Bocciato il «pdf» allegato alla Pec

Sono sempre più numerose le pronunce di merito che censurano le modalità digitali utilizzate dal Fisco per la formazione e la notificazione degli atti impositivi. Così, la Ctr Liguria (sentenza 1745/3/2017, presidente Canepa e relatore D’Avanzo) e la Ctp Treviso (sentenza 93/1/2018, presidente Chiarelli e relatore Fadel) ribadiscono ancora una volta che è inesistente la notifica di un atto impositivo se avviene tramite messaggio Pec contenente in allegato il file dell’atto non firmato digitalmente. E ancora, per la stessa Ctp Treviso (sentenza 55/1/2018, presidente Bazzotti, relatore Fadel) è inesistente l’avviso di accertamento notificato al contribuente in formato cartaceo, ma che non reca alcuna sottoscrizione autografa del dirigente dell’ufficio (o di un suo delegato) ma la sola dicitura «firmato digitalmente».

La notifica tramite Pec

Le prime due sentenze riguardano il caso di cartelle di pagamento notificate al contribuente in formato “pdf” allegato a un messaggio Pec. I contribuenti impugnano le cartelle di pagamento sotto svariati profili, evidenziando tra l’altro che il formato “pdf” del file allegato alla Pec non garantisce l’immodificabilità e l’integrità del documento informatico.

I giudici condividono questa tesi difensiva, in particolare richiamando l’articolo 21, comma 1-bis, del Dlgs 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale, Cad), secondo cui «l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità».

Da questa disposizione i giudici traggono il convincimento che, in base al Cad, solamente il documento informatico su cui è apposta la firma digitale, formato secondo le specifiche tecniche di cui al Dpcm 13 novembre 2014 (recante «Regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici» in attuazione del Cad), è munito delle oggettive caratteristiche di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità, oltre a consentire l’identificazione della paternità dell’atto, tali da renderne valida la notifica a Pec.

In mancanza di tali requisiti, non c’è nessuna certezza legale che l’atto inviato telematicamente sia identico al provvedimento in originale e che esso sia giunto integro al suo destinatario. Pertanto, l’atto non è idoneo a manifestare la volontà dell’amministrazione di incidere nella sfera del destinatario (come anticipato, questa linea è stata sposata da molte altre pronunce di merito; solo per citarne alcune: Ctr Campania 9464/11/2017, Ctp Milano 1023/1/2017, Ctp La Spezia 420/1/2017, Ctp Vicenza 615/2/2017).

Atto cartaceo e firma digitale

La terza sentenza citata riguarda il caso di un avviso di accertamento notificato al contribuente in forma cartacea, ma recante la sola stampigliatura del nominativo del funzionario dell’ufficio seguita dalla dicitura «firmato digitalmente».

Anche in questo caso, a fronte di una specifica doglianza avanzata dal contribuente, i giudici hanno annullato l’atto, sottolineando che la normativa rilevante (articolo 15, comma 7, Dl 78/2010 e provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 2 novembre 2010) consente di sostituire la firma autografa con l’indicazione a stampa del nominativo del responsabile nei soli casi in cui l’atto:

sia prodotto da sistemi informativi automatizzati;

e sia il risultato di attività a carattere seriale effettuate con modalità di lavorazione accentrata (è il caso degli accertamenti delle tasse automobilistiche, delle concessioni governative, dell’imposta di registro annuale sui canoni di locazione pluriennali).

Ne consegue che per gli accertamenti ordinari notificati in formato cartaceo, la firma deve essere autografa. Anche in questo caso, in difetto di tale elemento, non può ritenersi formata alcuna volontà del Fisco idonea ad incidere nella sfera del contribuente.

Fonte “Il sole 24 ore”

Confisca del patrimonio per l’imputato di evasione anche se non condannato

Chi trae proventi con continuità e sistematicità dall’evasione fiscale e dalle truffe in danno alla pubblica amministrazione espone il patrimonio così costituito al rischio della confisca, applicabile, anche a distanza di tempo, dal tribunale sezione misure di prevenzione. È quanto emerge dalla sentenza 11846 della seconda sezione della Corte di cassazione depositata il 15 marzo scorso.

La vicenda riguarda un imprenditore calabrese che, tra il 1995 e il 2010, era stato coinvolto in diversi procedimenti penali che lo avevano visto indagato o imputato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (reato previsto dall’articolo 640-bis del Codice penale) o di condotte di false fatturazioni ed evasione fiscale per ingenti volumi di affari. Tuttavia, nessuno dei procedimenti si era concluso con una condanna passata in giudicato; ciò in quanto in alcuni si era verificata la prescrizione del reato in grado di appello dopo una condanna di primo grado e in altri erano mancate le condizioni di procedibilità anche prima dell’inizio del dibattimento.

Nel 2016 il Procuratore aveva inoltrato al Tribunale di Reggio Calabria una richiesta di applicazione della misura di prevenzione personale e patrimoniale a carico dell’imprenditore. Egli veniva ritenuto soggetto pericoloso abitualmente dedito a traffici delittuosi, che viveva anche in parte con i proventi di attività delittuose.

Veniva così invocata una ipotesi di «pericolosità generica», prevista dall’articolo 4, lettera c), del decreto legislativo 159/2011.

Il Tribunale aveva ritenuto che dai vari fatti accertati nei procedimenti penali a carico dell’imprenditore, pur conclusi per lui favorevolmente, era emersa una sua stabile dedizione ad attività illecite che gli avevano consentito di acquisire ingenti capitali. Tuttavia, questa sua condotta risultava solo fino al 2010 e, in assenza di altri elementi a suo carico per il periodo successivo, la sua pericolosità non poteva essere ritenuta attuale. Per questo il Tribunale non aveva applicato la misura di prevenzione personale, ma aveva egualmente disposto la confisca dei beni dell’imprenditore che risultavano essere stati da lui acquistati nel periodo in cui si era manifestata la sua pericolosità.

La Cassazione quindi si è trovata ad affrontare un’ipotesi di confisca senza condanna e senza pericolosità attuale del titolare dei beni, ma ha considerato legittimo il provvedimento.

Secondo la Cassazione, la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) «De Tommaso contro Italia» del 23 febbraio 2017, che ha censurato la carenza di previsioni dettagliate nel Codice antimafia sul tipo di condotta da considerare espressiva di pericolosità sociale, non costituisce né sentenza pilota né diritto consolidato. Sicché non può avere conseguenze sui giudizi in corso. In altri precedenti della Cedu, poi, l’applicazione delle misure di prevenzione è stata ritenuta legittima purché ancorata a elementi certi e provati. E tali erano quelli raccolti nei procedimenti penali conclusi con dichiarazione di prescrizione, di per sè non preclusiva della valutazione della pericolosità.

La confisca si deve considerare giustificata dall’articolo 1, comma 2, del Protocollo addizionale 1 della Convenzione che salvaguarda le norme interne sull’uso dei beni in conformità all’interesse generale e che quindi consente le procedure che accertino la pericolosità soggettiva e la presumibile origine illecita dei patrimoni. E ciò vale anche quando il patrimonio abbia origine illecita seppur il suo titolare non sia più dedito ad attività illecite. La sua origine, infatti, rende il patrimonio antisociale e altera la concorrenza sul mercato.

Fonte “Il sole 24 ore”

Così il patent box incontra il credito R&S

di Luigi Ferrajoli

Il credito d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo (R&S), come contenuto nel Piano Industria 4.0, e il patent box premiano le imprese che – in senso lato – investono nel settore dell’innovazione. Alla luce di questa finalità “comune”, tuttavia, è necessario analizzare i profili di convivenza, sovrapposizione ed eventuale conflitto delle due agevolazioni.

La circolare 5/E/2016 ha chiarito che il credito d’imposta R&S e il patent box rappresentano distinti strumenti sinergici: il primo opera attraverso il riconoscimento di un’agevolazione ancorata alla misura degli investimenti effettuati; il secondo garantisce la detassazione dei redditi prodotti in ragione dello sfruttamento di beni immateriali derivanti da attività di ricerca, sviluppo e accrescimento degli stessi, da perseguire e mantenere nel tempo.

Il ministero dello Sviluppo economico, con la circolare 59990 del 9 febbraio 2018 , ha fornito chiarimenti sulla disciplina del credito d’imposta R&S, proprio traendo le mosse dagli investimenti effettuati dalle imprese italiane nel settore hi-tech. Secondo il ministero, il software per la cui scoperta o implementazione viene chiesto il credito d’imposta deve essere portatore di un reale progresso scientifico e tecnologico; in particolare, deve essere funzionale alla risoluzione di una problematica su base sistematica. In altri termini, la circolare ministeriale ha escluso dall’agevolazione le attività di tipo ricorrente o di routine, quali ad esempio quelle che possono risolversi nel mero utilizzo di un software per una nuova applicazione o semplicemente per un nuovo scopo.

La locuzione «ricerca e sviluppo» contenuta nell’articolo 8 del Dm 28 novembre 2017 cita alla lettera d) «l’ideazione e la realizzazione del software protetto dal copyright». Il che pare rispondere a requisiti meno stringenti di quelli appena visti per il credito R&S. Di fatto, quando si tratta di stabilire se le innovazioni tecnologiche riferite all’evoluzione di un software possono beneficiare del patent box, il necessario elemento di novità sembra risolversi nelle procedure che portano al riconoscimento del copyright.

D’altra parte, l’Agenzia, con la risoluzione 28/E/2017 , aveva già preso posizione sull’applicazione del patent box in casi di utilizzo indiretto di un nuovo programma applicativo. Le Entrate erano state chiamate a rispondere a un’istanza di interpello presentata da una società che voleva applicare il patent box in un caso di software coperto da copyright concesso in uso in forma di licenza iniziale, con successivi canoni di assistenza e manutenzione. Partendo dal principio Ocse del nexus approach (quale necessario collegamento tra l’agevolazione e l’effettivo svolgimento di un’attività economica che si sostanzi nella ricerca e sviluppo), l’Agenzia ha escluso dal beneficio soltanto il novero delle attività che – profilandosi come mere operazioni di implementazione, aggiornamento e personalizzazione del programma – si risolvono in una forma puramente strumentale di utilizzo del software.

Fonte “Il sole 24 ore”

Responsabilità solidale

Il prestito amicale non giustifica le movimentazioni sul conto corrente
È legittima la ripresa dell’Amministrazione, fondata sulle movimentazioni risultanti dal conto corrente bancario del contribuente, se questi si limita ad indicare che tali somme si riferiscono a prestiti amicali tramite dichiarazioni rese dai beneficiari, ma di fatto non dimostra in maniera analitica che le somme versate si riferiscono ad operazione. Infatti possono essere poste a base dell’accertamento i singoli dati ed elementi risultanti dal conto corrente, come previsto dal comma 7 dell’articolo 32 del Dpr 600 del 1973. Viceversa, non bastano le dichiarazione prodotte dal contribuente per dimostrare le restituzioni di prestiti amicali, perché sono:
a) giustificazioni delle movimentazioni generiche e non analitiche;
b) dichiarazioni sono prive di autenticità, da trattare come qualsiasi scrittura privata poiché non è certa né la data in esse apposta né l’identità del sottoscrittore.
Nel caso esaminato, l’Amministrazione accerta un contribuente sulla scorta delle movimentazioni risultanti dal conto corrente relative al 2006 ed al 2007. Il contribuente si oppone e sostiene che le somme si riferiscono a prestiti effettuati da propri amici.
Ctr Lazio, sentenza 569/3/2018

Il contante accumulato in cassaforte e poi versato giustifica l’importi superiori agli incassi
Stop all’accertamento bancario emanato dall’Amministrazione nei confronti del professionista fondato sulla circostanza che in determinati periodi dell’anno gli importi versati sono superiori alle ricevute emesse se il contribuente giustifica la provenienza di tali somme. È infondata la tesi del fisco secondo cui tali somme afferiscono a somme sottratte a tassazione siccome in determinati periodi dell’anno i versamenti sono superiori agli importi risultanti dalle parcelle emesse. Per contro, è valida la tesi del contribuente che dimostra la provenienza di tali somme, ed in particolare che le stesse:
a) afferiscono a prestazioni relative a periodi pregressi e conservate in cassaforte, somme che poi solo in seguito il contribuente ha deciso di versare sul conto;
b) nel complesso, la ripresa erariale non trova fondamento dato che, su base annua, gli ammontari versati risultano comunque inferiori ai compensi dichiarati.
Nel caso esaminato, l’Amministrazione notifica nel 2006 ad un medico-legale un accertamento fondato sulle movimentazioni di conto corrente inerente gli anni 2003 e 2004 tramite cui accerta maggiori compensi rispettivamente pari a euro 917 e oltre 7mila euro per il 2004. Secondo l’Amministrazione, nei periodi compresi dall’ottobre 2003 al 22 dicembre 2003 le somme versate superano le prestazioni fatturate di oltre 8mila euro. Mentre nel periodo compreso tra il 23 dicembre 2003 e 19 marzo 2004, la differenza è oltre 11mila euro. Il contribuente si oppone e sostiene che trattasi di somme relative a prestazioni professionali già fatturate ma relative a periodi pregressi conservate in cassaforte e solo in seguito versate.
Ctr Sardegna, sentenza 56/5/2018

Fonte “Il sole 24 ore”

Responsabilità solidale

Stop all’appello notificato all’indirizzo corretto del procuratore ma fuori termine
Nel processo tributario, la denuncia di variazione del domicilio eletto opera esclusivamente nei confronti della parte, e non nei confronti del suo difensore, che non è tenuto a comunicare alla parte resistente la variazione dell’indirizzo. Questo perché la parte elegge domicilio presso il proprio procuratore e non presso il suo indirizzo. Pertanto è inammissibile l’appello dell’amministrazione qualora questa abbia tentato invano la notifica al vecchio indirizzo, e successivamente abbia si notificato l’atto di gravame presso l’indirizzo (nuovo) corretto del procuratore, ma oltre il termine lungo per promuovere l’azione. Dal punto di vista prettamente processuale:
a) il difensore del contribuente non è gravato dal comunicare alla controparte del giudizio la variazione di indirizzo del proprio studio;
b) per contro, è l’Amministrazione che, utilizzando l’ordinaria diligenza, deve individuare, tramite consultazione online dell’Albo professionale, l’indirizzo esatto presso cui notificare l’atto di gravame, essendo l’Albo fonte legale di conoscenza del domicilio degli iscritti, ed è solo a tale ente che il procuratore deve comunicare i mutamenti della sede.
Nel caso esaminato, l’Amministrazione perde il contenzioso nel giudizio, con sentenza depositata in data 11 gennaio 2016. Essa notifica il ricorso in appello all’indirizzo del difensore del contribuente risultante dagli atti processuali, notifica che però non va a buon fine e, a seguito di istanza rinnovazione della notifica, ri-notifica il gravame presso l’indirizzo nuovo del difensore il 19 luglio 2016.
Ctr Lombardia, sentenza 970/1/2018

Fonte “il sole 24 ore”

Responsabilità solidale

Per i soggetti residenti all’estero le notifiche non vanno più eseguite in Italia
Il coniuge, regolarmente separato e residente in Svizzera, non deve dichiarare gli assegni di mantenimento percepiti dal coniuge perché non è più soggettivo passivo d’imposta in Italia come dispone il secondo comma dell’articolo 2 del Tuir. L’assoggettamento all’imposizione elvetica si fonda sia sul certificato di residenza storico sia all’iscrizione ad un Albo professionale. Nel caso esaminato, una contribuente nel 2009 percepisce assegni di mantenimento dall’ex coniuge e nel medesimo anno si trasferisce in Svizzera dove svolge anche l’attività professionale di Avvocato regolarmente iscritto all’Ordine di Ginevra. Ma secondo l’Amministrazione tali somme avrebbero dovuto essere dichiarate in Italia, e ridetermina il reddito 2009 di oltre 73mila euro e ricupera maggiore Irpef per oltre 24mila euro e addizionale regionale per oltre 600 euro. Né tanto meno è valida la notifica della cartella di pagamento nei confronti di un contribuente residente all’estero il cui indirizzo è pienamente conoscibile dall’Amministrazione tramite consultazione degli indirizzi esteri dell’iscritto all’Aire, se questa è effettuata tramite semplice affissione alla casa comunale con le modalità della irreperibilità assoluta, senza invio della raccomandata presso l’indirizzo estero.
Nel caso esaminato, il concessionario nel 2009 notifica un’iscrizione a ruolo tramite cartella concernente imposte di registro e bollo auto presso l’ultima residenza italiana del contribuente, risultato poi trasferitosi all’estero nel medesimo anno tramite deposito dell’atto presso la casa comunale e affissione dell’avviso.
Ctr Lombardia, sentenza 473/11/2018
Ctr Lombardia, sentenza 502/06/2018

