Il Dlsg 158/2015 e i reati tributari: le novità introdotte

A partire dal 22 ottobre, le novità in materia penale avranno effetto retroattivo

Il Decreto Legislativo 158/2015 ha apportato profonde novità in materia di reati fiscali; è opportuno mettere in evidenza i principali cambiamenti, per poi successivamente entrare nel merito in riferimento alle varie fattispecie per le quali si possono configurare o meno situazioni di reato, amministrativo o penale; le nuove regole penali rispetto alle novità introdotte per sanzioni amministrative, entreranno subito in vigore, con effetto retroattivo.
Sanzioni penali – La sanzione penale assume carattere specifico rispetto a quella amministrativa, e si configura solo al verificarsi di determinati comportamenti, e al superamento di determinati importi, come previsione estrema a contrasto di situazioni ben definite e insidiose; da qui l’innalzamento delle soglie di rilevanza penale di determinati comportamenti illeciti.
Dichiarazione infedele – L’art 4 del Decreto n°158/2015 in riferimento alle dichiarazioni infedeli innalza la soglia di punibilità da 50 a 150 mila euro, con la previsione di un valore assoluto di imponibile evaso pari a 3 milioni ( prima 2 milioni) e una reclusione da 1 a tre anni. Non rientrano nell’ambito penale i costi indeducibili se effettivamente sostenuti, e gli errori sull’inerenze e sulla competenza, si da particolare enfasi ai “costi fittizi”, ossia quei costi che in realtà non sono stati sostenuti(dichiarazione fraudolenta), per i quali non si fa più riferimento alla dicitura “dichiarazione annuale” ma semplicemente si parla di dichiarazione in generale, con la previsione che siano indicate quali siano le dichiarazioni non annuali comprese nel provvedimento. La normativa precedente non operava una distinzione tra costi effettivamente sostenuti, ma non deducibili, e costi fittizi sopra descritti, in quanto entrambi concorrevano alla formazione degli elementi passivi fittizi; in caso di dichiarazione fraudolenta, collegata all’utilizzo di fatture false, quindi configurato anche come utilizzo di costi fittizi, il reato penale prevede dai 18 mesi ai 6 anni di reclusione (con la previsione della misura cautelare).
Omessa presentazione – per quanto riguarda l’omessa presentazione dichiarazione annuale redditi e iva, ad un innalzamento della soglia per la quale si configura il delitto, che passa da 30 a 50 mila euro, si contrappone un inasprimento della pena che è configurabile con una reclusione da 18 mesi a 4 anni, prima era invece da uno a tre anni., viene introdotto il nuovo reato di omessa presentazione della dichiarazione da parte del sostituto d’imposta. Ai fini del calcolo dell’imposta evasa, è opportuno considerare le perdite nel loro complesso, si passa quindi da un’evasione teorica che non considerava le perdite da computare, a un’evasione effettiva.
Esimenti– Qualora prima dell’apertura del dibattimento, il contribuente provveda al pagamento dell’imposta, maggiorata dagli interessi e dalle sanzioni, si configura a suo favore un istituto premiale che in alcuni casi può determinare una causa di non punibilità, come nel caso di omesso versamento iva, mentre in altre situazione può semplicemente determinare una riduzione della sanzione; tale previsione è valida anche per i reati già contestati, sempre se è avvenuto il pagamento o comunque la rateazione., per infedele ed omessa dichiarazione è possibile è possibile dunque effettuare il ravvedimento entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione successiva e solo se i controlli non hanno avuto inizio. Prima della riforma il pagamento di quanto dovuto prima dell’inizio dibattito determinava una riduzione massima fino ad 1/3, assumendo semplicemente caratteristica di attenuante del reato: non è da annoverare in queste previsioni l’indebita compensazione con crediti inesistenti.

Raddoppio termini di prescrizione – Il Decreto 128/2015 in oggetto prevede il raddoppio dei termini di prescrizione solo laddove, la comunicazione della violazione è avvenuta entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stato presentata la dichiarazione, ovvero entro il 5° anno qualora la dichiarazione non sia stata presentata.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Abuso del diritto: l’interpello salva il contribuente

Con il nuovo art. 10-bis della Legge n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), inserito dall’art. 1 del D.Lgs 5 agosto 2015, n. 128, il legislatore ha introdotto una compiuta codificazione dell’abuso del diritto, in attuazione degli articoli 5, 6 e 8, comma 2, della Legge 11 marzo 2014, n. 23 (cd. delega fiscale).
La norma contiene sia le disposizioni definitorie delle “condotte abusive”, sia le disposizioni procedurali che l’ufficio deve rispettare nella produzione degli atti di contestazione, a partire dal 1° ottobre 2015 (data di entrata in vigore della revisione normativa).

In via preventiva, viene, peraltro, consentito al contribuente di interpellare la stessa Amministrazione finanziaria sulle possibili implicazioni abusive di una condotta o un’operazione specifica.

L’interpello antiabuso. Ai sensi del comma 5 dell’art. 10-bis in commento, il contribuente può proporre interpello secondo la procedura e con gli effetti del successivo art. 11, per conoscere se le operazioni che intende realizzare, o che siano state realizzate, costituiscano fattispecie di abuso del diritto.

Per espressa previsione normativa, l’istanza deve essere preventiva, ossia presentata prima della scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione o per l’assolvimento di altri obblighi tributari connessi alla fattispecie oggetto dell’istanza d’interpello.
La revisione degli interpelli. Con il D.Lgs 24/09/2015, n. 156, pubblicato nella Gazz. Uff. il 7 ottobre 2015, viene data, tra l’altro, attuazione alla delega di cui agli artt. 6, comma 6 e 10, comma 1, lett. a) e b) della Legge n. 23/2014; in particolare, il titolo I è dedicato alla revisione dell’intera materia degli interpelli, attualmente distribuita su numerosi provvedimenti, figli di epoche diverse e, pertanto, non perfettamente omogenei e coordinati tra loro.
A seguito della revisione in argomento, il contribuente che voglia conoscere il parere dell’Amministrazione finanziaria in merito a talune delle operazioni che intende realizzare, potenzialmente abusive, può presentare un’apposita istanza di interpello antiabuso, ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. c) dello Statuto.
Trattasi della forma di ruling destinata ad assorbire le principali fattispecie oggi ricomprese nel campo di applicazione dell’interpello antielusivo di cui all’art. 21 della Legge n. 413/1991; tuttavia, rispetto a quest’ultimo strumento, non saranno più ricomprese nel campo di applicazione del ruling antiabuso di cui alla lettera c) in commento le istanze sui costi black list (da presentare in forma “disapplicativa” ex art. 11, comma 2), nonché quelle relative alla qualificazione delle spese di pubblicità o propaganda (da formulare come interpelli “ordinari/qualificatori”, ex art. 11, comma 1, lett. a). Rimane ferma, invece, l’estensione del nuovo interpello antiabuso ai casi d’interposizione soggettiva ex articolo 37, comma 3, del Dpr 600/1973.
La risposta dell’Amministrazione e il silenzio assenso. Le procedure generali, applicabili all’intera materia degli interpelli, sono ex novo disciplinate dagli artt. da 2 a 8 del citato D.Lgs n. 156/2015. Viene disposta, in particolare, la preventività delle istanze, pena l’inammissibilità delle stesse.
Ai sensi dell’art. 11, comma 3 dello Statuto, la risposta dell’Amministrazione a tale tipologia di interpello deve arrivare entro 120 giorni, con la precisazione che tale risposta, scritta e motivata, vincola ogni organo della amministrazione con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente.
In mancanza di risposta nel termine predetto, vale la regola del silenzio assenso, nel senso che diviene legittima la soluzione prospettata dal contribuente in sede di interpello.
In presenza di condivisione della soluzione prospettata dal contribuente, o di mancata risposta all’istanza nel termine perentorio di 120 giorni, si consolida la soluzione stessa; di conseguenza, gli atti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio difformi dalla risposta, espressa o tacita, sono nulli ex lege.
La decorrenza della nuova procedura di interpello. Ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs n. 156/2015, le disposizioni ivi contenute entreranno in vigore il 1° gennaio 2016. Inoltre, ai sensi dell’art. 8 del medesimo decreto, le concrete regole concernenti le modalità di presentazione delle istanze dovranno essere definite con appositi provvedimenti dei Direttori delle Agenzie fiscali, da emanare entro 30 giorni dall’entrata in vigore dello stesso decreto legislativo, con la precisazione che alle istanze di interpello presentate prima dell’emanazione dei predetti provvedimenti, restano applicabili le disposizioni procedurali attualmente vigenti.
La fase transitoria. In altri termini, nelle more dell’efficacia delle nuove disposizioni, il contribuente che voglia ottenere il preventivo parere dell’Agenzia delle entrate su condotte che possono essere qualificate come abusive (o elusive, atteso che due definizioni sono diventate sinonimi), dovrà procedere secondo le regole dell’interpello antielusivo di cui all’art. 21 della Legge n. 413/1991 e al regolamento attuativo approvato con D.M. 13/06/1997, n. 195.

Ai sensi dell’art. 1 di tale ultimo decreto, la richiesta di parere, rivolta al Ministero delle finanze – Dipartimento delle entrate, è indirizzata alla direzione regionale delle entrate competente in relazione al domicilio fiscale del richiedente e va spedita a mezzo del servizio postale in plico raccomandato con avviso di ricevimento.

Ai sensi del comma 9 del citato art. 21 della Legge n. 413/1991, vale anche in tal caso la regola del silenzio assenso; tuttavia, affinché si consolidi la soluzione prospettata dal contribuente, lo stesso dovrà attendere l’inutile decorso del termine di 120 giorni dalla presentazione dell’istanza, quindi, presentare apposita diffida ed attendere ulteriori 60 giorni.
Con l’entrata in vigore del nuovo regime, il silenzio assenso si perfezionerà, invece, con il mero decorso dei 120 giorni, senza che l’Amministrazione finanziaria si sia pronunciata.

Autore: Marco Brugnolo

Controlli a distanza liberalizzati a metà

Di recente sono venuto a conoscenza che è stato modificato l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. Quali sono le nuove norme introdotte in merito ai controlli a distanza? Il datore di lavoro deve sempre richiedere l’accordo con le rappresentanze sindacali aziendali?

Il D.Lgs. n. 151/2015, entrato in vigore il 24 settembre 2015, all’art. 23 riscrive l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970), riordinando una materia rimasta per troppo tempo immacolata. Le novità, infatti, si inseriscono in un contesto di ammodernamento della disciplina al contesto attuale, senza rivoluzionare del tutto la materia.

Innanzitutto, non servirà più l’autorizzazione del sindacato o del Ministero del Lavoro per controllare a distanza i lavoratori mediante telefonini, tablet, pc o comunque strumenti di lavoro dati in uso al dipendente. In compenso, il datore di lavoro dovrà rispettare le norme previste dal Codice della privacy (D.Lgs. n. 196/2003) e informare preventivamente i lavoratori mediante la redazione di un regolamento aziendale nel quale vengono spiegati punto per punto i limiti di utilizzo di tali strumenti.

In precedenza, il vecchio art. 4 dello Stato dei Lavoratori (L. n. 300/1970) consentiva l’installazione di impianti e apparecchiature di controllo, dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, esclusivamente se:

• richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro;
• previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna.

Dopo l’intervento del suddetto decreto legislativo, l’art. 4 ne esce in sostanza “parzialmente” liberalizzato. Infatti, se da un lato cade l’autorizzazione sindacale o amministrativa, restano comunque in piedi sia il rispetto del Codice della privacy e in particolare il provvedimento del Garante del n. 13 del 1° marzo 2007 sia la preventiva informazione ai lavoratori dei limiti di utilizzo delle apparecchiature di controllo.

A tal proposito, è importante sottolineare come la semplificazione sta anche nel fatto che la norma rimette al datore di lavoro la decisione di intendere uno strumento “necessario” per controllare a distanza i propri dipendenti. È quindi molto facile dedurre che la categoria degli strumenti in genere utilizzati a tale fine, sarà ben presto allargata, alla luce anche di una tecnologia che facilmente riesce a reperire informazioni utili al datore di lavoro.

Infine, è importante sottolineare come le informazioni raccolte dal datore di lavoro “sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”, quindi potenzialmente anche a fini disciplinari.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Pedinare il lavoratore con gps e investigatore: si può!

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 20440/2015

Vietato distrarsi durante gli orari di lavoro. Il datore di lavoro, infatti, può installare un gps nell’auto aziendale oppure incaricare un’agenzia investigativa privata per tracciare i movimenti del dipendente e verificare che quest’ultimo ottemperi correttamente ai propri doveri lavorativi. Non è concesso, quindi, al lavoratore fermarsi al bar o alle tavole calde durante il proprio turno di lavoro, pena il licenziamento
È quanto si legge nella sentenza n. 20440/2015 della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione.

Il caso – La vicenda riguarda il licenziamento di un lavoratore per essersi allontanato dalla sede aziendale – con un’autovettura della società – in orario lavorativo e per essersi trattenuto al bar o nei locali di una tavola calda “per conversare, ridere o scherzare coi colleghi”. Il licenziamento è stato dichiarato legittimo dalla Corte d’appello, in quanto il dipendente aveva l’incarico di dare disposizioni agli operai e di verificare lo svolgimento del ritiro dei rifiuti indifferenziati, con una pausa di lavoro dalle ore 9 alle 9.10. Pertanto è stato lecito il controllo svolto dal datore, al di fuori dei locali aziendali, tramite guardie giurate o con investigatori privati e con l’uso di uno strumento per la localizzazione e la verifica degli spostamenti degli automezzi (Gps – Global positionig system). Rispetto al comportamento addebitato, il lavoratore aveva autonomia operativa, ma era anche tenuto al rispetto dei limiti temporali della pausa. Inoltre, dalla relazione investigativa e da molteplici testimonianze erano risultati gli abbandoni del lavoro fuori orario senza adeguata giustificazione, anche al di fuori dei territori di competenza. Detti comportamenti, nonché i precedenti, costituivano in definitiva giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro poiché minavano in radice il nesso fiduciario necessariamente intercorrente tra le parti.

Il lavoratore impugna la sentenza e ricorre in Cassazione, sostenendo l’illegittimità del licenziamento per via della violazione degli artt. 2, 3, 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970). Tali norme, in particolare impongono modi d’impiego, da parte del datore di lavoro, delle guardie giurate, del personale di vigilanza e di impianti e attrezzature per il controllo a distanza. I relativi divieti riguardano il controllo sui modi di adempimento dell’obbligazione lavorativa ma non anche comportamenti del lavoratore lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale.

La sentenza – Gli Ermellini respingono il ricorso del lavoratore e giudicano legittimo il licenziamento. Infatti, in merito alla violazione degli articoli appena menzionati, i Giudici sostengono che “non sono vietati i cosiddetti controlli difensivi, intesi a rilevare mancanze specifiche e comportamenti estranei alla normale attività lavorativa nonché illeciti”. Ma non solo. La sentenza conferma altresì la possibilità per il datore di lavoro di poter eseguire i controlli anche mediante agenzie investigative private. Ciò tanto più vale quando il lavoro dev’essere eseguito, come nel caso di specie, al di fuori dei locali aziendali, ossia in luoghi in cui è più facile la lesione dell’ interesse all’esatta esecuzione della prestazione lavorativa e dell’immagine dell’impresa, all’insaputa dell’imprenditore.

Dunque, è assolutamente legittimo installare il gps all’interno dell’automobile aziendale, e i dati raccolti possono essere utilizzate poi in sede di giudizio contro il dipendente, al fine di provarne l’infedeltà e procedere così al suo licenziamento. Stesso discorso vale per il monitoraggio degli spostamenti del lavoratore mediante agenzie investigative private, purché tale attività sia finalizzata a verificare eventuali comportamenti lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale.

Insomma è vietato distrarsi durante gli orari di lavoro, alla luce anche delle molteplici possibilità di cui i datori di lavoro possono avvalersi per licenziare il proprio dipendente. Basti pensare che anche una semplice foto scattata magari dal collega può essere utile per provare l’inadempienza dell’attività lavorativa.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Costi di ricerca e Patent Box: la determinazione del reddito agevolabile

Il Patent-Box è un regime di tassazione agevolato, irrevocabile, di durata quinquennale rinnovabile

Il 30 luglio 2015 il Ministero della Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, in attuazione dell’art. 1, commi 37 – 43 della Legge 23 dicembre 2014 n. 190 (Legge di Stabilità) come modificato dal Decreto Legge del 24 gennaio 2015, n. 3 (Investment Compact) convertito in legge con modificazioni, dalla Legge 24 marzo 2015, n. 33, ha emanato il decreto di attuazione del cosiddetto “Patent Box”; così è stato introdotto nel nostro ordinamento un nuovo regime opzionale di tassazione di redditi collegati all’utilizzo dei cosiddetti “intagibles assets”, ossia:
• software protetto da copyright;
• brevetti industriali concessi o in corso di concessione, ivi inclusi i brevetti per invenzione, ivi comprese le invenzioni biotecnologiche e i relativi certificati complementari di protezione, i brevetti per modello d’utilità, nonché i brevetti e certificati per varietà vegetali e le topografie di prodotti a semiconduttori;
• marchi d’impresa;
• disegni e modelli giuridicamente tutelabili;
• informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali o scientifiche proteggibili come informazioni segrete, giuridicamente tutelabili.
Finalità – Il regime in questione si pone l’obiettivo di favorire la ricollocazione dei beni immateriali detenuti all’estero, agevolando un loro mantenimento all’interno del nostro ordinamento, nonché dare un impulso all’attività di ricerca e sviluppo; è opportuno però mettere in evidenza che tutto parte dalla necessità di limitare un comportamento antielusivo del contribuente che potrebbe, mediante artifici, mettere in atto una serie di azioni volte alla delocalizzazione del reddito al fine di un assoggettamento a una fiscalità agevolata.
Nexus approach – L’elemento determinante al fine dell’applicazione di tale regime agevolato, è proprio l’individuazione dei costi inerenti il bene immateriale; secondo quanto espresso dall’OCSE, è fondamentale che tra le spese sostenute e il reddito derivante dall’utilizzo del bene immateriale stesso sussista un collegamento diretto.
Quota di reddito e valore della produzione – Il patent box prevede che la quota di reddito e del valore della produzione che può essere oggetto di agevolazione venga definita in base al rapporto tra i costi di attività di ricerca e sviluppo (anche se affidata a soggetti esterni al gruppo) sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale (numeratore) e i costi complessivi sostenuti per produrre tale bene (denominatore). I costi indicati al denominatore comprendono anche i costi eventuali, di acquisizione del bene immateriale (comprese le royalties) e i costi per attività di R&S affidate a società interne al gruppo.; i costi indicati in aggiunta al denominatore, concorrono anche alla formazione dei costi indicati al numeratore, ma in una misura pari al 30% (up lift). Si fa riferimento ai costi fiscalmente rilevanti.
Il coefficiente prima dell’up-lift sarà:
8000/13.000 (costi qualificati/costi complessivi);
visto che i costi non qualificati ammontano a 5.000 (differenza 13.000-8000), e che l’up-lift opera nei limiti del 30%(2.400) dei costi qualificati, il coefficiente con l’up-lift sarà pari a 10400/13000, ossia 0,8. Il coefficiente, moltiplicato per il reddito ritraibile dall’asset intangibile, determina il reddito agevolabile.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Aumento del contante: oggi il via libera dal Consiglio dei Ministri

Tra le novità spicca l’aumento del limite del contante a 3.000,00 euro

legge di stabilità

È previsto per oggi il via libera da parte del Consiglio dei Ministri al disegno di legge di Stabilità per il 2016. Tra le novità dell’ultima ora annunciate dal premier Matteo Renzi spicca l’aumento del limite del contante dai 999,99 euro attuali a 3.000,00 euro. L’auspicio del primo ministro è riportare i livelli del contante in linea con la media europea, anche se va evidenziato che alcuni Paesi europei stanno agendo in senso contrario.

Da evidenziare che la questione era stata oggetto di un recente intervento del Legislatore. Infatti con il D.L. 201/2011 (c.d. Decreto Monti) si era prevista una riduzione del limite del contante, sceso da 2.500,00 euro ai 1.000,00 euro attuali. Ancor prima, con il D.L. 138/2011, la soglia era stata ridotta da 5.000,00 euro a 2.500,00.

Il disegno di legge di Stabilità 2016 dovrebbe contenere importanti novità anche per imprese e professionisti.

Per quanto riguarda i regimi agevolati, sempre il premier Matteo Renzi ha annunciato un nuovo intervento sulle partite Iva e in particolare un intervento sul regime dei minimi, che ricordiamo è stato oggetto di una radicale modifica con la Legge di Stabilità per il 2015.
Dalle bozze del disegno di legge che circolano in queste ore pare intravedersi la possibilità di un incremento delle soglie dei ricavi che consentono l’accesso e il mantenimento del predetto regime agevolato. Si parla di un incremento delle soglie di ricavi variabile tra 5.000,00 e 10.000,00 euro. Altra importante novità è la riduzione dell’aliquota dell’imposta sostitutiva riservata però solo a chi accede al regime dei minimi dal 1° gennaio 2016. In tale caso, l’imposta sostitutiva del 15% sarebbe ridotta a un terzo per i primi tre anni. Forse questo annuncio è finalizzato ad incentivare l’apertura di partite IVA, dopo che l’osservatorio del MEF ha evidenziato una forte riduzione di partite IVA nel mese di agosto 2015 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. In base ai dati forniti dal MEF nel mese di agosto 2015 sono state aperte 16.265 nuove partite Iva, con una flessione (-6,5%) rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.
Sulla possibilità di riduzione dell’aliquota IRES si susseguono da giorni annunci e smentite. La reale possibilità, compatibilmente con le risorse a disposizione, è quella di prevede un taglio dell’aliquota IRES, attualmente del 27,5%, in due step. Una prima riduzione già efficace dal 2016, di 1 o due punti percentuali, è l’altro intervento rimandato alla Legge di Stabilità 2017.
L’altra questione che sarà confermata o smentita nel disegno di legge di Stabilità 2016 è la possibile riduzione del canone RAI con la contestuale inclusione dello stesso nella bolletta dell’elettricità. Una misura che ha sollevato numerose proteste, intravedendosi nella stessa solo un vantaggio per il “riscossore” che beneficerebbe dei ricavi per i servizi resi.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Categorie: Finanziaria > 2015

Processo tributario. La nuova conciliazione

14 ottobre 2015

L’accordo può arrivare anche in appello

Il decreto di riforma del contenzioso tributario – D.Lgs. n. 156/15 – riscrive le regole sulla conciliazione, estendendo l’istituto al giudizio d’appello: dunque la conciliazione, con decorrenza dal 1° gennaio 2016, sarà esperibile per tutta la durata del giudizio di merito.
Conciliazione fuori udienza. In base al novellato art. 48 del D.Lgs. 546/92 le parti possono presentare alla CTP o alla CTR un’istanza congiunta laddove abbiano raggiunto un accordo per la totale o parziale conciliazione della controversia. Qualora sia già stata fissata l’udienza, la Commissione dichiara la cessazione della materia del contendere con sentenza; emette invece un’ordinanza se l’accordo è solo parziale; in tal caso il giudizio proseguirà per le questioni che non sono state oggetto di conciliazione.

Se la data di udienza non è stata ancora fissata quando le parti hanno presentato l’istanza congiunta di conciliazione totale o parziale, il presidente della sezione provvede con decreto.

L’istanza congiunta per la c.d. conciliazione “fuori udienza” deve essere sottoscritta dalla parti oppure dai rispettivi difensori a ciò delegati. L’accordo deve indicare le somme dovute con la specificazione dei termini e delle modalità di pagamento. Esso costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente.

