fisiche, le società semplici e gli enti non commerciali, di rideterminare il costo di acquisto di terreni e partecipazioni che possono produrre effetti sulla determinazione delle plusvalenze tassabili, ai sensi dell’art. 67, D.P.R. 917/1986 (Tuir).

Per quanto riguarda la rivalutazione dei beni d’impresa il d.d.l. di stabilità 2016 prevede:

• l’adeguamento dei valori di beni e partecipazioni già risultanti dal bilancio dell’esercizio 2014 e ancora posseduti al termine di quello successivo;
• il versamento di un’imposta sostitutiva:
– del 16% per i beni ammortizzabili;
– del 12% per quelli non ammortizzabili (terreni e partecipazioni).
• la possibilità di affrancare la riserva in sospensione d’imposta contabilizzata a fronte della rivalutazione versando un ulteriore tributo del 10 per cento.

Iva ridotta anche per i quotidiano on line – Una delle novità introdotte dalla Legge dì Stabilità 2016 riguarda l’applicazione dell’aliquota ridotta IVA anche per giornali, notiziari quotidiani, dispacci delle agenzie di stampa, libri e periodici diffusi on line. È quanto previsto dall’attuale art. 44 del disegno di Legge di Stabilità 2016 approvato nel Consiglio dei Ministri dello corso 15.10.2015.
Canone RAI in bolletta – Si prevede una riduzione progressiva della tassa, nel senso che per il primo anno (2016) l’ammontare del canone sarà di 100 euro, contro gli attuali 113,50, e (se la misura si rileverà efficace) l’importo scenderà a 95 euro nel 2017. Spetterà a un decreto del Ministero dello Sviluppo economico, che dovrà essere emanato entro 45 giorni dall’entrata in vigore della Legge di Stabilità (1° gennaio del 2016), individuare i criteri per l’attuazione della misura, oltreché stabilire le modalità per riversamento all’Erario delle somme incassate dai vari operatori del settore dell’energia.

Riforma sanzioni amministrative – Anticipo di un anno dell’entrata in vigore delle nuove e più favorevoli misure in tema di sanzioni amministrative tributarie. Se l’intervento verrà confermato, già dal 1° gennaio prossimo troveranno applicazione per molte violazioni la riduzione delle sanzioni tracciata nel segno della proporzionalità dal decreto legislativo 158/2015 pubblicato in «Gazzetta Ufficiale» appena 10 giorni fa.

IRAP in agricoltura e pesca – Abrogazione IRAP per attività agricole e di pesca.

Iva e procedure concorsuali – Si da la possibilità di rettificare l’imposta sul valore aggiunto al momento dell’apertura del fallimento del soggetto debitore e non sarà più necessario attendere la ripartizione dell’attivo fallimentare. Un’accelerazione che di fatto si traduce in una maggiore chance di liquidità per i creditori in quanto possono detrarre l’Iva dall’importo dovuto (e quindi versare di meno) o chiederla a rimborso. In questo modo, tra l’altro, si realizzerebbe un intervento in continuità con quanto già avvenuto per le imposte dirette, per le quali la deduzione delle perdite su crediti non riscossi può avvenire all’apertura del fallimento.

Art-bonus – Viene reso permanente e fissato al 65% lo sconto fiscale introdotto dall’art bonus, il credito d’imposta a favore di chi aiuta la cultura.

Tax credit per il cinema e l’audiovisivo – Rifinanziato il fondo per il tax credit per il cinema e l’audiovisivo.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Distruzione scritture. Il furto dell’auto non salva dalla condanna

Distruzione scritture. Il furto dell’auto non salva dalla condanna – Fiscal Focus – A cura di Antonio Gigliotti

Cassazione Penale, sentenza depositata il 19 ottobre 2015

Il reato di occultamento o distruzione delle scritture contabili si configura anche nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria abbia potuto ricostruire induttivamente il reddito d’impresa. La ricostruzione per via presuntiva non è certamente equiparabile a quella realizzabile sulla base della documentazione contabile. 
Inutile, poi, sostenere il furto dell’autovettura, se dalla denuncia all’autorità giudiziaria emerge chiaramente che nel mezzo non erano custodite le scritture obbligatorie ma solo alcune fatture e dei foglietti inerenti all’attività d’impresa.

È quanto emerge dalla sentenza n. 41830/2015 della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione.

Gli ermellini hanno rigettato il ricorso proposto da un soggetto accusato di vari reati tra cui quello fiscale previsto dall’art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000.

L’uomo non aveva ottemperato alla richiesta dei verificatori di esibire la documentazione contabile dell’azienda, assumendo che fosse stata rubata unitamente all’autovettura di sua proprietà in cui detta documentazione si trovava custodita. Giustificazione questa che in giudizio non ha retto.

Per il giudice dell’appello, che ha ritenuto configurato il reato fiscale in contestazione, i documenti contenuti nel veicolo rubato non erano le scritture contabile obbligatorie, ma semplicemente “varie fatture e foglietti” come affermato dallo stesso imputato nella denuncia presentata all’A.G.

In ogni caso era irrilevante che fosse stato possibile ricostruire il reddito d’impresa, posto che la ricostruzione in via presuntiva non è equiparabile a quella realizzabile sulla base della documentazione contabile non esibita.

Ebbene, la Suprema Corte ha reso definitivo il verdetto di responsabilità pronunciato dal giudice di secondo grado.

La Corte territoriale, con motivazione adeguata secondo gli ermellini, ha ritenuto certa la distruzione o, comunque, l’occultamento delle scritture obbligatorie a opera dell’imputato.

A proposito del furto dell’auto, in particolare, il collegio territoriale ha smontato la tesi difensiva facendo riferimento alla denuncia di furto dalla quale è emerso che all’interno dell’autovettura c’erano solamente – per come dichiarato dall’imprenditore – “varie fatture e fogliettini relativi alla mia attività lavorativa”; quindi documenti che non potevano certo identificarsi con le scritture contabili obbligatorie. A ciò si è aggiunta la constatazione che dopo l’asserita sottrazione da parte di terzi, “non erano state ripristinate” le scritture in questione.