Fonte “Il sole 24 ore”

Responsabilità solidale

L’errata indicazione del Paese d’origine rende il dichiarante responsabile dei maggiori dazi accertati
In caso di accertamento di maggiori dazi doganali per errata indicazione del paese di origine della merce resa in sede doganale, il soggetto responsabile è il dichiarante, anche se questi agisce per conto dell’importatore effettivo titolare della merce, che ne risponde in solido, in base alle norme stabilite dal regolamento Cee. È infatti infondata la tesi del dichiarante che eccepisce il proprio difetto di legittimazione passiva siccome la merce – di provenienza da un paese di origine difforme da quello indicato in sede doganale – è di proprietà dell’importatore che ha dato mandato al dichiarante di espletare le formalità in dogana. È invece valida la tesi dell’agenzia delle Dogane che individua nel dichiarante il soggetto tenuto al pagamento dei maggiori dazi accertati dato che:
a) a mente dell’articolo 4 del regolamento Cee il dichiarante è colui il quale rilascia, e quindi sottoscrive, la dichiarazione in dogana;
b) in base all’articolo 201 del regolamento Cee soggetto passivo dei dazi è il dichiarante, anche se questi agisce per conto dell’importatore, e quindi non rileva la circostanza che il dichiarante non coincida con il soggetto acquirente della merce.
Nel caso esaminato, una Srl esercente attività di commercio di all’ingrosso di materiale elettrico, importa nel 2014 pannelli solari formalmente provenienti dal Taiwan e conferisce mandato ad altra Srl per l’espletamento delle formalità doganali. Quest’ultima, in sede doganale, conferma il paese di provenienza della merce. Successivamente l’agenzia delle Dogane scopre che la merce in realtà proviene dalla Cina e notifica avviso nel 2016 all’importatore ed al dichiarante tramite cui ricupera maggiori dazi per oltre 34mila euro comprensivo di sanzioni ed interessi.
Ctp Treviso, sentenza 88/04/2018

Fonte “Il sole 24 ore”

Responsabilità solidale

Nessuna responsabilità solidale con il sostituto d’imposta
Il contribuente, sostituito d’imposta, che percepisce un reddito al netto della ritenuta a titolo d’acconto, non è responsabile in solido col sostituto del mancato pagamento dell’imposta da questi trattenuta ma non versata. A livello normativo, il sostituito non è coobbligato solidale col sostituto, perché il soggetto, tenuto al pagamento, è il solo sostituto, obbligato al versamento per conto di altri a titolo di acconto in base al primo comma dell’articolo 64 del Dpr 600 del 1973. Inoltre in caso di mancato versamento da parte del sostituto di somme a titolo d’acconto, il debito non può essere iscritto a ruolo anche nei confronti del sostituito, in quanto la norma (articolo 35 del Dpr 602 del 1973) si applica solo a redditi sui quali il sostituto non ha effettuato alcuna ritenuta. A livello sostanziale, non si può considerare il sostituito soggetto coobbligato col sostituto per somme da questi trattenute e non versate. Diversamente questi si troverebbe nella paradossale situazione di versare somme che non gli sono state nemmeno erogate siccome trattenute dal sostituto, in violazione del principio di capacità contributiva, cioè in pratica il sostituito verrebbe di fatto assoggettato a tassazione due volte.
Nel caso esaminato, un contribuente impugna un’iscrizione a ruolo scaturente dal controllo sul modello Unico 2013, relativo all’anno 2012, e notificato nel 2016 tramite cui l’ufficio ricupera maggiore Irpef per oltre 17mila euro, ripresa fondata sulla circostanza che il sostituto non aveva versato le ritenute applicate.
Ctp Sondrio, sentenza 18/02/2018

Fonte “Il sole 24 ore”

Responsabilità solidale, notifiche

L’omessa compilazione di Rw ostacola il rimborso dell’euroritenuta. Nessuna responsabilità solidale con il sostituto d’imposta. L’errata indicazione del Paese d’origine rende il dichiarante responsabile dei maggiori dazi accertati. Per i soggetti residenti all’estero le notifiche non vanno più eseguite in Italia. Stop all’appello notificato all’indirizzo corretto del procuratore ma fuori termine. Il prestito amicale non giustifica le movimentazioni sul conto corrente. Il contante accumulato in cassaforte e poi versato giustifica l’importi superiori agli incassi. Sono questi gli argomenti trattati dalla rassegna di questa settimana delle principali pronunce delle Commissioni tributarie di primo e secondo grado.

L’omessa compilazione di Rw ostacola il rimborso dell’euroritenuta
Il contribuente, che detiene attività finanziarie estere non dichiarate, non ha diritto al rimborso della ritenuta eurounitaria effettuata dall’istituto di credito presso il quale transitano tali somme. A maggior ragione se il contribuente ha definito, tramite la voluntary disclosure, gli inviti notificati dall’Amministrazione per l’omessa dichiarazione di tali attività, ove tra l’altro non veniva riconosciuta la ritenuta operata dall’istituto di credito. In primo luogo, dal punto di vista processuale, il ricorso introduttivo avverso il diniego di rimborso è inammissibile per aver il contribuente riconosciuto, tramite adesione volontaria, la correttezza dell’operato dell’ufficio, e quindi la richiesta di rimborso dell’euroritenuta non può più essere oggetto di contestazione, come disposto dall’articolo 2 del Dlgs 218 del 1997. In secondo luogo, dal punto di vista normativo, l’omessa compilazione del Quadro Rw non consente alla contribuente di detrarre l’imposta estera trattenuta dall’istituto di credito, come previsto dall’articolo 165, comma 8 del Tuir, norma avente finalità sanzionatoria.
Nel caso esaminato, l’Amministrazione notifica degli inviti inerenti gli anni dal 2010 al 2013 tramite cui accerta attività estere non dichiarate e disconosce la ritenuta eurounitaria operata dall’istituto di credito pari ad oltre 24mila euro. La contribuente si avvale della voluntary disclosure. Successivamente, nel gennaio 2017 la contribuente presenta richiesta di rimborso dell’euroritenuta, richiesta respinta dall’Amministrazione nel giugno 2017 e impugnata dalla contribuente nel settembre 2017.
Ctp Mantova, sentenza 12/1/2018

Fonte “Il sole 24 ore”

L’Iva per cassa chiede la conferma nel rigo VO

di Paola Bonsignore e Pierpaolo Ceroli

Il cash accounting, meglio conosciuto come Iva per cassa, introdotto dall’articolo 32-bis Dl 83/2012, determina lo stravolgimento della forma mentis per l’esigibilità e detraibilità dell’Iva con conseguente impatto sulla compilazione della dichiarazione Iva. Con tale opzione, infatti, non si terrà più conto del momento in cui è eseguita l’operazione per determinare l’esigibilità dell’imposta, bensì dovrà essere considerata la data del pagamento o, al più tardi, la decorrenza di un anno dalla cessione del bene o prestazione del servizio.

A partire dal 2012, infatti, i soggetti passivi con volume d’affari non superiore a 2 milioni di euro che cedono beni o prestano servizi verso cessionari o committenti che agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione, possono optare per questo particolare regime Iva, in base al quale, come anticipato, sidetermina l’esigibilità dell’imposta, nonché la sua detraibilità in caso di acquisto, al momento del pagamento dei relativi corrispettivi.

L’opzione, che segue ad un comportamento concludente, è esercitata nella prima dichiarazione Iva successiva all’anno in cui si è seguito questo nuovo modus operandi. Quindi nel caso in cui il contribuente avesse adottato l’Iva per cassa, attraverso comportamenti concludenti nel corso del 2017, dovrà barrare la casella 1 “opzione” del rigo VO 15 “Regime Iva per cassa” del modello Iva 2018. L’opzione sarà vincolante fino a revoca, o comunque per almeno un triennio decorso il quale si rinnova di anno in anno.

Il richiamato art. 32 prevede, però, anche delle cause di esclusione dal regime per tutti quei soggetti che pongono in essere:

•Operazioni con applicazione di regimi speciali di determinazione dell’Iva;

•Operazioni poste in essere nei confronti di cessionari o committenti che assolvono l’imposta mediante l’applicazione dell’inversione contabile.

Al fine della determinazione dell’imposta a credito o a debito il contribuente che ha optato per il cash accounting dovrà compilare i quadri:

•VE «Operazioni attive e determinazione del volume d’affari« indicando nella sezione 2 «Operazioni imponibili agricole e operazioni imponibili commerciali o professionali» l’imponibile (col.1) e l’imposta (col. 2) risultante dalle fatture incassate nel corso del 2017, nel rigo VE37 «Operazioni effettuate nell’anno ma con imposta esigibile in anni successivi» l’eventuale imponibile non ancora incassato (col.1 e 2) e nel rigo VE50 «Volume d’affari» la somma algebrica degli imponibili indicati nel quadro al netto di quelli derIvanti da operazioni effettuate in anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017;

•VF «Operazioni passive e Iva ammessa in detrazione» indicando nella sezione 1 «Ammontare degli acquisti effettuati nel territorio dello Stato, degli acquisti intracomunitari e delle importazioni» l’imponibile (col.1) e l’imposta (col. 2) risultante dalle fatture pagate nel corso del 2017, nel rigo VF21 «Acquisti registrati nell’anno ma con detrazione dell’imposta differita ad anni successivi» l’eventuale imponibile non ancora pagato (col.1 e 2) e nel rigo VF22 «(meno) Acquisti registrati negli anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017» l’ammontare degli acquisti effettuati in anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017. Dalla contrapposizione del totale dell’imposta sulle operazioni passive (VE26) ed attive (VF71) si determinerà l’imposta dovuta (VL3) o l’imposta a credito (VL4).

Fonte “Il sole 24 ore”

Vendite giudiziarie, da domani l’obbligo di aste telematiche

di Alessandro Galimberti

 A distanza di cinque anni dall’avvio sperimentale della digitalizzazione delle vendite giudiziarie, domani 11 aprile andranno a regime definitivamente le aste telematiche legate al processo esecutivo e alle procedure concorsuali svolte secondo le regole del codice di procedura civile.

Dal 19 febbraio scorso tutta la pubblicità relativa a questi procedimenti era già stata convogliata obbligatoriamente sul portale di vendite giudiziarie del ministero, domani scattano invece i 90 giorni di conto alla rovescia dalla pubblicazione del Dm 5 dicembre 2017 (pubblicato sulla G.U. 7 del 10 gennaio) che accertava la «piena funzionalità dei servizi del Portale delle vendite pubbliche». Sito web ministeriale che deve raccogliere la pubblicazione dell’avviso di vendita (pena l’estinzione della procedura), l’effettuazione dell’offerta telematica («Busta telematica») di partecipazione all’asta, oltre al link che rimanda il “presentatore” al Modulo Web Offerta Telematica, insieme alla formulazione della richiesta di visita al custode.

L’obbligo di asta telematica si applica a decorrere dall’11 aprile alle «vendite disposte dal giudice o dal professionista delegato», formula che lascia il varco a qualche dubbio sui poteri del professionista delegato, considerato che il programma della vendita è contenuto nella delega, lex specialis della fase liquidatoria. Questo porta il Notariato a ritenere che la continuazione con aste tradizionali – in sostanziale regime transitorio – sia possibile fino all’esaurimento della delega per i procedimenti già in corso. Si tratta comunque di un’eccezione che chiude definitivamente l’epoca delle aste tradizionali.

Secondo uno studio dei Notai i valori aggiudicati ad oggi con procedure telematiche ammontano a 187.259,41 euro, ma il dato significativo è che si tratta del 25% degli immobili aggiudicati rispetto alle aste tradizionali, e con un 6% da offerenti fuori sede, vero plus della digitalizzazione.

I tribunali pilota della dematerializzazione delle aste sono stati Brescia e Firenze, seguiti da Arezzo, Bergamo, Ferrara, Genova, Lucca, Padova, Pistoia, Prato, Reggio Emilia, Roma, Trento e Varese.

Positive le prime reazioni delle categorie professionali più coinvolte nella riforma, ma non senza qualche rilievo operativo. Secondo Giuseppe Tedesco, consigliere dell’ Ordine dei commercialisti ed esperti contabili con delega alle funzioni giudiziarie, «si tratta di un’evoluzione positiva per i cittadini e per l’intero sistema, ma certamente è un processo da implementare ed affinare con cura. Penso tra gli altri al tema del versamento della cauzione che, così come è disegnato, rischia di essere un vulnus per la riservatezza dell’offerta». A giudizio dei notai ci sono invece problemi di identificazione «assai debole» dell’offerente “digitale” che potranno dar luogo a furti di identità e riciclaggio. «È auspicabile – dicono al Notariato – che si limiti la possibilità di utilizzo della figura del presentatore ad un unico soggetto offerente, e che i gestori delle vendite telematiche siano scelti secondo criteri di affidabilità e sicurezza del sistema informatico sottostante (Certificazione Iso 27000 e cifratura dei file di log) onde prevenire contestazioni relative alla trasparenza della gestione dell’asta telematica».

Fonte “Il sole 24 ore”

Dati liquidazioni Iva, il modello si aggiorna a operazioni straordinarie e acconti

di Fabio Giordano, comitato tecnico AssoSoftware

È durato giusto un anno – o meglio quattro trimestri – il modello «Comunicazione liquidazioni periodiche Iva» approvato lo scorso anno con provvedimento delle Entrate del 27 marzo 2017, con le relative istruzioni, ed eccone pronta e già approvata una versione per il 2018. Con provvedimento delle Entrate del 21 marzo 2018 (protocollo 62214) è stato infatti approvato il modello con le relative istruzioni, che dovrà essere utilizzato a decorrere dalle comunicazioni riferite al 1° trimestre 2018 da presentarsi entro il 31 maggio 2018, e disposto che, per quanto non diversamente indicato nel provvedimento stesso, restano applicabili le disposizioni contenute nel provvedimento del 27 marzo 2017.

Il modello e le relative istruzioni contengono le seguenti novità:
■nel rigo VP1 è stata introdotta la casella 5 denominata «Operazioni straordinarie», tramite la quale il soggetto avente causa in una operazione straordinaria può segnalare che nella liquidazione periodica confluisce il credito del periodo precedente (o il credito dell’anno antecedente l’operazione) maturato dal soggetto dante causa;
■nel rigo VP13, è stata introdotta la casella 1 denominata «Metodo», con cui indicare il metodo utilizzato per la determinazione dell’acconto, analoga a quella già presente nel modello di dichiarazione annuale Iva;
■nelle istruzioni, oltre alle indicazioni relative alle nuove caselle sopra menzionate, sono stati recepiti alcuni chiarimenti forniti con la pubblicazione sul sito internet dell’Agenzia di alcune risposte alle domande più frequenti (Faq).

Di seguito un breve approfondimento di queste novità e qualche considerazione più generale dopo un anno di comunicazioni.

Operazioni straordinarie
La compilazione della nuova casella 5 del rigo VP1 è chiaramente limitata ai casi di operazioni straordinarie, le cui istruzioni sono contenute nel paragrafo «Contribuenti con operazioni straordinarie o altre trasformazioni sostanziali soggettive (fusioni, scissioni, cessioni di azienda, conferimenti, ecc.)».
L’aggiunta di questa casella è significativa in quanto permette di non far scattare i controlli automatici che normalmente si attivano quando il credito indicato nel rigo VP8 di un periodo non coincide con il credito indicato nel rigo VP14, colonna 2, del periodo precedente.
In particolare, nel caso in cui il soggetto avente causa riporti nel rigo VP8 della propria Comunicazione il credito maturato dal soggetto dante causa nell’ultima liquidazione periodica, deve essere barrata la casella «Operazioni straordinarie» nel rigo VP1.
Le istruzioni precisano che tale casella va barrata anche nel caso in cui il soggetto avente causa riporti nel rigo VP9 una quota o l’intero ammontare del credito emergente dalla dichiarazione annuale Iva del soggetto dante causa, relativa all’anno precedente quello indicato nel frontespizio, ceduto, in tutto o in parte, a seguito dell’operazione straordinaria.
La casella va altresì barrata anche nell’ipotesi in cui, a seguito dell’interruzione della liquidazione Iva di gruppo nel corso dell’anno, l’ente o società controllante riporti nel rigo VP8 le eventuali eccedenze di credito trasferite al gruppo e non compensate utilizzate in detrazione nelle proprie liquidazioni periodiche successive.