Conciliazione in udienza. Ai sensi del nuovo articolo 48-bis del D.Lgs. n. 546/92 le parti, tanto in primo grado quanto in appello, possono presentare istanza per la totale o parziale conciliazione della controversia, entro il termine di 10 giorni prima dell’udienza fissata per trattazione della causa.

Se il giudice ritiene che sussistano i presupposti di ammissibilità dell’istanza, invita le parti alla conciliazione; qualora l’accordo conciliativo non sia raggiunto entro la prima udienza di trattazione, il giudice può comunque concedere alle parti un rinvio e fissare una nuova successiva udienza, per l’eventuale perfezionamento dell’accordo conciliativo oppure, in mancanza, per la discussione della causa nel merito.

Se la conciliazione va a buon fine, deve essere redatto un apposito verbale che deve indicare le somme dovute a titolo d’imposta, di sanzioni e interessi. Il verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente.

Pagamento e sanzioni. Le modalità per il pagamento delle somme dovute a titolo di conciliazione (in udienza o fuori udienza) sono individuate dall’art. 48-ter che nel testo modificato stabilisce un regime sanzionatorio differente per la conciliazione in primo grado e per quella in appello:

  • qualora il perfezionamento della conciliazione avvenga nel corso del primo grado di giudizio, le sanzioni si applicano nella misura del 40% del minimo previsto dalla legge;
  • il perfezionamento della conciliazione nel corso del giudizio d’appello comporterà, invece, l’applicazione delle sanzioni nella misura del 50% del minimo previsto dalla legge.

L’art. 48-ter dispone che entro 20 giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo per la conciliazione fuori udienza, oppure della redazione del processo verbale in udienza, deve essere effettuato il versamento dell’intero importo dovuto o della prima rata. In caso di rateizzazione, il mancato pagamento anche di una sola rata, compresa la prima, entro il termine di pagamento della rata successiva, comporta l’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute e della sanzione di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 471/97, “aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto a titolo d’imposta”.

Per il versamento rateale delle somme conciliate si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni in tema di accertamento con adesione (L. 218/97). A differenza dell’accertamento con adesione, che si perfeziona con il versamento dell’importo dovuto o della prima rata, la conciliazione giudiziale si perfeziona al momento della sottoscrizione dell’accordo (nel caso di conciliazione fuori udienza) ossia con la redazione del processo verbale (nel caso di conciliazione in udienza).

Autore: Redazione Fiscal Focus

Artigiani e commercianti: neo iscritti alla cassa

14 ottobre 2015

Ultimata l’elaborazione dell’imposizione contributiva per artigiani e commercianti iscritti in corso all’anno d’imposta 2015, relativamente alla terza emissione 2015

Tutto pronto per il versamento della terza rata (2015) a carico dei lavoratori appartenenti alla “Gestione degli artigiani e degli esercenti attività commerciali”. L’INPS, infatti, ha comunicato che è stata ultimata l’elaborazione dell’imposizione contributiva per tutti i soggetti iscritti alla gestione previdenziale degli artigiani e commercianti nel corso del corrente anno e non già interessati da imposizione contributiva. In particolare, sono stati predisposti i modelli “F24” necessari per il versamento della contribuzione dovuta. Tali modelli sono disponibili in versione precompilata nel “Cassetto Previdenziale per Artigiani e Commercianti” alla sezione “Posizione assicurativa – Dati del modello F24”, dove è possibile consultare anche il prospetto di sintesi degli importi dovuti con le relative scadenze e causali di pagamento. 
A darne notizia è l’INPS con il messaggio n. 6297/2015.

Aliquote contributive – Per quest’anno, le aliquote contributive ammontano: al 22,65% per gli artigiani e al 22,74% per i commercianti. Mentre il reddito minimo annuo da prendere in considerazione ai fini del calcolo del contributo IVS dovuto dagli artigiani e dagli esercenti attività commerciali, è pari a € 15.548. Di conseguenza, il contributo minimale dovuto, per l’anno 2015, risulta così suddiviso: € 3.529,06 per gli artigiani e € 3.543,05 per i commercianti.
Qualora l’interessato abbia un’età inferiore a 21, i contributi minimali risultano così stabiliti: € 3.062,62 per gli artigiani e € 3.076,61 per i commercianti.

La base di calcolo – Al riguardo, si rammenta che il contributo IVS dovuto da artigiani e commercianti:
• è calcolato sulla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini Irpef (e non soltanto su quello derivante dall’attività che dà titolo all’iscrizione nella gestione di appartenenza);
• è rapportato ai redditi d’impresa prodotti nello stesso anno al quale il contributo si riferisce (quindi, per i contributi dell’anno 2015, ai redditi 2015, da denunciare al fisco nel 2016).

Pertanto, qualora la somma dei contributi sul minimale e di quelli a conguaglio versati alle previste scadenze sia inferiore a quanto dovuto sulla totalità dei redditi d’impresa realizzati nel 2015, è dovuto un ulteriore contributo a saldo da corrispondere entro i termini di pagamento delle imposte sui redditi delle persone fisiche.

Addio all’invio cartaceo – A decorrere dall’anno 2013, l’INPS non invia più le comunicazioni contenenti i dati e gli importi utili per il pagamento della contribuzione dovuta, in quanto le comunicazioni di cui trattasi saranno disponibili, sempre nel “Cassetto”, anche alla sezione “Comunicazione bidirezionale – Modelli F24”, con la riproduzione della stessa lettera che prima del 2013 veniva spedita a mezzo posta. È previsto, inoltre, l’invio di email di alert ai titolari di posizione assicurativa, ovvero loro intermediari delegati, per i quali si è in possesso di recapito email.

Prossimi appuntamenti – Si ricorda, infine, che gli artigiani e commercianti sono chiamati a versare:
entro il 16 novembre 2015, i contributi relativi al terzo trimestre 2015, in riferimento al minimale di reddito e alla seconda rata dei contributi afferenti il minimale di reddito per periodi pregressi;
entro il 30 novembre 2015, i contributi relativi al secondo acconto 2015 (50%), in riferimento alla quota di reddito eccedente il minimale e al saldo 2014 e anni precedenti.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Rapporto fisco-contribuenti: pronto il nuovo interpello

14 ottobre 2015

Dal 22 ottobre andranno in vigore le norme previste dal D.Lgs. 156/2015

Entreranno in vigore dal prossimo 22 ottobre le norme introdotte dal D.Lgs. 156/2015relativo alle misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n. 23. (15G00167). 
Interpello – è un istituto messo a disposizione del contribuente che prima di mettere in atto un determinato comportamento fiscale, può ricorrere a tale strumento al fine dell’ottenimento di indicazioni interpretative circa l’applicazione di una determinata norma fiscale, obiettivamente incerta da applicare a casi concreti e personali, e se non è stata ancora messa in atto un’azione di controllo nei confronti del contribuente istante.

Vari tipi di interpello – Fondamentalmente i contribuenti possono fare ricorso a quattro principali tipi di interpello, ossia:
Interpello ordinario:
• il contribuente richiede all’amministrazione la corretta interpretazione di una norma tributaria;
• il contribuente che avendo individuato la fattispecie concreta (interpello qualificatorio), richiede lumi sul trattamento della fattispecie stessa.

Un esempio può far riferimento all’individuazione di una spesa, tra quelle di pubblicità o rappresentanza, o l’esistenza o meno di una stabile organizzazione;

Interpello probatorio, ai fini della verifica della presenza di condizioni che potrebbero portare all’applicazione di un regime fiscale agevolato o meno:
• Operazioni intercorse con imprese residenti o localizzate in paesi cosiddetti black list;
• Interpelli presentati da società che presentano i requisiti per essere considerate “non operative”;
• Interpello relativo al riconoscimento del beneficio Ace;

Interpello disapplicativo – Rappresenta l’unica ipotesi in cui l’interpello è obbligatorio, collegato all’ipotesi del riporto delle perdite, nei casi indicati dall’art. 84 e 172 TUIR, e alla deducibilità delle minusvalenze, in caso di cessioni delle partecipazioni.

Presentazione preventiva – Le istanze devono essere presentate in via preventiva rispetto alla data di scadenza della presentazione della dichiarazioni o ai fini dell’assolvimento di obblighi tributari. Il mancato rispetto dei termini corretti comporta la nullità dell’istanza presentata.

Novità introdotte – La riforma si basa in linea di massima sulle seguenti novità:

• Generale non obbligatorietà dell’istanza, fatti salvi alcuni casi prima enunciati;
• Termini tassativi di risposta differenziati:
– 90 gg per la riposta ad interpelli ordinari;
– 120 gg per gli interpelli probatori.

I termini possono essere allungati fino a un massimo di 60 gg qualora l’Amministrazione Finanziaria richieda una integrazione della documentazione presentata; trascorsi tali termini, senza che venga fornita una riposta al contribuente, si determina una condizione di silenzio-assenso.

Risposte non impugnabili – La riposta scritta e motivata vincola l’Amministrazione Finanziaria in merito alla lettura fornita circa una determinata questione, e in riferimento a quel preciso contribuente istante; in caso di silenzio assenso nei confronti del contribuente, in riferimento a una tenuta comportamentale da lui prospettata, saranno nulli gli atti di imposizione o sanzionatori difformi dalla risposta tacita o espressa, salvo l’ipotesi di una rettifica alla precedente interpretazione, che però non ha efficacia retroattiva. È previsto il divieto di impugnabilità delle risposte alle istanze, salvo i casi di istanze di interpello disapplicativo, in questo caso si può impugnare anche l’atto impositivo. In caso di risosta fornita al contribuente, in merito a credito d’imposta, detrazioni, deduzioni, l’atto di accertamento, deve essere preceduto da una richiesta di chiarimenti da fornire entro 60 gg. I dati e le notizie dedotti in fase di richiesta possono essere utilizzati in fase amministrativa o contenziosa.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Abuso del diritto: una disciplina estesa a tutti i tributi

14 ottobre 2015
Con l’inserimento dell’art. 10-bis nella Legge n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), a opera dell’art. 1 del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, il legislatore ha delineato una compiuta disciplina dell’abuso del diritto, con decorrenza dal 1° ottobre 2015. 
In precedenza, le condotte abusive o elusive venivano contrastate dal Fisco sulla base di specifiche norme, che tuttavia avevano l’handicap di riferirsi a specifici tributi (si pensi all’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 in materia di imposta di registro o all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 in materia di imposte sui redditi); con la codifica dell’istituto all’interno dello Statuto del contribuente (contenente i principi generali dell’ordinamento tributario), ora le norme anti-abuso si applicano a tutti i comparti fiscali.
La precedenti interpretazioni delle Alte Corti. La revisione dell’istituto, auspicata da buona parte della dottrina, si rendeva necessaria, soprattutto a partire dal 2006, dopo che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato l’esistenza di una generale clausola antiabuso (sentenza Halifax del 21.2.2006), considerata immanente nella sesta direttiva comunitaria, direttamente applicabile negli ordinamenti nazionali ai fini dell’Iva.

Sposando in senso estensivo la linea interpretativa della Corte del Lussemburgo, nel 2008 le Sezioni Unite della Cassazione uscirono con tre storiche sentenze, ove riconoscevano l’esistenza di un principio generale antielusivo anche in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, rinvenuto non nella giurisprudenza comunitaria, quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario nazionale.

La soluzione interpretativa fornita nel 2008 dalla Suprema Corte, se da un lato poteva costituire un utile parametro di riferimento per i giudici di ogni ordine, dall’altro creava una sostanziale condizione di incertezza in capo agli operatori economici nazionali e stranieri, in relazione alle possibili scelte imprenditoriali, anche per il fatto che tale “clausola immanente”, di diretta derivazione costituzionale, di fatto andava nel contempo a sterilizzare le disposizioni coniate dal diritto positivo per il contrasto all’elusione fiscale.

La codifica dell’abuso del diritto. Ai sensi del comma 1 dell’art. 10-bis, configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.

Il successivo comma 2 mira a precisare il significato di alcuni termini della definizione dell’abuso del diritto; in particolare, definisce “operazioni prive di sostanza economica” i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Considera, in particolare, indici di mancanza di sostanza economica la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato.

I vantaggi fiscali indebiti. Sempre nel secondo comma il legislatore introduce il concetto di “vantaggi fiscali indebiti”, identificati nei benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.

Come è agevole rilevare dalla lettura delle definizioni, trattasi di formule a contenuto indeterminato, che lasceranno ampio spazio di manovra all’Agenzia delle Entrate in sede accertativa, almeno fino a quando la giurisprudenza non detterà principi interpretativi più concreti.

Le condotte non abusive e il legittimo risparmio d’imposta. Parafrasando al contrario la definizione del comma 1, il successivo terzo comma della norma in commento esclude dall’ambito dell’abuso del diritto le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente.

Il successivo comma 4 prevede, infine, la legittimità della scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale; in altri termini, ribadisce la possibilità per il contribuente di avvalersi del c.d. “legittimo risparmio d’imposta”.

Autore: Marco Brugnolo

F24: si può pagare in contanti?

16 Luglio 2015

F24: si può pagare in contanti?

Il caso – Un contribuente presenta un saldo a debito Irpef pari ad euro 3.500. Il versamento viene effettuato in 5 rate da 700 euro ognuna.
Non sono dovute altre imposte, così come non è dovuto il versamento dell’acconto.
I singoli modelli F24 possono essere pagati in contanti?

L’analisi – 
Al fine di rispondere al quesito prospettato deve essere chiarito se il dubbio si genera dall’analisi della disciplina antiriciclaggio o dalle nuove norme introdotte in merito alle modalità di presentazione del modello F24.Analizziamo distintamente i due profili.

La normativa antiriciclaggio – 
Il quesito posto potrebbe sorgere dal timore di violare la disciplina in tema di circolazione del contante: in considerazione del fatto che il debito complessivo ammonta ad euro 3.500 ci si potrebbe chiedere se i singoli versamenti possano essere considerati artificiosamente frazionati al fine di eludere le disposizioni in tema di circolazione del contante.

Orbene, in merito a questo aspetto merita di essere ricordato che sono del tutto ammissibili i frazionamenti connaturati all’operazione stessa o frutto di un preventivo accordi tra le parti.

Questa precisazione rappresenta ormai un punto fermo della disciplina in tema di circolazione del contante, costantemente richiamata nei chiarimenti e nelle circolari che nel tempo sono state emesse dalle Autorità di settore.

Nel caso di specie, pertanto, essendo lo stesso legislatore ad aver concesso ai contribuenti la possibilità di rateizzare il versamento delle imposte dovute, appare del tutto evidente che il pagamento in contanti di singole rate di importo inferiore a 1.000 euro non configura una violazione della disciplina in tema di circolazione del contante.

Al contrario, il pagamento di un tributo in denaro contante per un importo pari o superiore ad euro 1.000 costituisce violazione dell’art. 49, non essendo stata prevista dal legislatore alcuna deroga in tal senso (così come ricordato anche nelle Faq presenti sul sito del Dipartimento del Tesoro).
Tuttavia, il trasferimento può essere eseguito per il tramite di banche, Poste Italiane S.p.a., istituti di moneta elettronica e istituti di pagamento, questi ultimi quando prestano servizi di pagamento diversi da quelli di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), numero 6), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11.

La presentazione del modello F24 – Come noto, l’art. 11, comma 2, del Decreto Legge 24 aprile 2014, n. 66 convertito, con modificazioni, dalla Legge 23 giugno 2014, n. 89, ha introdotto, dal 1° ottobre 2014, ulteriori obblighi di utilizzo dei sistemi telematici per la presentazione delle deleghe di pagamento F24.

In particolare, è previsto che i versamenti possono essere eseguiti:
– esclusivamente mediante i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, nel caso in cui, per effetto delle compensazioni effettuate, il saldo finale sia di importo pari a zero;
– esclusivamente mediante i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate e dagli intermediari della riscossione convenzionati con la stessa (banche, Poste e agenti della riscossione), nel caso in cui siano effettuate delle compensazioni e il saldo finale sia di importo positivo;
– esclusivamente mediante i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate e dagli intermediari della riscossione convenzionati con la stessa (banche, Poste e agenti della riscossione), nel caso in cui il saldo finale sia di importo superiore a mille euro.

Pertanto, in considerazione delle novità introdotte, il modello cartaceo resta utilizzabile solo se la delega chiude a debito per un importo non superiore alla soglia di 1.000 euro.

A rilevare, però, è l’importo della singola delega, e non l’intero carico tributario.

Pertanto, se il contribuente non è titolare di partita Iva e nella delega non sono presenti delle compensazioni, sarà possibile procedere al versamento delle imposte mediante il modello cartaceo.

RATE SCADUTE: UN’ULTERIORE POSSIBILITÀ DI RATEIZZAZIONE

12 OTTOBRE 2015

È stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n° 233 del 7 ottobre 2015 il decreto del Ministero dell’Interno del 25 settembre 2015 relativo alle misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione.

Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 233 del 7 ottobre del D.Lgs. n.159/2015 sulla semplificazione e razionalizzazione della riscossione, diventa concreta la possibilità, per precedenti rateizzazioni decadute entro il 22 ottobre 2013, di chiedere una nuova dilazione, tramite apposita istanza, entro il termine improrogabile di 30 giorni dall’entrata in vigore della riforma della riscossione, che avverrà il prossimo 22 ottobre. La suddetta dilazione di pagamento non può prevedere una durata superiore ai 72 mesi, con una previsione di decadenza che interviene in seguito al mancato pagamento di due rate anche non consecutive. Quanto appena descritto non rappresenta l’unica novità contenuta nel decreto oggetto dell’articolo.

Sospensione giudiziale e amministrativa – La nuova disciplina, anche con riferimento alla ripresa di vecchie rateizzazioni, prevede che in caso di cessazione degli effetti della sospensione, giudiziale o amministrativa, il debito è riammesso alla dilazione, con la stessa scadenza temporale di 72 mesi.

Dilazione importi dovuti negli atti di accertamento o negli avvisi bonari – Le somme dovute, collegate agli avvisi bonari, possono essere oggetto di rateizzazione massima di:
• otto rate (prima erano 6) trimestrali di pari importo, per somme non superiori a euro 5.000;
• venti rate trimestrali, se le somme dovute superano i cinquemila euro.
Per gli atti di accertamento, la dilazione massima per importi superiori a € 50.000, passa da 12 a 16 mesi.

Il pagamento della 1° rata deve perfezionarsi entro 30 gg dalla ricezione della comunicazione, sulle rate successive vanno corrisposti gli interessi, che sono calcolati dal 1° giorno del mese successivo a quello in cui la comunicazione è stata elaborata. Entro dieci giorni dal versamento dell’intero importo o di quello della prima rata il contribuente fa pervenire all’ufficio la quietanza dell’avvenuto pagamento.
Lieve inadempimento – Il decreto D.Lgs. n. 159/2015, introduce il lieve inadempimento che permette di mantenere in essere la dilazione in corso, qualora:

• il ritardo nell’effettuazione del pagamento non sia superiore a 7 giorni;
• l’importo di omesso pagamento è inferiore al 3% della rata successiva alla prima o comunque non superiore a euro 10.000.
In caso di decadenza dalla dilazione, si ritiene che la riduzione della sanzione dal 60% al 45%, debba valere anche per le rateizzazioni già in essere, visto il principio del “favore rei”, di cui all’art. 3 D.Lgs. 472/97.

Effetti su ipoteche e azioni esecutive – Alla ricezione della richiesta di rateazione, l’agente della riscossione può iscrivere l’ipoteca di cui all’articolo 77 o il fermo di cui all’articolo 86, solo nel caso in cui la richiesta di rateazione non venga accolta, ovvero in caso di decadenza ai sensi del comma 3. Sono fatti comunque salvi i fermi e le ipoteche già iscritti alla data di concessione della rateazione. A seguito della presentazione di tale richiesta, fatta eccezione per le somme oggetto di verifica ai sensi dell’articolo 48-bis, per le quali non può essere concessa la dilazione, non possono essere avviate nuove azioni esecutive sino all’eventuale rigetto della stessa e, in caso di relativo accoglimento, il pagamento della prima rata determina l’impossibilita di proseguire le procedure di recupero coattivo precedentemente avviate, a condizione che non si sia ancora tenuto l’incanto con esito positivo, o non sia stata presentata istanza di assegnazione, ovvero il terzo non abbia reso dichiarazione positiva o non sia stato già emesso provvedimento di assegnazione dei crediti pignorati.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

UNICO IN RITARDO: LA SANATORIA

8 OTTOBRE 2015

Omissione sanabile entro il 29 dicembre

Premessa – Il contribuente che non ha presentato il proprio Modello UNICO 2015 entro il termine ordinario del 30 settembre 2015, può ancora provvedere alla presentazione entro il 29 dicembre prossimo, prima che il fisco consideri la dichiarazione come omessa applicando le dovute sanzioni. 
Dichiarazione tardiva – L’articolo 2, comma 7, D.P.R. 322/98, dispone che la dichiarazione, trasmessa entro 90 giorni dalla scadenza ordinaria è da considerarsi come “tardiva” (quindi valida) e non come “omessa”. Il contribuente che non ha presentato il Modello UNICO 2015 entro il 30 settembre può, quindi, presentarlo entro il 29 dicembre 2015 (90 giorni dal 30/09), ravvedendosi.

Ravvedimento – La procedura del ravvedimento richiede la rimozione della violazione commessa cioè, nel caso specifico, la presentazione della dichiarazione omessa o l’integrazione della dichiarazione validamente presentata e il versamento “contestuale” della sanzione ridotta, commisurata al minimo, previsto per la violazione oggetto di regolarizzazione e delle eventuali imposte e interessi. Se le imposte sono state regolarmente versate oppure non erano dovute è sufficiente presentare la dichiarazione omessa e pagare con modello F24 una sanzione pari a 1/10 di 258 euro, ossia 25 euro (1/10 del minimo previsto dall’art. 1 del D.Lgs. n. 471 del 1997 pari a euro 258).

Sanzione ridotta – La sanzione ridotta è dovuta per ciascuna dichiarazione ricompresa nel Modello UNICO. Ne consegue, quindi, che il contribuente ha l’obbligo di versare 25 euro per ogni dichiarazione omessa di cui si compone il Modello UNICO, quindi redditi e Iva (non si considerano, invece, “dichiarazione” gli studi di settore e/o parametri poiché sono considerati parte integrante della dichiarazione dei redditi). Ciò è quanto precisato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare Ministeriale n. 54/E/2002.

Presentazione oltre i 90 giorni – La dichiarazione presentata oltre i 90 giorni dal termine ordinario è considerata omessa e non più ravvedibile. In caso di omessa dichiarazione, l’articolo 1 del D.Lgs. n. 471/97 prevede una sanzione amministrativa che va dal 120% al 240% dell’importo dell’imposta dovuta. Qualora, non vi siano imposte dovute, la sanzione va da un minimo di 258 euro a un massimo di 1.032 euro. La sanzione è raddoppiabile per i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili e in presenza di redditi prodotti all’estero, le relative sanzioni sono aumentate di un terzo.