Ma la sentenza di seconde cure, secondo gli ermellini, è pure conforme alla giurisprudenza di legittimità formatasi con riguardo al reato contemplato dall’art. 10 del D.Lgs. n.74/2000: proprio perché la norma intende assicurare la trasparenza fiscale del contribuente, è irrilevante che la ricostruzione delle operazioni non documentate sia effettuata ab externo, attraverso riscontri incrociati, presso i soggetti economici cui si riferiscono quelle operazioni. La norma, infatti, si legge in sentenza, “sarebbe sostanzialmente inutiliter data ove si attribuisse alla solerzia degli accertatori ed alla loro capacità di reperire aliunde elementi di prova una sorta di efficacia sanante dell’illecita condotta dell’imprenditore. Ben difficilmente infatti questa condotta sarebbe sanzionata dal momento che in materia, di regola, in un modo o nell’altro, prima o poi, eventualmente procedendo a controlli incrociati, l’evasione fiscale viene scoperta. Essa per contro, acquista una precisa ragion d’essere anche perché responsabilizza l’imprenditore allorché si interpreta nel senso che la ricostruzione dei redditi e del volume di affari dell’impresa deve poter avvenire con i documenti che il titolare è tenuto a conservare – escluso pertanto qualsiasi riferimento a un impossibilità assoluta di procedere a tale ricostruzione“.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Stabilità 2016: le news sul fronte lavoro

Sgravio contributivo mini per il 2016: importo ridotto al 40% per 24 mesi

Il 15 ottobre scorso, il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera alla Legge di Stabilità 2016. Tra le tante misure contenute nella Manovra Finanziaria, che ora si appresta ad affrontare l’esame del Parlamento e dell’Unione Europea, poche ma significative risultano quelle previste sul fronte lavoro. Le novità, in particolare, vanno: dallo sgravio contributivo anche per il 2016 (in misura ridotta) all’aumento della soglia della “no tax area” per i pensionati, nonché alla settima salvaguardia per gli esodati. Importanti novità anche per il c.d. “opzione donna”, che viene esteso anche per il 2016. 
Sgravio contributivo – Sul fronte degli sgravi contributivi concessi per i neo assunti a tempo indeterminato, introdotto dalla Legge di Stabilità 2015 (art. 1, co. 118 della L. n. 190/2014), il Governo conferma la volontà di stabilizzare l’incentivo anche per le assunzioni effettuate nel 2016, ma in misura e durata ridotta. Infatti, in luogo dell’originario sgravio massimo di 8.060 euro, dovrebbe trovare posto una riduzione dei contributi al 40% per 24 mesi, e non più 36 mesi come finora previsto. Una misura che secondo le stime dell’Esecutivo porterà complessivamente a un alleggerimento pari a 834 milioni nel 2016 per salire a 1,5 miliardi nel 2017.

Sul punto, è possibile osservare come le scelte governative determineranno probabilmente una corsa allo sgravio contributivo, in quanto i datori di lavoro che intendessero assumere un lavoratore a tempo indeterminato – e lo faranno entro il 31 dicembre 2015 – godranno dello sgravio in misura intera (8.060 euro) e per una durata di 3 anni complessivi, anziché 2.

Pensionati – Buone nuove anche per i pensionati. Infatti, è previsto un leggero aumento delle soglie di reddito della “no tax area”, che dovrebbe passare:
• dagli attuali 7.750 euro a 8.000euro, per i pensionati con età anagrafica superiore ai 75 anni;
• dagli attuali 7.500 euro a 7.750 euro, per i pensionati con età anagrafica inferiore ai 75 anni.
Settima salvaguardia – Si riapre invece, come promesso, la partita sulla settima operazione di “salvaguardia” degli esodati, ossia quei soggetti che non hanno ancora maturato i requisiti della Legge Fornero per accedere al pensionamento. Al riguardo, per avere maggiore certezze circa i soggetti interessati ed i criteri di accesso bisognerà attendere che il testo venga approvato definitivamente. Per finanziare la settima “salvaguardia” verranno utilizzate le risorse non impiegate nelle precedenti salvaguardie chiuse.
Opzione donna – A sorridere saranno anche le quote rosa. Infatti, il regime sperimentale per le donne (c.d. “opzione donna”) che intendono lasciare il lavoro con 35 anni di contributi e 57-58 anni di età (e la pensione calcolata con il metodo contributivo) viene esteso al 2016, anno in cui devono essere maturati i requisiti.

Part time – Infine, per quanto concerne la flessibilità in entrata l’intento dell’Esecutivo è quello di accompagnare i lavoratori più anziani al pensionamento in maniera attiva. In pratica, chi intende chiedere il part-time potrà farlo senza che l’interessato riceva penalizzazione sul trattamento previdenziale che andrà a percepire, in quanto lo Stato si farà carico dei contributi figurativi. In tal caso, sarà Il datore di lavoro a dover corrispondere in busta paga al lavoratore la quota dei contributi riferiti alle ore non prestate, che si trasformeranno quindi in salario netto.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Appello tributario. Fondamentale l’avviso di ricevimento

Bisogna agire con tempestività per ottenere il duplicato della ricevuta postale

L’appello è inammissibile senza la dimostrazione dell’avvenuta notifica alla controparte che ne eccepisce il mancato ricevimento e in assenza di una tempestiva richiesta di un duplicato della cartolina di ritorno all’amministrazione postale. È quanto emerge dalla sentenza n. 19623/2015 della Corte di Cassazione. 
La controversia ha riguardato una società che ha impugnato un avviso di accertamento vincendo la causa in entrambi i giudizi di merito.
Nel giudizio d’appello, in particolare, prima della fissazione dell’udienza di trattazione, la società inviava una lettera sia alla Commissione regionale sia all’Agenzia delle Entrate per far loro presente di non aver mai ricevuto la notificazione dell’atto di appello. Pertanto l’amministrazione chiedeva alla CTR un rinvio per produrre la cartolina di ritorno regolarmente richiesta all’ufficio postale o, in subordine, di essere rimessa in termini per poter rinotificare l’atto.

Poiché il Giudice di seconde cure ha dichiarato inammissibile l’appello, la difesa erariale ha proposto ricorso per cassazione eccependo la violazione di legge per non avere la CTR accolto la richiesta di differimento in attesa del rilascio del duplicato dell’avviso di ricevimento da parte dell’amministrazione postale. Duplicato che poi fu trasmesso all’Agenzia appena dieci giorni dopo l’udienza.
Ebbene, la Suprema Corte ha ritenuto che il fisco si sia mosso troppo tardi perché la richiesta all’ufficio postale del duplicato dell’avviso di ricevimento è avvenuta solamente dopo la segnalazione del contribuente; “dunque”, scrivono gli ermellini, “l’agire del fisco è stato evidentemente intempestivo avendo atteso ben diciotto mesi, dalla spedizione del 22 giugno 2007, prima di verificare la sorte del plico postale e di sincerarsi dell’effettivo perfezionamento della notificazione”.