Acconto dovuto
L’inserimento della nuova casella del rigo VP13, denominata «Metodo», allinea il modello di comunicazione al modello di dichiarazione annuale Iva, che già conteneva la medesima informazione in corrispondenza dell’omologo rigo VH17.
Ci eravamo già chiesti tutti, infatti, come mai nel quadro VH – che va compilato esclusivamente nel caso in cui risulti necessario correggere eventuali errori od omissioni delle comunicazioni periodiche – fosse presente un’informazione che invece non era richiesta nelle stesse comunicazioni da correggere.
Ora abbiamo la risposta. Evidentemente per esigenze di controllo tale informazione, che non era stata inizialmente inserita nella comunicazione, è stata inserita e va ora compilata in caso di acconto dovuto, che a sua volta può essere presente solo se il campo «Trimestre» assume il valore 4 o 5 oppure se il campo «Mese» assume il valore 12.
In relazione all’acconto ricordiamo che fra le precisazioni fornite dalle istruzioni, vi è quella che occorre indicare l’ammontare dell’acconto dovuto, anche se non effettivamente versato, dai contribuenti obbligati al versamento dell’acconto in base all’articolo 6 della legge 405/1990.
Qualora l’ammontare dell’acconto risulti inferiore a 103,29 euro, il versamento non deve essere effettuato e pertanto nel rigo non va indicato alcun importo.
La casella «Metodo» deve essere compilata indicando il codice relativo al metodo utilizzato per la determinazione dell’acconto:
•«1» storico;
•«2» previsionale;
•«3» analitico – effettivo;
•«4» soggetti operanti nei settori delle telecomunicazioni, somministrazione di acqua, energia elettrica, raccolta e smaltimento rifiuti, eccetera.
Si evidenzia che nel caso di ente o società controllato partecipante alla liquidazione Iva di gruppo, uscito dal gruppo dopo la data del 27 dicembre (termine finale stabilito per il versamento dell’acconto Iva) a seguito, ad esempio, di incorporazione da parte di società esterna, deve essere compreso nel presente rigo della comunicazione della società incorporante relativa al mese di dicembre anche il credito derivante dall’importo dell’acconto dovuto dall’ente o società controllante per l’ente o società controllato incorporato.

Aggiornamento delle procedure
La documentazione tecnica è stata resa disponibile la scorsa settimana (in particolare lo schema Xml), per cui le software house stanno già provvedendo ad aggiornare le procedure informatiche, che saranno rilasciate quanto prima.
Con l’occasione gli analisti delle software house, che inizialmente si erano necessariamente dovuti concentrare sulla compilazione e sull’invio del modello di comunicazione, stanno ora cercando di capire quali controlli è possibile e opportuno realizzare – a livello di raffronto – tra le quattro comunicazioni e la dichiarazione annuale Iva, al fine di ridurre il più possibile gli eventuali errori di compilazione da parte degli operatori.
Sulla spinta delle richieste, le software house forniranno – come di consueto – le opportune risposte alle esigenze operative dei propri clienti.

Fonte”Il sole 24 ore”

Modello Iva 2018: nel quadro VH la regolarizzazione delle comunicazioni

di Pierpaolo Ceroli e Agnese Menghi

Nuova veste per il quadro VH del modello Iva 2018, che da quest’anno deve essere compilato non per indicare i risultati delle liquidazioni periodiche, ma per correggere eventualmente le comunicazioni inviate ai sensi dell’articolo 21-bis del Dl 78/2010 (Lipe – comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche Iva).

La risoluzione n. 104/E/2017, infatti, ha precisato che la regolarizzazione delle comunicazioni può avvenire in due modi: o presentando nuovamente il modello Lipe o direttamente nella dichiarazione annuale Iva (anche integrativa), in entrambi i casi, tuttavia, è dovuta la sanzione di cui al comma 2-ter, dell’articolo 11 del Dlgs 471/1997 (sanzione da 500 a 2.000 euro, ridotta della metà in caso di correzione entro quindici giorni dalla scadenza), rimodulata secondo le riduzioni previste dal ravvedimento operoso.

Chi opta per la regolarizzazione attraverso la dichiarazione dovrà quindi: versare la sanzione e compilare il quadro VH, il quale ha subìto un restyling rispetto allo scorso anno, proprio al fine di recepire le novità. Come specificato anche dalle istruzioni, infatti, il quadro «deve essere compilato esclusivamente qualora si intenda inviare, integrare o correggere i dati omessi, incompleti o errati nelle comunicazioni»; di conseguenza, la sua redazione non è richiesta qualora non vi siano errori o omissioni da sanare.

Il quadro in esame, tuttavia, non contiene tutte le informazioni del modello Lipe, ma sostanzialmente solo i dati previsti per:

•l’indicazione del risultato della liquidazione periodica, che nel modello Lipe va indicato nel rigo VP14. In particolare, i contribuenti mensili indicheranno gli importi corretti nel rigo relativo al mese che si intende regolarizzare, mentre i trimestrali dovranno compilare i righi VH4, VH8, VH12 e VH16, appositamente ed esclusivamente dedicati.

•la modifica dell’importo dell’acconto dovuto, indicato nel rigo VP13 della comunicazione periodica.

Si precisa che, qualora si proceda alla correzione del modello Lipe, si devono compilare tutti i righi del quadro VH e non solo quelli relativi al periodo oggetto di regolarizzazione, cosicché nell’ipotesi di un contribuente trimestrale che intende correggere i dati comunicati con il modello Lipe riferito al terzo trimestre, il quadro VH dovrà comunque riportare anche le informazioni relative agli altri trimestri dell’anno di imposta.

Nell’ipotesi particolare in cui la correzione dei dati precedentemente inviati comporti la compilazione senza dati del quadro VH (ad esempio, il risultato delle liquidazioni è pari a zero) occorre comunque barrare la casella VH posta in calce al quadro VL nel riquadro «Quadri compilati».

Da quanto appena detto, ne consegue che qualora gli errori del modello Lipe dovessero riguardare le altre informazioni trasmesse con il modello, come ad esempio l’indicazione del credito riferito al periodo precedente (ma si fa riferimento a tutte le informazioni contenute dal rigo VP1 a VP12 del modello Lipe), il quadro VH della dichiarazione annuale Iva non deve essere compilato.

Tuttavia, sull’esonero dichiarativo, sarebbero opportuna una conferma dall’amministrazione finanziaria, la quale dovrebbe anche chiarire con certezza che la regolarizzazione in Iva 2018 (che riguarda unicamente due righi del modello Lipe), sani le eventuali altre infedeltà o omissioni degli altri dati indicati nella comunicazione periodica.

Fonte “Il sole 24 ore”

L’Iva per cassa chiede la conferma nel rigo VO

di Paola Bonsignore e Pierpaolo Ceroli

Il cash accounting, meglio conosciuto come Iva per cassa, introdotto dall’articolo 32-bis Dl 83/2012, determina lo stravolgimento della forma mentis per l’esigibilità e detraibilità dell’Iva con conseguente impatto sulla compilazione della dichiarazione Iva. Con tale opzione, infatti, non si terrà più conto del momento in cui è eseguita l’operazione per determinare l’esigibilità dell’imposta, bensì dovrà essere considerata la data del pagamento o, al più tardi, la decorrenza di un anno dalla cessione del bene o prestazione del servizio.

A partire dal 2012, infatti, i soggetti passivi con volume d’affari non superiore a 2 milioni di euro che cedono beni o prestano servizi verso cessionari o committenti che agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione, possono optare per questo particolare regime Iva, in base al quale, come anticipato, sidetermina l’esigibilità dell’imposta, nonché la sua detraibilità in caso di acquisto, al momento del pagamento dei relativi corrispettivi.

L’opzione, che segue ad un comportamento concludente, è esercitata nella prima dichiarazione Iva successiva all’anno in cui si è seguito questo nuovo modus operandi. Quindi nel caso in cui il contribuente avesse adottato l’Iva per cassa, attraverso comportamenti concludenti nel corso del 2017, dovrà barrare la casella 1 “opzione” del rigo VO 15 “Regime Iva per cassa” del modello Iva 2018. L’opzione sarà vincolante fino a revoca, o comunque per almeno un triennio decorso il quale si rinnova di anno in anno.

Il richiamato art. 32 prevede, però, anche delle cause di esclusione dal regime per tutti quei soggetti che pongono in essere:

•Operazioni con applicazione di regimi speciali di determinazione dell’Iva;

•Operazioni poste in essere nei confronti di cessionari o committenti che assolvono l’imposta mediante l’applicazione dell’inversione contabile.

Al fine della determinazione dell’imposta a credito o a debito il contribuente che ha optato per il cash accounting dovrà compilare i quadri:

•VE «Operazioni attive e determinazione del volume d’affari« indicando nella sezione 2 «Operazioni imponibili agricole e operazioni imponibili commerciali o professionali» l’imponibile (col.1) e l’imposta (col. 2) risultante dalle fatture incassate nel corso del 2017, nel rigo VE37 «Operazioni effettuate nell’anno ma con imposta esigibile in anni successivi» l’eventuale imponibile non ancora incassato (col.1 e 2) e nel rigo VE50 «Volume d’affari» la somma algebrica degli imponibili indicati nel quadro al netto di quelli derIvanti da operazioni effettuate in anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017;

•VF «Operazioni passive e Iva ammessa in detrazione» indicando nella sezione 1 «Ammontare degli acquisti effettuati nel territorio dello Stato, degli acquisti intracomunitari e delle importazioni» l’imponibile (col.1) e l’imposta (col. 2) risultante dalle fatture pagate nel corso del 2017, nel rigo VF21 «Acquisti registrati nell’anno ma con detrazione dell’imposta differita ad anni successivi» l’eventuale imponibile non ancora pagato (col.1 e 2) e nel rigo VF22 «(meno) Acquisti registrati negli anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017» l’ammontare degli acquisti effettuati in anni precedenti ma con imposta esigibile nel 2017. Dalla contrapposizione del totale dell’imposta sulle operazioni passive (VE26) ed attive (VF71) si determinerà l’imposta dovuta (VL3) o l’imposta a credito (VL4).

Fonjte “Il sole 24 ore”

Redditi PF, le entrate estere vanno indicate nel quadro RC

I contribuenti dipendenti che prestano la propria opera all’estero sono sempre più numerosi e, ai fini di una corretta tassazione e, quindi, compilazione del modello Redditi PF o del 730, occorre domandarsi se il lavoratore si considera ancora residente in Italia e se con il Paese estero sia stata firmata una Convenzione contro le doppie imposizioni, in quanto, in caso di risposta affermativa alla prima domanda, si applica il principio della world wide taxation, secondo cui i soggetti residenti in Italia sono ivi tassati sui redditi ovunque prodotti, mentre per un contribuente non residente sono imponibili i soli redditi prodotti in Italia (articolo 3, Tuir). La presenza della Convenzione, invece, influisce sulla possibilità di recuperare le imposte eventualmente pagate nell’altro Stato tramite il credito d’imposta oppure presentando un’istanza di rimborso.

Stando l’articolo 2 del Tuir, una persona si considera residente quando per almeno 183 giorni dell’anno solare è iscritta nelle anagrafi della popolazione residente o ha nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi dell’articolo 43 del Codice civile. In queste ipotesi, nonostante il lavoro sia prestato all’estero, il contribuente si considera residente nel territorio dello Stato e, pertanto, i redditi esteri saranno tassati in Italia, dovendoli dichiarare nel quadro RC del modello Redditi PF 2018, nei righi da RC1 a RC3. Tuttavia, in presenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni con lo Stato estero, occorre, in primis, verificare in che Stato il lavoratore si considera residente, per poi appurare se il reddito da lavoro dipendente sia imponibile in entrambi i Paesi oppure unicamente nello Stato di residenza.

La maggior parte delle Convenzioni stipulate dall’Italia ricalcano il modello Ocse, il quale all’articolo 15, paragrafo 2, prevede la tassazione esclusiva da parte dello Stato di residenza e, quindi, l’Italia quando si verificano congiuntamente le seguenti tre condizioni:

1. il lavoratore soggiorna nello Stato estero per un periodo non superiore a 183 giorni;
2. le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente del Paese estero;
3. le somme non sono erogate da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nello Stato estero.

Sussistendo tali condizioni, i redditi da lavoro dipendente devono essere tassati esclusivamente in Italia, con la possibilità di richiedere il rimborso delle imposte pagate all’estero alla corrispondente agenzia delle Entrate del Paese estero.

Qualora, invece, la Convenzione preveda l’imponibilità delle remunerazioni in entrambi gli Stati, il contribuente potrà recuperare il versamento delle imposte estere fruendo del credito d’imposta di cui all’articolo 165 del Tuir. A tale fine, dovrà compilare il quadro CE di Redditi PF quando l’imposta estera sarà definitiva, non potendo richiedere le eventuali ritenute a titolo di acconto subite nell’altro Stato. Il credito d’imposta non compete per l’intero importo versato all’estero, ma spetta fino a concorrenza dell’imposta italiana calcolata sul rapporto tra il reddito estero e il reddito complessivo e, comunque, sempre nel limite dell’imposta italiana di competenza del 2017. In assenza di una Convenzione, i fenomeni di doppia imposizione possono essere superati con lo stesso iter appena analizzato.

Infine, si ricorda che ai fini della determinazione del reddito imponibile, le retribuzioni percepite da un lavoratore dipendente che presta il proprio lavoro all’estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di un anno, sono determinate sulla base di quelle convenzionali stabilite dal ministero del Lavoro con un decreto annuale e , per il 2017, sono fissate dal Dm 22 dicembre 2016, mentre per l’anno 2018 il decreto di riferimento è stato emanato in data 20 dicembre 2017.

Fonte “Il sole 24 ore”

La precompilata aggiorna le modifiche

Novità in vista per la precompilata 2018: a partire da quest’anno viene infatti introdotta una nuova funzionalità per consentire al contribuente di rettificare i dati delle spese nell’ambito di un servizio per la compilazione agevolata del quadro relativo agli oneri deducibili e detraibili della dichiarazione dei redditi. A prevederlo il provvedimento n. 76048/2018 pubblicato ieri sul sito dell’agenzia delle Entrate che si occupa nello specifico delle modalità tecniche di utilizzo dei dati delle spese sanitarie e delle spese veterinarie.

Secondo quanto ricavabile dal contenuto del provvedimento, a partire dal giorno in cui sarà possibile accettare, modificare o integrare direttamente la dichiarazione (2 maggio), il contribuente potrà modificare, sul sito dell’Agenzia, nell’area autenticata, tramite i servizi in cooperazione applicativa (servizio web service puntuale) esposti dal Sistema tessera sanitaria:

le informazioni di dettaglio relative alle singole spese sanitarie e ai rimborsi, anche in relazione alle spese sostenute per i familiari a carico, a esclusione delle spese e dei rimborsi per i quali l’assistito abbia manifestato l’opposizione. In particolare, il contribuente può eliminare oppure aggiungere o modificare i singoli documenti di spesa;

le informazioni di dettaglio relative alle singole spese veterinarie (e ai rimborsi).

In entrambi i casi, a seguito alle modifiche apportate, il Sistema tessera sanitaria crea una copia dei dati aggiornati delle spese e dei rimborsi e fornisce all’Agenzia, per ogni contribuente, i nuovi totali, che vengono utilizzati, come già anticipato, nell’ambito di un servizio per la compilazione agevolata del quadro della dichiarazione dei redditi relativo agli oneri deducibili e detraibili.

Per il resto, il provvedimento ricalca le stesse disposizioni stabilite dai provvedimenti 29 luglio e 15 settembre 2016. Restano invariati i dati forniti dal Sistema tessera sanitaria e le modalità di accesso ai dati e di consultazione da parte del contribuente dei dati aggregati e di quelli di dettaglio, disponibili sul sito delle Entrate. Restano invariate anche le modalità per l’opposizione a rendere disponibili i dati relativi alle spese sanitarie. Nel caso di scontrino parlante, il diniego può essere esercitato non comunicando il codice fiscale; nelle altre ipotesi, chiedendo esplicitamente al medico o alla struttura sanitaria di annotare l’opposizione nella fattura.