Casi di dichiarazione omessa – La dichiarazione si considera omessa anche nel caso di dichiarazione redatta su stampati non conformi ai modelli ministeriali. In tal caso la dichiarazione è nulla e non costituisce titolo per la riscossione delle imposte relative agli imponibili in essa indicati. Si considera omessa anche la dichiarazione non sottoscritta. In tal caso la dichiarazione è nulla e non costituisce titolo per la riscossione delle imposte relative agli imponibili in essa indicati. La nullità può essere sanata se il soggetto tenuto a sottoscrivere la dichiarazione vi provvede entro 30 giorni dal ricevimento dell’invito da parte dell’ufficio territorialmente competente.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

MEDIAZIONE TRIBUTARIA E CONCILIAZIONE NON PIÙ ALTERNATIVE

 

9 OTTOBRE 2015
Premessa – In base al comma 1 dell’articolo 17-bis del D.Lgs. 546/1992, nelle controversie instaurate a seguito di rigetto dell’istanza ovvero di mancata conclusione della mediazione “è esclusa la conciliazione giudiziale”. 
Infatti, il predetto comma 1, espressamente dispone che “per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle entrate, chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo secondo le disposizioni seguenti ed è esclusa la conciliazione giudiziale di cui all’articolo 48”.

Dunque, per le controversie di valore non superiore a 20.000 euro, la mediazione è alternativa alla conciliazione giudiziale.
Si ricorda che entrambi (mediazione e conciliazione) rappresentano due istituti deflattivi del contenzioso tributario, che consentono di chiudere la lite con notevole risparmio di costi e tempi per le parti.

La nuova previsione dell’art. 17-bis D.Lgs. 546/1992 – Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 55 del 7 ottobre 2015 del D.Lgs. n. 156/2015 (approvato dal CDM del 22/09/2015) che reca le misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione della legge delega fiscale n. 23 del 2014, è modificato l’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992 che come anticipato in premessa dispone l’alternatività tra la mediazione tributaria e la conciliazione giudiziale.

In particolare, l’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992 è sostituito dal seguente: “per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa. Il valore di cui al periodo precedente è determinato secondo le disposizioni di cui all’art. 12 comma 2. Le controversie di valore indeterminabile non sono reclamabili, ad eccezione di quelle di cui all’art. 2, comma 2, primo periodo”.

Dunque, viene eliminata proprio la previsione dell’esclusione della conciliazione giudiziale per le lite oggetto di mediazione tributaria.
Pertanto, anche le controversie oggetto del reclamo/mediazione tributaria potranno essere definite mediante l’istituto della conciliazione giudiziale.

AUTORE: PASQUALE PIRONE

SPESE D’ISTRUZIONE: NUOVA DETRAZIONE

9 OTTOBRE 2015

Scatta la detraibilità delle spese per la frequentazione della scuola paritaria

Premessa – Cambia la detraibilità Irpef delle spese d’istruzione in quanto viene introdotta la possibilità di detrarre anche le spese relative a scuole dell’infanzia e primaria e viene previsto un limite alla detrazione pari a euro 400. Questa è una delle novità fiscali introdotta dalla Legge n. 107/2015 (“riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione”), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 15 luglio.
Detraibilità – Secondo la vecchia formulazione dell’articolo 15, comma 1, lettera “e” del Tuir prevedeva la possibilità di detrarre nella misura del 19% le spese sostenute per la “frequenza di corsi di istruzione secondaria, universitaria, di perfezionamento e/o di specializzazione, tenuti presso istituti o università italiane o straniere, pubbliche o private, in misura non superiore a quella stabilita per le tasse e i contributi degli istituti statali italiani”. Le spese potevano riferirsi anche a più anni, compresa l’iscrizione fuori corso, e per gli istituti o università privati e stranieri non dovevano essere superiori a quelle delle tasse e contributi degli istituti statali italiani.
Riforma scuola – Con la riforma del sistema scolastico (Legge n. 107/2015, “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti” – c.d. “Buona scuola” – pubblicata sulla G.U. 15.7.2015, n. 16) sono state riscritte le regole sulla detraibilità delle spese d’istruzione. Anzitutto a essere riformulata è stata la lettera “e” del suddetto articolo 15 – primo comma.

Nuova disposizione legislativa – Secondo il nuovo testo legislativo “dall’imposta lorda si detrae un importo pari al 19 per cento dei seguenti oneri sostenuti dal contribuente, se non deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo: […] e) le spese per frequenza di corsi di istruzione universitaria, in misura non superiore a quella stabilita per le tasse e i contributi delle università statali; e-bis) le spese per la frequenza di scuole dell’infanzia del primo ciclo di istruzione e della scuola secondaria di secondo grado del sistema nazionale di istruzione di cui all’articolo 1 della legge 10 marzo 2000, n. 62, e successive modificazioni, per un importo annuo non superiore a 400 euro per alunno o studente. Per le erogazioni liberali alle istituzioni scolastiche per l’ampliamento dell’offerta formativa rimane fermo il beneficio di cui alla lettera i-octies), che non è cumulabile con quello di cui alla presente lettera”.

Nuove regole – Rispetto alle regole precedenti diventano, quindi, detraibili anche le spese per la frequenza delle scuole dell’infanzia e delle scuole primarie. Le nuove regole prevedono però un tetto massimo di detrazione, in quanto la detrazione del 19% si applica su un importo annuo non superiore a 400 euro per alunno o studente, in sostanza la detrazione massima per alunno o studente non potrà superare 76 euro annui.

Familiari a carico – Resta ferma la possibilità di detrarre le suddette spese di istruzione anche nell’interesse dei familiari a carico (art. 12 TUIR) che possiedono un reddito complessivo annuo non superiore a 2.840,51 euro al lordo degli oneri deducibili.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

MODELLI INTRASTAT: SANZIONI E RAVVEDIMENTO

7 OTTOBRE 2015

Le recenti modifiche introdotte dal Decreto Semplificazioni fiscali (D.Lgs. 175/2014) prevedono la qualificazione dell’errore derivante dalla compilazione degli elenchi quale errore di natura formale, in quanto non idonei ad arrecare un danno erariale (C.M. 31/E/2014). 
Le sanzioni in materia di Intra sono diverse a seconda che si tratti di violazioni di natura statistica o violazione di natura fiscale. Le fattispecie sono così disciplinate:
• le violazioni di natura statistica: sono disciplinate dall’art. 11, D.Lgs. 322/1989;
• le violazioni di natura fiscale: sono disciplinate dall’articolo 34, comma 5, D.L. 41/1995.

Tipo di violazione – Per quanto riguarda la possibilità che l’omessa presentazione degli elenchi INTRASTAT assuma carattere di “violazione formale” nella R.M. 20/E/2015, l’Amministrazione Finanziaria ha fornito i dovuti chiarimenti. Nel richiamato documento di prassi si legge che si tratta di “violazioni meramente formali”, quelle violazioni che non sono punibili, in quanto non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo, e non pregiudicano l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria. L’esimente in argomento – chiarisce l’Agenzia – non torna applicabile per quelle violazioni, pur sempre formali, aventi ad oggetto la presentazione, entro termini predeterminati normativamente, di atti che, per definizione, sono soggetti a controllo, tra i quali sono senz’altro da ricondurre gli elenchi riepilogativi delle operazioni intracomunitarie. Di conseguenza, l’omessa o tardiva presentazione degli elenchi INTRASTAT non può assumere i connotati di violazione formale, con la conseguente applicazione delle sanzioni e del ravvedimento.

Le violazioni fiscali –L’art. 11, co. 4, D.Lgs. 471/1997 prevede che l’omessa presentazione degli elenchi INTRASTAT, ovvero la loro incompleta, inesatta o irregolare compilazione sono punite con la sanzione da 516,00 a 1.032,00 per ciascuno di essi, ridotta alla metà in caso di presentazione nel termine di trenta giorni dalla richiesta inviata dagli uffici abilitati a riceverla o incaricati del loro controllo. La sanzione non si applica se i dati mancanti o inesatti vengono integrati o corretti anche a seguito di richiesta.

In base alla richiamata disposizione normativa:
• se gli elenchi sono stati omessi si applica la sanzione da 516,00 a 1.032,00 per ciascuno di essi, ridotta alla metà (da 258 a 516) in caso di presentazione nel termine di trenta giorni dalla richiesta inviata dagli uffici abilitati a riceverla o incaricati del loro controllo;
• se gli elenchi sono stati presentati in maniera incompleta, inesatta o irregolare si applica la sanzione da 516,00 a 1.032,00 per ciascuno di essi, salvo che non si provveda spontaneamente alla correzione o che la correzione avvenga nel termine di 30 giorni dalla richiesta dell’ufficio.

Ravvedimento –Come precedentemente accennato, si potrà usufruire dell’istituto del ravvedimento operoso, ex art. 13 del D.Lgs. 472/1997, ottenendo in tal modo la riduzione delle sanzioni ad 1/8. Conseguentemente, le sanzioni ammonteranno a 1/8 di 516,00 ovvero 64,50 da pagare con F24 indicando il codice 8911.

Sono, inoltre, applicabili gli istituti del cumulo giuridico (articolo 12 D.Lgs. 472/1997) e della definizione agevolata delle sanzioni(articolo 16 D.Lgs. 472/1997).

Le violazioni statistiche –Ai sensi del novellato art. 34, co. 5, D.L. 41/1995, come modificato dal Decreto Semplificazioni fiscali, le violazioni di natura statistica sono punite con l’applicazione della sanzione amministrative alle sole imprese che realizzano scambi commerciali con i Paesi membri dell’Unione europea per un ammontare pari o superiore a 750.000,00 euro, secondo quanto indicato nel D.P.R. 19 luglio 2013. Le sanzioni sono applicate una sola volta per ogni elenco INTRASTAT mensile inesatto o incompleto a prescindere dal numero di transazioni mancanti o riportate in modo errato nell’elenco stesso.
Le violazioni statistiche sono sanzionate dall’articolo 34, comma 5, D.L. 41/1995, il quale – nella formulazione vigente sino alle intervenute modifiche introdotte dal Decreto sulle semplificazioni fiscali – prevedeva che l’omessa o inesatta compilazione dei dati statistici fosse punita con la sanzione:
• da 207,00 a 2.066,00 euro, per persone fisiche;
• da 516,00 a 5.164,00 euro, per enti e società.

Era tuttavia prevista la riduzione alla metà delle predette sanzioni se i dati mancanti o inesatti fossero integrati o corretti entro il termine, non inferiore a 30 giorni, stabilito dell’Ufficio.

L’articolo 25 D.Lgs. 175/2014 ha limitato e semplificato l’onere comunicativo-statistico, nella considerazione che gli eventuali errori commessi in sede di adempimento comunicativo hanno natura formale, in quanto non idonei ad arrecare un danno erariale. In particolare, l’omissione o l’inesattezza dei dati statistici negli elenchi riepilogativi si applica alle sole imprese che rispondono ai requisiti indicati nei Decreti emanati annualmente, ai sensi dell’articolo 7, comma 1, D.Lgs. 322/1989. Tale disposizione prevede, al primo comma, secondo periodo, che “è annualmente definita, in relazione all’oggetto, ampiezza, finalità, destinatari e tecnica di indagine utilizzata per ciascuna rilevazione statistica, la tipologia di dati la cui mancata fornitura, per rilevanza, dimensione o significatività ai fini della rilevazione statistica, configura violazione dell’obbligo di cui al presente comma”.

In forza dell’ultimo Decreto pubblicato, trattasi delle imprese che realizzano scambi commerciali con i Paesi membri dell’Unione europea per un ammontare pari o superiore a 750.000,00 euro, secondo quanto indicato nel D.P.R. 19 luglio 2013.

Il riformulato articolo 34, comma 5, D.L. 41/1995 specifica, inoltre, che la sanzione prevista per le violazioni statistiche è applicata una sola volta per ogni elenco mensile inesatto o incompleto, a prescindere dal numero di transazioni mancanti o riportate in modo errato nello stesso.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

EQUITALIA. IMPRENDITORE VITTORIOSO PER 660 MILA EURO

 

Il Tribunale di Venezia mette un freno alla riscossione

Con una sentenza dello scorso 23 settembre (la n. 3079/2015) il Tribunale di Venezia ha accolto il ricorso proposto da un imprenditore e cancellato un debito di 660 mila euro stabilendo due principi fondamentali: 
  • Equitalia può emettere cartelle e agire esecutivamente solo se è in possesso dei requisiti validi e documentabili in grado di giustificare le pretese degli enti pubblici per i quali agisce;
  • la prova dell’esistenza dei detti requisiti deve essere fornita da Equitalia e dagli enti creditori e non dal cittadino preteso debitore.

Il protagonista della vicenda giudiziaria in questione è un fabbro veneziano che è stato patrocinato dall’AUA con l’avvocato Francesco Carraro.
L’imprenditore ha regolarmente pagato gli stipendi ai propri dipendenti, ma non i contributi INPS e INAL per mancanza della liquidità necessaria.
Ebbene, sulle somme dovute a titolo di contributi sono maturati sanzioni e interessi e il debito verso l’erario è così lievitato fino a 660 mila euro. Ma tale debito non potrà essere riscosso – almeno per ora – perché, secondo il Tribunale, Equitalia ha agito senza averne titolo, ossia nel caso di specie il concessionario non poteva pretendere il saldo del debito per conto dell’INPS e dell’INAIL.
L’associazione che ha patrocinato l’imprenditore veneziano fa notare che “sono sentenze come questa che fanno la giurisprudenza e che dimostrano che anche Davide può battere Golia. Noi, nati come associazione per difendere gli automobilisti destinatari di multe ingiuste, ora puntiamo sulla riforma di Equitalia da società per azioni a ente pubblico. Una società di capitali che, legittimamente, persegue scopi di lucro non può gestire la riscossione delle tasse e dei tributi lucrando sugli stessi ed aggravando le già precarie condizioni del contribuente. L’erario incasserebbe molto di più limitandosi ad esigere gli importi dovuti maggiorati dei soli interessi legali senza gli aggi e le more che trasformano somme normali in macigni insostenibili”.

La sentenza n. 3079/2015 del Tribunale di Venezia rappresenta sicuramente un precedente che può tornare utile quando s’intenda impugnare una cartella di pagamento.

AUTORE: REDAZIONE FISCAL FOCUS

CONTENZIOSO: NUOVO LIMITE PER L’OBBLIGO DI ASSISTENZA TECNICA

Premessa – È stata approvata dal Consiglio dei Ministri, martedì 22 settembre 2015, anche la riforma del contenzioso tributario dando così attuazione all’art. 10 della Legge n. 23/2014 (Legge di delega fiscale).

In attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (a giorni) del decreto attuativo, è possibile dare un anticipo di ciò che la riforma contiene. Si tratta di una serie di interventi che tengono conto di alcune osservazioni espresse anche nel parere di Camera e Senato. In particolare, tra le novità si segnalano le seguenti:
• l’innalzamento del valore della lite entro il quale il contribuente può stare in giudizio da sé;
• l’addebito delle spese processuali per chi rifiuta un accordo di conciliazione;
• sono previste nuove regole per la nomina di presidenti delle commissioni tributarie e di magistrati tributari;
• è prevista l’abilitazione alla difesa tecnica anche per i dipendenti dei CAF (solo per le controversie inerenti adempimenti poste in essere dal CAF stesso);
• è stabilita l’immediata esecutività della sentenza, senza dover attendere il suo “passato in giudicato”;
• è introdotta la possibilità di chiedere la sospensione della sentenza al giudice d’appello;
• c’è l’eliminazione dell’alternatività tra l’istituto della mediazione tributaria e quello della conciliazione giudiziale.
Nuovo limite per la difesa personale – Ai sensi dell’art. 12, comma 5, del D.Lgs. 546/1992, le controversie di valore inferiore a 2.582,28 euro, anche se concernenti atti impositivi dei comuni e degli altri enti locali, nonché i ricorsi di cui all’articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 1980, n. 787, possono essere proposti direttamente dalle parti interessate, che, nei procedimenti relativi, possono stare in giudizio anche senza assistenza tecnica. Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.

Con l’approvazione del decreto attuativo della delega fiscale, il legislatore innalza l’attuale soglia fissata a 2.582,28 euro ad euro 3.000,00. Dunque, il contribuente stando alle nuove regole, nell’ambito del processo tributario, può stare in giudizio da se (senza, quindi, farsi assistere da nessun difensore) qualora il valore della lite (così come inteso ai sensi del sopracitato comma 5) sia inferiore a 3.000 euro.

AUTORE: PASQUALE PIRONE

Il difetto di motivazione blocca la cartella

17 Luglio 2015

Il difetto dello ius postulandi impedisce alla CTR di esaminare le eccezioni non rilevabili d’ufficio

Nel giudizio d’appello, il difetto dello ius postulandi impedisce al giudice di esaminare le eccezioni non rilevabili d’ufficio. È quanto emerge da una sentenza dello scorso giugno (n. 796/4/15) con cui la CTR di Catanzaro ha confermato l’annullamento di una cartella esattoriale per imposta di registro per difetto di motivazione.

In via preliminare, il collegio catanzarese ha rilevato, d’ufficio, il difetto di rappresentanza processuale del difensore della parte contribuente, in quanto la procura conferita nell’originario ricorso alla CTP era limitata al solo relativo primo grado di giudizio, mentre nessuna nuova procura è stata apposta a margine o in calce alla memoria di costituzione nel giudizio di appello. Pertanto la CTR ha ritenuto “che l’attività difensiva svolta nell’interesse di parte appellata nel presente grado di giudizio è tamquam non esset e che non possono essere prese considerazione tutte le eccezioni non rilevabili di ufficio”.

Nel merito, la CTR ha invece ritenuto di non poter accogliere l’appello dell’Ufficio. La S.C. ha sostenuto che, “in tema di motivazione delle cartelle, ha osservato il Collegio giudicante, il difetto di motivazione della cartella esattoriale, che faccia rinvio ad altro atto costituente il presupposto dell’imposizione senza indicarne i relativi estremi in modo esatto, non può condurre alla dichiarazione di nullità, allorché la cartella sia stata impugnata dal contribuente, il quale abbia dimostrato, in tal modo, di avere piena conoscenza dei presupposti dell’imposizione, per averli puntualmente contestati; pertanto, non può ravvisarsi un difetto di motivazione nell’atto impositivo vincolato, che espressamente indichi gli anteriori avvisi di accertamento già notificati all’intimato ed in relazione ai quali sia pendente contenzioso, mentre invece erroneamente l’accertamento era stato indicato come definitivo anziché provvisorio, non sussistendo un effettiva limitazione del diritto di difesa, che ricorre unicamente qualora il contribuente non sia stato posto in grado di conoscere le ragioni dell’intimazione di pagamento ricevuta e alleghi il pregiudizio patito effettivamente” (cfr. Cass., Sez. 5, n.2373/13).

Ebbene, nella fattispecie, la cartella esattoriale notificata al contribuente non conteneva alcun riferimento ai presupposti dell’imposizione. Solo nel giudizio d’appello è emerso che il presupposto impositivo era un avviso di liquidazione conseguente alla revoca delle agevolazioni fiscali “prima casa”; sicché, in difetto della dimostrazione in primo grado o in sede di formulazione dell’appello della notificazione del provvedimento di revoca delle agevolazioni “prima casa”, la CTR ha ritenuto di non poter accogliere il gravame dell’amministrazione.

In motivazione si legge: “Ora è che nella fattispecie la cartella esattoriale effettivamente non contiene alcun riferimento ai presupposti dell’imposizione che solo in sede di ricorso d’appello emergono dal ricorso introduttivo dell’Agenzia delle entrate e che sarebbero rappresentati da un avviso di liquidazione di revoca delle agevolazioni fiscali ‘prima casa’ notificato alla contribuente il 28/6/2008, ma del quale non è traccia in atti se non nella descrizione dei pagamenti e sotto la dizione ‘Ruolo n.2009/25 reso esecutivo in data 18-12-2008 ruolo ordinario’. D’altro canto di tale presupposto impositivo non è nemmeno traccia nel ricorso introduttivo di primo grado onde nemmeno può essere invocato dall’appellante il surrichiamato principio di diritto formulato dalla S.C. Scorgendo la cartella esattoriale quindi, in disparte il summenzionato generico richiamo ad un ‘ruolo’, nulla compare in ordine alla natura e provenienza dell’IVA e degli accessori sul relativo importo dei quali viene richiesto il pagamento. Con la conseguenza che non essendo stato dimostrato in primo grado od in sede di formulazione dell’appello che vi sia stata una preventiva notificazione del provvedimento di revoca delle agevolazioni prima casa di cui riferisce l’appellante, il gravame non può trovare accoglimento”.

È stato pertanto mantenuto fermo il disposto della sentenza di primo grado. L’Ufficio non è stato condannato al pagamento delle spese.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Sospensione feriale 30 giorni

15 Luglio 2015

Sospensione feriale termini. Presentazione del ricorso

 Il 2 luglio 2015 un contribuente ha ricevuto un avviso di accertamento avverso il quale vuole proporre impugnazione. Posto che non deve essere attivata la fase di reclamo/mediazione, perché il valore della controversia è superiore a 20mila euro, entro quanto deve essere presentato il ricorso in Commissione tributaria, considerando la sospensione feriale dei termini processuali? 

Dal 1° gennaio 2015 la sospensione feriale è stata ridotta, cioè non va più dal 1° agosto al 15 settembre di ogni anno, ma dal 1° al 31 agosto.

L’art. 1 della Legge n. 742/1969, come modificato dal D.L. 132/14 (conv. in L. 162/14), prevede infatti che ildecorso dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie e a quelle amministrative:

• è sospeso di diritto dal 1° al 31 agosto di ciascun anno;

• e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione.

Pur riferendosi alle sole giurisdizioni ordinarie e amministrative, la sospensione feriale vale anche per il processo dinanzi ai giudici tributari.

Ciò posto, nel caso che ci occupa, il contribuente deve presentare il ricorso, a pena di inammissibilità, entro 60 giorni dalla notificazione dell’atto impugnato (articolo 21 del D.Lgs. 546/1992)

Al detto termine di 60 giorni si applica la sospensione feriale di cui all’art. 1 della L. 742/69; per cui deve essere presentato entro 1° ottobre 2015.

Il termine di 60 giorni per l’impugnazione:

• inizia a decorrere dalla data di notifica (2 luglio);

• si sospende per il periodo dall’1 al 31 agosto (pari a 31 giorni);

• ricomincia a decorrere dal 1° settembre.

Quindi si dovranno conteggiare: 30 giorni dall’1 fino al 31 luglio + 31 giorni di sospensione feriale + altri 30 giorni dall’1 settembre, giungendo così al 1° ottobre.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Contributi per colf e badanti. Importo deducibile

6 Maggio 2015
Come va calcolato l’importo deducibile dei contributi versati alla colf?
Prendendo l’intero importo pagato con i MAV trimestralmente?
Se ad esempio viene assunta una colf, con orario di lavoro superiore alle 24 ore settimanali. È stata assunta dal 1° luglio 2014. La retribuzione oraria è pari ad € 8,00 e relativamente al IV trimestre 2014 le ore lavorate sono pari a 520, a quanto ammontano gli oneri deducibili?

I contributi versati per gli addetti ai servizi domestici e all’assistenza personale o familiare sono deducibili dal reddito complessivo del contribuente ai sensi dell’art. 10, comma 2, ultimo periodo, TUIR.
Sono deducibili, inoltre, fino all’importo di € 1.549,37 anche gli oneri versati per gli addetti ai servizi domestici e all’assistenza personale o familiare.
La norma prevede la deducibilità dei contributi previdenziali in relazione a due tipologie di prestazioni fornite dal lavoratore. Tale possibilità è infatti richiamata con riferimento:

• agli addetti ai servizi domestici, cioè i soggetti che prestano un’attività lavorativa continuativa esclusivamente per la necessità della vita familiare del datore di lavoro privato, quali, ad esempio: colf; baby-sitter; autisti; giardinieri;
• agli addetti all’assistenza personale o familiare; cioè soggetti che provvedono alla cura delle persone del nucleo familiare, quali, esempio tipico, gli assistenti delle persone anziane, comunemente denominate “badanti”.