Il ricorso per cassazione del fisco, pertanto, è stato rigettato alla luce del seguente principio: nell’ipotesi di omessa produzione dell’avviso di ricevimento idoneo a comprovare il perfezionamento della notificazione eseguita a mezzo del servizio postale, non può essere accolta l’istanza di mero rinvio, formulata dalla parte impugnante al fine di provvedere a tale deposito, poiché il differimento d’udienza si porrebbe in manifesta contraddizione con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo stabilito dall’art. 111 Cost. Infatti, l’omessa produzione determina in modo istantaneo e irretrattabile l’effetto dell’inammissibilità dell’impugnazione nonché il consolidamento del diritto della controparte a tale declaratoria. Il tutto è emendabile unicamente offrendo la prova documentale di essersi tempestivamente attivato nel richiedere all’amministrazione postale un duplicato dell’avviso stesso.
L’Agenzia delle Entrate è stata condannata dalla Sezione Tributaria della Corte al pagamento delle spese del giudizio.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Accessi e verifiche. Accettare il pvc senza riserve salva l’accertamento

Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 16 ottobre 2015

L’accertamento di maggiori imposte può basarsi unicamente sulle dichiarazioni rese alla Guardia di finanza dall’amministratore unico della società. Se l’amministratore ha sottoscritto il processo verbale di constatazione senza riserve, le sue dichiarazioni valgono come confessione stragiudiziale. 
È quanto emerge dalla sentenza n. 20979/15 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate, secondo cui male aveva fatto la Commissione Tributaria Regionale della Campania ad annullare la ripresa a carico della contribuente – una Srl -, posto che il volume d’affari era stato determinato considerando quale percentuale di ricarico il 20 per cento così come concordato in contraddittorio con l’amministratore unico. L’amministratore aveva pure sottoscritto senza riserve il processo verbale di constatazione.

Ebbene, secondo la Suprema Corte, vale “il principio logico giuridico che l’accettazione da parte del contribuente, in contraddittorio con i verbalizzanti, di una data percentuale di ricarico può essere apprezzata come confessione stragiudiziale risultante proprio dal processo verbale sottoscritto e, quindi, tale da legittimare l’accertamento dell’ufficio (Cass. 5628/1990 e 1286/2004). Così come ogni dichiarazione del legale rappresentante può costituire prova non già indiziaria, ma diretta del maggior imponibile eventualmente accertato nei confronti della società, non bisognevole, come tale, di ulteriori riscontri (Cass. n. 28316/2005, 9320/2003, 7964/1999)”.

Nel caso in esame è stato proprio l’amministratore della società a concordare con i verbalizzati la percentuale di ricarico del 20 per cento e tale dato è stato inserito nel pvc, poi sottoscritto senza riserve; e il pvc costituisce atto fidefacente fino a querela di falso riguardo all’effettività delle operazioni dei verbalizzanti e di quanto accaduto e/o dichiarato alla loro presenza.

E allora per gli ermellini è evidente l’errore del giudice dell’appello: le dichiarazioni rese dall’amministratore unico avrebbero potuto avere carattere decisivo per escludere l’inesistenza di elementi fondativi del ricarico e quindi per ritenere infondata l’impugnazione della contribuente.

La causa, pertanto, è stata rimessa davanti alla CTR della Campania per nuovo giudizio.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Stabilità 2016: Iva ridotta anche per i quotidiani on line

Una delle novità introdotte dalla Legge dì Stabilità 2016 riguarda l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta anche per giornali, notiziari quotidiani, dispacci delle agenzie di stampa, libri e periodici diffusi on line. E’ quanto previsto dall’attuale art. 44 del disegno di Legge di Stabilità 2016 approvato nel Consiglio dei Ministri dello scorso 15.10.2015.
Il precedente intervento del Legislatore – Con Il co. 667 della Legge di Stabilità 2015 (L. 190/2014) era stato disposto che “ai fini dell’applicazione della tabella A, parte II, numero 18), allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, sono da considerare libri tutte le pubblicazioni identificate da codice ISBN e veicolate attraverso qualsiasi supporto fisico o tramite mezzi di comunicazione elettronica”.
Con la richiamata disposizione dunque si forniva una interpretazione autentica di ciò che è da considerarsi libro. Con il citato intervento legislativo si provvede ad estendere l’aliquota ridotta, a partire dal 1° Gennaio 2015, ai libri (ma non anche le altre pubblicazioni editoriali, prive del codice Isbn) veicolati tramite mezzi di comunicazione elettronica, ossia diffusi on line.
Di conseguenza, l’aliquota IVA del 4% è stata applicata dal 1° gennaio 2015 ai libri elettronici ai sensi della normativa italiana, in riferimento esclusivamente alle prestazioni territorialmente rilevanti in Italia. Da evidenziare che la suddetta misura contrasta con l’art. 98, par. 2, della direttiva 2006/112/Ce. La richiamata disposizione consente agli Stati membri di applicare aliquote ridotte unicamente alle operazioni relative a determinati beni e servizi specificamente indicati nell’allegato III alla direttiva stessa. In tale elenco non sono compresi gli e – book.
L’estensione dell’aliquota ridotta ai quotidiani on line – Con il nuovo intervento Legislativo si mira ad estendere l’aliquota ridotta non solo ai libri diffusi elettronicamente, così come previsto dalla Legge di Stabilità 2015, ma anche ai giornali, notiziari quotidiani, dispacci delle agenzie di stampa, e periodici diffusi on line.
Gli effetti della nuova misura – Con tale intervento si vuole raggiungere il principale effetto di ridurre i costi: questo perché allo stato attuale le pubblicazioni on line in questione scontano l’aliquota IVA ordinaria (22%). Con l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta (4%) si otterrebbe una riduzione del prezzo dei prodotti editoriali on line, visto che l’Iva è assolta a monte dall’editore ma si scarica a valle sul prezzo per i consumatori.
Autore: Redazione Fiscal Focus