Con un ulteriore provvedimento (numero 76047/2018) sempre di ieri l’Agenzia ha fatto anche il punto sulle regole per l’accesso “fai da te”, o tramite Caf e intermediari abilitati, alla propria dichiarazione dei redditi. Nel provvedimento si ricorda che nella precompilata di quest’anno i contribuenti troveranno anche le spese per la frequenza degli asili nido e le erogazioni liberali destinate a Onlus, associazioni di promozione sociale, fondazioni e associazioni riconosciute aventi come scopo statutario la tutela, la promozione e la valorizzazione dei beni di interesse artistico, storico e paesaggistico e lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica. Nell’area riservata sarà possibile visualizzare dal 16 aprile l’elenco delle informazioni relative al loro 730, in cui sono indicati separatamente i dati inseriti e quelli non inseriti (e le relative fonti informative). Le modalità di accesso alla dichiarazione restano le due ormai note: accesso diretto da parte del contribuente (Fisco on line, Cns o credenziali dispositive rilasciate dall’Inps ecc.) ed accesso da parte del sostituto d’imposta che presta assistenza fiscale, del Caf o del professionista abilitato previa acquisizione da parte di questi ultimi della specifica delega. L’accesso “delegato” alla dichiarazione precompilata è consentito fino al 10 novembre 2018, dopo una specifica richiesta all’Agenzia tramite file ovvero via web. In particolare, nella richiesta tramite file, il provvedimento modifica il riferimento temporale dei dati dichiarativi da indicare per aprire la precompilata su delega del contribuente: da quest’anno, infatti, si fa riferimento ai dati dichiarativi dell’anno che precede quello per cui viene richiesta la dichiarazione precompilata, e non più il “secondo anno precedente”, come riportavano le istruzioni del 2017.

Fonte “Il sole 24 ore”

Spese universitarie non statali a detraibilità variabile

Spesa detraibile per la frequenza di università non statali, variabile a seconda dell’area disciplinare e della zona d’Italia in cui ha sede l’ateneo.

L’articolo 15, comma 1, lett. e), DPR 917/1986, come modificato dall’articolo 1, comma 954, lett. b), della legge di Stabilità per il 2016, n. 208/2015, stabilisce che spetta una detrazione d’imposta Irpef, con riferimento alle spese sostenute per la frequenza di corsi di istruzione universitaria.

Dispone più precisamente la norma, con riferimento al periodo d’imposta 2015, che danno diritto ad una detrazione d’imposta, pari al 19 per cento, le spese sostenute per la frequenza di «corsi di istruzione universitaria presso università statali e non statali». In quest’ultimo caso, però, ossia di università non statali, la spesa su cui viene riconosciuta la detrazione in parola deve essere non superiore «a quella stabilita annualmente per ciascuna facoltà universitaria con decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca», che deve essere emanato entro il 31 dicembre. Nella determinazione di tali importi, il decreto, sempre per disposizione di legge, deve tenere conto degli importi medi delle tasse e contributi dovuti alle università statali.

Con decreto 28 dicembre 2017 , ma pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 64 del 17 marzo 2018, sono state individuate le predette spese per il periodo d’imposta 2017, i cui redditi sono oggetto di dichiarazione nel 2018, attraverso il modello 730 e il modello Redditi PF 2018.

Il decreto individua varie aree disciplinari, e più precisamente quella medica, sanitaria, scientifico-tecnologica e umanistico-sociale, a cui viene abbinato un diverso limite di spesa a seconda che la sede dell’ateneo si trovi al Nord Italia, al Centro ovvero al Sud e nelle Isole.

Allegata al decreto vi è una elencazione dettagliata e analitica dei corsi di laurea che sono collegati alle quattro macro aree disciplinari individuate dall’articolo 1, comma 1, del decreto, nonché l’individuazione delle Regioni che fano parte del Nord, del Centro e del Sud e Isole.

Stabilisce ancora il decreto in commento che la spesa in oggetto e riferita agli studenti iscritti «ai corsi di dottorato, di specializzazione e ai master universitari di primo e secondo livello», viene indicata nell’importo massimo di euro 3.700, per gli atenei con sede al Nord, euro 2.900 per gli atenei con sede al Centro Italia e infine euro 1.800 per quelli del Sud e delle Isole.

Nella dichiarazione Redditi PF 2018, relativa al periodo d’imposta 2017, la detrazione in commento trova posto all’intero della Sezione I, del quadro RP, nei righi da RP8 a RP13 indicando, in colonna 1, il codice “13”. La detrazione va poi naturalmente riportata nel quadro RN, e più precisamente RN13, quadro destinato alla determinazione dell’imposta dovuta o a credito del contribuente.

Fonte “Il sole 24 ore”

Abuso del diritto, gli uffici non arretrano

Non è abuso del diritto scegliere fra la cessione delle quote di partecipazione e la cessione dei beni posseduti dalla società. Sul punto si stanno talvolta creando, in seno all’amministrazione finanziaria, dei fraintendimenti anche di fronte alle scelte che il contribuente può effettuare per conseguire un legittimo risparmio d’imposta.

Il comma 4 dell’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente stabilisce che «resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale». La norma, in sostanza, disciplina il principio del legittimo risparmio d’imposta.

Proprio in relazione a tale principio, consideriamo il caso di una società che possiede dei beni immobili plusvalenti.

Anziché procedere con la cessione di tali beni, i soci possono optare legittimamente per la cessione delle partecipazioni, anche previa rideterminazione del valore tramite il pagamento di un’imposta sostitutiva e la redazione – da parte di un professionista – di una relazione di stima, come permesso dalle norme fiscali. Sempreché, ben inteso, il cessionario accetti l’acquisto di beni di secondo grado anziché beni di primo grado.

È un’operazione che certamente comporta un diverso e favorevole carico fiscale in capo al singolo socio, ma che è liberamente utilizzabile quale alternativa alla cessione diretta dei beni, comportando, peraltro, dei differenti effetti giuridici.

Invece alcuni uffici periferici delle Entrate, di fronte a simili operazioni, tendono ancora oggi a rincorrere il tentativo di riclassificarle come elusive puntando il dito sulla mancanza di sostanza economica con la presenza, invece, di un vantaggio fiscale indebito quale unico effetto essenziale dell’operazione.

Si tratta però di un’impostazione che non tiene conto del principio – ora codificato nel comma 4 citato in precedenza – secondo cui il contribuente può legittimamente perseguire un risparmio di imposta esercitando la propria libertà di iniziativa economica e scegliendo tra gli atti, i fatti e i contratti quelli meno onerosi sotto il profilo impositivo. Così che il contribuente, al di là della sostanza economica o meno o delle ragioni extrafiscali, può scegliere una condotta semplicemente perché la stessa determina un vantaggio fiscale lecito. Questo perché quando è il sistema stesso che offre “l’alternativa” fiscalmente più vantaggiosa, la scelta del contribuente non può essere censurata. Questi principi, peraltro, ora sono stati recepiti pienamente a livello centrale dall’Agenzia. Paradigmatica risulta la risoluzione 93/E/2016 nella quale, in tema di assegnazione agevolata, è stato affermato che non si realizza ipotesi di abuso del diritto (ma di legittimo risparmio d’imposta) se una società, di fronte a dei promissari acquirenti di un immobile di proprietà della società stessa, anziché vendere il bene, conseguendo delle rilevanti plusvalenze, lo assegna prima ai soci, fruendo della tassazione agevolata sostitutiva dell’8%, e poi gli stessi soci provvedono alla cessione ai precedenti promissari acquirenti della società al valore “di carico” conseguente all’assegnazione. Questo in quanto i soggetti in questione utilizzano i percorsi giuridici e i conseguenti vantaggi fiscali (legittimi) previsti dall’ordinamento tributario.

Altrettanto significativa è la risoluzione 97/E/2017, in tema di scissione parziale proporzionale e successivo trasferimento (previo affrancamento agevolato) delle azioni della società scissa, in cui l’Agenzia ha ribadito che, se il sistema fiscale offre più percorsi giuridici, il contribuente può scegliere quello fiscalmente meno oneroso. In sostanza, gli stessi documenti delle Entrate implicano che se il contribuente, attraverso operazioni legittime, si pone nelle condizioni di fruire di un vantaggio fiscale previsto dalla legge, si configura ipotesi di legittimo risparmio d’imposta. E questo anche quando la scelta risulta motivata da esclusive ragioni fiscali.

Fonte “Il sole 24 ore”

Reddito d’impresa Leasing e comodato, iperammortamento al bivio

In fase di chiusura del bilancio relativo all’esercizio 2017 il calcolo della fiscalità assume un ruolo importante ed emerge la delicata questione della variazione diminutiva da iper/super ammortamento, che presenta criticità non risolte in occasione di Telefisco 2018. Nonostante i chiarimenti dell’Agenzia sull’interconnessione, restano aperti altri dubbi che rendono delicato il calcolo della variazione diminutiva, e in particolare:

– se il bonus spetta qualora il bene strumentale sia concesso in comodato d’uso;

– se interventi incrementativi su beni detenuti in leasing possano essere agevolati.

I beni in locazione gratuita

Dal punto di vista dell’impresa comodataria, i beni strumentali nuovi assunti in locazione gratuita non sono oggetto di alcuna agevolazione in quanto non sussiste il presupposto dell’acquisto in proprietà (o della costruzione in economia) che rappresenta il requisito necessario per l’agevolazione, con l’unica eccezione dell’acquisto tramite locazione finanziaria, ipotesi da sempre assimilata, sotto il profilo fiscale, all’acquisto diretto.

Il punto delicato è valutare la questione dal punto di vista del comodante. I beni concessi in comodato non sono classificati tra i beni merce bensì tra quelli strumentali per l’impresa comodante. Per valutare la sussistenza del bonus fiscale bisogna segnalare i precedenti interpretativi dell’Agenzia (da ultima la circolare 23/E/2016 ma in materia di detassazione Tremonti-bis analoghe considerazioni erano presenti nella circolare 90/E/2001) che ha considerato il tema del comodato d’uso. La conclusione a cui è sempre pervenuta l’Agenzia è che il bene, per essere fiscalmente agevolabile pur se concesso in uso a terzi, deve cedere la propria utilità al soggetto comodante e non a quello comodatario.

Tale situazione si manifesta nel caso in cui il cespite nuovo è utilizzato dal comodatario per eseguire certe lavorazioni su un bene merce che poi va restituito al comodatario per le ulteriori lavorazioni. Il caso del bene strumentale locato gratuitamente a terzi manifesta tale caratteristica nella fattispecie, ad esempio, dell’acquisto di un tintometro che viene ceduto in comodato ad una impresa che esegue lavorazioni sul prodotto per poi restituirlo all’impresa comodante che commercializza la vernice. In tal caso, come affermato dalla circolare 23/E/2016 ( che a sua volta richiama la risoluzione 196/E/2008) il bene ceduto in comodato conserva la sua natura di bene strumentale in capo all’impresa comodante , la quale, quindi potrà fruire del superammortamento. Diversa la situazione dei beni locati a titolo oneroso poiché in questo caso la stessa circolare 4/E/2017 , al paragrafo 5.2 ha riconosciuto che il beneficio spetta al locatore a condizione che l’attività di locazione costituisca l’oggetto principale della attività e ciò in linea con la sentenza della Corte di cassazione 16453/2014 in cui è stato affermato il carattere di strumentalità anche per beni che sono concessi in locazione nell’esercizio della propria attività.

Incrementi su beni in leasing

Altro tema delicato, gli interventi incrementativi sostenuti dall’impresa utilizzatrice di un bene in leasing soggetto a iperammortamento. Il costo potrà essere posto a base per il calcolo della variazione diminutiva del 150%?

Genera spesso dubbi tra gli operatori il passaggio della circolare 4/E/2017, (par. 5.2) in cui si afferma che nel bonus (in senso generale posto che il passaggio è inserito nella sezione superammortamento) non rientrano le spese sostenute su beni di terzi che «essendo prive di autonoma funzionalità, sono capitalizzabili nella voce “Altre immobilizzazioni immateriali”». Nell’ambito dell’iperammortamento, un passaggio successivo (par. 6.1.2) fa presente che sono agevolabili anche interventi tesi a rendere beni, già di proprietà dell’impresa, conformi al modello Industria 4.0, tramite ammodernamento o revamping. La circolare precisa in sostanza che tali interventi sono agevolabili, anche se eseguiti su beni non agevolati in quanto già esistenti.

Tale precisazione dovrebbe risultare valida, a maggior ragione, se l’intervento è eseguito sul bene in leasing che è a sua volta oggetto di iperammortamento. Del resto se l’acquisto in leasing è fiscalmente assimilato a quello eseguito tramite compravendita diretta, una discriminazione sulle spese incrementative risulterebbe iniqua. Il punto, per la sua delicatezza, meriterebbe una conferma da parte delle Entrate.

Fonte “Il sole 24 ore”

Vendite dei beni-garanzia a rischio reato

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Le contestazioni del reato di sottrazione fraudolenta, negli ultimi tempi, sono decisamente aumentate: si tratta di un illecito particolarmente grave che deriva spesso da operazioni imprenditoriali straordinarie e/o di disposizione del proprio patrimonio che gli organi accertatori ritengono compiute simulatamente in frode all’Erario.

Reato e presupposti
L’articolo 11 del Dgs 74/2000 punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque simuli la vendita o compia altri atti fraudolenti per privarsi di ogni bene che l’amministrazione potrebbe aggredire in caso di riscossione coattiva, per il recupero di imposte sui redditi, Iva, interessi o sanzioni di ammontare superiore a 50mila euro, con un’aggravante di pena (da uno a sei anni) per debiti maggiori di 200mila euro.

VEDI IL GRAFICO: Gli esempi

La fattispecie costituisce una tutela nei confronti dell’Erario, diretta non solo alla riscossione dei tributi, ma alla conservazione delle garanzie patrimoniali sulle quali potrebbe rivalersi in caso di inadempimento.

Si tratta di un reato di pericolo, per il quale non è necessaria la preesistenza del debito tributario, con la conseguenza che per ritenersi integrato è sufficiente che gli atti fraudolenti posti in essere siano idonei a vanificare un’ipotizzabile futura procedura di riscossione coattiva.

In altre parole, non è necessario che sussista un tentativo di riscossione in corso o un’iscrizione a ruolo, poiché va verificato se sia stato commesso un atto simulato per occultare i propri o altrui beni al fisco. Peraltro la Cassazione con la sentenza n. 15133 del 5 aprile 2018 ha chiarito che il valore dei beni sottratti fraudolentemente al pagamento delle imposte può essere inferiore a 50mila euro. L’offensività della condotta va infatti parametrata all’attitudine di ridurre o eliminare la garanzia patrimoniale, secondo un giudizio ex ante.

Inoltre è stato anche precisato che il reato di sottrazione fraudolenta non richiede l’accertamento di un delitto tributario presupposto (Cassazione 7177/2017 ).

Tuttavia, sebbene la giurisprudenza sul punto non sia univoca, è verosimile che per integrare il delitto sia necessaria quanto meno la conoscenza da parte del contribuente di un’attività di controllo dell’amministrazione. Se così non fosse si verificherebbe il reato in presenza di qualsiasi atto, ritenuto a posteriori simulato, cui poi seguirebbe la contestazione di una norma tributaria. Così, in assenza di qualsivoglia attività di controllo, appare difficile ipotizzare la sussistenza dell’illecito.

Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità, anche con una recente sentenza (la 10161/2018), ha confermato che per il perfezionamento del delitto occorrono due condotte alternative:
– vendita simulata dei beni;
– compimento di atti fraudolenti.

Vendita simulata e frode
La vendita simulata è il negozio caratterizzato da una divergenza tra la volontà dichiarata e la volontà reale. Il programma contrattuale, quindi, non corrisponde alla effettiva volontà dei contraenti.

La nozione di atto fraudolento, invece, non è così univoca. Secondo la giurisprudenza di legittimità esso sussiste quando si tratta di:

– un’alienazione che sebbene effettiva, sia idonea a rappresentare una realtà (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero;

– uno stratagemma artificioso finalizzato a sottrarre garanzie in favore dell’erario;

– una condotta atta a vanificare l’esito dell’eventuale esecuzione tributaria coattiva.

Il concetto di frode richiamato dalla norma presuppone così non soltanto la lesione del diritto (di garanzia) dell’Erario, ma che la condotta sia attuata con l’inganno volto a configurare una situazione di apparenza diversa dalla realtà. In altre parole occorre che sembri ridotto il patrimonio, ma in realtà non lo sia. Non è pertanto sufficiente una vendita in sé e per sé, poiché è necessario che sia simulata o attuata con fraudolenza.

Va da sé, ad esempio, che la cessione di beni a un prezzo di mercato e il successivo incasso di denaro non integrano la fattispecie delittuosa, nemmeno se le somme riscosse siano destinate al soddisfacimento di debiti diversi dall’Erario.