Diversamente da quanto previsto dall’art. 15, TUIR (detrazione dei compensi erogati a tali soggetti, se il soggetto assistito è “non autosufficiente”) i contributi previdenziali versati sono deducibili a prescindere dalla situazione “fisica” in cui versa il contribuente interessato.
I contributi previdenziali e assistenziali relativi ai soggetti sopra elencati:

• vengono versati dal datore di lavoro, ma sono costituiti da una quota a carico del datore di lavoro e da una quota a carico del lavoratore;
• sono deducibili solo per la quota rimasta a carico del datore di lavoro.

Il versamento all’INPS dei contributi domestici familiari è effettuato per trimestri solari, entro i seguenti termini:

• dal 1° al 10 aprile, per il primo trimestre;
• dal 1° al 10 luglio, per il secondo trimestre;
• dal 1° al 10 ottobre, per il terzo trimestre;
• dal 1° al 10 gennaio, per il quarto trimestre.

Sono deducibili le somme effettivamente versate applicando il principio di cassa, senza tener conto dei trimestri di competenza.
La contribuzione relativa ai lavoratori domestici prevede il versamento di un contributo ordinario e un contributo integrativo.
Tuttavia, per determinare il valore della quota di contributo deducibile non bisogna utilizzare “direttamente” il totale pagato indicato nella ricevuta di pagamento, in quanto tale valore è composto:

– dalla quota di contributo a carico del datore di lavoro, deducibile nel limite di € 1.549,37;
– dalla quota di contributo a carico del lavoratore, non deducibile dal datore di lavoro.

È quindi, necessario scorporare la parte di onere deducibile in capo al datore di lavoro, in quanto la quota di contributo a carico del lavoratore è già stata dedotta al momento del pagamento delle retribuzioni (il reddito del lavoratore è già al netto della quota di contributi a suo carico).
Per effettuare il calcolo corretto dei contributi deducibili è necessario conoscere l’ammontare del contributo ordinario e di quello integrativo a carico del datore di lavoro e del lavoratore.
Gli importi del contributo ordinario (sia la quota a carico del lavoratore che quella a carico del datore di lavoro) sono rinvenibili dalle tabelle di contribuzione predisposte dall’INPS. In particolare, se l’orario di lavoro:

• non supera le 24 ore settimanali, il contributo orario è commisurato a tre diverse fasce di retribuzione;
• è di almeno 25 ore settimanali, il contributo è fisso per tutte le ore retribuite.

A titolo esemplificativo, la tabella relativa ai contributi per il 2014, applicabili ai rapporti di lavoro a tempo determinato eccetto sostituzione di lavoratori assenti (comprensivi del contributo addizionale ex art. 2, comma 28, Legge n. 92/2012) prevede:

– fino a euro 7,86, un importo di contributo orario pari a euro 1,49 (con assegni familiari) (0,35 per il lavoratore) e di euro 1,50 (senza assegni familiari) (0,35 per il lavoratore);
– oltre ad euro 7,86 e fino a euro 9,57, un importo di contributo orario pari a euro 1,68 (con assegni familiari) (0,39 per il lavoratore) e di euro 1,69 (senza assegni familiari) (0,39 per il lavoratore);
– oltre ad euro 9,57, un importo di contributo orario pari a euro 2,04 (con assegni familiari) (0,48 per il lavoratore) e di euro 2,06 (senza assegni familiari) (0,48 per il lavoratore);
– per più di 24 ore settimanali, un importo di contributo orario pari a euro 1,08 (con assegni familiari) (0,25 per il lavoratore) e di euro 1,09 (senza assegni familiari) (0,25 per il lavoratore).

Il contributo integrativo obbligatorio versato dal datore di lavoro alla CAS.SA.COLF (CASsa SAnitaria COLF o cassa malattia colf) pari ad € 0,03 (di cui € 0,01 a carico del lavoratore) per ogni ora di lavoro, è deducibile per il datore di lavoro privato in misura di € 0,02 moltiplicato per l’ammontare delle ore lavorate.

Per il calcolo dei contributi dell’esempio proposto, dunque, il totale dei contributi versati dal datore di lavoro risultano pari a:
€ 561,60 (€ 1,08 x 520) contributo ordinario;
€ 15,60 (€ 0,03 x 520) contributo integrativo.

La quota di contributi a carico del lavoratore sono pari ad:
€ 130,00 (520 x € 0,25) contributo ordinario;
€ 5,20 (520 x € 0,01) contributo integrativo.

Dunque in definitiva, l’ammontare deducibile per il datore di lavoro privato è pari a:
€ 431,60 (€ 561,60 – € 130,00) contributo ordinario;
€ 10,40 (€ 15,60 – € 5,20) contributo integrativo.

Il totale dei contributi deducibili per il datore di lavoro risulta quindi pari ad € 431,60 + € 10,40 = € 442,00.

Autore: Redazione Fiscal Focus

E-commerce: in GU le nuove regole

20 Aprile 2015

 

È stato pubblicato sulla G.U. n. 90 del 18.04.2015, il D.Lgs. 42/2015, approvato nel CDM del 27.03.2015, con il quale si dà attuazione alla direttiva 2008/8/CE, che modifica la direttiva 2006/112/CE, per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi.

In particolare, con il citato Decreto Legislativo si interviene sui criteri di determinazione, ai fini IVA, del luogo della prestazione di servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione ed elettronici rese nei confronti di committenti non soggetti passivi d’imposta. Viene stabilito che l’IVA è dovuta nel luogo ove il committente è stabilito ovvero ha il domicilio o la residenza.

Il nuovo decreto legislativo sostituisce le lettere f) e g) dell’articolo 7-sexies del D.P.R. n. 633/72 e sopprime le lettere h) ed i) del successivo articolo 7-septies e inoltre riscrive l’articolo 74-quinquies (dedicato alle imprese extra Ue che già applicavano un’analoga procedura per l’e-commerce), introducendo gli articoli 74-sexies, septies e octies.

In base alle nuove regole, le prestazioni rientranti nel commercio elettronico diretto rese da un soggetto passivo italiano a un privato consumatore comunitario si considerano effettuate nel luogo in cui il fruitore del servizio è stabilito.

Per evitare ai vari operatori di doversi identificare nei vari paesi in cui sono residenti i propri clienti, è stato istituto il regime denominato “Mini one stop shopping (MOSS)”, operativo a partire dal 1° gennaio 2015. Tale regime opzionale per l’assolvimento dell’imposta relativa ai servizi resi da soggetti passivi nazionali nei confronti di privati stabiliti in altri Stati dell’Unione europea è disciplinato dai nuovi articoli 74-sexies e 74-septies del decreto IVA.

L’adesione al regime speciale, seguendo l’apposita procedura dettata dall’Amministrazione Finanziaria, consente ai soggetti passivi IVA stabiliti in Italia, nonché ai soggetti passivi extra UE che scelgono di identificarsi in Italia, che effettuano prestazioni di servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione o elettronici resi a committenti non soggetti passivi d’imposta domiciliati o residenti nell’Unione europea, di assolvere agli obblighi IVA in Italia senza doversi identificare nei vari Paesi UE di residenza dei committenti privati.

Grazie al Moss, non è più obbligatoria l’identificazione dei fornitori in ciascuno degli Stati membri in cui vengono effettuate le operazioni Iva. Infatti, le dichiarazioni Iva trimestrali e i versamenti, trasmessi telematicamente attraverso il Portale Moss saranno inviati automaticamente ai rispettivi Stati membri di consumo, utilizzando una rete di comunicazioni sicura.

L’adesione al MOSS consente di dichiarare in un unico Stato membro le prestazioni rese nei confronti deiconsumatori finali residenti nei territori dell’Unione europea e di procedere al versamento dell’imposta applicata in ciascuno degli stessi, previa presentazione di una dichiarazione.

Si prevede inoltre l’inserimento di un nuovo comma 6-ter, nell’art. 22, Decreto IVA, in base al quale l’emissione della fattura non è obbligatoria, se non è richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell’operazione, per le prestazioni di servizi di telecomunicazione, di servizi di teleradiodiffusione e di servizi elettronici resi a committenti che agiscono al di fuori dell’esercizio d’impresa, arte o professione.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Spesometro: le operazioni esenti dei medici

14 Aprile 2015
Le ricevute fiscali del medico sono da considerarsi fatture – Il medico è tenuto all’emissione della fattura; a prescindere dal fatto che vengano comunemente definite ricevute fiscali, i documenti emessi da tali soggetti, sono da considerarsi, ai fini degli adempimenti IVA, vere e proprie fatture.
L’art. 2, co. 6, D.L. 2.3.2012, n. 16 ha modificato l’art. 21, co. 1, D.L. 31.5.2010, n. 78, prevedendo per tutte le operazioni rilevanti ai fini dell’Iva, per le quali vige l’obbligo di emissione della fattura, la segnalazione all’Amministrazione Finanziaria tramite l’invio dello “spesometro”, nonostante si tratti di fatture di modico valore.
In particolare, alla luce delle modifiche apportate con il c.d. D.L. 16/2012, il professionista dovrà effettuareuna sola comunicazione per ciascun cliente-fornitore, indicando il valore totale delle operazioni effettuate nei confronti di ciascuno di essi, senza fare alcun riferimento alla soglia dei 3.000 euro.

I compensi ASL del medico vanno inclusi nel modello – In generale, nel modello della comunicazione polivalente, detto anche “spesometro”, vanno incluse le operazioni relative alle:

– cessioni di beni e prestazioni di servizi rese e ricevute per le quali sussiste l’obbligo di emissione della fattura;
– cessioni di beni e prestazioni di servizi rese e ricevute per le quali non sussiste l’obbligo di emissione della fattura, qualora l’importo unitario dell’operazione sia pari o superiore a euro 3.600 al lordo dell’IVA.

Nel caso del medico, che emette fattura esente Iva ex art. 10 del D.P.R. 633/72 per le prestazioni in libera professione, mentre per l’attività della mutua, riceve certificazioni mensili dei compensi dall’Asl, va presentato lo spesometro per entrambe le operazioni.
Come chiarito dal Ministero delle Finanze con la Risoluzione n. 501679 del 23 settembre 1975, i fogli di liquidazione delle competenze mensili rilasciati dalle Asl ai medici di base sono equiparati alle fatture.
Conseguentemente, in base alle disposizioni indicate nell’articolo 23 del D.P.R. 633/72, il medici devono:

– numerare i fogli liquidazione in ordine progressivo, seguendo la stessa numerazione delle fatture emesse;
– registrare i fogli insieme alle fatture emesse, globalmente, mese per mese, entro il giorno 15 del mese successivo.

Dunque, il contribuente è tenuto alla comunicazione di tutti i corrispettivi fatturati, ma anche delle somme ricevute dalla Asl, senza far riferimento alla soglia.
Infatti il cedolino che i professionisti ricevono è sostitutivo della fattura di cui all’articolo 21 del D.P.R. 633/1972, con il conseguente obbligo di registrazione contabile, dunque di inclusione tra le operazioni da comunicare entro il 12/21 novembre 2013 (salvo proroghe).

Il documento riepilogativo come soluzione – Ai fini della compilazione dello spesometro un ruolo importante di semplificazione può essere svolto dal documento riepilogativo, disciplinato dall’art.6, commi 6 e 7 del D.P.R. 695/1996.
Il documento riepilogativo consente ai soggetti passivi IVA di registrare le fatture attive e passive, di importonon superiore a 300 euro, anziché singolarmente, attraverso un documento unico, nel quale devono essere indicati: i numeri delle fatture a cui si riferisce, l’ammontare complessivo delle operazioni e l’ammontare dell’imposta distinto per aliquota applicata.
Il limite dei 300 euro deve intendersi al netto dell’IVA (cfr. Risoluzione 29/E/1996).
L’annotazione nei corrispondenti registri IVA acquisti e vendite viene effettuata con la tempistica dettata dagli articoli 23 e 25 del D.P.R. 633/1972.

Annotazione nei registri – Le fatture o le autofatture emesse nel corso di un mese, di importo inferiore a 300 euro, possono essere registrate cumulativamente, attraverso un documento riepilogativo, entro iltermine di 15 giorni, rispettando sempre il mese di riferimento.
Le fatture di acquistosempre per importi inferiori a 300 euro, possono essere annotate complessivamente, tramite un documento riepilogativo nel modo descritto dalla Risoluzione n.80/E/2012, come segue:

– le singole fatture vanno numerate progressivamente al pari di quelle superiori a detto importo;
– le stesse fatture al di sotto dei 300 euro devono essere riportate nel documento riepilogativo;
– il documento riepilogativo va annotato autonomamente con un proprio numero progressivo.

Nel caso degli acquisti, la registrazione del documento riepilogativo non ha un termine perentorio, dato che il diritto alla detrazione, come previsto dall’art.19 del D.P.R. 633/1972, può essere esercitato con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui l’imposta diviene esigibile.
Per poter detrarre l’imposta, le fatture di acquisto devono essere registrate, al più tardi, entro tale termine, ma in ogni caso prima della liquidazione periodica o della dichiarazione annuale nella quale la detrazione viene operata.

L’incasso – L’Amministrazione finanziaria ha aggiunto, però, che, “per motivi di omogeneità” l’utilizzo di tali documenti riepilogativi ai fini delle imposte dirette può avvenire soltanto se le fatture emesse e/o ricevute riepilogate in essi sono state tutte saldate. In tale ipotesi, come data del documento riepilogativo deve essere considerata quella dell’ultimo incasso o pagamento indicato nel prospetto. Per contro, le fatture non saldate al momento della registrazione del documento riepilogativo, anche se di importo inferiore a 300 euro, andranno registrate separatamente.

La contabilità ordinaria potrebbe essere di ostacolo 
– Ove sia stato annotato un documento riepilogativo, ai sensi dell’art. 6, D.P.R. 695/1996, delle fatture messe e ricevute di importo inferiore ad euro 300, nella comunicazione non vengono indicati né codice fiscale né la partita Iva, ma solo il numero del documento riepilogativo, l’ammontare imponibile complessivo e l’ammontare complessivo dell’Iva.

Nella Ris. 80/E del 2012 l’AdE ha affermato che tale possibilità è ammessa per il professionista in semplificata. Nei registri Iva e nel libro giornale, il documento riepilogativo potrà riportare, in luogo del nominativo dei clienti, la dicitura “documento ex-art.6 D.P.R. 695/1996“, posto che i nominativi saranno facilmente reperibili nelle fatture allegate al documento riepilogativo.
Seppure la norma non sembra di per sé essere inapplicabile ai contribuenti in contabilità ordinaria, si ritiene che, pur nel silenzio dell’Amministrazione Finanziaria, tale modalità di registrazione non possa essere utilizzata, per ragioni di sistema, da tali contribuenti.
Infatti, per i contribuenti in regime di contabilità ordinaria, civilisticamente le annotazioni sul libro giornale vanno fatte giorno per giorno e non in maniera cumulativa; di conseguenza, l’annotazione unica contrasterebbe con tale obbligo, in quanto altererebbe la situazione economico-finanziaria giornaliera.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Certificazione Unica, confermata la proroga per la consegna se non rileva per il 730

La Circolare n. 11/E/2015 conferma la linea già assunta dalle Entrate nel comunicato stampa del 12 febbraio scorso, in cui si ammetteva la possibilità di consegnare “in ritardo” la CU a condizione che contenga redditi non dichiarabili con il 730

Nella Circolare n. 11/E del 23.03.2015 sul 730 precompilato, al par. 2.3, l’Agenzia delle Entrate ha ribadito quanto già affermato nel comunicato stampa del 12 febbraio scorso, in cui consentiva, per questo primo anno di applicazione, alcune semplificazioni per gli operatori. In particolare, viene ribadito che, per il 2015, gli operatori possono scegliere se compilare la sezione dedicata ai dati assicurativi relativi all’INAIL e se inviare o meno le Certificazioni Uniche contenenti esclusivamente redditi esenti. Inoltre, sempre per il 2015, le certificazioni uniche contenenti esclusivamente redditi non dichiarabili mediante il modello 730 (come i redditi di lavoro autonomo non occasionale) possono essere inviate anche dopo la scadenza prevista per il 2015 (quindi dopo il 9 marzo), senza applicazione di sanzioni. La stessa facoltà è consentita nel caso di Certificazioni Uniche che contengano solo dati previdenziali e assistenziali. Come nel comunicato, però, anche nella Circolare non viene precisato un termine definitivo per la consegna delle CU in tali casi.
 Fonte: Agenzia delle Entrate

Denuncia infortuni. Aggiornato il “Mod. 4 bis Prest.”

19 Marzo 2015

È online la nuova versione del “Mod. 4 bis Prest.”, utile per la denuncia/comunicazione di infortunio dei lavoratori

Le aziende che intendono effettuare una denuncia/comunicazione di infortunio dovranno utilizzare il nuovo “Mod. 4 bis Prest”. La nuova versione del modello, in particolare, è stata pubblicata nella sezione modulistica dell’INAIL (www.inail.it), corredata delle relative istruzioni.

Rispetto al vecchio modello, la versione aggiornata prevede le seguenti novità:
• SEZIONE LAVORATORE: inseriti nuovi campi per la comunicazione dei dati relativi ai contratti a tempo parziale (part-time);
• SEZIONE DATORE DI LAVORO: aggiunta la modalità “vaglia postale” per il rimborso delle indennità di inabilità temporanea assoluta al datore di lavoro ai sensi dell’art. 70 D.P.R. 1124/65;
• SEZIONE DATI RETRIBUTIVI: adeguati i campi relativi alla comunicazione delle retribuzioni per gli addetti ai servizi domestici e familiari e di riassetto e pulizia locali; inserita una nuova sottosezione per la comunicazione delle retribuzioni per i dipendenti con contratto di lavoro a tempo parziale (part-time).

Denuncia/comunicazione infortuni –
 Si tratta, in particolare, di un adempimento a cui è tenuto il datore di lavoro nei confronti dell’INAIL in caso di infortuni sul lavoro dei lavoratori dipendenti o assimilati soggetti all’obbligo assicurativo, prognosticati non guaribili entro tre giorni escluso quello dell’evento. Quanto alle tempistiche di invio, l’interessato ha l’obbligo di inoltrare la denuncia entro due giorni dalla ricezione del certificato medico, copia del quale va allegata alla denuncia salvo che non venga trasmessa per via telematica (nel quale caso il datore di lavoro è sollevato dall’onere di invio contestuale del certificato medico).
Sul piano normativo, l’adempimento è legato dall’art. 35 del T.U. Infortuni e dal Dpcm 22 luglio 2011 che impongono l’obbligo di invio telematico della denuncia. Dal 1° luglio 2013, infatti, l’invio telematico della nuova denuncia di infortunio sul lavoro è divenuta obbligatoria, sia per i datori di lavoro titolari di posizioni assicurative presso l’INAIL, sia per i privati cittadini, nella qualità di datori di lavoro di colf, badanti o lavoratori occasionali di tipo accessorio.

Adempimenti datore di lavoro – Come appena accennato, tra gli adempimenti del datore di lavoro vi è l’obbligo di inoltrare la denuncia/comunicazione di infortunio entro due giorni dalla ricezione del certificato medico. Inoltre, è tenuto ad allegare copia del certificato medico qualora provveda alla denuncia/comunicazione di infortunio tramite compilazione del modulo cartaceo. Se la prognosi si prolunga oltre il terzo giorno escluso quello dell’evento, il datore di lavoro deve inoltrare la denuncia/comunicazione entro due giorni dalla ricezione del nuovo certificato medico.
In caso di infortunio mortale o con pericolo di morte, deve segnalare l’evento entro 24 ore e con qualunque mezzo che consenta di comprovarne l’invio, fermo restando comunque l’obbligo di inoltro della denuncia/comunicazione nei termini e con le modalità di legge (art.53, c. 1 e 2, d.p.r. n.1124/1965).
Sul punto, è bene precisare che per gli infortuni prognosticati non guaribili entro tre giorni escluso quello dell’evento, il datore di lavoro deve inviare una copia della denuncia/comunicazione di infortunio all’Autorità locale di Pubblica Sicurezza.

Adempimenti lavoratori –
 Tra gli adempimenti del lavoratore vi rientra l’obbligo di dare immediata notizia al datore di lavoro di qualsiasi infortunio gli accada, anche se di lieve entità (art. 52, D.P.R. n. 1124/1965). In caso contrario, e nel caso in cui il datore di lavoro non abbia comunque provveduto all’inoltro della denuncia/comunicazione nei termini di legge, l’infortunato perde il diritto all’indennità di temporanea per i giorni ad esso antecedenti.

Aspetto sanzionatorio – Sul fronte sanzionatorio, è bene ricordare che la mancata indicazione del codice fiscale del lavoratore fa scattare l’applicazione di una sanzione amministrativa (art. 16, Legge n. 251/1982). Mentre in caso di denuncia mancata, tardiva, inesatta oppure incompleta, è prevista l’applicazione della sanzione amministrativa di cui all’art. 53, D.P.R. n.1124/1965e s.m.i.
Se, invece, l’infortunio è occorso a un lavoratore autonomo del settore artigianato (art. 203, c. 1 e 2, D.P.R. n. 1124/1965) e del settore agricoltura (artt. 1, c. 8, e 2, d. m. 29/05/2001) non è prevista alcuna sanzione amministrativa, ferma restando la perdita del diritto all’indennità di temporanea per i giorni antecedenti l’inoltro della denuncia.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Responsabilità solidale dei contributi

19 Marzo 2015

Non viene abrogata dal Decreto semplificazioni

Premessa – L’abrogazione della responsabilità solidale fiscale negli appalti operata dal comma 1 dell’articolo 28, D.Lgs. n. 175/2014 non influisce sulla disciplina prevista dall’articolo 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003, che dispone la responsabilità tra committente imprenditore/datore di lavoro, appaltatore e ciascuno degli eventuali subappaltatori per il versamento di trattamenti retributivi (comprese le quote di TFR); dei contributi previdenziali; premi assicurativi, dovuti in relazione al periodo di esecuzione di un contratto di appalto di opere o servizi.

Decreto semplificazioni –
 L’articolo 28, comma 1, D.Lgs. n. 175/2014, abrogando l’articolo 35, commi da 28 a 28-ter, D.L. n. 223/2006, elimina la discussa responsabilità solidale fiscale negli appalti. Le disposizioni abrogate prevedevano, per gli appalti di opere o servizi, la responsabilità solidale dell’appaltatore con il subappaltatore, nei limiti dell’ammontare del corrispettivo dovuto, del versamento all’erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente dovute dal subappaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell’ambito del rapporto di subappalto.

Decorrenza –
 L’abrogazione della responsabilità solidale negli appalti ha effetto dal 13 dicembre 2014 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 175/2014); tuttavia, la norma nulla dice riguardo agli effetti dell’abrogazione relativamente al periodo precedente tale data. Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con Circolare n. 31/2014, è necessario separare la responsabilità del committente da quella dell’appaltatore. In particolare, il committente non era considerato responsabile solidale, ma era soggetto all’applicazione di sanzioni amministrativo-tributarie, in caso di inottemperanza agli obblighi. Di conseguenza, nel caso del committente è possibile applicare il principio del favor rei. L’articolo 4, comma 2, D.Lgs. n. 472/97 dispone infatti che: “Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile”. Di conseguenza, per il periodo ante 13 dicembre 2014 la mancata verifica da parte del committente, prima di pagare la fattura, dei versamenti delle ritenute IRPEF effettuati da parte dell’appaltatore (ed eventuali subappaltatori) con riferimento alle prestazioni svolte nell’ambito del contratto di appalto/subappalto, non sarà sanzionata.