ENC: modello INTRA 12 dalla prossima liquidazione

L’Agenzia delle Entrate ha approvato il nuovo modello INTRA 12, con le relative istruzioni, che deve essere utilizzato – a decorrere dal 1° ottobre 2015 –

Con il provvedimento del 25 agosto 2015 l’Amministrazione Finanziaria ha dato il via libera al nuovo modello Intra – 12. L’adozione del nuovo modello si è resa necessaria al fine adeguare la nuova modulistica a seguito delle modifiche introdotte all’art. 49 del D.L. n. 331/1993, che disciplina tale adempimento, dalla Legge n. 228/2012 (la Finanziaria del 2013) la quale ha previsto che la presentazione del modello Intra – 12 debba essere effettuata entro la fine di ciascun mese indicando l’ammontare degli acquisti registrati con riferimento al secondo mese precedente (e quindi non più per gli acquisti registrati nel mese precedente). 
Ambito soggettivo – Il nuovo modello INTRA 12 deve essere utilizzato dai seguenti soggetti:
– gli enti, associazioni, altre organizzazioni di cui all’art. 4 comma 4 del D.P.R. n. 633/1972 (enti non commerciali), non soggetti passivi d’imposta ed i produttori agricoli in regime di esonero che hanno effettuato acquisti intracomunitari di beni oltre il limite di 10.000 euro previsto dall’art. 38 comma 5 lett. c) del D.L. n. 331/1993, ovvero qualora in relazione a tali acquisti abbiano optato per l’applicazione dell’iva in Italia;
– gli enti, associazioni, altre organizzazioni di cui all’art. 4 comma 4 del D.P.R. n. 633/1972 (enti non commerciali), non soggetti passivi d’imposta e produttori agricoli in regime di esonero che sono tenuti ad assumere la qualifica di debitori d’imposta per acquisti di beni e servizi da soggetti non residenti mediante l’applicazione del meccanismo del reverse charge
– gli enti non commerciali soggetti passivi Iva, limitatamente alle operazioni di acquisto realizzate nell’esercizio di attività non commerciali
Le operazioni da indicare – Le istruzioni precisano che il nuovo Intra – 12 deve essere presentato entro la fine di ciascun mese per comunicare l’ammontare:
• degli acquisti intracomunitari di beni le cui fatture sono state ricevute il secondo mese precedente a quello di presentazione della dichiarazione;
• degli acquisti dei beni e servizi relativi a cessioni e prestazioni effettuate nel territorio dello Stato da soggetti passivi stabiliti in un altro Stato membro dell’Unione europea, le cui fatture sono state ricevute il secondo mese precedente a quello di presentazione della dichiarazione ai sensi dell’art. 17 comma 2, secondo periodo del D.P.R. n. 633/72;
• degli acquisti dei beni e servizi relativi a cessioni e prestazioni effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non stabiliti in uno Stato membro dell’Unione europea, effettuati nel secondo mese precedente a quello di presentazione della dichiarazione per i quali il dichiarante ha emesso autofattura ai sensi dell’art. 17 comma 2, primo periodo del D.P.R. n. 633/72);
• degli acquisti intracomunitari per i quali è stata emessa autofattura ai fini della regolarizzazione dell’operazione, ai sensi dell’art. 46 comma 5 del DL n. 331/93, nel secondo mese precedente a quello di presentazione della dichiarazione.
I citati soggetti devono presentare il citato modello per effettuare le seguenti operazioni:
– comunicare l’ammontare degli acquisti intraUE di beni;
– comunicare l’ammontare degli acquisti di beni / servizi ricevuti da soggetti non stabiliti in Italia;
– comunicare l’ammontare dell’IVA dovuta;
– indicare gli estremi del relativo versamento.

Le novità del modello INTRA 12 – Tra le novità del nuovo modello, si segnala che:
– è stato eliminato il campo riservato all’indicazione dell’Ufficio competente; sono stati eliminati i campi relativi alla residenza nello Stato estero nella Sezione “Dichiarante diverso dal contribuente”;
– è stato eliminato il campo per l’indicazione, da parte del CAF, del numero di iscrizione all’Albo, nella Sezione “Impegno alla presentazione telematica”;
– è stata modificata la dicitura “Comunità” in “Unione Europea” nella Sezione “Acquisti”.

Autore: Gioacchino De Pasquale

Comunicazione Beni ai soci: escluso l’amministratore

Esonero dalla comunicazione dei beni ai soci

Premessa – Non vige l’obbligo della comunicazione dei beni concessi in godimento agli amministratori a prescindere dal fatto che venga o meno tassato il fringe benefit per l’amministratore stesso ai sensi degli art. 51 e 54 del Tuir: diversa, dunque, la posizione dei soci, dipendenti o autonomi, per i quali è prevista l’esclusione dall’obbligo della comunicazione solo con riferimento ai beni per i quali vi è la tassazione del fringe benefit. 
Redditi diversi – Come noto, per effetto di quanto disposto dall’art. 2, commi da 36-terdecies a 36-duodevicies, D.L. n. 138/2011, la concessione in godimento di un bene d’impresa da parte di una società/ditta individuale ad un socio/familiare (a titolo personale), senza corrispettivo ovvero ad un corrispettivo inferiore a quello di mercato, comporta:
– per l’utilizzatore (socio/familiare) la rilevazione di un reddito diverso ex art. 67, comma 1, lett. h-ter), TUIR, pari alla differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo pattuito per la concessione in godimento del bene;
– per il concedente (ditta individuale/società) l’indeducibilità dei relativi costi.
Con tali disposizioni il Legislatore ha inteso contrastare il fenomeno elusivo dell’intestazione “fittizia” di beni utilizzati a titolo personale dai soci o familiari dell’imprenditore.
La comunicazione – A tal fine, è previsto, in capo all’utilizzatore / concedente l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate, utilizzando l’apposito modello approvato con il Provvedimento 2.8.2013, n. 94902 e successivamente “sostituito” nel mese di novembre 2013, i dati relativi ai beni concessi in godimento (tipologia, durata della concessione, corrispettivo e valore di mercato).
Presupposti – In linea generale va detto che l’obbligo sussiste ogni qualvolta vi sia un reddito diverso da assoggettare a tassazione. Viceversa se l’utilizzo del bene avviene a valori di mercato alcun dovere di comunicazione è richiesto.
In altre parole l’obbligo di comunicazione sussiste solo nel caso in cui:
• un determinato bene sia dato in godimento ai soci ovvero ai familiari dell’imprenditore;
• sussista una differenza tra il corrispettivo annuo relativo al godimento del bene ed il valore di mercato del diritto di godimento, per ognuno dei beni concessi o ricevuti nel periodo d’imposta.
Fringe benefit – In questo senso il Provv. 94902 del 2.8.2013 ha altresì chiarito, che non devono essere oggetto di comunicazione i beni dati in uso promiscuo a dipendenti e a lavoratori autonomi che siano anche soci della società, qualora tali beni costituiscano fringe benefit soggetto alla disciplina di cui agli artt. 51 e 54 del Tuir.