Il soddisfacimento di altri creditori, infatti, non costituisce la fraudolenza richiesta dalla norma, se la cessione avviene senza alcuna simulazione o altri atti ingannevoli (sentenza 10161/2018).

Peraltro, è stato chiarito (Cassazione 13223/2016) che in ogni caso la presenza di tale attività simulatoria e/o fraudolenta non è sufficiente a integrare la condotta illecita, poiché occorre che la pretesa erariale non possa essere altrimenti garantita dal patrimonio del contribuente.

La prescrizione
Circa i termini prescrizionali si ricorda, che, rispetto alla maggior parte dei delitti tributari la sottrazione si prescrive in sei anni da quando viene commesso l’illecito ovvero in sette anni e sei mesi se, nel frattempo, sia intervenuta una causa interruttiva.

Ravvedimento per la definizione liti

Accertamento e contenzioso

Ravvedimento per la definizione liti

di Rosanna Acierno

Chiamata al ravvedimento dopo i primi versamenti per la definizione delle liti pendenti. Alcuni uffici delle Entrate stanno telefonando ai contribuenti o ai professionisti che li assistono (laddove nella domanda di adesione sia stato lasciato il recapito telefonico) per segnalare carenti versamenti delle somme dovute. Anche se poi sono i diretti interessati a dover ricalcolare l’importo corretto con il «fa-da-te». Ma vediamo nel dettaglio.

La determinazione

Nella definizione delle liti pendenti prevista dall’articolo 11 del Dl 50/2017, il contribuente interessato ha dovuto provvedere in autoliquidazione al calcolo delle somme dovute, quali le imposte accertate per intero e gli interessi da ritardata iscrizione a ruolo calcolati nella misura del 4% annuo dal giorno in cui la maggiore imposta avrebbe dovuto essere versata fino al sessantesimo giorno successivo alla notifica dell’atto, secondo la seguente formula: tributo dovuto moltiplicato 4 moltiplicato numero di giorni intercorrenti tra la scadenza ordinaria del pagamento delle imposte accertate e il sessantesimo giorno dopo la notifica dell’atto impositivo/36.500.

Sempre poi ai fini del calcolo delle somme dovute per la definizione delle liti, il contribuente ha dovuto scomputare dalla pretesa tributaria originaria (imposte, sanzioni e interessi ricalcolati fino al sessantesimo giorno dopo la notifica dell’atto), le sanzioni e le somme eventualmente già versate in pendenza di giudizio o in caso di rottamazione dei ruoli, e aggiungere le spese di notifica dell’atto.

Pertanto, qualora emergano tali errori, prima di un provvedimento di diniego, gli Uffici comunicano al contribuente il carente versamento e lo invitano a effettuare un’integrazione del versamento con ravvedimento operoso.

Ricalcolo «fai-da-te»

Il contribuente deve comunque rideterminare da solo le somme dovute. A quanto consta, infatti, gli Uffici non provvedono a comunicare l’esatto importo dovuto, limitandosi a rilevare la mera carenza del versamento. E, laddove l’errore commesso abbia riguardato soltanto il calcolo degli interessi secondo l’Ufficio è comunque necessario effettuare il versamento integrativo degli stessi mediante il ravvedimento operoso, applicando così non solo la sanzione del 30% dell’importo dovuto (seppure in misura ridotta pari a 1/8) e calcolando su di essi ulteriori interessi (anche se ciò sembrerebbe contrastare con il divieto di anatocismo).

Per poter sostenere un eventuale confronto con gli Uffici sull’errore commesso nella determinazione degli interessi, potrebbe essere opportuno predisporre e conservare una tabella di calcolo, da cui emergano in maniera chiara le modalità di determinazione delle somme autoliquidate.

Un unico codice tributo

A tal proposito sembra che gli Uffici giustifichino la richiesta di ravvedimento con il pagamento di sanzioni e interessi perché, a loro avviso, non sarebbe possibile dimostrare con certezza se il versamento errato abbia riguardato soltanto gli interessi.

La stessa agenzia delle Entrate, infatti, in sede di istituzione dei codici tributo per il versamento delle somme dovute ai fini della definizione delle liti pendenti non ha previsto la distinzione tra le somme da imputare al versamento dell’imposta rispetto a quelle da imputare al versamento degli interessi.

La terza rata

Nel caso di regolarizzazione spontanea dei versamenti già effettuati, occorrerà prestare molta attenzione anche alla terza e ultima rata. I contribuenti che hanno aderito all’istituto della definizione delle liti pendenti e che, dovendo versare importi superiori a 2mila euro, hanno scelto di pagare in tre rate le somme dovute dovranno infatti ricordare di ricalcolare correttamente l’ultima rata (pari al 20% degli importi dovuti oltre agli interessi legali calcolati dal 3 ottobre 2017) e versarla entro il prossimo 2 luglio 2018 (perché il 30 giugno 2018 cade di sabato).

 Fonte “Il sole 24 ore”

Spesometro, per il regime del margine l’intero importo indicato in fattura

La fatturazione di alcune tipologie di operazioni rilevanti ai fini Iva richiede l’adempimento di determinati obblighi informativi, nonché di registrazione, da cui derivano specifiche modalità di compilazione della comunicazione dei dati delle fatture emesse e ricevute all’articolo 21 del Dl 78/2010 (spesometro), in scadenza il prossimo 6 aprile. È il caso dell’inversione contabile (reverse charge) all’articolo 17 del Dpr 633/1972 e del regime del margine ex articolo 36 del Dl 41/1995. Nelle operazioni soggette a reverse charge, infatti, il meccanismo dell’assolvimento dell’imposta è capovolto e il relativo versamento compete al cliente, anziché al fornitore. Tale regime è volto al contrasto dell’evasione d’imposta ed è richiesto per determinate transazioni con soggetti esteri e per le operazioni «interne» riguardanti le ipotesi disciplinate dai commi da 5 a 7 dell’articolo 17 del Dpr 633/1972, relativi ai settori delle cessioni di oro industriale e di telefoni cellulari e dell’edilizia. A livello di fatturazione, ne consegue che:
•il cedente/prestatore emette la fattura senza l’addebito d’imposta, indicandovi che si tratta di un’operazione soggetta a reverse charge;
•il cessionario/committente deve integrare il documento ricevuto, indicando l’aliquota e l’imposta; successivamente, registra la fattura sia nel registro delle fatture emesse che in quello degli acquisti.

Al momento dell’invio dello spesometro, pertanto, il cedente compila, nel blocco Dte (dati relativi alle fatture emesse), il campo Natura della sezione Dati Riepilogo – dove si indica la natura dell’operazione o il motivo specifico per il quale il fornitore non addebita l’imposta in fattura – riportando il codice «N6», riservato unicamente alle operazioni in reverse charge. Il cliente, invece, trasmette unicamente i dati relativi alla fattura ricevuta e integrata dallo stesso, indicando nel blocco Dtr (dati relativi alle fatture ricevute), nel campo Natura, il medesimo codice «N6», ma è tenuto anche alla compilazione del campo Dati Iva, che prevede l’indicazione dell’Imposta e dell’Aliquota, entrambi in formato numerico e separando i decimali con il carattere «.» (circolare 1/E/2017).

Il regime del margine, invece, si applica alla cessione dei beni usati e agli oggetti d’arte, antiquariato e da collezione acquistati senza l’applicazione dell’imposta e prevede un diverso modo di determinazione dell’Iva da parte dei cedenti. In particolare, l’imposta è calcolata sulla differenza tra il prezzo di vendita e il costo sostenuto per l’acquisto dei suddetti beni, maggiorato delle spese sostenute per la loro riparazione. Tale regime non è riservato solo a chi abitualmente effettua tali cessioni (ad esempio rivendita di auto usate), ma anche ai soggetti passivi Iva che, invece, realizzano queste operazioni solo occasionalmente.

Il cedente in fattura indica il prezzo di vendita comprensivo dell’imposta e la dicitura che si tratta di un’operazione assoggettata a regime del margine. Ai fini dello spesometro, il fornitore compila il blocco delle fatture emesse (Dte), indicando nel campo Natura il codice «N5», ma attenzione all’ipotesi in cui si tratti di un’esportazione in quanto in questo caso si deve utilizzare il codice «N3», come chiarito dalla risoluzione 87/E/2017. In merito all’importo dell’operazione, le specifiche tecniche precisano, per le transazioni per le quali il fornitore non deve dettagliare l’imposta in fattura, il campo Imponibile Importo della sezione Dati Riepilogo deve riportare l’intero importo indicato in fattura e non solo la parte imponibile, in formato numerico separando i decimali con «.».

Fonte “Il sole 24 ore”

Dichiarazione Iva, per i fornitori il reverse charge passa dal quadro VE

Una volta che sarà archiviato lo spesometro, i professionisti dovranno concentrarsi sulla dichiarazione annuale Iva da trasmettere entro il prossimo 30 aprile. I quadri del modello presentano delle interconnessioni, considerato che spesso i dati dichiarati in un campo della dichiarazione devono essere riportati anche in un altro quadro, come nel caso delle operazioni soggette a reverse charge.

Il meccanismo dell’inversione contabile – applicato al settore edile, dell’oro e agli acquisti di Pc, cellulari e tablet, ma anche a quelli intra e extra Ue – inverte il procedimento di liquidazione dell’imposta, in quanto il debitore Iva è l’acquirente/committente; il fornitore, infatti, emette fattura senza addebitare l’imposta, la quale sarà poi versata dal cliente mediante l’integrazione del documento, che andrà contabilizzato sia nel registro degli acquisti che in quello delle vendite.

Nella dichiarazione Iva i fornitori indicheranno le operazioni attive nel quadro VE, mentre i clienti, nonostante le relative fatture risultino dal registro delle vendite, non compileranno quest’ultimo quadro, bensì i prospetti VF e VJ, in quanto si tratta comunque di operazioni passive. In particolare, la compilazione sarà la seguente:

•il fornitore riporta nel quadro VE, rigo VE35, tra le operazioni attive, unicamente il valore del bene ceduto o del servizio prestato;

•il cliente indica la fattura di acquisto integrata nel quadro VF, in corrispondenza dell’aliquota associata alla transazione posta in essere, mentre la registrazione contabilizzata nel registro delle vendite deve essere riportata nel quadro VJ (appositamente istituito per le operazioni in reverse charge), nel rigo corrispondente alla tipologia di operazione.

Ad esempio, un commerciante che cede ad un altro soggetto passivo (nell’ultima fase distributiva prima della rivendita al dettaglio) un tablet PC per 500 euro, dichiarerà l’operazione nel rigo VE35, nel campo 7, indicando l’importo di 500 euro, mentre nel campo 1 riporterà il totale delle operazioni effettuate in reverse charge, come nell’esempio .

L’acquirente, invece, dopo aver integrato il documento ricevuto con l’Iva al 22%, lo contabilizza nei due registri e la fattura, riportata nel registro degli acquisti, andrà indicata nel quadro VF, mentre la fattura contabilizzata nel registro delle vendite andrà dichiarata nel quadro VJ. In particolare, in quest’ultimo prospetto si compila il rigo VJ15 indicando nella colonna 1, l’importo € 500 a titolo di imponibile, mentre in colonna 2 si riporta l’imposta a debito dovuta a seguito dell’applicazione dell’inversione contabile.

Nell’ipotesi in cui, invece, il fornitore fosse un soggetto passivo residente o stabilito nell’Unione Europea, l’acquisto è comunque soggetto a reverse charge (e, quindi, ad integrazione fattura e a doppia registrazione), tale operazione non andrà indicata nel rigo VJ15, ma nel VJ9 dedicato agli «acquisti intracomunitari di beni».

L’imposta, in entrambi i casi, risulterà anche dal quadro VL, dedicato alla liquidazione complessiva dell’Iva, nella sezione dell’“imposta a debito”

La fattura contabilizzata nel registro degli acquisti va invece riportata nel quadro VF, in corrispondenza del rigo associato all’aliquota utilizzata per l’integrazione. Pertanto, nel nostro esempio, l’imponibile va indicato nella colonna 1 del rigo VF13, mentre l’Iva nella colonna 2. L’imposta dovrà essere riportata anche nel quadro VL, ma in quest’occasione, risulterà tra l’imposta a credito.

Quadro RW alla prova dell’antiriciclaggio

di Renzo Parisotto

Le istruzioni per la compilazione del quadro RW per il 2017 non contengono sostanziali novità rispetto all’anno precedente fatto salvo il rimando per i cosiddetti titolari effettivi – anch’essi indicati tra i soggetti di cui all’articolo 4 del Dl 167/90 tenuti a compilare il quadro RW – alle nuove previsioni contenute nell’articolo 1, comma 2, lettera pp) e nel successivo articolo 20 del Dlgs 21 novembre 2007 n.231 (norme antiriciclaggio) come introdotte dal Dlgs 25 maggio 2017, n. 90 (supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale 140 del 19 giugno 2017) . Nella prima norma sono fornite le definizioni di titolare effettivo quale persona fisica nel cui interesse «in ultima istanza» è istaurato il rapporto continuativo mentre nella seconda sono fornite definizioni di titolarità effettiva in caso di clienti diversi dalle persone fisiche.

La stessa Banca d’Italia nel documento diffuso recentemente sulle novità introdotte dal citato Dlgs 90/2017 afferma che i nuovi articoli «disciplinano in maniera significativamente diversa i criteri per la determinazione della titolarità effettiva ».

Ciò comporta la necessità per i potenziali titolari effettivi secondo le nuove disposizioni di definire il proprio status ed eventualmente quali siano state le rilevazioni che gli intermediari bancari/finanziari residenti o non residenti abbiano di conseguenza effettuato alle rispettive autorità fiscali nell’ambito dell’ormai avviato scambio di informazioni (vedi Crs). Per quanto attiene la normativa italiana si ricorda che l’articolo 1 del Dl 167/90 pone a carico degli intermediari l’obbligo di segnalazione periodica dei trasferimenti da e verso estero di mezzi di pagamento da parte dei soggetti a loro volta interessati dal quadro RW. Anche il citato articolo 1 a sua volta recepisce la modifica alla definizione di mezzi di pagamento introdotta con il Dlgs 90/2017.

In sintesi gli obblighi RW discendono dal Dl 167/90 il quale a sua volta tuttavia rimanda alla normativa antiriciclaggio innovata e non ancora compiutamente assimilata/illustrata. A corollario di ciò si ricorda il provvedimento 299737 del dicembre 2017 del direttore dell’agenzia delle Entrate nel quale sono state illustrate le comunicazioni che stavano per essere inviate ai contribuenti a seguito del mancato incrocio delle segnalazioni Crs e quadro RW – vedi anche Assofiduciaria 201807 sulla apparente erroneità di talune comunicazioni – ed ancora il disposto delle legge 25 ottobre 2017 n. 163 circa l’utilizzabilità da parte del Fisco dei dati antiriciclaggio (si veda Il Sole 24 Ore del 4 gennaio 2018).

Da altro lato il medesimo Dlgs 231/07 rivisto dal Dlgs 90/2017 contiene ora una definizione di valuta virtuale – articolo 1 comma 2 lettera qq) – pure citata nell’articolo 1 del Dl 167/90 da cui derivano obblighi di monitoraggio a carico degli intermediari. Va detto che quest’ultimo adempimento è a sua volta disciplinato da un provvedimento delle Entrate tuttora datato 24 aprile 2014 e recante riferimenti alla normativa antiriciclaggio superata per cui se ne attende una modifica a far tempo dall’anno 2017. Ci si chiede così se le conclusioni raggiunte dall’Agenzia con la risoluzione 72/E/2016 – ante Dlgs 90/2017 – in materia di monete virtuali , vale a dire irrilevanza reddituale delle operazioni a pronti, debbano considerarsi tuttora valide visto il richiamo nella stessa risoluzione al rispetto della 231/2007 «l’istante sarà tenuta agli obblighi». Nella denegata ipotesi di un diverso approccio sarà da chiarire quali siano i cambi/controvalori da esporre ed il codice Paese di riferimento (colonna 4).

Fonte “Il sole 24 ore”

Spesometro, al via lo slalom per la trasmissione dei dati

Gli intermediari incaricati alla trasmissione del cosiddetto spesometro, ex articolo 4 Dl 193/2016, dovranno seguire le modalità e le specifiche tecniche indicate dall’agenzia delle Entrate con provvedimento 28 ottobre 2016 n. 182070, provvedimento 27 marzo 2017 n. 58793, modificati dal provvedimento 5 febbraio 2018 n. 29190 che recepisce le semplificazioni introdotte dall’articolo 1-ter Dl 148/2017 in tema periodicità di comunicazione e di trasmissione di dati riepilogativi relativamente alle fatture emesse/ricevute di importo inferiore a 300 euro.