Responsabilità retribuzioni –
 La responsabilità solidale per retribuzioni e contributi negli appalti non viene abrogata ma al contrario rimane in vigore. Si noti tuttavia che, dal punto di vista processuale, il committente può eccepire il beneficio d’escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori; di conseguenza, nel caso in cui sia accertata la responsabilità solidale dei coobbligati, l’azione esecutiva dovrà essere preliminarmente avviata nei confronti di appaltatore ed eventuali subappaltatori e, solo in caso di infruttuosa escussione di questi, l’azione di esecuzione potrà essere intentata nei confronti del committente coobbligato solidale.

Ritenute – L’articolo 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003, come modificato dall’articolo 28, comma 2, D.Lgs. n. 175/2014, dispone inoltre che il committente che ha eseguito il pagamento è tenuto, ove previsto, ad assolvere gli obblighi del sostituto di imposta ex D.P.R. n. 600/73, compreso il versamento delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente. In sostanza, il committente convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori, qualora abbia eseguito il pagamento ai lavoratori dei trattamenti retributivi, è tenuto ad assolvere gli obblighi del sostituto di imposta ai sensi del D.P.R. n. 600/73, compreso il versamento delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente.

Autore: Redazione Fiscal Focus

730 precompilato

730 precompilato: chi vince e chi perde

Il nuovo modello per la dichiarazione dei redditi offre vantaggi a chi ha dimestichezza online. Rischiano di perdere clienti i Caf. La novità criticata dal M5S. Ecco, passo per passo, chi e come può utilizzarlo

a cura di ANTONELLA DONATI

ROMA – Il conto alla rovescia è iniziato: il 15 aprile è alle porte e il 730 precompilato da “oscuro oggetto del desiderio” sta per diventare una realtà per 20 milioni di contribuenti. Ma chi ci guadagna e chi rischia di perderci con questa operazione lanciata come una svolta epocale dall’Agenzia delle entrate e criticata  da più parti, dai Caf al M5S? Sicuramente in termini di praticità e risparmio di tempo e di denaro ci guadagnano tutti coloro che hanno dimestichezza con le più semplici operazioni on line, come, ad esempio compilare un bonifico o pagare un F24, che potranno evitare il passaggio dal Caf e avranno più facilmente tutta la situazione dei propri rapporti con il fisco sotto controllo proprio grazie all’account personale.

Potranno invece perderci proprio i Caf in quanto vedranno fatalmente restringersi la platea di chi si rivolge ai loro sportelli. Cambierà anche poco dal punto di vista dei controlli: chi indica spese false, con Caf o senza Caf rischia sempre le stesse sanzioni in quanto il Caf non fa da scudo a comportamenti fraudolenti da parte del contribuente. In ogni caso, il 730 precompilato non è obbligatorio ed è sempre possibile presentare anche il modello cartaceo, con le stesse modalità degli anni passati, anche al proprio datore di lavoro. Chi ha spese da detrarre, quindi, non correrà alcun rischio di perdere le detrazioni se non vorrà cimentarsi con la compilazione on line.

Chi non deve fare il 730 anche se ha avuto spese detraibili.  Innanzitutto va detto che il 730 precompilato non dovrà essere utilizzato da chi è esentato dal presentare la dichiarazione. Come già previsto in passato, infatti, ci sono casi per i quali non occorre preoccuparsi di nulla e basta la presentazione del Cu, la Certificazione unica che ha preso il posto del Cud, in quanto anche se si hanno spese da detrarre non si pagano imposte e quindi le detrazioni fiscali non possono essere fatte valere. Si tratta di tutti coloro che hanno:
solo terreni o fabbricati con reddito fino a 500 euro l’anno oltre quello della prima casa;
solo redditi da lavoro per 365 giorni, o anche lavoro e altri redditi, per un importo complessivo lordo fino a 8.000 euro l’anno;
pensione per 365 giorni e altri redditi, ad esempio da locazione, a patto che la somma delle due tipologie di reddito non superi i 7500 euro l’anno, oppure pensione fino a 7.500 euro più terreni per un importo non superiore a 182 euro l’anno;
solo redditi da attività occasionali, da collaborazioni o da diritti d’autore, fino a 4.800 euro l’anno;
solo assegni di mantenimento dell’ex coniuge fino a 7500 euro l’anno;
solo redditi da attività sportive dilettantistiche fino a 28.158 euro;
solo redditi esenti quali borse di studio, pensioni sociali, indennità di accompagnamento,  assegni sociali, sussidi, indennità erogate dall’Inail;
solo redditi con ritenuta di imposta alla fonte (voucher, lavori socialmente utili).

In tutti questi casi, come detto, dato che non si pagano imposte non si possono avere detrazioni e quindi non c’è necessità di presentare il 730, precompilato o meno che sia.

Chi può evitare il 730 se non ha spese detraibili.  Può evitare il 730 se non ha spese detraibili anche chi ha un solo lavoro o una sola pensione, oppure i redditi percepiti sono già stati conguagliati nella Certificazione unica, come accade, ad esempio, in caso di pensionati che incassano anche la reversibilità, ossia due pensioni ma già conguagliate alla fonte. L’esenzione opera anche se oltre a lavoro o pensione si è anche proprietari della prima casa (e relative pertinenze) e di altri immobili non locati in comuni diversi da quello di residenza. In questi casi, il 730 non serve a nulla dato che alle tasse sui redditi ci ha già pensato il datore di lavoro, e sulle case si paga solo l’Imu.

Quali dati nel 730 precompilato. Al di fuori dei casi di esclusione occorrerà invece prendere visione del 730 precompilato per decidere se accettarlo o integrarlo, o presentare il 730 di carta. Nel 730 precompilato, infatti, saranno presenti per quest’anno solo le seguenti voci di spesa:
contributi previdenziali volontari e obbligatori;
contributi previdenziali per colf e badanti;
versamenti ai fondi pensione;
premi di assicurazioni sulla vita;
mutui;
rate per detrazioni per ristrutturazioni, risparmio energetico e bonus mobili già in corso;
crediti d’imposta non utilizzati in precedenza.

Chi non integra la dichiarazione non avendo di fatto “nulla da dichiarare” non avrà ovviamente alcun tipo di controllo, esattamente come accade a chi presenta solo il Cu. Nulla di nuovo e nessuna impunità, dunque, ma anzi un sistema che amplia la platea dei soggetti sui quali non ci sono, appunto, i controlli formali in quanto i dati utili sono tutti raccolti alla fonte dall’Agenzia delle entrate.

Resta comunque il potere dell’Agenzia di controllare, anche se si accetta la dichiarazione precompilata, tutte le situazioni soggettive che danno diritto ad utilizzare le detrazioni, come ad esempio l’uso effettivo come abitazione principale della casa per la quale si detrae il mutuo. Nessuna impunità, dunque, da questo punto di vista, sia che si accetti il 730 precompilato sia che si decida di integrare la dichiarazione.

Chi dovrà integrare il modello. Alla luce dei dati già presenti in dichiarazione, quest’anno dovrà integrare il 730, per avere ulteriori detrazioni, solo chi ha  effettuato nel 2014:
spese per il primo anno per lavori di ristrutturazione, risparmio energetico e acquisto di mobili e elettrodomestici;
spese mediche superiori a 129,11 euro l’anno (la franchigia oltre la quale spetta la detrazione);
spese per affitto della prima casa;
spese universitarie;
spese per affitto per studenti fuori sede;
spese per asili nido e palestre per i figli minori;
spese per la badante;
spese funebri;
spese per donazioni detraibili o deducibili.

Una integrazione che sarà comunque necessaria solo per quest’anno, in quanto dall’inizio del 2015 anche tutte queste voci di spesa sono raccolte a monte dall’Agenzia, e quindi saranno presenti nel 730 del prossimo anno.  Accettare il 730 precompilato, quindi, sarà automatico per la gran parte dei contribuenti.

Cosa accade a chi integra la dichiarazione. Tornando al prossimo 730, chi decide di integrare la dichiarazione da solo è responsabile di quanto dichiarato, quindi potrò subire i controlli già previsti in passato sulle spese dichiarate. Chi decide di servirsi dei un Caf dovrà consegnare al Caf tutta la documentazione necessaria e sarà il Caf ad effettuare i controlli al posto dell’Agenzia. Quindi se il Caf sbaglia sarà lo stesso Caf a pagare e non il contribuente, se il contribuente presenta false dichiarazioni, invece, anche se il Caf non se ne accorge la responsabilità è sempre personale, e quindi le sanzioni saranno comunque a carico del contribuente infedele.

Il cartaceo non va in pensione.  Il 730 precompilato, quindi, di fatto cambierà la vita, in meglio, a tutti coloro che già in passato provvedevano a presentare il modello già compilato al proprio datore di lavoro o al Caf. Chi è capace di farlo, quest’anno ha la comodità in più di poter utilizzare il computer non solo per la compilazione ma anche per l’invio, saltando la fase di stampa e consegna ad un altro soggetto. Niente file, niente appuntamenti, nessuna perdita di tempo.
Chi non può o non vuole cimentarsi con il computer, invece, può comunque continuare a presentare il 730 cartaceo, al proprio datore di lavoro o al Caf, in quanto la versione on line e quella di carta viaggiano insieme. Non c’è, quindi, alcun obbligo di cambiare le proprie abitudini e i Caf non potranno imporre l’uso del modello precompilato, a costi più elevati, a chi decide di presentarsi con  il 730 in versione “tradizionale”.

Compensazioni crediti tributari, aspetti contabili e fiscali

ACCADEMIA ROMANA DI RAGIONERIA –

Compensazioni crediti tributari, aspetti contabili e fiscali

Nella nota operativa n. 11, l’Accademia Romana di Ragioneria fa il punto sull’istituto della compensazione dei crediti tributari, sia orizzontale, che verticale, approfondendone i relativi aspetti contabili e fiscali.

Sul piano oggettivo, il documento identifica i debiti e i crediti che ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. n. 241/1997 possono essere compensati in via orizzontale.
Si tratta, in particolare, dielle imposte sui redditi, relative addizionali e ritenute alla fonte riscosse mediante versamento diretto, dell’IVA, delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi, dei contributi previdenziali e assistenziali, del diritto camerale e della tassa di concessione governativa.
La suddetta modalità di compensazione è soggetta a precisi limiti normativi, a differenza di quanto previsto per la compensazione verticale.
La compensazione verticale di un tributo può avvenire secondo due modalità alternative:
1) attraverso il modello F24;
2) direttamente in sede di dichiarazione (modalità, quest’ultima, non applicabile in alcuni casi particolari).
Più complesso è il caso della compensazione orizzontale.
L’utilizzo di crediti d’imposta per il pagamento di tributi di tipologia diversa, come si è anticipato, è infatti sottoposto a maggiori limiti e controlli.
Proprio con riferimento a tali operazioni, il legislatore è intervenuto di recente con la L. n. 147/2013.
In primo luogo è necessario tenere distinte le compensazioni orizzontali dei crediti IVA con quelli derivanti da altre imposte.
Per quanto riguarda il credito IVA, infatti, vi sono diverse limitazioni in base all’importo utilizzato in compensazione orizzontale:
– compensazione di crediti IVA inferiori a 5.000 euro
Le compensazioni orizzontali per importi inferiori a 5.000 euro possono essere effettuate dal primo giorno del periodo d’imposta successivo a quello in cui il credito è maturato tramite F24 (ad esempio, per i contribuenti che hanno il periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, il credito IVA 2013 è utilizzabile dal 1° gennaio 2014).
– credito IVA compensato compreso tra 5.000 e 15.000 euro
La compensazione può essere effettuata solo dopo la presentazione della dichiarazione IVA e in particolare dal giorno 16 del mese successivo a quello in cui la dichiarazione è stata inviata. Per effettuare la compensazione si devono utilizzare esclusivamente i canali messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate.
– compensazioni di crediti IVA superiori a 15.000 euro
La compensazione può essere effettuata, sempre dal giorno 16 del mese successivo a quello in cui la dichiarazione è stata inviata e tramite fisconline/entratel, a condizione che la dichiarazione sia provvista di visto di conformità apposto da soggetti abilitati, iscritti in un apposito registro tenuto dall’Agenzia delle Entrate.
Per le compensazioni che superano 5.000 euro, l’invio del modello F24, tramite i software dell’Agenzia delle Entrate, può avvenire dal decimo giorno successivo alla presentazione della dichiarazione.
La data di addebito tuttavia non potrà essere precedente al giorno 16 del mese successivo a quello in cui la dichiarazione è stata inviata (circolare n. 1/E del 2010).
La compensazione orizzontale relativa alle altre imposte (IRES, IRPEF, IRAP, etc.) segue regole leggermente diverse rispetto a quelle in vigore per l’IVA.
In particolare, le compensazioni di imposte diverse dall’IVA possono essere effettuate dal primo giorno del periodo d’imposta successivo a quello in cui il credito è maturato, a prescindere dall’importo. In nessun caso, dunque, la dichiarazione nella quale viene evidenziato il credito deve essere obbligatoriamente presentata prima della compensazione (circolare n. 10/E/2014).
Qualora il credito fosse superiore a 15.000 euro, così come avviene per l’IVA, sarà obbligatorio apporre il visto di conformità alla dichiarazione che potrà essere comunque presentata successivamente alla compensazione. Detto limite si applica ai crediti maturati a partire dal periodo d’imposta 2013.
In quest’ultimo caso – rileva l’Accademia Romana di Ragioneria – l’utilizzo dei software messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate non sembra obbligatorio, in quanto il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 185430/2009 fa riferimento esclusivamente all’utilizzo del credito IVA.
L’utilizzo di Entratel/Fisconline, anche per le compensazioni di tributi diversi dall’IVA, è, però, sicuramente consigliabile.

Società estinta. Accertamento nullo

5 Marzo 2015

Sentenza della CTP di Siracusa

L’accertamento notificato a una società cancellata dal Registro delle imprese è nullo in quanto emesso nei confronti di un soggetto giuridicamente inesistente.

A sostenerlo è la sentenza n. 111/01/15 della Commissione Tributaria Provinciale di Siracusa (pubblicata lo scorso 21 gennaio).

Gli ex rappresentanti di una SRL hanno eccepito con successo il difetto di legittimazione rispetto ad alcuni avvisi di accertamento intestati alla società e notificati dall’Agenzia delle Entrate alla medesima e ai suoi soci quando ormai era intervenuta la cancellazione dal Registro delle imprese.

Il collegio di primo grado, in linea con l’insegnamento della Suprema Corte, ha affermato che la cancellazione di una società consente di presumere il venir meno della capacità e soggettività giuridica della stessa, rendendo opponibile ai terzi tale evento, con la conseguente nullità degli avvisi di accertamento notificati alla società estinta e cancellata dal registro delle imprese, nonché, per derivazione, degli avvisi di accertamento notificati ai soci.

La Cassazione ha infatti chiarito che “la cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio” (cfr. sent. n. 6070/2013).

Di qui la decisione dei giudici siracusani di annullare gli avvisi di accertamento in questione, poiché mancanti di un elemento essenziale: il soggetto destinatario (infatti sono stati notificati a una società inesistente).

È doveroso a questo punto ricordare che il comma 4 dell’articolo 28 del D.Lgs. n. 175/2014 (c.d. decreto “semplificazioni”) stabilisce che “ai soli fini della liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società, disciplinata dall’art. 2495 del codice civile, produce effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese”.

L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 31 del 30 dicembre 2014, ha attribuito efficacia retroattiva alla nuova disposizione che, di fatto, “resuscita” per cinque anni le società estinte, seppure ai soli fini fiscali e contributivi.

In occasione di Telefisco 2015, l’Agenzia delle Entrate ha poi sostenuto che, a partire dal 13 dicembre 2014, data di entrata in vigore del decreto “semplificazioni”, l’avviso di accertamento contenente la rettifica della dichiarazione della società estinta potrà essere emesso nei suoi confronti e notificato presso la sede dell’ultimo domicilio fiscale in quanto, a tal fine, l’effetto dell’estinzione si produrrà solo dopo cinque anni dalla data della cancellazione; “la società, precedentemente alla cancellazione, potrà avvalersi, comunque, della facoltà di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano ai sensi dell’articolo 60, comma 1, lettera d) del D.P.R. n. 600/73. Si ritiene che il suddetto atto sia impugnabile dai soggetti responsabili ai sensi degli articoli 2495 del Codice civile e/o 36 del D.P.R. n. 602 del 1973” (circ. n. 6/E del 2015).

Autore: Redazione Fiscal Focus

PESANTI SANZIONI PER LA MANCATA ISTITUZIONE DEL POS DA PARTE DI PROFESSIONISTI ED IMPRESE

5 Marzo 2015

Pubblichiamo quanto pervenuto in redazione

La battaglia sull’obbligatorietà del pos per professionisti ed imprese è l’oggetto del disegno di legge 1747 presentato in Senato il 22 gennaio scorso dai senatori Aiello, Gentile, Bilardi e Di Giacomo.
Il suddetto provvedimento prevede di premiare con uno sconto fiscale i soggetti “meritevoli” e sanzionare chi non si adegua alla norma introdotta dal decreto legislativo 179/2012. Ad essere premiati, dunque, i professionisti che istituiscano il pos con agevolazioni di natura fiscale e, nel contempo, anche i consumatori o fruitori del servizio nel caso venga negata la legittima possibilità di procedere al pagamento mediante gli strumenti elettronici previsti dalla legge.

Nel dettaglio il Ddl presentato (atto parlamentare 1747) prevede all’art.1 che chi utilizza il pos ha diritto a detrarre dall’imponibile reddituale il costo percentuale di ciascuna transazione eseguita tramite questo strumento di pagamento; introduce poi ammende sul fronte delle sanzioni: una prima ammenda di 500 euro per chi è sprovvisto di pos. Competente alla rilevazione dell’irregolarità è la Guardia di Finanza durante controlli di routine o a seguito di segnalazioni da parte dei clienti. Pagata la sanzione si hanno 30 giorni per adeguarsi e 60 giorni per comunicare alla Gdf l’avvenuta installazione. In caso di mancato adeguamento o comunicazione scatta una seconda ammenda, questa volta di mille euro, e l’esercente o professionista ha ancora un mese di tempo per mettersi in regola. Per i più refrattari scatta infine la sospensione dell’attività professionale o commerciale sino al completo adeguamento alla normativa in materia.

L’obbligatorietà del Pos (l’apparecchio che consente di pagare con il bancomat) per imprese, professionisti, artigiani e commercianti, scattato già a far data dal 30 giugno 2014, ha suscitato tanto scalpore lo scorso anno, ma finalmente la norma è arrivata, seppure senza espresse sanzioni per i “fuori legge” e con nessuna agevolazione per chi, invece, la legge la rispetta.

“Questa introduzione, purtroppo, non ha portato a quella diffusione capillare tanto auspicata, che avrebbe dovuto creare ancora più tracciabilità nei sistemi di pagamento”, ha dichiarato il coordinatore regionale Campania UNAGRACO, Fabio Cecere, “il risultato è stato che chi già aveva il Pos ha continuato ad usarlo, e qualcuno tra quelli che ne erano sprovvisti, lo ha installato ma si tratta di una minoranza di casi”.

L’obbligo di accettare pagamenti in moneta elettronica scatta oltre i 30 euro, ma tanti consumatori non sanno che il pagamento con il bancomat che va oltre una certa cifra è un diritto che non viene fanno valere.

“In questo momento di crisi generale in cui i professionisti stentano a ricevere i compensi ordinari per carenza di liquidità e  di totale stagnazione dell’economia, inserire l’obbligatorietà dell’istituzione del pos con sanzioni così elevate risulta essere anacronistica ed addirittura dannosa”, ha aggiunto il Presidente Nazionale UNAGRACO, Giuseppe Diretto,  “l’introduzione di premi e sanzioni crea ulteriori ostacoli e non garantisce da sola la trasparenza nella tracciabilità fiscale”

“L’obiettivo è quello della lotta all’evasione, che la nostra categoria condivide e supporta – ha continuato il numero uno UNAGRACO, Giuseppe Diretto – mi sembra doveroso  evidenziare che noi commercialisti, da anni, rappresentiamo un fronte contro l’evasione. Basti pensare alle norme sull’antiriciclaggio e a tutte le responsabilità che a vario titolo ricadono ad oggi sui nostri studi. La nostra professione si è molto evoluta e nel tempo siamo diventati i garanti ideali del rispetto della normativa fiscale. Per questi motivi, non possiamo condividere questo ulteriore strumento che il legislatore ha individuato per perseguire la lotta al cosiddetto “nero”. L’introduzione dei Pos premia soltanto gli Istituti bancari che fra commissioni, costi di installazione, costi di chiamata e canoni diverranno soci dei nostri Studi.

L’evasione non si combatte con il POS. Obbligo che ricordiamo riguarda non solo i Professionisti ma anche artigiani e commercianti. L’evasione si combatte attuando una politica di esame analitica delle posizioni individuali, ma coerente con le realtà produttive.

Il POS è una “mezza misura” e come tale non funge allo scopo per cui è stata concepita.

Acquisti Intra-Ue per i minimi

19 Febbraio 2015

Rilevante la soglia di 10.000 euro

Premessa – Per i nuovi contribuenti forfettari se nell’anno precedente non è stata superata la soglia di 10.000 euro, e fino a quando tale limite non viene superato in quello in corso, gli acquisti non si considerano intracomunitari. Il fornitore deve emettere quindi fattura addebitando la propria imposta. Al contrario, in caso di superamento del predetto limite, si effettua un acquisto intracomunitario per il quale si dovrà procedere a integrazione della fattura e al versamento dell’Iva, presentando l’Intrastat.

Legge di Stabilità – Per il nuovo regime forfettario istituito dalla Legge di Stabilità 2015 viene previsto che i contribuenti “non esercitano la rivalsa dell’imposta di cui all’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, per le operazioni nazionali”. La normativa sopra richiamata prevede quindi che le operazioni nazionali non diano origine ad alcun addebito dell’Iva a titolo di rivalsa e, conseguentemente, viene meno il diritto alla detrazione della stessa sugli acquisti effettuati.

Cessioni intracomunitarie – Per quanto riguarda le cessioni intracomunitarie, la norma prevede che a tali operazioni si applichi il comma 2-bis dell’art. 41 del D.L. n. 331/1993, secondo il quale “non costituiscono cessioni intracomunitarie […] le cessioni di beni effettuate dai soggetti che applicano, agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, il regime di franchigia”. Le cessioni di beni intracomunitarie sono, quindi, assimilate alle cessioni interne senza diritto alla rivalsa (e nell’altro Stato membro non si configura un acquisto intracomunitario). In tal caso, il cedente nazionale deve indicare sulla fattura emessa nei confronti dell’operatore comunitario che l’operazione è soggetta al regime forfettario, e pertanto non costituisce cessione intracomunitaria, ai sensi dell’articolo 41, comma 2-bis del citato decreto legge.

Acquisti intracomunitari – Relativamente agli acquisti intracomunitari si rinvia al regime previsto dall’art. “38, comma 5, lettera c), del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427”. Secondo tale disposizione legislativa gli acquisti di beni intracomunitari, fino alla soglia di 10.000 euro annui, sono considerati non soggetti ad Iva nel Paese di destinazione e rimangono assoggettati a tassazione nel Paese di provenienza, conformemente a quanto disposto dall’articolo 38, comma 5, lettera c), del Decreto Legge 331/1993. Al superamento della citata soglia annua i soggetti operanti nel regime devono integrare la fattura con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta che deve essere versata.