Amministratore – Allo stesso modo il provvedimento prevede che, per una delle casistiche pratiche più diffuse, quella riguardante l’utilizzo dei beni da parte dei soci che sono anche amministratori della società, è altresì escluso l’obbligo di comunicazione. Tale esonero opera indipendentemente dal fatto che i beni costituiscano fringe benefit per l’amministratore.
Società di persone – Corollario di tale affermazione è che, nessuna comunicazione è dovuta anche nell’ipotesi in cui gli utilizzatori siano soci amministratori di società di persone e ciò indipendentemente dalla posizione assunta nel Modello Unico. Anche l’imprenditore individuale, per i beni da lui stesso (auto)concessi in “godimento personale”, è escluso dall’obbligo di comunicazione, così come i professionisti, le associazioni professionali, nonché le società semplici anche nell’ipotesi di beni immobili dati in uso ai soci.
Professionista – Nel caso in cui l’amministratore sia un professionista che attrae i compensi nel reddito di lavoro autonomo (es. dottore commercialista), si ritiene che la comunicazione non debba essere effettuata.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Sentenza immediatamente esecutiva

Premessa – In base alla formulazione originaria dell’art. 69 (“Condanna dell’ufficio al rimborso”) del D.lgs. 546/1992, nell’ambito del contenzioso tributario, “se la commissione condanna l’ufficio del Ministero delle finanze o l’ente locale al pagamento di somme dovute e la relativa sentenza è passata in giudicato, la segreteria ne rilascia copia spedita in forma esecutiva a norma dell’art. 475 del codice di procedura civile, applicando per le spese l’art. 25, comma 2”.
Dunque, sulla base di disposto, la condanna diventa esecutiva solo in seguito al “passato in giudicato” della sentenza.
Il D.lgs. n. 156/2015 (pubblicato in Gazzetta ufficiale n. 55 del 7 ottobre 2015) di attuazione della legge delega fiscale n. 23/2014, (approvato nel CDM del 22 settembre 2015) e recante le misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, rinnova completamente il predetto art. 69.

Il novellato art. 69 D.lgs. 546/1992 – In primo luogo è completamente sostituito il primo (e unico) comma di cui si componeva il vecchio art. 69 D.lgs. 546/1992 (ora denominato “Esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente”).
In particolare, il primo periodo del nuovo comma 1 dispone che “le sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente e quelle emesse su ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’articolo 2, comma 2, sono immediatamente esecutive.”.
Dunque, a differenza di quanto previsto dal vecchio art. 69, il legislatore ora stabilisce che la sentenza di condanna diventa immediatamente esecutiva senza la necessità di attendere il suo passato in giudicato.
Quindi, il contribuente (vittorioso) può ottenere l’immediato pagamento dalla parte soccombente delle somme dovute e stabilite nella sentenza.

La necessità della garanzia e ricorso per ottemperanza – Il secondo periodo, del nuovo comma 1, tuttavia, subordina l’esecutività immediata della sentenza alla prestazione di una garanzia dal parte del contribuente, qualora il pagamento delle somme cui è stata condannata la parte soccombente sia di importo superiore a 10mila euro. Sarà il giudice a decidere circa la necessità di prestare garanzia tenendo conto delle condizioni di solvibilità del contribuente (vittorioso).
Il particolare, il predetto secondo periodo del comma 1, espressamente afferma che “tuttavia, il pagamento di somme dell’importo superiore a diecimila euro, diverse dalla spese di lite, può essere subordinato dal giudice, anche tenuto conto delle condizioni di solvibilità dell’istante, alla prestazione di idonea garanzia”.

Il successivo nuovo comma 3 dispone che i costi della garanzia sono anticipati dal contribuente vittorioso e poi posti a carico della parte soccombente all’esito definitivo del giudizio.

Inoltre, il pagamento delle somme dovute a seguito della sentenza (immediatamente esecutiva) deve avvenire entro il termine di 90 giorni dalla sua notificazione ovvero dalla presentazione della garanzia di cui al comma 2 (nuovo comma 4).
Infine, come disposto dal nuovo e ultimo comma 5, nel caso in cui la parte soccombente non dia esecuzione alla sentenza, il contribuente vittorioso può ricorrere per l’ottemperanza a norma dell’art. 70 alla commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla commissione tributaria regionale.

La decorrenza delle novità – Quanto è disposto dal nuovo art. 69 entrerà in vigore a decorrere dal 1° giugno 2016.