Nello specifico l’ufficio dispone che il soggetto obbligato, o incaricato alla trasmissione, inoltri un file con estensione Xml contenente in particolare:

•i dati identificativi del soggetto a cui si riferisce la comunicazione (per le fatture emesse il cedente/prestatore, per le fatture ricevute il cessionario/commettente);

•i dati delle controparti;

•i dati delle operazioni effettuate nel periodo di riferimento.

Al fine della corretta predisposizione del suddetto file il professionista/intermediario potrà, alternativamente, utilizzare:

•Il software di compilazione messo a disposizione sul sito dell’agenzia delle Entrate, il quale consente la compilazione della comunicazione mediante una serie di domande che determinano la struttura del file xml che avrà una nomenclatura del tipo «ITpartitaIva _DF_12345.xml»;

•Un software disponibile sul mercato che risponda alle specifiche tecniche previste dall’Amministrazione, tale da generare un file in formato XML con un nome che indichi il codice paese, l’identificativo univoco del responsabile della trasmissione, la tipologia di file (in tale caso sarà “DF”), il progressivo univoco del file.

L’ufficio accetta anche la trasmissione di file compressi contenenti uno o più file relativi a fatture emesse/ricevute purché di estensione «.Zip».

Creato il file o la cartella compressa è necessario apporvi la firma digitale utilizzando, alternativamente, uno dei seguenti sistemi:

•un certificato di firma qualificata rilasciato da una autorità di certificazione riconosciuta;

•il nuovo servizio di firma elettronica basata sui certificati rilasciati dall’agenzia delle Entrate, disponibile sulle piattaforme Desktop Telematico e Entratel Multifile;

•la funzione di sigillo disponibile nell’interfaccia web Fatture e Corrispettivi.

Relativamente alla cartella compressa, l’ufficio ha chiarito nelle «Specifiche tecniche – modalità di trasmissione dati» che «è possibile trasmettere i dati con un file compresso (.zip) non firmato se tutti i file Xml in esso contenuti sono firmati. Se, invece, i file Xml non sono tutti firmati, il file compresso deve essere obbligatoriamente firmato. La sola tipologia di firma che può essere apposta al file compresso è CAdESBES», in tale caso l’estensione del file firmato assume il valore «.zip.p7m».

Dopo la creazione e la firma, sarà necessario verificare attraverso il «software di controllo» che il file sia formalmente corretto, tale applicazione sarà reperibile all’interno della piattaforma Desktop Telematico o all’interno dell’interfaccia web «Fatture e corrispettivi – Funzioni di supporto – Controllo Dati Fattura».

Infine, l’intermediario procederà con il vero e proprio invio del file all’agenzia delle Entrate utilizzando una delle seguenti modalità:

•funzione di trasmissione delle Comunicazioni Dati Fatture disponibile nell’interfaccia web Fatture e Corrispettivi;

•uno dei canali di interazione con il Sistema di interscambio accreditati per la fatturazione elettronica;

•l’accreditamento di un canale di interazione specifico per la trasmissione delle comunicazioni Iva e dei dati fattura.

È, quindi escluso l’utilizzo della piattaforma «Desktop telematico».

Fonte “Il sole 24 ore”

Esportazioni «umanitarie» non imponibili

Le esportazioni per finalità umanitarie, caritative o educative, sono non imponibili in base a quanto disposto dalla lettera b-bis dell’articolo 8 del Dpr 633/1972 , introdotta dalla legge Comunitaria del 2017.

L’articolo 146 della Direttiva Iva di rifusione 112/2006/CE, al primo comma lettera C stabilisce che sono «esenti» da Iva «le cessioni di beni a organismi riconosciuti che li esportano fuori dalla Comunità nell’ambito delle loro attività umanitarie, caritative o educative fuori della Comunità».

Prima dell’intervento dell’articolo 9 della legge 167 del 20 novembre 2017 (Legge Europea 2017), all’interno del nostro ordinamento Iva non era prevista alcuna particolare norma connessa alla cessione extracomunitaria di beni collegata ad attività umanitarie, caritative o educative, come individuate dalla Direttiva Iva sopra richiamata.

La legge 167/2017, quindi, è intervenuta in materia aggiungendo una disposizione all’interno dell’articolo 8 del Dpr 633/1972, che già disciplina le esportazioni, sia dirette che indirette, ossia, per quanto riguarda queste ultime, con trasporto fuori dalla Comunità europea da parte o per conto del cessionario entro novanta giorni, al fine di disciplinare le cessioni sopra indicate e cioè quelle con scopi sostanzialmente umanitari.

La nuova lettera b-bis, del primo comma, dell’articolo 8 del Dpr 633/1972, dispone, infatti, che sono considerate cessioni all’esportazione non imponibili le cessioni nei confronti «delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti della cooperazione allo sviluppo iscritti nell’elenco di cui all’articolo 26, comma 3, della legge 11 agosto 2014, n. 125», ma a determinate condizioni.

Innanzitutto, il cessionario deve trasportare o spedire i beni fuori del territorio dell’Unione europea, anche attraverso un soggetto che lo effettua per suo conto, entra 180 giorni dalla consegna, con delle modalità, stabilisce sempre la norma, che dovranno essere definite dal Ministero dell’economia e delle finanze.

Inoltre, le cessioni dei beni devono avvenire, come già si è detto, in attuazione di finalità «umanitarie, comprese quelle dirette a realizzare programmi di cooperazione allo sviluppo».

Stabilisce altresì la norma che la prova dell’avvenuta esportazione dei beni deve essere data dalla documentazione doganale.

A livello sanzionatorio, attraverso un intervento sul primo comma dell’articolo 7 del Dlgs 471/1997, rubricato «Violazioni relative alle esportazioni», la legge 167/2017 in commento ha stabilito, per chi effettua operazioni non imponibili, una sanzione dal cinquanta al cento per cento dell’imposta, se il trasporto o la spedizione fuori del territorio europeo non avvenga nel termine dei 180 giorni previsti.

Resta fermo quanto disposto dal secondo periodo del medesimo primo comma, dell’articolo 7 appena richiamato, e cioè che, se nei trenta giorni successivi a quelli previsti per l’esportazione viene regolarizzata la fattura e versata l’imposta inizialmente non applicata, la sanzione non è dovuta.

Fonte “Il sole 24 ore”

Il raddoppio dei termini segue le regole vigenti all’epoca dei fatti

Il raddoppio dei termini, disciplinato dall’articolo 43, comma 3, del Dpr 600/1973 e dall’articolo 57, comma 3, del Dpr 633/1972, nei testi applicabili all’epoca dei fatti, contempla esclusivamente l’obbligo della denuncia penale, ai sensi dell’articolo 331 del Codice di procedura penale, per uno dei reati regolati dal Dlgs 74/2000 e non anche la sua effettiva presentazione. A tale conclusione è giunta la Cassazione attraverso l’ordinanza 5126/2018 .

La Ctr della Lombardia ha accolto l’appello proposto da un contribuente avverso una sentenza della Ctp di Varese che ne aveva respinto il ricorso contro un avviso di accertamento per imposte dirette e Iva. La Ctr ha osservato, in particolare, che l’atto impositivo impugnato risultava essere illegittimo in quanto emesso ben oltre il termine decadenziale ordinario previsto dalla legge, non potendosi applicare, nel caso di specie, l’evocata disciplina del raddoppio dei termini contemplata per il caso di rilevanza penale della fattispecie concreta, in quanto la denuncia era stata proposta allorché tale termine ordinario risultava essere già scaduto ed essendo peraltro ciò previsto, quale limite temporale, dalla nuova normativa disciplinante la materia de qua (Dlgs 128 del 2015).
Contro la decisione l’agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione in opposizione al quale ha resistito con controricorso il contribuente. Con l’unico mezzo dedotto (articolo 360 del Codice di procedura civile, comma 1, n. 3) le Entrate hanno lamentato la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 43, comma 3, del Dpr 600/1973 e dell’articolo 57, comma 3, del Dpr 633/1972.

A parere del collegio di legittimità la censura è risultata essere fondata in quanto, in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dall’articolo 43, comma 3 del Dpr 600/1973 e dall’articolo 57, comma 3, del Dpr 633/1972, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’articolo 331 del Codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dal Dlgs 74 del 2000 e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte Costituzionale nella sentenza 247 del 2011.

Inoltre, il raddoppio dei termini, disciplinato dall’articolo 43 del Dpr 600/1973 e dall’articolo 57 del Dpr 633/1972, non integra un’ipotesi di proroga dei termini ordinari, trattandosi di fattispecie distinte, disciplinate direttamente e autonomamente dalla legge in relazione a presupposti diversi, costituiti dal riscontro di elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale (per i primi) e dalla sussistenza di violazioni tributarie per le quali, invece, tale obbligo di denuncia non sussiste (per i secondi).

Quanto alla retroattività dello jus superveniens all’articolo 1, commi 130-132, della legge 208/2015, oggetto della relativa eccezione proposta dal contro ricorrente, pacifico che l’atto impositivo in questione sia stato notificato il 24 aprile 2014, la Suprema corte ha ribadito che, in tema di accertamento tributario, i termini previsti dall’articolo 43 del Dpr 600/1973 e dall’articolo 57 del Dpr 633/1972, nella versione applicabile ratione temporis, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dalla legge 208 del 2015, tra le quali l’articolo 1 comma 132 ha inserito un regime transitorio che si occupa delle sole fattispecie non ricomprese nell’ambito applicativo del precedente regime transitorio – non oggetto di abrogazione – all’articolo 2, comma 3 del Dlgs 128/2015, in virtù del quale la nuova disciplina non si applica né agli avvisi notificati entro il 2 settembre 2015 né agli inviti a comparire o ai processi verbali di constatazione conosciuti dal contribuente entro il 2 settembre 2015 e seguiti dalla notifica dell’atto recante la pretesa impositiva o sanzionatoria entro il 31 dicembre 2015.

Fonte “Il sole 24 ore”

Software integrati, bonus al 150%

di Luca Gaiani

I principi contabili guidano la qualificazione del software ai fini dell’iperammortamento. Se si tratta di programmi di base necessari al funzionamento del macchinario 4.0, il costo si cumula a quello della macchina su cui spetta la deduzione al 150%. In caso di software «stand alone», spetta invece l’ammortamento 40% purché si tratti di immobilizzazione immateriale secondo l’Oic 24. Per determinare il costo e gli oneri accessori, occhi puntati sull’Oic 16.

Nel calcolo dell’Ires del bilancio 2017, le società fanno i conti per la prima volta con l’iperammortamento. I princìpi contabili sono di ausilio per risolvere diverse questioni, ma restano dubbi su cui si attendono interventi.

Un primo aspetto riguarda il software rientrante nell’allegato B) alla legge 232/16 che, se si è realizzato almeno un investimento «iper», può usufruire della deduzione al 40 per cento. La circolare 4/E/17 ha affermato che l’incentivo riguarda i software «stand alone» anche se acquisiti in licenza d’uso, purché iscrivibili nelle immobilizzazioni immateriali.

L’Oic 24 stabilisce che il software applicativo acquistato a titolo di proprietà, nonché in licenza a tempo indeterminato o determinato si capitalizza quanto alle somme una tantum. Vanno invece a conto economico i canoni periodici o le royalties, che dunque non usufruiscono della agevolazione. Fiscalmente (e dunque anche per il 40%), il software in proprietà oppure in licenza a tempo indeterminato senza limitazioni si deduce in misura non superiore al 50% per ciascun esercizio, mentre la licenza a tempo determinato si ammortizza in base alla durata.

La circolare ha anche previsto che il software integrato acquistato unitamente al macchinario deve considerarsi agevolabile con l’iper del 150 per cento. Poiché il software di base va sempre capitalizzato sul valore del macchinario, il relativo costo si deve ritenere soggetto al 150% anche se acquisito presso un diverso fornitore (Assonime circolare 12/2017).

Rilevano per l’iperammortanento anche gli oneri accessori di diretta imputazione. Per individuarli correttamente sono di aiuto i principi contabili ed in particolare l’Oic 16. A titolo esemplificativo si tratta di: costi di progettazione, trasporti, dazi su importazione, costi di installazione, costi ed onorari di perizie e collaudi, costi di montaggio e posa in opera, costi di messa a punto. Le opere murarie ed edili (ad esempio il basamento di cemento di un macchinario), sono da sommare al costo iper (se sostenute dal 1° gennaio 2017), solo qualora non configurino una autonoma costruzione.

Una questione rilevante riguarda alcuni grandi impianti che, in quanto fissi al suolo, vengono accatastati alla stregua di immobili. La circolare 4/E (parlando di impianti fotovoltaici e eolici) ha chiarito che non sono agevolabili le componenti immobiliari oggetto di stima catastale, mentre rientrano nel bonus le componenti che assolvono a specifiche funzioni nell’ambito del processo produttivo e che non conferiscono all’immobile una utilità comunque apprezzabile (circolare 2/E/16).

È da ritenere che, anche nel caso di «macchinari-immobili», per quantificare il costo iperammortizzabile si debba adottare un criterio funzionale. Dovrebbe usufruire del 150% il costo delle strutture che sono necessarie e specifiche per il processo, come la gabbia metallica dei magazzini verticali, che è parte integrante e insostituibile del meccanismo automatizzato, pur costituendo anche involucro e struttura portante.

Fonte “Il sole 24 ore”

Omessi versamenti: per l’Ue possibile il cumulo di sanzioni amministrative e penali

La Corte di Giustizia con la sentenza di ieri nella causa C- 524/15 (si veda anche la pagina precedente) ipotizza la possibilità del cumulo delle sanzioni amministrative e penali nel caso di omesso versamento di imposte, ma condiziona tale cumulo alla verifica che gli effetti che si determinano non risultino eccessivi rispetto alla gravità del reato commesso e che, perseguendo un interesse generale, non violi il principio di proporzionalità. La domanda che ci dobbiamo porre (ovvero a cui devono rispondere i giudici nazionali) è se le fattispecie di omesso versamento e le relative sanzioni amministrative e penali previste rispondono effettivamente alle condizioni richieste.

Le norme unionali che informano le scelte del legislatore nazionale sono l’articolo 2 della direttiva 2006/112/CE, che prevede tutte le operazioni che sono soggette ad Iva, e l’articolo 273, che consente agli Stati membri di introdurre degli obblighi supplementari necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’Iva e ad evitare le evasioni.

Sul piano delle violazioni concorrenti bisogna far riferimento, da una parte, all’articolo 13 del Dlgs 471/97 e, dall’altra, all’articolo 10 ter del Dlgs 74/2000. La prima fattispecie prevede, in caso di ritardati o omessi versamenti, una sanzione amministrativa (definita dalla corte di natura penale) pari al 30% dell’importo non versato o versato in ritardo. In caso di versamento in ritardo la norma prevede, in presenza di un ritardo non superiore a 90 giorni, che la sanzione edittale sia ridotta alla metà (15%). Inoltre, nel caso di ritardo nel versamento non superiore a 15 giorni, tale sanzione è ulteriormente ridotta a un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo.

La fattispecie di reato di cui all’articolo 10 ter del Dlgs 74/2000, invece, prevede la reclusione da 6 mesi a 2 anni per chi, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, nn versa l’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a 250.000 euro per ciascun periodo d’imposta. Tale sanzione penale in base all’articolo 13 dello stesso Dlgs non si applica (rectius: il reato non è punibile) se prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti.

Le sanzioni considerate perseguono, come chiede la Corte, l’interesse generale di assicurare la riscossione integrale dell’Iva. Questo interesse però, seppure importante, non è di per sé sufficiente a consentire la cumulabilità delle sanzioni. In effetti, come specificato al punto 44 della sentenza, le sanzioni concorrenti devono riguardare scopi complementari vertenti su aspetti differenti della medesima condotta di reato interessata. Circostanza questa che nel caso di specie sembra non essere presente poiché entrambe le fattispecie sono dirette a sanzionare l’omesso versamento Iva, anche se con tempistiche differenziate. Al contrario, sul piano della proporzionalità delle sanzioni e dell’esistenza di norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni sia adeguato, è la stessa Corte che sembra individuare nelle norme e nei meccanismi attenuanti elementi sufficienti perché le condizioni siano soddisfatte. Ciononostante, la Corte evidenzia che i giudici sono chiamati a verificare se, in concreto, il cumulo sanzionatorio sia in linea con la gravità del reato commesso. E su questo punto, l’indagine è molto più complessa e solleva in concreto più di un dubbio.