Servizi intracomunitari – Per la territorialità dei servizi generici nel regime forfettario trovano applicazione le regole dell’articolo 7-ter D.P.R. 633/1972: in caso di servizi resi si emette fattura senza addebito d’imposta e in caso di servizi ricevuti (rilevanti in Italia) si procede ad integrazione o autofatturazione e si versa l’Iva. Quando la controparte è un soggetto passivo Ue si dovrebbe compilare l’Intrastat, eventualmente come da circolare 36/E/2010. Per i servizi in deroga (articoli successivi al 7-ter) valgono le stesse considerazioni previste sui servizi generici. In caso di servizi resi rilevanti in altri Paesi si dovrà anche fare attenzione alla necessità di identificarsi ai fini Iva, qualora sia richiesto dalle disposizioni in tali Stati. Non si compilano mai i modelli Intrastat.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Minimi: vecchio regime anche per il 2015

18 Febbraio 2015

Milleproroghe approvato alla Camera

Premessa – La legge di conversione del decreto legge Milleproroghe ha ottenuto il via libera dalla Camera nella serata di ieri, adesso è necessario che entro il 1° marzo il testo venga approvato dal Senato. Le principali novità introdotte riguardano lo slittamento al 2015 per il “vecchio” regime dei minimi, il blocco dell’aumento Inps per le partite Iva e la proroga della rateazione delle cartelle di Equitalia. 
Proroga per i minimi – Nel testo della legge di conversione del decreto legge Milleproroghe compare l’intervento annunciato nei giorni scorsi che prevede, in deroga alla legge di stabilità, la proroga a tutto il 2015 del “vecchio” regime dei minimi. In altre parole viene lasciata ancora per tutto il 2015 la possibilità di aderire al regime agevolato con aliquota del 5% che coesisterà con il nuovo regime forfettario con aliquota al 15% in attesa di una riforma definitiva da attuare nella delega fiscale. In questo modo anche per tutto l’anno in corso viene concesso ai soggetti che aprono partita Iva di beneficiare della tassazione ultraridotta dei vecchi minimi e con soglie di ricavi o compensi a 30.000 € uguali per tutti.

Bloccato aumento Inps per le Partite Iva –
 Approvato anche l’emendamento che prevede il blocco al 27,72%, per il terzo anno consecutivo dell’aumento previsto dell’aliquota contributiva Inps per le partite Iva, grazie alla copertura di 120 milioni di euro individuata dal governo. L’aliquota dei contributi previdenziali dovuta dai titolari di partita Iva iscritti alla gestione separata Inps aumenterà gradualmente nei prossimi anni: salirà al 28% nel 2016 e al 29% nel 2017.

Sfratti, mini proroga di 4 mesi – Arriva inoltre una sorta di “mini-proroga” per 4 mesi del blocco degli sfratti: la riformulazione di diversi emendamenti al Milleproroghe prevede che il giudice possa “disporre la sospensione dell’esecuzione” dello sfratto “fino al centoventesimo giorno dall’entrata in vigore della legge di conversione”, per consentire il “passaggio da casa a casa”.

Proroga rateazione Equitalia 
– Prevista, inoltre, la possibilità per i contribuenti decaduti da un precedente piano di rateazione con Equitalia di accedere nuovamente alla negoziazione dilazionata del pagamento. Nel dettaglio il testo di legge prevede la possibilità di richiedere la concessione di un nuovo piano, fino a un massimo di 72 rate mensili, alla luce dell’esperienza positiva maturata lo scorso anno con il D.L. n. 66/2014. Viene inoltre previsto che a seguito della richiesta di rateazione non possano essere avviate nuove azioni esecutive. Nella relazione illustrativa si legge che “il periodo di scadenza per la concessione viene prorogato per la decadenza dal 22 giugno 2013 al 31 luglio 2015, mentre per la relativa richiesta dal 31 luglio 2014 al 31 luglio 2015”. Il nuovo piano non sarà prorogabile e ne è prevista la decadenza in caso di mancato pagamento di due rate, anche non consecutive.

Rientro ‘cervelli’ – Prorogati, infine, di altri due anni (quindi fino al 31.12.2017) gli incentivi per il rientro in Italia dei lavoratori ex L. 238/2010.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Per inserire i vostri commenti dovete registrarvi.

Sgravio triennale. Arrivano le istruzioni INPS

  • 17 Febbraio 2015

Tutto pronto per le assunzioni agevolate: ecco le istruzioni per i datori di lavoro

Se un datore di lavoro supera per un dato mese la soglia massima di esonero dal versamento contributivo – pari a 671,66 euro – può conguagliare l’eccedenza nei mesi successivi nel rispetto sempre della capienza (671,66 euro mensili e 8.060 euro annuali).È questo il chiarimento principale contenuto nel tanto atteso messaggio INPS (n. 1144/2015) che detta le regole per fruire dello sgravio contributivo triennale per le nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato nel corso del 2015 (art. 1, c. 118 e seguenti della L. n. 190/2014).

Bonus assunzioni – La Legge di Stabilità (L. n. 190/2014) all’art. 1, c. 118 ha introdotto un importante esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro in relazione alle nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato nel periodo “1° gennaio 2015 – 31 dicembre 2015”.
Esso è rivolto a tutti i datori di lavoro privato, anche agricoli (con modalità, condizioni e misure specifiche). Rientrano nel beneficio anche i soggetti non imprenditori. Mentre restano esclusi i contratti di lavoro domestico e i contratti di apprendistato.
L’incentivo è pari all’ammontare dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, con esclusione dei premi e contributi INAIL, nel limite massimo di un importo pari a euro 8.060 su base annua (671,66 euro su base mensile).
La durata è pari a 36 mesi (tre anni) dalla data di assunzione.

Codifica e flusso UniEmens – Passando ora alle specifiche tecniche fornite dall’INPS, è stato precisato che i datori di lavoro aventi titolo all’esonero contributivo dovranno richiedere all’INPS l’attribuzione del codice di autorizzazione “6Y”, avente il significato di “Esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, legge n. 190/2014”. Richiesta, questa, che potrà essere effettuata avvalendosi della funzionalità “Contatti” dal cassetto previdenziale aziende selezionando nel campo oggetto la denominazione “esonero contributivo triennale legge n. 190/2014”, utilizzando la seguente locuzione: “Richiedo l’attribuzione del codice di autorizzazione 6Y ai fini della fruizione dell’esonero contributivo introdotto dalla legge n. 190/2014, art. 1, commi 118 e seguenti, come da circolare n. 17/2015”.
In caso di esito positivo della richiesta, l’INPS ne darà comunicazione al datore di lavoro mediante il cassetto previdenziale.

Ai fini UniEmens, per esporre il beneficio spettante i datori di lavoro dovranno valorizzare all’interno di “DenunciaIndividuale”, “DatiRetributivi”, elemento “Incentivo” i seguenti elementi:
• nell’elemento “TipoIncentivo” dovrà essere inserito il valore “TRIE” avente il significato di “Esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190”;
• nell’elemento “CodEnteFinanziatore” dovrà essere inserito il valore “H00” (Stato);
• nell’elemento “ImportoCorrIncentivo” dovrà essere indicato l’importo posto a conguaglio relativo al mese corrente, calcolato in base ai criteri illustrati nella circolare n. 17/2015;
• nell’elemento “ImportoArrIncentivo” dovrà essere indicato l’importo dell’esonero contributivo relativo all’esonero contributivo dei mesi di competenza di gennaio e/o febbraio 2015. Sul punto, viene precisato che la valorizzazione del predetto elemento può essere effettuata esclusivamente nei flussi UniEmens di competenza di febbraio 2015, relativamente all’arretrato del precedente mese di gennaio, o di marzo 2015, relativamente all’arretrato dei precedenti mesi di gennaio e/o febbraio.

Casi particolari – Quali dati vanno esposti nel flusso UniEmens in caso di superamento della soglia mensile massima, pari a 671,66 euro? Ebbene, in tal caso l’esposizione dell’agevolazione nel flusso UniEmens deve avvenire valorizzando all’interno di “DenunciaIndividuale” di “DatiRetributivi”, l’elemento “AltreACredito” i seguenti elementi:
• “CausaleACredito”, con l’indicazione del codice causale “L700” avente il significato di “conguaglio residuo esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, legge n. 190/2014”;
• “ImportoACredito”, con l’indicazione dell’importo dell’esonero contributivo da recuperare sulla base della metodologia sopra illustrata.
Sul punto, l’INPS ha ritenuto opportuno effettuare una precisazione importante per quanto concerne i casi di superamento della soglia massima mensile. Ebbene, in tal caso l’eccedenza può essere esposta nel mese corrente e nei mesi successivi e comunque rispettivamente entro il primo, il secondo e il terzo anno di durata del rapporto di lavoro, fermo restando la soglia massima annua (pari a 8.0600 euro).
Facciamo due esempi.
Ipotizziamo un rapporto di lavoro agevolato a tempo pieno instaurato l’1.05.2015. Per i primi due mesi di maggio e giugno l’importo dei contributi non dovuti è pari a euro 600. A luglio, invece, a seguito di un aumento dell’imponibile per corresponsione di premi o altri emolumenti, l’importo dell’esonero spettante è pari a euro 750.
Nella denuncia relativa al mese di luglio, il datore di lavoro non può esporre la somma di euro 750,00 nell’elemento corrente in quanto superiore alla soglia massima mensile, per cui indicherà nell’elemento “ImportoCorrIncentivo” la somma di € 671,66.
A questo punto, la differenza fra l’importo dell’esonero spettante per il mese di luglio e la soglia massima mensile di esonero, pari a € 78,34 (750,00-671,66) può essere fruita nello stesso mese, in quanto inferiore alla quota residuale di esonero non fruita nei due mesi precedenti, pari per maggio a 671,66-600,00 e per giugno a 671,66-600,00, per un totale di 143,32 euro.
Ipotizziamo sempre un datore di lavoro che i primi due mesi fruisce un esonero contributivo di 600 euro. Nel terzo mese, però, l’importo dell’esonero spettante è pari a euro 750.
Come nell’esempio precedente, nella denuncia relativa al mese di luglio il datore di lavoro non può esporre la somma di € 1.750 nell’elemento corrente in quanto superiore alla soglia massima mensile, per cui indicherà nell’elemento la somma di 671,66.
La differenza spettante è pari a € 1.078,34 (1.750,00-671,66), supera la quota residuale di esonero non fruita nei due mesi precedenti, pari per maggio a 671,66-600,00 e per giugno a € 671,66-600,00 per un totale di 143,32 euro.
Potrà pertanto essere conguagliata nel mese solo la somma di euro 143,32. Mentre l’ulteriore eccedenza pari a € 935,02 (1.078,34-143,32) potrà essere conguagliata secondo le istruzioni sopra indicate nei mesi successivi nel rispetto della capienza.

Importi indebiti 
– Qualora un datore di lavoro si sia avvalso di importi indebiti, dovrà valorizzare all’interno di “DenunciaIndividuale”, “DatiRetributivi”, “AltreADebito”, i seguenti elementi:
• nell’elemento “CausaleADebito” dovrà essere inserito il codice causale “M304” avente il significato di “Restituzione esonero contributivo articolo unico, commi 118 e seguenti, legge n. 190/2014”;
• nell’elemento “ImportoADebito”, indicheranno l’importo da restituire.

Infine, utili precisazioni arrivano anche per i datori di lavoro agricoli, i quali potranno accedere al beneficio previo invio telematico del modello di comunicazione “ASSUNZIONE OTI 2015”, disponibile all’interno del “Cassetto previdenziale aziende agricole”, sezione “Comunicazioni bidirezionali – Invio Comunicazione”.
Attenzione. Entro 14gg lavorativi dalla ricezione della comunicazione di prenotazione positiva dell’Istituto, il datore di lavoro, per accedere all’incentivo, ha l’onere di comunicare all’Istituto – compilando la seconda sezione del modulo di domanda – l’avvenuta stipula del contratto di assunzione a tempo indeterminato. Il termine è perentorio.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Telefisco 2015: i chiarimenti dell’Agenzia

30 Gennaio 2015
Molte le novità apportate dalla Legge di stabilità 2015, L. 190/2014 e dai decreti di fine 2014 in materia tributaria, dunque molti i temi trattati in occasione di Telefisco 2015: appuntamento annuale in cui la stampa specializzata incontra i professionisti e i funzionari dell’Agenzia delle Entrate. 
Di seguito riportiamo i principali chiarimenti forniti dall’Amministrazione Finanziaria.

Split payment – L’Amministrazione Finanziaria ha confermato l’interpretazione che esclude dall’applicazione dello split payment i compensi erogati ai professionisti soggetti a ritenuta a titolo di acconto.
Anche a parere dell’Amministrazione Finanziaria la volontà del Legislatore è quella di escludere dal meccanismo dello split payment i compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di acconto.

Comunicazione black list – Nel corso di Telefisco 2015 è stato chiesto all’Amministrazione Finanziaria se il nuovo limite di esonero di 10.000,00 possa essere applicato per le operazioni poste in essere con tutte le controparti paradisiache residenti o localizzate in un determinato Stato. La risposta è stata negativa. Si è richiamato quanto espresso con la C.M. 31/E/2014, quindi il riferimento è al complesso delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi effettuate e ricevute nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi c.d. black list.

Patent box – È stato chiarito che per usufruire dell’agevolazione in caso di cessione degli intagibles si dovrà reinvestire il 90% del corrispettivo ottenuto e non della plusvalenza realizzata.

Regime forfettario – In relazione al nuovo regime forfettario, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che per la verifica del superamento del limite dei ricavi sarà necessario considerare anche le cessioni all’esportazione verso la Repubblica di San Marino e la Città del Vaticano, mentre il contribuente che nel 2014 operava con il “vecchio” regime dei minimi dovrà utilizzare il criterio di cassa.

Novità Irap – La deduzione integrale del costo del personale, assunto a tempo determinato, non vale anche per i lavoratori impiegati all’estero. L’Agenzia ha chiarito che non dovrebbe trovare applicazione in tal caso. Tra l’altro anche la deduzione per contributi assistenziali e previdenziali non è riconosciuta rispetto ai contributi per dipendenti impiegati all’estero (C.M. 19.11.2007, n. 61/E).

Credito d’imposta del 10% per contribuenti sprovvisti di forza lavoro – Il comma 21 della L. di stabilità 2015 introduce, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, (dal 2015 per i soggetti solari), per i soggetti che non si avvalgono di lavoratori dipendenti, un credito d’imposta, da utilizzare esclusivamente in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, a decorrere dall’anno di presentazione della corrispondente dichiarazione, pari al 10% dell’imposta lorda, determinata secondo le disposizioni del Decreto IRAP. Tale credito d’imposta IRAP genera una sopravvenienza attiva tassabile. L’Agenzia ha chiarito che ogni volta che il legislatore ha inteso escludere da imposizione una voce, lo ha fatto in modo esplicito. In questo caso non esistono norme specifiche che ne consentano la detassazione. Quindi, adottando un approccio interpretativo letterale, il credito sconta imposta, rappresentando una sopravvenienza attiva che, in quanto tale, risulta rilevante (ex art. 88 del Tuir), dato che non è disposto diversamente.
Per i lavoratori autonomi non rileva, invece, la sopravvenienza, in quanto gli artt.53 e 54 del Tuir non contemplano tali proventi come facenti parte della base imponibile.

Ravvedimento operoso – Per quanto riguarda il ravvedimento operoso, il chiarimento più importante riguarda la possibilità di fruire delle nuove riduzioni anche per le violazioni, commesse prima del 1° gennaio 2015, che in base alle nuove norme soddisfano ancora i requisiti per poter accedere al ravvedimento.

Voluntary disclosure – Raddoppio dei termini di accertamento – Ci si è chiesti se si debba applicare il raddoppio dei termini dell’accertamento, in caso di detenzione di attività in Paesi black list. L’Agenzia ha chiarito che è prassi consolidata considerare in caso di detenzione di attività finanziarie e investimenti in un Paese black list, operante la presunzioneiuris tantum di cui all’art.12 D.L. 78/2009, secondo cui tali attività si presumono costituite mediante redditi sottratti a tassazione – concetto applicabile in tutti i casi in esso contemplati.
Il comma 2-bis prevede che i termini di accertamento operato sulla base di tale presunzione venganoraddoppiati.
I commi 2 e 2-bis dell’art.12 hanno carattere procedimentale, quindi sono applicabili a tutti i periodi di imposta ancora accertabili (ex artt. 57 co. 3, D.P.R. 633/72 e art. c.1 e 2 D.P.R. 600/73), alla data di entrata in vigore del D.L. 78/2009.
Dunque:
– in caso di raddoppio dei termini e presunzione ex art.12 – e la violazione sia l’infedele dichiarazione, gli anni regolarizzabili vanno dal 2006 al 2013, nella VD effettuata nel 2015; se la violazione è l’omessa dichiarazione, gli anni regolarizzabili vanno dal 2004 al 2013, nella VD effettuata nel 2015;
– in caso non vi sia il raddoppio dei termini e presunzione ex art.12 – e la violazione sia l’omessa dichiarazione, e la violazione sia l’infedele dichiarazione, gli anni regolarizzabili vanno dal 2006 al 2013, nella VD effettuata nel 2015; se la violazione è l’omessa dichiarazione, gli anni regolarizzabili vanno dal 2004 al 2013, nella VD effettuata nel 2015.

Soggetti collegati – Chi sono i soggetti collegati contemplati dal modulo ministeriale della VOLUNTARY DISCLOSURE? L’Agenzia ha chiarito che essi sono tutti quei soggetti che hanno una posizione rilevante di collegamento:
– o con le somme (attività finanziarie e patrimoniali) detenute all’estero, oggetto di emersione (es. i cointestatari, legati o coloro che hanno alimentato la provvista finanziaria);
– o con i redditi oggetto di irregolarità – voluntary nazionale – (es. soci di società di persone o trasparenti).

Società in perdita sistematica – L’Amministrazione Finanziaria è tornata a ribadire che le novità introdotte dal Decreto Semplificazioni in tema di società in perdita sistematica trovano applicazione solo a decorrere dall’anno 2014, come già chiarito con la Circolare 31/E del 2014. Non sarà quindi possibile beneficiare retroattivamente del nuovo periodo di osservazione quinquennale nelle annualità 2012 e 2013.

Redditometro – Toccato anche il redditometro tra gli argomenti posti all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate. Anche in questa occasione i tecnici delle Entrate hanno confermato la possibilità per il contribuente di fornire la prova che le spese contestate dall’Amministrazione Finanziaria sono state sostenute (in tutto o in parte) con risparmi di annualità precedenti.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Minimi: beni strumentali al netto di Iva

30 Gennaio 2015

L’Iva (detraibile e non) non deve essere considerata nel calcolo del limite di 20.000 €

Premessa – Ai fini del calcolo del limite di 20.000 euro previsto per l’ingresso al nuovo regime forfettario, il costo dei beni strumentali deve essere assunto al netto dell’Iva a prescindere dal fatto che sia stata esercitata la detrazione. Questo è quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate nel corso dell’incontro tenuto con la stampa specializzata lo scorso 22 gennaio.

Beni strumentali – Uno dei requisiti da verificare per l’accesso al nuovo regime (e anche per la permanenza nello stesso) concerne il valore complessivo, al lordo degli ammortamenti, dei beni strumentali esistenti alla data di chiusura del precedente periodo d’imposta che non deve essere superiore a 20.000 euro. Ai fini del computo del valore dei beni strumentali non si considerano quelli di costo pari o inferiore a € 516,46, mentre si considerano al 50% quelli ad uso promiscuo (autovetture, telefoni cellulari, altri beni utilizzati promiscuamente). Per i beni in locazione o in comodato si considera il valore normale. I beni immobili non hanno comunque rilevanza, qualsiasi sia il titolo di possesso.

Iva indetraibile – 
Come noto però per i contribuenti che operano nel regime in questione per le operazioni passive, non hanno diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto assolta, dovuta o addebitata sugli acquisti ai sensi degli articoli 19 e seguenti del D.P.R. 633/1972. Si è posto quindi il problema di come considerare tale imposta non detratta per i beni strumentali ai fini del calcolo del limite di 20.000 €.

Videoforum – Al riguardo l’Agenzia delle Entrate ha affrontato la questione nel corso dell’incontro tenuto con la stampa specializzata lo scorso 22 gennaio chiarendo che “con riferimento al regime dei minimi è stato chiarito con circolare n. 13/E del 2008 che, al fine di verificare il limite riferito all’acquisto dei beni strumentali, si assumono i corrispettivi relativi alle operazioni effettuate ai sensi dell’art. 6 del dpr n. 633/1972. Occorre, dunque, far riferimento all’ammontare dei corrispettivi degli acquisti che rilevano in base alle ordinarie regole dell’imposta sul valore aggiunto, secondo cui i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi costituiscono la base imponibile cui è commisurata l’imposta”.

Valore al netto dell’Iva – Pertanto, come già chiarito dalla circolare 7/E del 2008, con riferimento al “precedente” regime dei minimi, sia in fase di accesso al regime forfetario che durante la sua applicazione, il rispetto del limite degli acquisti di beni strumentali va verificato con riferimento al costo sostenuto al netto dell’imposta sul valore aggiunto, anche se non è stato esercitato il diritto di detrazione.

Esempio – Ipotizzando quindi che un contribuente acquisti un bene di € 17.000 (+ Iva 3.740) ai fini del calcolo del superamento del limite di 20.000 € il valore da considerare sarà solamente 17.000 €. Al contrario i 3.740 € di Iva anche se non detratta non devono essere considerati al fine del computo del costo complessivo dei beni strumentali.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Bando Isi 2014. Via libera alle domande

 

30 Gennaio 2015

Le domande di partecipazione potranno essere inserite dal 3 marzo 2015 e fino alle ore 18.00 del 7 maggio 2015

Premessa – Tutto pronto per gli incentivi previsti in favore delle imprese che investono in sicurezza. Infatti, le imprese interessate al “Bando Incentivi ISI 2014”, che mette a disposizione delle aziende oltre 267 milioni di euro a titolo di contributi a fondo perduto per la realizzazione di progetti di investimento finalizzati al miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza del lavoro o all’adozione di modelli organizzativi e di responsabilità sociale, potranno inserire le domande di partecipazione dal 3 marzo 2015 e fino alle ore 18.00 del 7 maggio 2015, nella sezione “Servizi online” dell’INAIL. Destinatarie degli incentivi sono le imprese, anche individuali, iscritte alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura. I finanziamenti vengono assegnati fino a esaurimento, secondo l’ordine cronologico di arrivo delle domande.

Misura del contributo –
 Il contributo, in conto capitale, è pari al 65% delle spese sostenute dall’impresa per realizzare il progetto, a netto Iva. Il contributo massimo erogabile, in particolare, è di 130 mila euro, quello minimo di 5 mila euro. Mentre per le imprese fino a 50 dipendenti che presentano progetti di adozione di modelli organizzativi e di responsabilità sociale non è fissato il limite minimo di contributo. I finanziamenti ISI, inoltre, sono cumulabili con benefici derivanti da interventi pubblici di garanzia sul credito (es. gestiti dal Fondo di garanzia delle pmi e da Ismea). Essi vengono erogati dopo la verifica tecnico-amministrativa e la realizzazione del progetto.

Progetti ammissibili – I progetti ammessi al finanziamento sono: i progetti di investimento; i progetti di responsabilità sociale e per l’adozione di modelli organizzativi. L’intervento richiesto, in particolare, può riguardare tutti i lavoratori facenti capo a un unico datore di lavoro, anche se operanti in più sedi o più regioni. Inoltre, si può presentare un solo progetto per una sola unità produttiva, per una sola tipologia tra quelle sopra indicate.