Autore: Pasquale Pirone

Comunicazione finanziamenti e redditometro

I dati comunicati utili per la ricostruzione del reddito

Premessa – Tra gli elementi di spesa da considerare per calcolare il reddito “presuntivamente” mediante il nuovo redditometro, figurano anche i finanziamenti soci da comunicare al fisco entro il prossimo 30 ottobre. 
Comunicazione beni ai soci – La norma ha introdotto l’obbligo di comunicare al Fisco i beni dati in uso a soci e familiari (e il suo finanziamento) anche al fine di potenziare le informazioni a disposizione degli Uffici per gli accertamenti sintetici e da redditometro. Lo stesso comma 36-septiesdecies dell’art. 2 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 ha stabilito, infatti che: “l’Agenzia delle Entrate procede a controllare sistematicamente la posizione delle persone fisiche che hanno utilizzato i beni concessi in godimento e ai fini della ricostruzione sintetica del reddito tiene conto, in particolare, di qualsiasi forma di finanziamento o capitalizzazione nei confronti della società”.
Redditometro – È dunque evidente che l’Amministrazione Finanziaria intende includere ai fini del redditometro quelle situazioni in cui i soci ricorrono a finanziamenti e alle altre forme di capitalizzazione a favore della società (che rilevano ai fini dell’accertamento sintetico dal 1991, come spese per incrementi patrimoniali). Spesso, infatti, risulta che soggetti privi di un adeguato reddito abbiano finanziato o capitalizzato le società partecipate in misura eccedente rispetto alle effettive possibilità; con ciò si solleva, evidentemente, il dubbio che la fonte della provvista siano dei redditi non correttamente dichiarati al Fisco.
D.M. 25.09.2015 – Il provvedimento del Ministero dell’Economia del 25 settembre che ha dettato i nuovi criteri per l’applicazione del redditometro per gli accertamenti a decorrere dal 2011, ha confermato buona parte delle regole previste nel precedente decreto. Al riguardo si fa presente che una componente di reddito rilevante è data dagli incrementi patrimoniali in quanto il D.M. 25 settembre 2015 nella tabella, allegata al decreto, oltre ad un’elencazione di massima delle diverse tipologie precisa che l’ammontare degli investimenti effettuati nell’anno va considerato al netto: “dei disinvestimenti effettuati nell’anno e dei disinvestimenti netti dei quattro anni precedenti all’acquisto dei beni, risultante da dati disponibili o presenti in Anagrafe tributaria”.
Investimenti – Si sottolinea come nella precedente versione del redditometro gli investimenti “pesavano” nell’anno per un quinto del loro valore e che tale cautela era utile per evitare di dover richiedere, quasi sempre, giustificazioni al contribuente in relazione alla sua capacità di spesa per investimenti. Oggi, invece, tale attenzione non è più presente: quindi, potrà accadere che il contribuente, con maggior frequenza rispetto al passato, sia chiamato a giustificare il proprio reddito nell’anno in cui è stato posto in essere il finanziamento.
Finanziamenti soci – In sostanza il finanziamento soci incide sul redditometro, in quanto l’Amministrazione opera una ricostruzione parametrica del reddito attribuibile al contribuente, e l’accertamento potrebbe sorgere se i redditi dichiarati fossero insufficienti per lo stile di vita e le spese (compresi i finanziamenti soci) del soggetto in questione.
Rimborsi . Va detto, tuttavia, che per quanto riguarda i versamenti e le capitalizzazioni eseguite, perché siano rilevanti, devono costituire flussi realmente eseguiti. D’altro canto, l’Amministrazione Finanziaria, come chiarito dalla Circolare n.25/E del 2012, richiede informazioni anche sulle restituzioni dei finanziamenti da parte della società. Tale scelta può diventare vantaggiosa per i contribuenti, perché i flussi in entrata rappresentano legittime risorse finanziarie utilizzabili in sede difensiva per dimostrare in che modo si sono fronteggiate le spese sostenute.
Autore: Redazione Fiscal Focus

La dichiarazione fraudolenta: nuove disposizioni

Il D.lgs. 158/2015 non fa riferimento solo alle dichiarazioni annuali

Il Decreto di riforma delle sanzioni, ha apportato importanti modifiche rispetto a quanto stabilito in precedenza dal D.lgs. 74/2000), innanzitutto allargando il campo di previsione di tale reato, estendendola alle dichiarazioni in generale; non si fa quindi solo riferimento alle dichiarazioni annuali. 
La norma mira a colpire coloro che mettono in atto un comportamento volto a simulare oggettivamente o soggettivamente determinate operazioni tramite documenti falsi, al fine di ostacolare l’accertamento, e indurre all’errore l’Amministrazione Finanziaria; le ipotesi di reato prevedono che si manifestino congiuntamente:
• evasione con riferimento alla singola imposta, superiore ad 30.000 euro;
• ammontare complessivo degli elementi sottratti all’imposizione, superiore al 5% degli elementi attivi indicati in dichiarazione, ossia, superiore ad 1,5 milioni di euro, o con importo complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta superiore al 5% dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a 30 mila euro.

L’ applicabilità della norma, come accennato in precedenza, mira alle dichiarazioni in generale, come ad esempio:
• elenchi riepilogativi delle operazioni Intra Ue, relativi agli acquisti;
• dichiarazioni di acquisto intracomunitario da parte di enti, associazioni, o altre organizzazioni non soggetti passivi d’imposta;
• dichiarazione mensile degli acquisti di beni e servizi effettuati da enti non soggetti passivi d’imposta e da agricoltori esonerati.
Sembrano escluse le dichiarazioni a carattere puramente comunicativo.

Operazioni inesistenti – Il reato quindi si configura qualora si utilizzano fatture legate ad operazioni inesistenti, e indicando nella dichiarazione elementi fittizi ad esse collegate; non bisogna pensare al termine “operazioni inesistenti” in maniera ristretta, ma rientra nelle operazioni fraudolente anche una rappresentazione documentale dell’operazione, laddove, la stessa, non corrisponda alla realtà effettiva delle operazioni stesse; quindi il reato scatterà anche in presenza di un’operazione effettivamente effettuata. Ai fini penali, si da particolare enfasi ai “costi fittizi”, ossia quei costi che in realtà non sono stati sostenuti(dichiarazione fraudolenta); la normativa precedente non operava una distinzione tra costi effettivamente sostenuti, ma non deducibili, e costi fittizi sopra descritti, in quanto entrambi concorrevano alla formazione degli elementi passivi fittizi; è opportuno evidenziare la diversa portata delittuosa delle due condotte, giustamente, ora differenziata. Ai fini penali, nessun costo indebitamente dedotto, ma comunque sostenuto potrà alimentare l’imposta evasa.
Scritture contabili – Non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali; non si fa più riferimento alla “falsa rappresentazione delle scritture contabili obbligatorie”, tuttavia però il reato può configurarsi nella prospettiva che i documenti falsi vadano ad integrare la condotta del reato stesso in quanto sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie.
Pene previste – Il configurarsi di tale reato comporta una reclusione da 18 mesi a 6anni, e ai fini delle indagini è consentito l’utilizzo delle intercettazioni, nonché misure cautelative quali la custodia cautelare.

Autore: Redazione Fiscal Focus

La riforma dei reati tributari è legge

Professionisti. Prescrizione quinquennale per la Cassa

Le sanzioni connesse al mancato versamento dei contributi previdenziali alla Cassa professionale si prescrivono in cinque anni.
È quanto ha chiarito la Corte di Cassazione – Sesta Sezione (L) – con la sentenza n. 20585/15, pubblicata il 13 ottobre.