Fonte “Il sole 24 ore”

L’iscrizione all’Aire non basta a provare la residenza fuori dall’Italia

È legittimo l’avviso di accertamento che attrae a tassazione in Italia i redditi accertati in capo al contribuente che, nonostante il trasferimento della residenza all’estero, mantiene in Italia i propri interessi familiari, sociali ed economici. La sola iscrizione all’Aire non esclude, pertanto, che il contribuente sia fiscalmente non residente in Italia. È questo il principio pronunciato dalla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, con la sentenza 28/03/2018 .

La vicenda, da cui trae origine la pronuncia, fa seguito alla notifica di un avviso di accertamento con cui venivano accertati maggiori imponibili in capo ad un contribuente ritenuto fiscalmente residente in Italia. A seguito del rigetto del ricorso il contribuente presentava appello censurando la sentenza impugnata nella parte in cui i Giudici avevano ritenuto insufficiente la mera iscrizione all’Aire per non essere considerato fiscalmente non residente.

I giudici della Ctr hanno respinto l’appello precisando che l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento risolutivo per escludere la residenza fiscale in Italia quando è incontrovertibile che il contribuente ha mantenuto nel territorio dello Stato i propri interessi affettivi, sociali ed economici.

Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta (183 giorni) sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente. Sono considerati fiscalmente residenti anche tutti coloro i quali abbiano nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.

I giudici convergono quindi che è sufficiente, affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente in Italia, che si verifichi uno solo di essi essendo il requisito temporale e quello della sede principale dei suoi affari o interessi (domicilio) ovvero quello della dimora abituale (residenza), alternativi e non concorrenti.

I giudici hanno ritenuto determinanti, ai fini della configurabilità della soggettività passiva del contribuente, gli elementi offerti dall’Ufficio consistenti nella presenza, nel territorio italiano, dei familiari, di un’abitazione, della detenzione di quote di partecipazioni e la titolarità di rapporti di conto corrente con istituti nazionali. Oltretutto la Commissione sottolinea come nella fattispecie era onere del contribuente dimostrare la sua presenza all’estero per la maggior parte del periodo d’imposta al fine di soddisfare il requisito temporale.

Fonte “Il sole 24 ore”

Evasione fiscale, alla prova analitica non serve conferma

Se l’imposta evasa superiore alla soglia penale è stata quantificata in misura analitica dalle Dogane è irrilevante ai fini della sussistenza del reato che poi vi sia stata una ricostruzione induttiva da parte dall’agenzia delle Entrate.

A precisarlo è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 11919 depositata ieri (15/03/2018).

Il Tribunale aveva condannato un imprenditore per i reati di occultamento delle scritture contabili e per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per più anni di imposta. La Corte di appello confermava solo parzialmente la pena con riferimento all’omessa dichiarazione per un solo periodo di imposta.

L’imputato ricorreva così in Cassazione lamentando che il giudice territoriale non aveva verificato la corretta quantificazione dell’imposta evasa. Nell’appello, infatti, era stato evidenziato che tutto derivava da una ricostruzione induttiva compiuta dall’agenzia delle Entrate, con la conseguenza che non poteva dirsi certo il superamento delle soglie di punibilità rilevanti ai fini penali.

I giudici di legittimità hanno ritenuto inammissibile il ricorso perché con la doglianza proposta era stata richiesta una nuova valutazione di merito non consentita nel giudizio di legittimità.

La Suprema Corte ha rilevato che l’imputato aveva riconosciuto le operazioni illecite oggetto di contestazione. Inoltre, l’agenzia delle Dogane, intervenuta nel controllo al contribuente, aveva quantificato l’imposta evasa in oltre 600mila euro.

Ne conseguiva che, a prescindere dalla ricostruzione induttiva e quindi solo presuntiva operata dalle Entrate, la soglia di rilevanza penale (all’epoca 77.468,53 euro), era stata sicuramente superata.

In altre parole, la quantificazione operata dalle Dogane, essendo analitica, era sufficiente per dimostrare il superamento della soglia e quindi non smentire la ricostruzione induttiva delle Entrate.

La decisione induce ad una riflessione sulla valenza presuntiva in ambito penale degli accertamenti tributari.

Le presunzioni tributarie non possono di per sé essere utilizzate ai fini della quantificazione dell’imposta penalmente rilevante, poiché è il giudice a dover accertare l’ammontare dell’evasione mediante una verifica che privilegi il dato fattuale rispetto ai criteri formali che caratterizzano l’ordinamento fiscale. Esiste così un “doppio binario”:

nel processo penale, l’onere della prova è sempre a carico dell’accusa e non è ammessa un’inversione probatoria attraverso l’utilizzo di presunzioni;

nel giudizio tributario, invece in presenza di presunzioni pro fisco deve essere il contribuente a fornire la prova contraria.

Per completezza va detto che, in ambito penale, la presunzione viene invece ritenuta sufficiente ai fini della richiesta del sequestro.

Fonte “Il sole 24 ore)

L’avviamento va dedotto per intero

di Primo Ceppellini e Roberto Lugano

 Il conferimento di azienda ha da tempo trovato una disciplina fiscale stabile nell’articolo 176 del Tuir. C’è però una fattispecie sulla quale le istruzioni dell’agenzia delle Entrate portano a conclusioni anomale: si tratta del caso in cui viene conferita una azienda acquistata in precedenza, per la quale è stato contabilizzato un avviamento.

La posizione ufficiale delle Entrate è stata espressa nella circolare 8/E del 4 marzo 2010; in modo abbastanza sorprendente, l’avviamento è stato considerato come un elemento scindibile dal complesso di beni aziendali che non può essere oggetto di conferimento: «Considerato che il valore dell’asset avviamento non è oggetto di trasferimento (ma viene stornato dalla contabilità del soggetto conferente in conseguenza della perdita di valore scaturente dalla dismissione del compendio aziendale di riferimento), si ritiene che tale posta contabile debba essere esclusa dal concetto di azienda conferita».

La dottrina ha ampiamente criticato questa posizione, propendendo per una ipotesi diametralmente opposta: la norma di comportamento Aidc n. 181 del 10 giugno 2011 ha infatti affermato che in caso «di conferimento d’azienda, in relazione alla quale sia già iscritta nella contabilità del conferente una posta a titolo di avviamento, il conferitario acquisisce l’avviamento unitamente agli elementi che compongono l’azienda e subentra nel valore fiscale che l’avviamento aveva in capo al conferente».

In ogni caso, secondo le Entrate, l’ammortamento dell’avviamento prosegue presso il soggetto conferente; trattandosi nel caso di specie di una società che continua a dichiarare reddito di impresa, non vi sono penalizzazioni derivanti da questa impostazione.

Diversa è la situazione in cui il soggetto conferente perde lo status di imprenditore, cosa che avviene nel caso di conferimento dell’impresa individuale. Sul tema è stata interpellata la Dre della Lombardia, che nella sua risposta (interpello n. 904-1573/2017) ha però ritenuto ancora applicabili, nonostante il caso diverso, le conclusioni della circolare 8/E/2010: «La deduzione del valore fiscale residuo dell’avviamento preesistente (che si ribadisce non viene trasferito alla conferitaria, ma resta presso il conferente), deve avvenire per intero, ai sensi dell’articolo 101, comma 5, del Tuir, nell’ultimo periodo d’imposta del conferente, quale ultimo evento fiscale che lo riguarda prima della perdita della qualifica di imprenditore».

L’effetto penalizzante in capo all’impresa, secondo la Dre, è comunque scongiurato grazie alla possibilità di riporto delle perdite: «L’eventuale risultato fiscale negativo (emergente dal quadro RF del modello redditi persone fisiche) cui concorre anche la deduzione del valore fiscale residuo non ammortizzato dell’avviamento, è utilizzabile, ai sensi dell’articolo 8 comma 3 del Tuir, da parte dell’ex imprenditore individuale (nel quadro RH dei successivi periodi d’imposta) in compensazione con altri redditi della stessa natura».

Il risultato sembra simile a quello raggiunto con la circolare del 2010, ma è solo un’apparenza: nel caso generale, le perdite fiscali nel mondo Irpef (articolo 8, comma 3, del Tuir) sono infatti riportabili solo nei cinque periodi di imposta successivi. Il risultato di questa impostazione, chiaramente non condivisibile, è che per cinque anni il reddito di partecipazione nella conferitaria viene abbattuto dal riporto delle perdite, mentre dal sesto anno in poi le perdite residue sono inutilizzabili e quindi perse.

La vicenda diviene paradossale, poi, nel caso di conferimento in società di capitali (non trasparenti): gli unici redditi futuri saranno dividendi, quindi una tipologia non compensabile con le perdite riportate.

Sarebbe auspicabile in futuro un ripensamento dell’amministrazione, volto soprattutto a tenere in considerazione l’aspetto economico-aziendale del tema, e cioè il fatto che l’avviamento non può mai essere scisso dall’azienda a cui si riferisce.

Modello Iva Base 2018: escluse Iva di gruppo e dichiarazioni integrative

Il modello Iva Base 2018 esclude i crediti emergenti da integrative a favore e l’Iva di gruppo. Da quest’anno, infatti, si allarga la platea di soggetti che, pur rientrando nei requisiti per la compilazione del modello Iva versione semplificata, sono obbligati a utilizzare il modello ordinario per la dichiarazione ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

Dettagliando quanto finora detto, l’Iva base non può essere utilizzato dai soggetti che hanno presentato nel 2017 dichiarazioni integrative a favore ai sensi dell’articolo 8, comma 6-bis, del Dpr 322/1998 (comma introdotto dall’articolo 5 del Dl 193/2016) e che, ai sensi del comma 6-quater del citato articolo 8, sono tenuti ad indicare il credito derivante dal minor debito o dal maggiore credito risultante dalle dichiarazioni integrative nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui sono presentate le dichiarazioni integrative. Per tale indicazione deve essere utilizzato, infatti, il quadro VN del modello Iva ordinario.

La modulistica semplificata ai fini Iva è altresì preclusa per l’ente o società commerciale controllante che intende avvalersi, per il 2018, della particolare procedura di compensazione dell’Iva di gruppo, prevista dal Dm 13 dicembre 1979 (aggiornato dal Dm 13 febbraio 2017 alle nuove disposizioni in materia di iva di gruppo), recante le norme di attuazione di cui all’articolo 73, ultimo comma del Dpr 633/1972.

L’opzione per la procedura della liquidazione iva di gruppo va comunicata all’agenzia delle Entrate tramite la compilazione del quadro VG nella dichiarazione Iva 2018. Ciò in quanto, chiaramente, tale quadro non fa parte del modello semplificato in parola (si veda l’articolo del Quotidiano del Fisco del 14 marzo).

Gli altri soggetti esclusi dalla compilazione semplificata sono:

• i soggetti non residenti che hanno istituito nel territorio dello Stato una stabile organizzazione ovvero che si avvalgono dell’istituto della rappresentanza fiscale o dell’identificazione diretta;

• le società di gestione del risparmio che gestiscono fondi immobiliari chiusi;

• i soggetti tenuti ad utilizzare il modello F24 auto UE;

• i curatori fallimentari e dai commissari liquidatori tenuti a presentare la dichiarazione annuale per conto dei soggetti Iva sottoposti a procedura concorsuale.

Con riguardo invece ai soggetti beneficiari della semplificazione modulistica, l’Iva base 2018 può essere utilizzato dai soggetti Iva, sia persone fisiche che soggetti diversi dalle persone fisiche, che nel corso dell’anno hanno:

• determinato l’imposta dovuta o l’imposta ammessa in detrazione secondo le regole generali previste dalla disciplina Iva e, pertanto, non hanno applicato gli specifici criteri dettati dai regimi speciali Iva quali, ad esempio, quelli previsti dall’articolo 34 per gli agricoltori o dall’articolo 74-ter per le agenzie di viaggio;

• effettuato in via occasionale cessioni di beni usati e/o operazioni per le quali è stato applicato il regime per le attività agricole connesse di cui all’articolo 34-bis;

Sono inclusi anche i soggetti che non hanno effettuato operazioni con l’estero (cessioni ed acquisti intracomunitari, cessioni all’esportazione ed importazioni, ecc.), oppure acquisti ed importazioni senza applicazione dell’imposta avvalendosi dell’istituto del plafond di cui all’articolo 2, comma 2, della legge n. 28 del 1997, nonché i soggetti che non hanno partecipato ad operazioni straordinarie o trasformazioni sostanziali soggettive.
Si ricorda che resta invariato il nuovo termine di presentazione del modello base che coincide con quello ordinario ossia il prossimo 30 aprile.

Fonte “Il sole 24 ore”

Abuso del diritto: il divieto non scatta quando le operazioni possono essere motivate

In ambito tributario, rappresenta condotta abusiva l’operazione che abbia, quale fattore preponderante e assimilante, la mira di eludere il fisco, così che il divieto alle menzionate operazioni non si manifesta nel caso in cui le stesse possano essere motivate differentemente rispetto al mero intento di conseguire un risparmio di imposta illegittimo, ferma restando l’incombenza, gravante sull’amministrazione finanziaria, di fornire la prova del disegno elusivo e delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, reputati irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel determinato risultato tributario. A tale conclusione è giunta la Suprema Corte attraverso l’ordinanza n. 4148/2018 , depositata in cancelleria il 21 febbraio 2018.

L’agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione nei confronti di una sentenza emessa dalla Ctr che ha confermato la decisione di primo grado nel giudizio introdotto da Alfa Spa attraverso l’impugnazione dell’avviso di rettifica della dichiarazione Irpeg con il quale era stato contestato il carattere elusivo di alcune operazioni collegate, determinando una maggiore imposta, conseguente ai maggiori ricavi derivanti dalla cessione di un’azienda.

La contestazione concerne la menzionata cessione, a opera della ricorrente (al prezzo di 100 milioni di lire), alla società Beta spa alla quale in precedenza, risultando quest’ultima neocostituita, la medesima azienda era stata affittata al canone di 7,5 miliardi di lire, elevato qualche settimana dopo a 9,5 miliardi. Due mesi dopo la cessione dell’azienda, i beni strumentali e le attrezzature, erano state vendute alla stessa Beta Spa per due miliardi.

L’ufficio ha ritenuto che l’accordo fosse stato stipulato in frode alla legge o quanto meno in modo elusivo, accertando induttivamente, ai sensi dell’articolo 37 bis del Dpr n. 600/1973, un maggiore valore del bene e determinando, conseguentemente, l’imposta mediante atto di accertamento.

Il giudice d’appello ha sostenuto che è onere dell’ufficio «provare che tra le parti sono “transitati” prezzi effettivi maggiori di quelli praticati, con conseguenti maggiori ricavi e dunque maggiori imposte», osservando che è necessario stabilire se, al di là del valore dichiarato o accertato, siano passate tra le parti somme superiori a quelle ricavate dalla lettura degli atti.

Avverso la sentenza di appello l’ufficio ha denunciato «la violazione e falsa applicazione del Dpr 29 settembre 1973, n. 600, articolo 37 bis in relazione all’articolo 360 Cpc, n. 3».
A parere del Collegio di Legittimità le censure risultano essere fondate. A norma dell’articolo 37 bis del Dpr n. 600/1973, infatti, sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti i fatti e i negozi, anche collegati fra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e a ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti.

Secondo il principio in più occasioni affermato dalla Corte, infatti, «in materia tributaria, costituisce condotta abusiva l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, sicchè il divieto di siffatte operazioni non opera qualora esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, fermo restando che incombe sull’amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale».

Fonte “Il sole 24 ore”

Turnover nella black list della Ue

Il Consiglio dell’Ecofin tenutosi ieri a Bruxelles è nuovamente intervenuto sulla black list recante l’elenco delle giurisdizioni “non cooperative”, emanata il 5 dicembre scorso.

Alla luce degli impegni di alto livello assunti per riformare le proprie politiche fiscali, Bahrain, Isole Marshall e Santa Lucia sono state tolte dalla lista nera e inserite in quella “grigia” dei Paesi sotto osservazione.

Alla lista grigia si aggiungono anche quattro delle otto giurisdizioni dei Caraibi che, a causa degli uragani del 2017, avevano beneficiato di un termine più lungo per replicare alle osservazioni eccepite dal gruppo “Codice di condotta” nella fase di screening. Si tratta di Anguilla, Antigua e Barbuda, Isole Vergini britanniche e Dominica, che si sono impegnate a rafforzare le carenze individuate nei propri sistemi fiscali.