La procedura – La procedura per accedere al suddetto finanziamento si articolo in tre fasi: inserimento online del progetto; inserimento del codice identificativo e invio del codice identificativo. La prima fase parte dal 3 marzo 2015 e dura fino alle ore 18.00 del 7 maggio 2015; durante tale fase le imprese registrate al sito INAIL (www.inail.it) hanno a disposizione un’applicazione informatica per la compilazione della domanda. In particolare, tale applicazione permette di: effettuare simulazioni relative al progetto da presentare, verificando il raggiungimento del punteggio “soglia” di ammissibilità; salvare la domanda inserita. Nella seconda fase invece, operativa dal 12 maggio 2015, le imprese che hanno raggiunto la soglia minima di ammissibilità e salvato la domanda possono accedere nuovamente alla procedura informatica ed effettuare il download del proprio codice identificativo che le individua in maniera univoca. Mentre nella terza e ultima fase le imprese possono inviare attraverso lo sportello informatico la domanda di ammissione al contributo, utilizzando il codice identificativo attribuito alla propria domanda, ottenuto mediante la procedura di download.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Assicurazione Casalinghe 1 euro al mese

 Scade il 31/01/2015 il termine per il pagamento del premio di assicurazione contro gli infortuni domestici di 12,91 Euro previsto per ogni cittadino in età compresa tra i 18 e i 65 anni che svolge in via non occasionale, gratuitamente e senza vincolo di subordinazione, lavoro finalizzato alle cure della propria casa e famiglia, escluso chi già svolge un’attività per la quale vi è obbligo di iscrizione ad altre forme di previdenza.
Pagamento anche On line
Il pagamento potrà essere effettuato anche on line sul portale internet dell’INAIL tramite carta di credito VISA o MASTERCARD, carta prepagata Postpay o conto Bancoposta.
Si può in alternativa ritirare il bollettino di c/c postale (intestato ad INAIL, P.le Pastore, 6- Roma) presso gli uffici postali o presso le sedi. La data del primo versamento del premio assicurativo coincide con quella in cui la persona inizia a dedicarsi alla cura della famiglia in modo esclusivo come ad esempio, il 18° anno di età oppure nel momento in cui viene a  cessare in modo definitivo o temporaneo la propria attività lavorativa (dimissioni, pensionamento o semplice interruzione di attività lavorativa o entrata in  mobilità o cassa integrazione).
L’importo non è frazionabile e deducibile dalla dichiarazione dei redditi.

L’ ASSICURAZIONE INFORTUNI PER LE CASALINGHE

La legge 3 dicembre 1999 n. 493, ha istituito una forma di assicurazione a favore di coloro che non svolgono alcun lavoro subordinato da cui deriva una copertura infortunistica, per la tutela dei numerosi infortuni che si consumano dentro le mura domestiche.
Anche se gli infortuni fra le mura di casa interessano soprattutto le donne, ciò non esclude che l’assicurazione in questo caso non abbia sesso.

Dal primo marzo 2001 infatti e’ divenuta obbligatoria l’iscrizione presso l’INAIL per coloro che hanno le seguenti caratteristiche:
• Età compresa tra i 18 ed i 65 anni;
• Svolgimento di un’attività rivolta alla cura dei componenti la famiglia e dell’ambiente in cui vive non legati da vincolo di subordinazione;
• Svolgimento lavoro domestico in modo abituale ed esclusivo senza effettuare cioè altre attività per le quali sussiste obbligo di iscrizione ad un altro ente e cassa previdenziale.
Rientrano quindi tra i soggetti assicurabili:
• I pensionati che non abbiano superato i 65 anni
• I cittadini stranieri che soggiornano regolarmente in Italia
Coloro che avendo compiuto i 18 anni, stanno in casa in attesa di prima occupazione
• I lavoratori in cassa integrazione guadagni o in mobilità ( con premio intero ma copertura solo per il periodo in cui non svolgono attività )
• Lavoratori stagionali, a tempo determinato (con premio intero ma copertura solo per il periodo in cui non svolgono attività)
Sono invece escluse:
• Le persone di età inferiore ai 18 anni o superiori a 65
• Lavoratori socialmente utili
• Borse lavoro
• Coloro che frequentano corsi di formazione e di orientamento
• Tirocinanti
• Lavoratori part-time
• i religiosi e le religiose in quanto non facenti parte di un nucleo familiare così come definito dal decreto.

 

Cosa fare in caso di infortunio
Nel caso in cui si verifichi un infortunio, l’infortunato si rivolgerà al pronto soccorso per le cure del caso, o al proprio medico di famiglia e se il medico riterrà che dall’infortunio sia risultata un’invalidità permanente pari o superiore al 27%, l’assicurato in regola con il pagamento annuale, farà denuncia all’INAIL per la liquidazione della rendita.
Si fa presente che la nuova percentuale del 27% si applica solamente agli infortuni occorsi dal primo gennaio 2007 in quanto fino al 2006 era del 33%.
In questo caso l’infortunato avrà diritto al pagamento mensile di una  rendita esentasse proporzionata all’entità dell’invalidità subita, compreso tra circa 200 euro per i casi meno gravi a un importo di circa 1.200 euro per inabilità fino al 100%.

Lo stato interviene nel pagamento nei seguenti casi:
• reddito personale complessivo lordo fino a 4648,11 appartenenza a un nucleo familiare il cui reddito complessivo non superi 9296,22 annui.
A dimostrazione di ciò andrà fatta un’autocertificazione su modelli disponibili presso tutte le sedi INAIL o i patronati, le associazioni delle casalinghe.

 

 

Il nuovo ravvedimento operoso

La Legge di Stabilità 2015 offre al contribuente nuove e più ampie possibilità di regolarizzare i propri errori, ritardi o dimenticanze in riferimento al versamento di tutti i tributi dovuti all’Agenzia delle Entrate e di tutte le omissioni riferite all’invio di dichiarazioni o comunicazioni obbligatorie, utilizzando in modo più ampio e ragionevole l’istituto del ravvedimento operoso.

La possibilità di ravvedere i propri debiti o dimenticanze nei confronti dell’Amministrazione finanziaria è oramai consolidata dal D.Lgs. 472/1997 e successive modificazioni.

 

Esistono infatti, fin da allora, due tipologie di ravvedimenti:

  • il ravvedimento “breve”, che consiste nel versamento di una sanzione pari al 3% dell’imposta dovuta (1/10 del 30%) entro i 30 giorni;
  • il ravvedimento “lungo”, che consiste nel versamento di una sanzione pari al 3,75% dell’imposta dovuta (1/8 del 30%) oltre il trentesimo giorno, ma entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è commessa la violazione.

Già con il D.L. 98/2011 (il c.d. Decreto Salva Italia) è stata inserita l’agevolazione per il contribuente che intende ravvedersi in termini molto brevi (entro i 14 giorni dall’omissione) con l’istituzione del c.d. ravvedimento “sprint”. L’agevolazione consiste nel versamento di una sanzione pari allo 0,2% giornaliero, se il ravvedimento è effettuato entro il quattordicesimo giorno; dal quindicesimo ed entro il trentesimo, la sanzione si riconduce, ovviamente, al 3%.

I commi dal 634 al 641 della Legge 190/2014 (Legge di Stabilità 2015) istituiscono nuove tipologie di regolarizzazione, con lo scopo di agevolare i contribuenti nell’assolvimento degli obblighi tributari e di favorire l’emersione spontanea, modificando il comma 1 dell’art. 13 del D.Lgs. 472/1997. Pertanto avremo anche un c.d. ravvedimento “lunghissimo” che prevede il pagamento di:

  • sanzioni al 3,32% (1/9 del 30%), entro 90 giorni;
  • sanzioni al 4,29%, entro 2 anni (o seconda dichiarazione successiva);
  • sanzioni al 5%, oltre 2 anni (o oltre la seconda dichiarazione successiva).

Resta fermo il pagamento degli interessi calcolati giornalmente nella misura dello 0,50% (dal 1.1.2015), dell’1% (dal 1.1.2014) e del 2,50% (fino al 31.12.2013).

Riassumendo:

Saluti

Reti d’impresa senza notaio

26 Gennaio 2015

Pubblicato il decreto ministeriale che introduce le specifiche tecniche per la trasmissione del contratto di rete al registro delle imprese semplicemente con atto firmato digitalmente.

Gli interessati potranno procedere a iscrivere direttamente il contratto di rete nel Registro delle imprese, senza dover passare per il notaio.
È questa la rilevante novità introdotta a seguito del decreto dirigenziale del Ministero dello Sviluppo economico del 7 gennaio 2015.

L’iscrizione nel Registro delle imprese

Ai sensi dell’art. 3, comma 4-ter, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, ai fini dell’iscrizione del contratto di rete nel registro delle imprese, il contratto deve essere redatto:
– per atto pubblico o per scrittura privata autenticata;
– ovvero per atto firmato digitalmente da ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti, e trasmesso ai competenti uffici del registro delle imprese attraverso un modello standard tipizzato con decreto del ministro della Giustizia, di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze e con il ministro dello Sviluppo economico.

Dalla data di pubblicazione del decreto direttoriale con il quale si definiscono le specifiche tecniche, è quindi possibile procedere alla trasmissione per via telematica o alla presentazione su supporto informatico al Registro delle imprese dei contratti di rete.

A tal fine, sarà reso disponibile da Infocamere un apposito software per redigere online l’atto costitutivo in formato XML secondo il formato standard del Contratto di Rete.

Dopo la sua registrazione all’Agenzia delle Entrate, l’atto potrà essere importato in ComunicaStarWeb, ottenendo la compilazione automatica della modulistica RI, e trasmesso al Registro delle Imprese per l’iscrizione.

Il contratto di rete
Diventa quindi sempre più semplice la stipula dei contratti di rete.
Come noto, con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora a esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa.

Il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e l’efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari.

Grazie alle novità introdotte non sarà necessario, a tal fine, rivolgersi a un notaio, ma sarà sufficiente che siano gli stessi imprenditori a firmare digitalmente il contratto.

Si ricorda, infine, che anche le modifiche al contratto di rete devono essere redatte e depositate per l’iscrizione, a cura dell’impresa indicata nell’atto modificativo, presso la sezione del registro delle imprese presso cui è iscritta la stessa impresa. L’ufficio del registro delle imprese provvede alla comunicazione della avvenuta iscrizione delle modifiche al contratto di rete, a tutti gli altri uffici del registro delle imprese presso cui sono iscritte le altre partecipanti, che provvederanno alle relative annotazioni d’ufficio della modifica.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Vecchie dichiarazioni d’intento fino all’11 febbraio

15 Gennaio 2015

Dal 1° gennaio 2015 dovrà essere l’esportatore abituale a trasmettere la dichiarazione d’intento all’Agenzia delle Entrate. Fino all’11 febbraio 2015 sarà tuttavia possibile continuare a consegnare la dichiarazione al proprio fornitore.

L’Agenzia delle Entrate annuncia che è disponibile il nuovo software aggiornato per la compilazione e il controllo delle nuove dichiarazioni di intento. 
Come noto, infatti, in virtù delle novità introdotte con il D.Lgs. 175/2014, per le operazioni da effettuare a partire dal 1° gennaio 2015, gli esportatori abituali che intendono acquistare o importare senza applicazione dell’IVA devono trasmettere telematicamente all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione d’intento.Solo successivamente, la dichiarazione, unitamente alla ricevuta di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, potrà essere consegnata al fornitore o prestatore oppure in dogana.

Il fornitore, che prima era il soggetto obbligato all’invio della comunicazione, a seguito delle novità introdotte deve solo verificare l’avvenuta trasmissione all’Agenzia delle Entrate prima di effettuare la relativa operazione, pena l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 7, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 471 del 1997 (dal cento al duecento per cento dell’imposta).
A tal fine, sul sito internet www.agenziaentrate.gov.it è resa disponibile una funzione a libero accesso attraverso la quale, inserendo il codice fiscale del cedente/prestatore, del cessionario/committente, nonché il numero di protocollo della ricevuta telematica, è possibile effettuare il predetto riscontro telematico.
A breve, per i soggetti abilitati ai servizi Entratel o Fisconline sarà inoltre possibile verificare nel proprio cassetto fiscale l’avvenuta presentazione della dichiarazione d’intento da parte del cessionario/committente, unitamente alla ricevuta telematica.

Si ricorda che rimangono invece invariati gli altri adempimenti (si pensi, a tal proposito, all’apposita tenuta del registro da parte del dichiarante e all’indicazione in fattura degli estremi della dichiarazione d’intento).

La disciplina transitoria
Le disposizioni richiamate trovano applicazione per le operazioni senza applicazione d’imposta da effettuare a decorrere dal 1° gennaio 2015, a nulla rilevando la circostanza che l’esportatore abituale abbia già inviato al proprio fornitore o prestatore la lettera d’intento secondo la precedente disciplina.

È però da ricordare che, fino all’11 febbraio 2015, gli operatori possono continuare a consegnare o inviare la dichiarazione d’intento al proprio cedente o prestatore, secondo le vecchie modalità.
In questo specifico caso, il fornitore non dovrà verificare l’avvenuta presentazione della dichiarazione d’intento all’Agenzia delle Entrate.

Questa specifica previsione è stata introdotta al fine di dare piena attuazione ai principi contenuti nello Statuto del contribuente che, all’articolo 3, comma 2, richiede che le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data dell’adozione del provvedimento.

Tuttavia, per le dichiarazioni d’intento che esplicano effetti anche per operazioni poste in essere successivamente all’11 febbraio 2015, vige l’obbligo, a partire dal 12 febbraio 2015, di trasmettere le dichiarazioni in via telematica e di riscontrare l’avvenuta presentazione della dichiarazione all’Agenzia delle Entrate.

La presentazione della dichiarazione d’intento
La dichiarazione d’intento dovrà quindi essere presentata all’Agenzia delle Entrate in via telematica, direttamente, da parte dei soggetti abilitati a Entratel o Fisconline, o tramite i soggetti incaricati (commi 2-bis e 3 dell’articolo 3 del D.P.R. 322/1998).

Sono già presenti, sul sito dell’Agenzia delle Entrate, i modelli e le istruzioni per le nuove dichiarazioni di intento che dovranno essere presentate direttamente dall’esportatore abituale.
Le nuove dichiarazioni si compongono di una prima parte, che rappresenta la vera e propria dichiarazione d’intento, e una seconda parte, dedicata al plafond. Per la consegna al fornitore è consentita la stampa della sola dichiarazione d’intento escludendo il quadro A “Plafond”.

L’aggiornamento

Il software già disponibile sul sito è stato oggetto di un recente aggiornamento, per la correzione di alcuni piccole anomalie, le quali però avevano spesso effetti non indifferenti.

È stato infatti corretto il controllo sulla provincia di nascita che prima impediva di accettare il valore EE, così come è stata corretta l’impostazione del valore 8 del codice carica del rappresentante.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Split payment: risvolti contabili e finanziari

14 Gennaio 2015
Premessa – Con il nuovo meccanismo dello split payment, introdotto dalla Legge di Stabilità 2015, si traslano gli obblighi di versamento dell’imposta, nei rapporti con gli enti pubblici espressamente indicati nel novellato art. 17 – ter, D.P.R. 633/1972, dal soggetto cedente/prestatore all’ente pubblico; quest’ultimo, in luogo di corrispondere l’IVA al soggetto fornitore, la verserà direttamente all’Erario, secondo modalità e termini fissati con decreto del ministro dell’economia di prossima emanazione.Operazioni escluse – Le uniche operazioni escluse dal nuovo meccanismo sono quelle per le quali l’ente pubblico è debitore d’imposta in quanto soggetto agli obblighi di reverse charge e, inoltre, i compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito.

Efficacia temporale – La nuova disciplina, come chiarito dal comunicato stampa del Mef (che anticipa il decreto attuativo) n. 7 del 09.01.2015, si applica alle operazioni fatturate a partire dal 1° gennaio 2015, per le quali l’esigibilità dell’imposta si verifichi successivamente alla stessa data.

I risvolti contabili – A partire dal 1° gennaio, dunque, le imprese che intrattengono rapporti con le P.A. dovranno gestire con particolare attenzione le suddette operazioni, tenendo conto che la relativa IVA va annotata nel registro vendite, ma non concorrerà alla liquidazione IVA periodica.

Da un punto di vista pratico, va in primo luogo chiarito casa va indicato in fattura e successivamente procedere ad identificare le relative registrazioni contabili.

In merito al primo aspetto, nella fattura, relativa ad operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2015, andrà indicato che l’IVA non verrà mai incassata dal cedente ai sensi dell’art. 17 –ter del D.P.R. 633/1972 (split payment). Tale IVA andrà stornata dal totale della fattura.

Ad esempio, se l’impresa emette fattura di 10.000,00 euro + IVA 22%, questa dovrà indicare:

– che l’IVA di euro 2.200,00 sarà versata dal committente ai sensi dell’articolo 17-ter D.P.R. 633/72;
– indicherà il totale fattura per euro 12.200 (10.000,00 + 2.200,00);
– indicherà come netto da pagare euro 10.000,00.

Da un punto di vista contabile, l’impresa registrerà il credito verso l’ente pubblico, annotando in contropartita l’IVA – split payment e la voce di ricavo. Al fine di non far concorrere la suddetta IVA alla liquidazione periodica, l’IVA andrà stornata dal totale del credito acceso verso l’ente pubblico o contestualmente alla registrazione della fattura o con un’apposita scrittura.

In sostanza:

– si registrerà Crediti v/ente pubblico a IVA split payment e Ricavi;

– si stornerà l’IVA con apposita scrittura.

Le fatture emesse nel 2014 continuano a soggiacere al regime naturale dell’esigibilità differita di cui all’articolo 6, comma 5 del D.P.R. 633/72; per tali ultime operazioni all’atto dell’incasso sarà necessario esclusivamente registrare il sorgere del debito IVA e stornare il conto IVA a debito differita.

I risvolti finanziari – Da un punto di vista finanziario, le imprese che hanno come committenti prevalentemente enti pubblici, si troveranno con un costante credito IVA, che certamente potrà causare crisi di liquidità. Per far fronte a tale situazione, l’imminente decreto del ministro dell’Economia dovrà provvedere a inserire i soggetti in questione tra coloro a cui spetta il rimborso IVA in via prioritaria.

In caso di volumi d’affari elevati con le P.A., che portino ad avere eccedenze di credito superiori a euro 700.000,00, si dovrà fai conti con il limite annuale di compensazione.

Per quanto riguarda il limite annuale di compensazione si ricorda che l’art. 9 D.L. 35/2013, a decorrere dal2014, ha aumentato da € 516.456,90 a € 700.000 il limite di crediti fiscali e contributivi che possono essere compensati mediante modello F24.

Altra questione da non sottovalutare è le necessità che per utilizzare l’eccedenza di credito IVA di importo rilevante sarà necessaria l’apposizione del visto di conformità in dichiarazione.

Questi aspetti sono connessi ad altre recenti novità legislative.
Da un lato, l’obbligo dal 2016 (sempre previsto dalla Legge di Stabilità 2015) si presentare la Dichiarazione IVA in forma autonoma entro il 28.02 dell’anno successivo a quello di riferimento.

Dall’altro, la modifica dell’art. 38 – bis del D.P.R. 633/1972 ad opera dell’art. 13 del D.Lgs. Semplificazioni fiscali (D.Lgs. 175/2014, pubblicato nella G.U. 28.11.2014 n. 288) con la modifica pressoché integrale della disciplina in materia di rimborsi Iva. Il novellato co. 1 dell’art. 38 – bis del D.P.R. 633/1972, il quale prevede che:

– i rimborsi previsti nell’art. 30, D.P.R. 633/1972, sono eseguiti, su richiesta fatta in sede di dichiarazione annualeentro 3 mesi dalla presentazione della dichiarazione.

Dunque, il disposto combinato delle richiamate disposizioni prevede l’ottenimento del rimborso IVA entro il 30 maggio dell’anno successivo a quello di riferimento.

Si pone però il problema della eventuale presentazione della garanzia.

Il nuovo art. 38-bis, D.P.R. 633/1972, prevede che i rimborsi eccedenti la soglia di euro 15.000 possano essere eseguiti senza la presentazione della garanzia:
• previa presentazione della relativa dichiarazione o istanza (trimestrale) da cui emerge il credito richiesto a rimborso recante il visto di conformità o la sottoscrizione alternativa dell’organo di controllo;

• a condizione che alla dichiarazione o istanza sia allegata una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, a norma dell’art. 47 D.P.R. 445/2000, che attesti la sussistenza delle seguenti condizioni in relazione alle caratteristiche soggettive del contribuente:

1. il patrimonio netto non è diminuito, rispetto alle risultanze contabili dell’ultimo periodo d’imposta, di oltre il 40%;

2. la consistenza degli immobili non si è ridotta, rispetto alle risultanze contabili dell’ultimo periodo d’imposta, di oltre il 40% per cessioni non effettuate nella normale gestione dell’attività esercitata;

3. l’attività stessa non è cessata né si è ridotta per effetto di cessioni di aziende o rami di aziende compresi nelle suddette risultanze contabili;

4. non risultano cedute, se la richiesta di rimborso è presentata da società di capitali non quotate nei mercati regolamentati, nell’anno precedente la richiesta, azioni o quote della società stessa per un ammontare superiore al 50% del capitale sociale;

5. sono stati eseguiti i versamenti dei contributi previdenziali e assicurativi.

Autore: Rredazione Fiscal Focus

Split payment: nota operativa FNC

13 Gennaio 2015

Fondazione Nazionale Commercialisti

Premessa – Con la nota diffusa dalla Fondazione Nazionale Commerciali (FNC) viene fatto il punto sul meccanismo dello split payment, introdotto dalla Legge di Stabilità 2015, il quale prevede per le cessione di beni e prestazioni di servizi effettuate nei confronti della P.A. che l’imposta sia versata in ogni caso dagli enti stessi secondo modalità e termini fissati con decreto del ministro dell’Economia. 
La FNC ha ritenuto opportuno fornire le linee guida a imprese e P.A., chiarendo le varie questioni controverse relative al nuovo istituto, così da permettere una corretta gestione delle prossime liquidazioni IVA e dei prossimi pagamenti da parte della P.A.

I chiarimenti in merito all’efficacia temporale delle nuove disposizioni – È bene premettere che sulla questione è di recente intervenuto il MEF con il comunicato stampa n. 7 del 09.01.2015 (che anticipa il decreto attuativo attualmente in fase di definizione), fornendo chiarimenti in merito all’efficacia temporale delle nuove disposizioni.
Come evidenziato dalla FNC, nonostante la norma faccia riferimento alle operazioni la cui esigibilità dell’Iva sorge dal 1° gennaio 2015, con il comunicato stampa n. 7 del 09.01.2015, il MEF ha reso noto che nello schema di decreto di attuazione viene precisato che il meccanismo della scissione dei pagamenti si applica alle operazioni fatturate a partire dal 1° gennaio 2015, per le quali l’esigibilità dell’imposta si verifichi successivamente alla stessa data.
Viene in sostanza modificato il testo normativo in merito all’efficacia temporale delle nuove disposizioni, prevedendo l’applicazione dello split payment alle operazioni fatturate a partire dal 1° gennaio 2015, per le quali l’esigibilità dell’imposta si verifichi successivamente alla stessa data, in luogo delle operazioni la cuiesigibilità dell’Iva sorge dal 1° gennaio 2015.
Sottolinea la FNC che a seguito dei citati chiarimenti, lo split payment:
– non si applica alle operazioni fatturate entro il 31.12.2014, comprese quelle in regime di esigibilità differita ai sensi dell’articolo 6, comma 5 del D.P.R. 633/72 effettuate nel 2014 con incasso successivo al 1° gennaio 2015;
– si applica alle operazioni fatturate a partire dal 1° gennaio 2015 per le quali l’esigibilità dell’imposta si verifichi successivamente a tale data.