Nel caso esaminato, una Cassa di previdenza ha ottenuto un’ingiunzione di pagamento nei confronti di un proprio iscritto e l’originaria pretesa (oltre 70mila euro) è stata ridotta drasticamente dai giudici di merito nel giudizio di opposizione instaurato dall’intimato. Dal che il ricorso per cassazione in quanto, ad avviso dell’ente previdenziale, le sanzioni dovevano ritenersi assoggettate al termine decennale di prescrizione e non già quinquennale; ma la Cassazione ha respinto il ricorso perché “le sanzioni civili costituiscono una conseguenza automatica, legalmente predeterminata, dell’inadempimento o del ritardo e assolvono una funzione di rafforzamento dell’obbligazione contributiva alla quale si sommano”. Pertanto il credito vantato dall’ente previdenziale “ha la stessa natura giuridica dell’obbligazione principale e, pertanto, resta soggetto al medesimo regime prescrizionale”, ossia quinquennale.

Gli ermellini hanno osservato che l’art 3, comma 9, della legge n. 335 del 1995, prevedendo che le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono in dieci anni per quelle di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie – termine ridotto a cinque anni con decorrenza 1 gennaio 1996 (lettera a) – e in cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria (lettera b), ha regolato l’intera materia della prescrizione dei crediti contributivi degli enti previdenziali, con conseguente abrogazione, per assorbimento, delle previgenti discipline differenziate, sicché è venuta meno la connotazione di specialità in precedenza sussistente per i vari ordinamenti previdenziali.
La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto quindi operante la prescrizione quinquennale per varie ipotesi di sistemi previdenziali categoriali: ad esempio ingegneri e architetti, commercialisti e geometri (Cass. n. 4050/2014; n. 9525/2002; n. 11140/2001 etc.).

Il tenore della disposizione di cui all’art. 3, comma 9, della legge n. 335 del 1995, secondo i supremi giudici, non lascia spazio a interpretazioni diverse: da essa si evince che il legislatore ha inteso regolare l’intera materia della prescrizione dei crediti contributivi degli enti previdenziali, con riferimento a tutte le forme di previdenza obbligatoria, comprese quelle per i liberi professionisti. Infatti la previsione di cui alla lettera b), riferita a “tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria”, è onnicomprensiva e non lascia fuori nessuna forma di previdenza obbligatoria. Né può ritenersi che l’art. 3, comma 10, contenga il richiamo a una disposizione in tema di sospensione dei termini di prescrizione (art . 2, comma 19, D.L. n. 463/83, conv. con mod. in L. n. 638/83), che non si applicherebbe ai liberi professionisti. Tale circostanza, infatti, non esclude la portata generale e organica della normativa in questione, la quale si applica a “tutte” le contribuzioni di previdenza e di assistenza obbligatorie, comprese quelle relative ai liberi professionisti.

Gli ermellini hanno poi avuto modo di ricordare che, per i contributi relativi al periodo precedente la data di entrata in vigore della legge 395, è stato mantenuto il termine decennale di prescrizione in presenza di atti interruttivi o di procedure iniziate nel rispetto della normativa precedente. Per le contribuzioni successive a detto periodo, invece, la situazione delle Casse non appare dissimile da quella degli altri enti di previdenza e assistenza obbligatoria, onde un’eventuale diversità di trattamento con riguardo al termine di prescrizione sarebbe ingiustificata e irragionevole.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Semplificazioni nei rapporti di lavoro: focus dei CdL

I CdL completano l’analisi sul “Decreto Semplificazioni”: pari opportunità, cessione ferie e permessi, comunicazioni telematiche e lavoro estero le principali novità

Nel giro di pochi giorni, arriva dalla Fondazione Studi CdL la terza circolare (la n. 21/2015) che analizza il provvedimento sulle “semplificazioni” (D.Lgs. n. 151/2015), entrato in vigore il 24 settembre 2015. Tra le novità più importanti, vi è da segnalare la previsione che obbliga alla trasmissione telematica alla DTL competente dei contratti collettivi di secondo livello qualora si intenda fruire di benefici contributivi e di altre agevolazioni connesse alla stipula. 
Diverse misure, invece, sono rinviate a decreti attuativi quali il Libro Unico del Lavoro (LUL) ed il completamento del processo di unificazione, standardizzazione ed informatizzazione delle comunicazioni inerenti i rapporti di lavoro.
Ancora, parte la cessione di ferie e permessi dei lavoratori. In buona sostanza, i lavoratori potranno cedere a loro colleghi una quota per assistere figli minori che per le particolari condizioni di salute necessitano di cure costanti. Misura, condizioni e modalità per l’effettiva possibilità di disporre la cessione sono affidate ai contratti collettivi.

Puntuale, poi, l’analisi delle novità in materia di pari opportunità. “Telematizzare i processi informativi e di comunicazione”, spiega Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, “è un’attività che dovrebbe portare ad un’ampia e più efficace interlocuzione. Non può essere invece utilizzata per chiudersi e schermarsi dietro un indirizzo email da cui far partire risposte istituzionali sì ma anonime. Telematizzare i processi non può voler dire impedire il contatto fisico tra gli utenti e la P.A. Anzi, tutt’altro. L’innovazione”, continua, “deve portare benefici e non complicare i rapporti; e questo dipende esclusivamente dagli attori, da coloro che a valle devono applicare le norme.

Comunicazioni telematiche – Le novità concernenti le comunicazioni telematiche, disciplinate dagli art. 14 e 16 del decreto in trattazione, prevedono che i benefici contributivi e le altre agevolazioni connesse alla stipula di contratti collettivi di secondo livello (aziendali o territoriali) debbano essere depositati in via telematica alla DTL competente. Mentre all’articolo 16 è previsto il completamento del processo di unificazione, standardizzazione ed informatizzazione delle comunicazioni inerenti i rapporti di lavoro. Si ricorda come il sistema in prima battuta era applicabile alle comunicazioni di instaurazione, trasformazione, proroga e cessazione dei rapporti di lavoro ed altre esperienze lavorative assimilate, che i datori di lavoro privati, ivi compresi quelli agricoli, le agenzie di somministrazione, gli enti pubblici economici e le pubbliche amministrazioni sono tenuti ad effettuare ai servizi per l’impiego, ora il provvedimento vuole generalizzare linguaggio e modalità delle comunicazioni.

In merito alla comunicazione delle singole chiamate del lavoro intermittente è stato istituito il modulo “UNI_Intermittenti” per il quale sono previste delle specifiche modalità di invio definite dal decreto interministeriale del 27 marzo 2013. Da ultimo il Ministero del Lavoro ha sospeso l’utilizzo delle nuove modalità di comunicazione telematica della prestazione di lavoro accessorio, previste dall’articolo 49, comma 3 del D.Lgs. n. 81/2015, anche se per ora continuano ad applicarsi le precedenti modalità (Ministero del Lavoro nota n. 3337/2015).
LUL – Per quanto riguarda il Libro Unico del Lavoro, all’art. 15 è previsto che – a decorrere dal 1° gennaio 2017 – il datore di lavoro è obbligato a tenerlo in modalità telematiche presso il Ministero del Lavoro.

Lavoro estero – Altra semplificazione concerne la preventiva autorizzazione per impiegare lavoratori italiani o comunitari nei paesi extraUE, che ora viene meno grazie all’art. 18 del D.Lgs. n. 151/2015. Si liberalizza di fatto la circolazione della manodopera anche al di fuori dei confini UE abrogando la norma che prevedeva una preventiva serie di adempimenti in capo ai lavoratori ed alle aziende interessate ad assumere o a trasferire all’estero lavoratori italiani o comunitari.

Cessione ferie e riposi – è previsto, inoltre, l’eventuale riconoscimento, compatibilmente con il diritto ai riposi settimanali ed alle ferie annuali retribuite, della possibilità di cessione fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro di tutti o parte dei giorni di riposo aggiuntivi spettanti in base al contratto collettivo nazionale in favore del lavoratore genitore di figlio minore che necessita di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute.
Nello specifico l’articolo 24 prevede che, fermo restando l’indisponibilità dei diritti previsti dal decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, l’eventuale quota aggiuntiva di ferie e/o di permessi possono essere ceduti dai lavoratori aventi diritto ad altri lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro. Tale possibilità è tuttavia consentita esclusivamente per le seguenti finalità: assistenza di figli minori che per le particolari condizioni di salute necessitano di cure costanti.

Reperibilità durante la malattia – L’art. 25 del D.Lgs. n. 151/2015, rimanda ad un successivo decreto del Ministero del Lavoro che vada a regolare le casistiche di esenzione dal controllo di reperibilità durante lo stato di malattia. Allo stato attuale, infatti, le Unità Sanitarie predispongono un servizio idoneo ad assicurare entro lo stesso giorno della richiesta, anche se domenicale o festivo, in fasce orarie di reperibilità, il controllo dello stato di malattia dei lavoratori dipendenti per tale causa assentatisi dal lavoro e accertamenti preliminari al controllo stesso anche mediante personale non medico, nonché un servizio per visite collegiali presso poliambulatori pubblici per accertamenti specifici.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Sgravi per assunzioni. Sanzioni per evasione contributiva

Cassazione Lavoro, sentenza depositata il 15 ottobre 2015

Fornire all’INPS un quadro della consistenza dell’obbligo contributivo non conforme al vero integra l’ipotesi di denuncia infedele, con la conseguenza che l’istituto previdenziale può legittimamente applicare all’azienda il regime sanzionatorio previsto per l’evasione contributiva. 
È quanto emerge dalla sentenza n. 20845/15 della Sezione Lavoro della Suprema Corte.

Ricorre per Cassazione l’INPS, in una controversia riguardante un verbale ispettivo nei confronti di una società alla quale è stato contestato di aver fruito di sgravi contributivi senza averne diritto.

La società ha riconosciuto il proprio debito nel corso dell’ispezione, salvo poi contestare la validità dell’atto di ricognizione per un vizio riguardante la sua sottoscrizione; ma il documento è stato ritenuto inoppugnabile dalla Corte d’appello, che ha pure dichiarato la non spettanza degli sgravi per i dipendenti assunti dalla società negli anni 2000, 2001 e 2002. La Corte territoriale ha ravvisato un’ipotesi omissione contributiva, con applicazione delle relative sanzioni.
Ebbene, proprio con riguardo al regime sanzionatorio, l’INPS ha lamentato l’errore di diritto del giudice di merito e la Suprema Corte ha accolto tale censura.

Gli ermellini hanno ricordato l’orientamento, oramai pacifico, secondo cui, in tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali e assistenziali, l’omessa o infedele denuncia mensile all’INPS (attraverso i cosiddetti modelli DM10) di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta, concretizza l’ipotesi di “evasione contributiva” di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. b), e non la meno grave fattispecie di “omissione contributiva” di cui alla lett. a) della medesima norma, che riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi.

Si deve ritenere che l’omessa o infedele denuncia configuri occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e faccia presumere l’esistenza della volontà datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti. Conseguentemente, grava sul datore di lavoro inadempiente l’onere di provare la mancanza dell’intento fraudolento – quindi la sua buona fede -, onere che non può, tuttavia, reputarsi assolto in ragione dell’avvenuta corretta annotazione dei dati, omessi o infedelmente riportati nelle denunce, sui libri di cui è obbligatoria la tenuta.

In tale contesto spetta al giudice del merito accertare la sussistenza, ove dedotte, di circostanze fattuali atte a vincere la suddetta presunzione, con valutazione intangibile in sede di legittimità ove congruamente motivata.

Ebbene, secondo gli ermellini, ha ragione la controricorrente INPS quando sostiene che le sanzioni applicabili alla società sono quelle per l’ipotesi evasione contributiva e non quelle, più lievi, previste per il caso di omissione contributiva, come invece sostenuto dalla Corte d’appello: “e difatti”, scrivono i supremi giudici, “l’autoliquidazione degli sgravi operata dal datore di lavoro, che ha fornito all’istituto previdenziale un quadro della consistenza dell’obbligo contributivo non conforme al vero, integra l’ipotesi di denuncia infedele”.

La società, peraltro, non ha assolto all’onere di provare la mancanza dell’intento fraudolento e, quindi, sulla base di specifiche risultanze fattuali, l’effettiva trasparenza del proprio comportamento.

Insomma, la Suprema Corte rigetta il ricorso principale della società, mentre accoglie quello incidentale dell’INPS e, decidendo la causa nel merito, dichiara che per il calcolo delle sanzioni ricorre l’ipotesi di evasione contributiva. Conferma nel resto la statuizione del giudice di secondo grado.

Autore: Redazione Fiscal Focus