In sostanza:
– le fatture emesse nel 2014 continuano a soggiacere al regime naturale dell’esigibilità differita di cui all’articolo 6, comma 5 del D.P.R. 633/72;
– quelle emesse a partire dal 2015 sono invece sottoposte allo split payment.

Split payment ad ampio raggio
 – Altro chiarimento fornito dalla FNC riguarda l’ambito applicativo della nuova disposizione.

Se infatti da un lato c’era chi sosteneva che lo split payment trovasse applicazione solo per gli acquisti effettuati dalla P.A. nello svolgimento dell’attività commerciale, altra tesi aderente al dettato normativo riteneva applicabile la nuova disposizione a tutti gli acquisti effettuati dalla P.A., sia nella veste istituzionale che commerciale.

La FNC ha ritenuto prevalente la seconda tesi, ovvero quella in base alla quale sono da assoggettare allo split payment tutti gli acquisti effettuati dalla P.A., sia che agiscano nella veste istituzionale che commerciale, a eccezione di quelli per i quali l’ente è debitore d’imposta in quanto soggetto agli obblighi di reverse charge.

A parere della FNC, infatti, il riferimento effettuato nel comunicato stampa del MEF n. 7 del 09.01.2015 alle pubbliche amministrazioni acquirenti di beni e servizi, ancorché non rivestano la qualità di soggetto passivo dell’IVA, porta a sposare la rigorosa lettura della norma e ad estendere il nuovo meccanismo a tutti gli acquisti effettuati dalla P.A.

La gestione contabile delle operazioni 
– Vengono inoltre chiarite le modalità operative per l’emissione delle fatture nei confronti della P.A. a partire dal 1° gennaio 2015. Il FNC chiarisce che il fornitore dovrà emettere fattura, per le operazioni poste in essere a partire dal 1° gennaio, con la rivalsa dell’IVA, indicando che tale imposta non verrà mai incassata ai sensi dell’art. 17 –ter del D.P.R. 633/1972 (split payment); l’imposta indicata in fattura verrà regolarmente registrata in contabilità dal cedente e andrà stornata o contestualmente alla registrazione della fattura o con un’apposita scrittura dal totale del credito accesso verso l’ente pubblico.

Altri chiarimenti – Da evidenziare inoltre che a parere della FNC il nuovo istituto trova applicazione in riferimento esclusivamente agli enti pubblici elencati nel novellato art. 17 –ter, D.P.R. 633/1972. A tal proposito viene sottolineato che “analogamente a quanto previsto per la normativa sulla esigibilità differita,ex art. 6, co. 5, D.P.R. 633/1972, l’elenco previsto dalla norma non sarebbe estendibile per analogia ad altri enti pubblici, salvo che il decreto del ministro dell’economia, per pure esigenze di gettito, non effettui un’interpretazione estensiva della norma”.

Si segnala inoltre che a parere della FNC, lo split payment NON trova applicazione per le cessioni di crediti nei confronti della P.A. relativi a fatture ad esigibilità differita, ceduti anteriormente al 1° gennaio 2015, in quanto il nuovo meccanismo si applica esclusivamente alle fatture emesse a partire dal 1° gennaio 2015 per le quali l’esigibilità dell’imposta si verifica successivamente a tale data.

Viene infine segnalato la possibilità per le P.A. di sospendere i versamenti dell’imposta trattenuta ai fornitori fino al 31.03.2015, che dovrà comunque essere effettuata entro il 16 aprile 2015.

Rimborsi IVA: semplificazioni “retroattive”

 

2 Gennaio 2015

C.M. 32/E/2014

Con la Circolare 32/E del 30.12.2014, l’Amministrazione Finanziaria ha fornito chiarimenti in merito alle nuove regole per i rimborsi IVA, dopo le modifiche operate dall’art. 13 del Decreto semplificazioni fiscali(D.Lgs. 175/2014).

Considerando che il D.Lgs. Semplificazioni fiscali è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 277 del 28.11.2014, S.O. n. 90, a più di un mese dalla sua approvazione, avvenuta nel CDM del 30.10.2014, questo è entrato in vigore il 13.12.2014.

Nella C.M. 32/E/2014 sono stati forniti importanti chiarimenti sull’applicazione delle nuove regole sui rimborsi in corso alla data di entrata in vigore del Decreto semplificazioni, distinguono in base agli importi chiesti in restituzione.

Per quanto riguarda le richieste di rimborso in corso al 13 dicembre 2014 di importo superiore a euro 5.164,57 (precedente soglia che esonerava dalla presentazione di polizze fideiussorie), ma inferiore a 15.000 euro, queste potranno beneficiare della nuova soglia di esenzione, pari a euro 15.000,00, con conseguente azzeramento degli adempimenti.

In particolare, l’ufficio o l’agente della riscossione non procede a richiedere la garanzia successivamente all’entrata in vigore della nuova disposizione. Nel caso in cui alla stessa data la garanzia sia stata già richiesta, laddove il contribuente non vi abbia già provveduto non è tenuto a presentarla. Per i rimborsi di importo superiore a 15.000 euro già richiesti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, se la dichiarazione è munita del visto di conformità (o della sottoscrizione del revisore) e non sussistono le condizioni di rischio che impongono comunque la prestazione della garanzia ex articolo 38-bis, comma 4, del D.P.R. 633/1972, è possibile presentare (all’ufficio o all’agente della riscossione) la dichiarazione sostitutiva di atto notorio (e copia del documento d’identità di chi la sottoscrive) attestante le condizioni di solidità patrimoniale, continuità aziendale e regolarità contributiva, evitando così la garanzia.

In questo caso, la sussistenza dei requisiti e delle condizioni previste per l’apposizione del visto di conformità e la presentazione della dichiarazione sostitutiva deve essere verificata con riferimento alla data di entrata in vigore del decreto legislativo (13.12.2014) e non alla data di richiesta del rimborso, in modo che la valutazione del rischio tenga conto della situazione attuale del contribuente.

Si precisa che la disciplina introdotta dal nuovo articolo 38-bis non esplica effetti sui rapporti per i quali la procedura di erogazione del rimborso sia già conclusa, pertanto le garanzie prestate in corso di validità non possono essere restituite per i rimborsi già erogati all’entrata in vigore del decreto legislativo.

Nel caso in cui sia intervenuta la sospensione degli interessi a seguito di ritardo nella consegna della garanzia, il periodo di sospensione termina e gli interessi riprendono a decorrere dalla data della presentazione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, sempreché la dichiarazione rechi il visto di conformità o la sottoscrizione alternativa.

Autore:
Redazione Fiscal Focus

Il governo accelera sullo Spid, Madia: “Tre milioni di utenti nel 2015”

Il ministro della PA e Semplificazione: “Identità digitale e anagrafe unica assi portanti dell’Agenda digitale”. Nel 2017 previsti dieci milioni di cittadini dotati di pin unico

di F.Me.

Lo Spid, il sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale di cittadini ed imprese, “insieme all’anagrafe unica rappresenta lo strumento portante dell’agenda per la semplificazione”. Così il ministro della Semplificazione e PA, Marianna Madia, durante un’audizione in Commissione Semplificazione che aggiunge come per lo “Spid o pin unico, il risultato atteso è di avere tre milioni di utenti con l’identità digitale entro settembre 2015 e dieci per dicembre 2017”.

Lo scorso 9 dicembre è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il testo del decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri del 24 ottobre, quello che definisce le caratteristiche del sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale di cittadini e imprese, il cosiddetto Spid, e i tempi di adozione del sistema per pubbliche amministrazioni e imprese. Il decreto è in sintesi il provvedimento legislativo che dà attuazione a una delle norme principali che compongono l’agenda digitale italiana.

Nello specifico lo Spid, Sistema pubblico dell’identità digitale, è un insieme di credenziali per accedere in rete a tutti i servizi della PA e quelli degli operatori commerciali che man mano aderiranno.

A metà novembre il ministro Marianna Madia aveva presentato la roadmap per l’identità digitale, con l’accordo tra Stato, Regioni e Comuni. La tabella di marcia prevede due fasi, la prima scatterà ad aprile del 2015 per arrivare al 2017 con 10 milioni di utenti collegati, ovvero un italiano su sei.

In un tweet il ministro, con l’hashtag #Repubblicasemplice, sintetizzava così l’accordo raggiunto in Conferenza unificata: “tempi certi su digitale, fisco, welfare, edilizia, impresa”. Cinque capitoli quindi che raccolgono le semplificazioni di cui si parla da molti anni con alcune novità come la dichiarazione di successione online, con riduzione di tempi e oneri (basterà un adempimento unico per denuncia di successione, voltura catastale e trascrizione).

Il Sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale di cittadini e imprese (Spid) mira a consentire al cittadino, una volta espletate le procedure di autenticazione con uno dei soggetti coinvolti, di usufruire di tutti i servizi online forniti da tutti gli altri autenticatori che hanno aderito alla rete, senza dover ogni volta adottare una procedura differente. Per fare un esempio: se un utente richiede all’impresa X, autenticatore privato, delle credenziali, potrebbe usarle per accedere ai servizi del Comune Y o dell’amministrazione Z, anch’essi nella rete Spid.

Si verrà dunque a creare una rete di autenticatori, che dovrà sottostare a regole, procedure e controlli delle credenziali e degli strumenti di accesso in rete nei riguardi di cittadini e imprese.

L’identità digitale che va intesa come un ecosistema innovativo a cui partecipano diversi attori, primo fra tutti il cittadino, il quale potrà ottenere una o più identità digitali. Il sistema è di fatto l’equivalente di un Passaporto Digitale, che conterrà alcune informazioni identificative obbligatorie, come il codice fiscale, il nome, il cognome, il luogo di nascita, la data di nascita e il sesso. Oltre a queste informazioni, l’identità conterrà altre informazioni come un indirizzo di email e un numero di telefono, utili per poter comunicare con il soggetto titolare dell’Identità. Oltre a queste informazioni, l’Identità conterrà una o più credenziali, utilizzate per poter accedere ai servizi in modo sicuro.

Il secondo attore è il Gestore delle Identità. Il Gestore è un soggetto pubblico o privato che, previo accreditamento presso l’Agenzia per l’Italia Digitale, si occuperà di creare e gestire le Identità Digitali. Oltre ai Gestori di Identità, sono previsti i Gestori di Attributi qualificati, ovvero soggetti che per legge sono titolati a certificare alcuni attributi, come un titolo di studio, una abilitazione professionale, ecc.

Il cittadino potrà utilizzare l’Identità Digitale sui “Gestori di Servizi”. I Gestori di Servizi saranno tutte le pubbliche amministrazioni, ovvero tutti quei soggetti privati che decideranno di aderire a Spid in maniera volontaria.

Il cittadino che desidera ottenere una Identità Digitale, si dovrà rivolgere ad uno dei Gestori di Identità Digitale accreditati. Il Gestore per poter fornire una Identità Digitale dovrà procedere con un riconoscimento forte del cittadino, attraverso una verifica de-visu.

Nel caso in cui il  cittadino disponga già di una Identità Digital Spid oppure già in possesso di una Carta d’Identità Elettronica attiva o di una Carta Nazionale dei Servizi o di una Tessera Sanitaria con Carta Nazionale dei Servizi, potrà richiedere un’Identità Spid direttamente on-line, poiché il Gestore dei Servizi potrà usufruire della verifica de-visu e degli attributi già effettuata. Al momento della creazione dell’Identità Digitale, il cittadino verrà fornito di una o più credenziali di sicurezza.

 

Locazioni: news per la deduzione del 20% del compra-affitta

5 Gennaio 2015
La nuova deduzione del 20% dedicata alla persone fisiche che hanno acquistato o acquisteranno dal 1° gennaio al 31 dicembre 2017 immobili di tipo abitativo nuovi e destinati alla locazione, viene limitata agli immobili che risultino invenduti alla data del 12 novembre 2014, data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Le linee guida dell’incentivo previsto dall’art. 21 del dl 12 settembre 2014, n. 133 (c.d. Decreto «Sblocca – Italia»), durante la fase di conversione in legge hanno subito rilevanti modifiche, a partire dalle disposizioni iniziali che prevedevano solo che gli immobili venissero ceduti direttamente dalle imprese di costruzione o derivassero da ristrutturazione immobiliare.
Le delibere finali, infatti, ricomprendono tra le altre la clausola che gli immobili devono essere rimasti invenduti alla data di entrata in vigore (12 novembre 2014) della Legge 164 di conversione, agevolando lo smaltimento dell’“invenduto” dei costruttori. A far fede la data del rogito notarile essendo di nessun conto eventuali acconti versati.

Secondo quanto disposto dalla norma, è fondamentale che l’immobile, appaia tra le rimanenze di bilancio della ditta costruttrice, affinché spetti la deduzione. La persona fisica intenzionata all’acquisto e che non conosce la situazione degli immobili alla data suddetta, potrà essere messa a conoscenza del fatto che l’immobile sia un invenduto attraverso una dichiarazione resa dal costruttore, consentendo così al potenziale acquirente di usufruire del bonus.

A tale limite, se ne aggiungono altri di non poco conto:
o l’immobile non deve trovarsi in zone omogenee classificate E, ai sensi del decreto del ministro dei Lavori pubblici n. 1444 del 2 aprile 1968 (parti del territorio destinate a usi agricoli);
o l’immobile non deve essere classificato o classificabile nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 ossia tra gli immobili di lusso, signorili o di pregio;
o l’immobile deve conseguire prestazioni energetiche certificate in classe A o B ai sensi dell’allegato 4 delle Linee guida nazionali per la certificazione energetica (decreto del ministro dello sviluppo economico 26 giugno 2009) o della normativa regionale;
o il canone di locazione non deve essere superiore a quello indicato nelle convenzioni-tipo comunali ai fini del rilascio del permesso di costruire (art. 18 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), ovvero non superiore al minore importo tra il canone definito dagli appositi accordi effettuati in sede locale fra le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative (art. 2, co. 3, della Legge 9 dicembre 1998, n. 431) e quello stabilito per i contratti di locazione a canone speciale (art. 3, co. 114, della Legge 24 dicembre 2003, n. 350);
o tra locatore e locatario non devono esistere rapporti di parentela entro il primo grado (genitore – figlio);
o l’immobile, entro sei mesi dall’acquisto o dal termine dei lavori di costruzione, deve essere dato in locazione per almeno otto anni continuativi; tuttavia, il beneficio non si perde nel caso in cui la locazione si interrompa, per motivi non imputabili al locatore, ed entro un anno venga stipulato un nuovo contratto.

La deduzione introdotta con la legge Sblocca Italia spetta nella misura del 20 per cento del prezzo di acquisto dell’immobile nel limite massimo di 300.000 euro.

Autore: Redazione Fiscal Focus

Black list: comunicazione con vecchie regole

22 Dicembre 2014

Art. 21 del D.Lgs semplificazioni fiscali

Con il comunicato stampa del 19.12.2014, l’Amministrazione Finanziaria ha fornito importanti chiarimenti in merito alla nuova decorrenza delle disposizioni dell’art. 21 del D.lgs. 175/2014 (meglio noto come Decreto semplificazioni);la richiamata disposizione ha riscritto l’articolo 1 del D.L. 98/2010, cambiando la periodicità della comunicazione delle cessioni e prestazioni di servizi effettuate e ricevute, registrate o soggette a registrazione nei confronti di operatori Black list, che diventa annuale (in luogo della precedente comunicazione mensile o trimestrale), innalzando inoltre la soglia di esenzione a 10.000,00 euro.

L’efficacia delle nuove norme riguarda le operazioni “poste in essere nell’anno solare in corso alla data di entrata in vigore” del provvedimento (13.12.2014) e dunque già a partire dal 2014.

Di conseguenza, sembrava ipotizzabile che i soggetti obbligati dovessero presentare una comunicazione riepilogativa del 2014.

Considerando l’effetto retroattivo delle disposizioni, si pensava non fosse più necessario procedere all’invio delle comunicazioni mensili di novembre (che scade il 31 dicembre) e dicembre né quella relativa all’ultimo trimestre 2014 (entro il 12 Febbraio 2015), in quanto tutte le operazioni sarebbero state riepilogate nella comunicazione 2015 contenente tutte le operazioni effettuate nel 2014 “sopra soglia”.

Tale interpretazione, tuttavia, avrebbe richiesto che la comunicazione annuale comprendesse tutte le operazioni sopra la soglia di esenzione effettuate nel 2014 con controparti “paradisiache”, con una duplicazione della comunicazione, in quanto oggetto di comunicazione avrebbero dovuto essere anche le operazioni già comunicate nei mesi da gennaio a ottobre per i contribuenti mensili e nei primi tre trimestri per quelli trimestrali.

Per evitare tale duplicazioni di adempimenti, compatibilmente con quanto previsto dall’art. 6, co. 4, dello statuto del contribuente, ai sensi del quale non possono essere chiesti ai contribuenti dati già in possesso dell’Amministrazione Finanziaria, nel suddetto comunicato stampa è stato chiarito che “per evidenti finalità di semplificazione e per consentire gli adempimenti dell’intero anno 2014 secondo le regole già adottate per la maggior parte dell’anno, i contribuenti possono continuare a effettuare le comunicazioni mensili o trimestrale secondo le regole previgenti fino alla fine del 2014; tali comunicazioni saranno ritenute pienamente valide anche secondo le nuove modalità”.

Ciò significa che per le operazioni effettuate a novembre e dicembre, o nell’ultimo trimestre 2014, è possibile (facoltà) procedere all’invio della comunicazione delle operazioni con controparte black listseguendo le regole ante decreto semplificazioni (compresa la soglia dei 500,00 euro) e dunque secondo le vecchie scadenze.

Queste comunicazioni saranno ritenute pienamente valide anche secondo le nuove modalità e, pertanto, non vi sarà necessità di procedere all’ulteriore invio della nuova comunicazione annuale sul 2014.

Chi invece non dovesse procedere in tal senso pare sia obbligato a presentare la comunicazione annuale black list 2015 (periodo d’imposta 2014) comprendente tutte le operazioni sopra soglia (10.000,00 euro) effettuate nel 2014.

Autore: Redazione Fiscal Focus

VIES: iscrizione immediata

16 Dicembre 2014
Con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 159941 del 15.12.2014, in attuazione dell’art. 22 del Decreto semplificazioni fiscali (D.Lgs. 175/2014), sono state definite le modalità per l’inclusione immediata nell’archivio VIES (Vat information exchange system) per chi apre una partita Iva o anche successivamente, senza più dover attendere 30 giorni di tempo, con la possibilità dunque di effettuare fin da subito operazioni con gli altri Paesi UE.

Si ricorda che con l’art. 22 del Decreto semplificazioni fiscali (D.Lgs. 175/2014), è stato riscritto l’art. 35 del D.P.R. 633/1972, prevedendo che con l’esercizio dell’opzione per l’inclusione nell’archivio VIES, o al momento di presentazione della Dichiarazione di inizio attività o in un momento successivo, con modalità da stabilirsi con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, il soggetto viene automaticamente incluso nell’archivio VIES e può iniziare da subito a effettuare operazioni intracomunitarie (senza attendere 30 giorni).

Nella previgente normativa, l’iscrizione all’archivio VIES poteva avvenire o al momento di presentazione della Dichiarazione di inizio attività o in un momento successivo. Tale iscrizione diveniva efficace decorsi 30 giorni dalla presentazione della richiesta, tranne il caso in cui nel medesimo termine l’Amministrazione Finanziaria emanasse un provvedimento motivato di diniego, che precludeva l’inserimento nel Vies. Ciò che si vuole evidenziare è che la soggettività attiva e passiva all’effettuazione di operazioni intracomunitarie era sospesa nel periodo di 30 giorni dall’effettuazione della richiesta, ovvero dopo la notifica del diniego.

Con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 159941 del 15.12.2014 sono state definite le modalità per l’inclusione immediata nell’archivio VIES (Vat information exchange system) per chi apre una partita Iva o anche successivamente, senza più dover attendere 30 giorni di tempo, con la possibilità, dunque, di effettuare fin da subito operazioni con gli altri Paesi UE .

L’esercizio dell’opzione all’apertura della partita IVA –
 I paragrafi 1.1. e 1.2 del citato Provvedimento stabiliscono che per esercitare l’opzione per l’inclusione nell’archivio VIES al momento di apertura della partita IVA, basta compilare nella dichiarazione inizio attività il campo “Operazioni Intracomunitarie” del quadro I dei modelli AA7 (soggetti diversi dalle persone fisiche) o AA9 (imprese individuali e lavoratori autonomi). Gli enti non commerciali non soggetti Iva esprimono l’opzione selezionando la casella “C” del quadro A del modello AA7.

Viene stabilito altresì che tutti i contribuenti interessati a eseguire operazioni commerciali con altri Paesi dell’Unione Europea, che hanno richiesto al Fisco l’autorizzazione a partire da 30 giorni fa (15.11.2014) senza ricevere diniego dall’Agenzia, sono automaticamente iscritti nell’elenco Vies dal 15.12.2014 (paragrafo 2.3 del provvedimento).

I soggetti già titolari di partita IVA – Anche per i soggetti già titolari di partita IVA, che esercitano l’opzione per l’inclusione nell’archivio VIES vengono inclusi nel momento in cui esprimono tale opzione.

I soggetti già titolari di partita IVA, ivi compresi i soggetti non residenti identificati direttamente ai fini IVA ai sensi dell’articolo 35-ter del D.P.R. n. 633 del 1972, possono:
a) esprimere l’opzione per effettuare operazioni intracomunitarie utilizzando le apposite funzioni rese disponibili nei servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate, direttamente, da parte dei soggetti abilitati a Entratel o Fisconline, o tramite i soggetti incaricati di cui ai commi 2-bis e 3 dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322;
b) comunicare, con le modalità di cui alla precedente lettera a), la volontà di retrocedere da tale opzione.

Per i soggetti già in possesso di partita IVA che intendono esercitare l’opzione per l’inclusione nell’archivio VIES si ricorda che l’Agenzia delle Entrate con il comunicato stampa del 26.03.2014 ha reso noto l’attivazione del nuovo servizio che consente ai soggetti già titolari di partita Iva, abilitati a Fisconline o Entratel, di richiedere direttamente in via telematica la propria iscrizione nell’archivio VIES.
Utilizzando il nuovo servizio on line basta indicare nel campo dedicato la propria partita Iva, “candidata” a entrare nell’elenco Vies.

I controlli dell’Agenzia delle Entrate – L’Amministrazione Finanziaria potrà effettuare i necessari controlli volti a verificare l’esattezza dei dati del contribuente ed eventualmente cancellare il soggetto dall’archivio VIES ed inoltre decretare la cessazione della partita Iva se i dati forniti dal contribuente sono non veritieri, incompleti o inesatti, come previsto anche dell’art. 23 del regolamento UE n. 904/2010.

Se il soggetto non presenterà gli Elenchi Intrastat, per quattro trimestri successivi all’inclusione nell’archivio VIES successivamente alla data di entrata in vigore del Decreto legislativo n. 175 del 21 novembre 2014. (sintomo di non effettuazione di operazioni intracomunitarie) verrà automaticamente cancellato dall’archivio.

L’esclusione dall’archivio Vies dovrà essere preceduta da una comunicazione delle Entrate, con l’obiettivo di instaurare un contradditorio con il contribuente che potrà giustificare le eventuali ragioni della mancata presentazione degli elenchi, evitando così l’estromissione dalla banca dati.

Al punto 3.2 del Provvedimento si chiarisce che l’esclusione dalla banca dati è effettuata a cura della Direzione provinciale competente in ragione del domicilio fiscale del contribuente, previo invio di un’apposita comunicazione, e ha effetto dal sessantesimo giorno successivo alla data della comunicazione.

Autore: Redazione Fiscal Focus