Entrano invece a popolare la black list Bahamas, Saint Kitts e Nevis e le Isole Vergini statunitensi, mentre l’ottava giurisdizione dei Caraibi, le Isole Turks e Caicos, avrà tempo fino al 31 marzo prossimo per decidere se affrontare o meno le problematiche fiscali riscontrate in sede europea. Si ricorda che la lista era già stata oggetto di un primo correttivo con la decisione varata dall’Ecofin il 23 gennaio scorso, che aveva eliminato dall’elenco dei Paesi non collaborativi ben 8 delle 17 giurisdizioni inizialmente individuate, promuovendo, al contempo, Panama, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Barbados, Grenada, Macao, Mongolia e Tunisia nella grey list.

A oggi, quindi, la black list di matrice europea conta 9 giurisdizioni: American Samoa, Bahamas, Guam, Namibia, Palau, Samoa, Saint Kitts e Nevis, Trinidad e Tobago e Us Virgin Islands. Fanno invece parte della lista “grigia” 59 giurisdizioni in luogo delle originarie 47.

La black list avrà un impatto effettivo sui Paesi interessati. Ad esempio, i finanziamenti europei operanti nel contesto del Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (Efsd), del Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis) e del Mandato di prestito esterno (Elm) non potranno più convogliare attraverso entità localizzate in Paesi “non collaborativi”. Inoltre, la lista è entrata a far parte di talune proposte legislative, quali la Com/2016/0198 final – 2016/0107 sul “Country by Country reporting”.

Nell’obiettivo dichiarato dal Consiglio, l’elenco intende promuovere il buon governo in materia fiscale a livello mondiale, massimizzando gli sforzi per prevenire l’elusione, la frode e l’evasione fiscale. Ciò dovrebbe peraltro favorire l’adozione da parte di tutti gli Stati membri di un elenco comune in grado di superare i limiti di un approccio patchwork alla lotta ai paradisi fiscali.

In questo scenario la scelta adottata dall’Italia di abbandonare il precedente sistema eretto sulla balck list in luogo di un criterio di identificazione dei regimi a fiscalità privilegiata basato esclusivamente sul livello di tassazione nominale del Paese estero, mette in luce la profonda distanza tra l’approccio domestico e quello europeo. E ciò non solo per lo strumento adottato dal Consiglio (per esempio la pubblicazione di una lista nera), quanto per i criteri utilizzati nella fase di screening basati su trasparenza fiscale, equità fiscale e adozione di misure anti-Beps.

Le differenze emergono anche confrontando i Paesi attualmente inseriti nella white list di cui al Dm 4 settembre 1996, posto che delle attuali 9 giurisdizioni contemplate nella black list europea, 3 rientrano nella withe list italiana, mentre delle 59 giurisdizioni facenti parte della grey list, 43 popolano anche la white list. In quest’ottica una rivisitazione dei criteri di individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata coerente con l’approccio europeo consentirebbe di superare l’incertezza che l’articolo 167, comma 4, del Tuir gioco-forza determina, creando al contempo un contesto più chiaro ed equo sia per le imprese, sia per gli stessi Paesi terzi .

 Fonte “Il sole 24 ore”

L’indebita compensazione allarga i confini

Il reato di indebita compensazione si realizza anche quando l’omesso versamento riguarda tributi differenti da imposte dirette e Iva. A confermare questa rigorosa interpretazione è la Corte costituzionale nella sentenza 21 febbraio 2018, n. 35 .

Il delitto di indebita compensazione previsto e punito dall’articolo 10-quater del Dlgs 74/2000 prevede la reclusione da sei mesi a due anni nei confronti di chiunque non versi le somme dovute, utilizzando in compensazione crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a 50mila euro. È poi punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni se la compensazione riguarda crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai 50mila euro.

Tale differenziazione, introdotta dal Dlgs 158/2015, è giustificata dal fatto che l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti, rispetto a quelli non spettanti, rappresenta una fattispecie estremamente offensiva. L’inesistenza presuppone, infatti, che il soggetto abbia agito con un intento fraudolento sicuramente maggiore, creando artatamente e ad hoc crediti mai esistiti al solo fine di non versare le imposte dovute.

Entrambe le condotte sono caratterizzate dal dolo generico consistente nella mera consapevolezza di utilizzare in compensazione crediti tributari inesistenti o non spettanti.

La Consulta, intervenuta su sollecitazione del Tribunale di Busto Arsizio in merito ad un possibile profilo di incostituzionalità del reato rispetto alla dichiarazione infedele (per le differenti soglie di punibilità), illustrando la fattispecie illecita sembra confermare l’orientamento rigoroso e prevalente della Corte di cassazione in base al quale il delitto in questione si presta a reprimere l’omesso versamento di somme attinenti a tutti i debiti – sia tributari, sia di altra natura – per il cui pagamento deve essere utilizzato il modello di versamento unitario.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, risponderebbe del delitto contenuto nell’articolo 10-quater del Dlgs 74/2000 non solo chi omette di versare le imposte dirette o l’Iva utilizzando indebitamente in compensazione crediti non spettanti o inesistenti concernenti altre imposte (anche regionali) o di natura previdenziale, ma anche chi si avvalga di analogo artificio per evitare di corrispondere tali ultime imposte ovvero contributi dovuti ad enti di previdenza (Cassazione, sezione III penale, 5177/2015; sezione II penale, 35968/2009). E questo anche se la disposizione risulta inserita nel Dlgs 74/2000, che, come emerge anche dal suo titolo, è posto a presidio unicamente delle imposte dirette e dell’Iva.

In altre parole è stato sempre condiviso, in dottrina come in giurisprudenza che il reato in esame sicuramente ricorre nei casi in cui attraverso l’indebita compensazione non siano versate le imposte sui redditi e l’Iva e ciò per almeno due ragioni:

– la fattispecie penale è stata introdotta per completare l’apparato repressivo di tutela degli omessi versamenti delle due imposte (e infatti venne previsto cronologicamente l’articolo 10-bis sugli omessi versamenti delle ritenute, l’articolo 10-ter sull’Iva e quindi il 10-quater ove tali omissioni siano consumate mediante indebite compensazioni);

– il reato è stato introdotto nel Dlgs 74/2000, emanato a seguito di specifica legge delega per l’introduzione di reati in materia di imposte sui redditi e Iva.

Più controverso e varie volte dibattuto, invece, se la fattispecie possa ritenersi integrata anche quando l’indebita compensazione non sia finalizzata a omettere il versamento di tali imposte (penalmente tutelate dal Dlgs 74/2000) ma altri tributi (si pensi all’Irap, ai tributi locali, eccetera) o i contributi previdenziali.

La principale motivazione addotta dai sostenitori di questa seconda e più restrittiva interpretazione circa l’ambito di applicazione del delitto si basa proprio su eventuali profili di incostituzionalità dell’articolo 10-quater del Dlgs 74/2000 in caso di estensione a qualsivoglia tributo o contributo. In particolare, si sarebbe potuto configurare un eccesso di delega da parte del Governo che poteva disciplinare esclusivamente fattispecie penali in materia di imposte sui redditi e Iva e non anche riferite ad altri tributi o addirittura contributi previdenziali.

Ora la Consulta – pur non intervenendo specificamente sulla questione in quanto la sentenza era riferita a profili di incostituzionalità rispetto alla nuova soglia prevista per la dichiarazione infedele – nel descrivere la fattispecie ha ammesso, senza alcuna obiezione, che la giurisprudenza di legittimità ritiene estensibile alla fattispecie di indebita compensazione a qualunque tributo e contributo.

Fonte “Il sole 24 ore”

Scadenzario seconda rottamazione

l primo appuntamento con la rottamazione-bis delle cartelle Equitalia è stato il 31 ottobre quando l’agenzia delle Entrate-Riscossione ha predisposto il modello di adesione per i contribuenti esclusi dalla rottamazione-uno (perché avevano piani di dilazione in corso e non erano in regola con i pagamenti) e ora “ripescati” dalla rottamazione-bis. Da quel momento l’operazione è entrata nel vivo. Anche se ora i modelli dovranno essere aggiornati visto che il decreto fiscale collegato alla manovra è stato sensibilmente modificato nell’esame al Senato e ora è stato approvato definitivamente dalla Camera senza ulteriori modifiche.

Chi non è in regola con la prima rottamazione

Il primo fronte della rottamazione-bis riguarderà chi non è in regola con la rottamazione tuttora in corso. Alla luce delle modifiche apportate dal Senato, il 7 dicembre (rispetto alla versione originaria che prevedeva il 30 novembre) sarà il termine per pagare l’unica rata o le rate non versate alle scadenze del 31 luglio o del 2 ottobre (il termine slittato dal 30 settembre che cadeva di sabato). Scadrà il 7 dicembre anche l’eventuale terza rata del piano di pagamento di rottamazione che era prevista per il 30 novembre.

VENERDÌ IL DECRETO FISCALE 12 ottobre 2017

Cartelle non pagate e liti: nuova chance per chiudere i conti con il Fisco

Il secondo fronte: i «ripescati»

Il secondo fronte riguarda i contribuenti che sono stati esclusi dalla prima rottamazione perché al 24 ottobre 2016 avevano piani di rateazione in corso con l’ex Equitalia e non erano in regola con i pagamenti delle rate scadute entro il 31 dicembre dello scorso anno.

Alla luce delle modifiche apportate dal Parlamento questo è il nuovo calendario.

2 gennaio 2018 -> Agenzia delle Entrate-Riscossione deve aggiornare il modello di adesione alla rottamazione già predisposto a fine ottobre (il termine in realtà è il 31 dicembre ma cade di domenica e anche il 1° gennaio è festivo);

15 maggio 2018 -> Richiesta di adesione alla rottamazione delle cartelle per i contribuenti esclusi dalla prima rottamazione perché al 24 ottobre 2016 avevano piani di dilazione in corso con l’ex Equitalia e non erano in regola con i pagamenti a fine dello scorso anno

30 giugno 2018 -> L’agente della riscossione comunica l’ammontare delle rate scadute al 31 dicembre 2016, non pagate e da versare per mettersi in regola

31 luglio 2018 -> Per essere riammessi alla rottamazione delle cartelle bisogna versare in un’unica soluzione le rate non saldate, i cui importi sono stati comunicati dall’agente della riscossione entro il 30 giugno. Il mancato, insufficiente o tardivo versamento di queste somme determina l’esclusione dalla rottamazione

1° ottobre 2018 -> L’agente della riscossione comunica ai contribuenti riammessi l’ammontare delle somme dovute per la definizione , delle relative rate e il giorno e il mese di scadenza di ciascuna di esse (il termine in realtà è il 30 settembre ma cade di domenica e quindi slitta al giorno successivo)

31 ottobre 2018 -> Il contribuente deve versare una prima tranche del 40 % delle somme complessivamente dovute per la rottamazione

30 novembre 2018 -> Il contribuente deve versare una seconda tranche del 40 % delle somme complessivamente dovute per la rottamazione

28 febbraio 2019 -> Il contribuente deve versare l’ultima tranche del 20 % delle somme complessivamente dovute per la definizione

Il terzo fronte: le nuove adesioni per i carichi da gennaio a settembre 2017

Il terzo profilo della rottamazione-bis riguarda i contribuenti con carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio al 30 settembre 2017.

2 gennaio 2018 -> Agenzia delle Entrate – Riscossione deve predisporre il modello di adesione alla rottamazione dei carichi affidati al concessionario dal 1° gennaio al 30 dicembre 2017

15 maggio 2018 -> Termine per l’adesione alla rottamazione per i carichi affidati alla riscossione dal 2000 fino al 30 settembre 2017

31 marzo 2018 -> Agenzia delle Entrate-Riscossione comunica al contribuente l’affidamento di carichi per i quali non risulta ancora notificata la cartella

30 giugno 2018 -> Agenzia delle Entrate- Riscossione comunica entro questa data gli importi dovuti per la definizione della rottamazione, delle relative rate, il giorno e il mese di scadenza di ciascuna di esse

31 luglio 2018 -> Scade il termine per il versamento della prima o unica rata

1° ottobre 2018 -> Scade il termine per il versamento dell’eventuale seconda rata (il termine in realtà è il 30 settembre ma cade di domenica e quindi slitta al giorno successivo)

31 ottobre 2018 -> Scade il termine per il versamento dell’eventuale terza rata

30 novembre 2018 -> Scade il termine per il versamento dell’eventuale quarta rata

28 febbraio 2019 -> Scade il termine per l’eventuale quinta e ultima rata.

Il quarto fronte: le nuove adesioni per i carichi dal 2000 al 2016

C’è poi un quarto fronte che riguarda i contribuenti con carichi relativi agli anni 2000-2016 (quest’ultima è una novità inserita durante l’iter parlamentare di conversione del decreto fiscale) che non hanno fatto domanda di adesione alla prima rottamazione. Anche per questi ultimi (così come i «ripescati») la rottamazione potrà essere pagata solo in tre rate.

2 gennaio 2018 ->Agenzia delle Entrate – Riscossione deve predisporre il modello di adesione alla rottamazione dei carichi affidati al concessionario dal 2000 al 2016

15 maggio 2018 -> Termine per l’adesione alla rottamazione per i carichi affidati alla riscossione dal 2000 al 2016 ma è necessario non aver già presentato domanda alla prima rottamazione

1° ottobre 2018 -> L’agente della riscossione comunica ai contribuenti ammessi l’ammontare delle somme dovute per la definizione , delle relative rate e il giorno e il mese di scadenza di ciascuna di esse (il termine in realtà è il 30 settembre ma cade di domenica e quindi slitta al giorno successivo)

31 ottobre 2018 -> Il contribuente deve versare in un’unica tranche o in alternativa una prima tranche del 40  % delle somme complessivamente dovute per la rottamazione

30 novembre 2018 -> Il contribuente deve versare la seconda eventuale tranche del 40% delle somme complessivamente dovute per la rottamazione

28 febbraio 2019 -> Il contribuente deve versare l’ultima tranche del 20% delle somme complessivamente dovute per la definizione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Usufrutto, gli interessi passivi sui mutui trovano spazio nel modello Redditi Pf

L’articolo 15, comma 1 lettera b) del Tuir prevede la detrazione Irpef, nella misura del 19%, degli interessi passivi ed oneri accessori pagati per mutui ipotecari contratti per l’acquisto di immobili da adibire ad abitazione principale entro un anno dall’acquisto, per un importo non superiore a 4mila euro.

Contrastando con la consolidata prassi dell’agenzia delle Entrate (circolare 95/E/2000, punto 1.2.7 e 108/1996, punto 2.3.1, secondo cui la detrazione «non compete mai all’usufruttuario in quanto lo stesso non acquista l’unità immobiliare»), la Cassazione nella sentenza n. 22191/2016 ha, invece, esteso l’ambito applicativo di detta detrazione, affermando che il riferimento all’«acquisto dell’unità immobiliare», rapportato all’esigenza dell’abitazione, deve intendersi come acquisto di un diritto reale, quale esso sia, compreso quindi il diritto di usufrutto, uso e abitazione, in grado di soddisfare l’esigenza abitativa.

Da tale pronunciamento possono derivare conseguenze operative per eventuali valutazioni sulla scelta del modello da presentare nella imminente campagna dichiarativa. Anche quest’anno, infatti, gli usufruttuari, dipendenti o pensionati, che intendessero aderire all’orientamento giurisprudenziale e detrarre gli interessi passivi in argomento, non potranno rivolgersi ai Caf o ai professionisti abilitati per compilare il modello 730.

Essi, infatti, poiché sono responsabili del visto di conformità sul quadro E, non possono ammettere una detrazione non espressamente prevista dalla norma o dalla prassi dell’agenzia delle Entrate, a pena di assumere conseguenze per infedeltà che traslerebbero su di loro sia la contestazione tributaria che quella sanzionatoria.

La posizione del Fisco, peraltro, non è stata modificata né all’interno del testo unico delle detrazioni fiscali costituito dalla corposa circolare 7/E/2017 né nelle istruzioni delle dichiarazioni relative al periodo d’imposta 2018, del tutto indifferenti al citato pronunciamento.

Conseguentemente, per sostenere la detraibilità degli interessi per acquisto di usufrutto, i contribuenti non potranno che compilare il quadro RP del modello Redditi 2018 ed eventualmente, in caso di controllo 36-ter del Dpr 600/1973 che eccepisse l’indebita detrazione, incardinare un contenzioso tributario.

Parallelamente, peraltro, potrà valutata anche l’opportunità di presentare dichiarazioni integrative a favore, per recuperare il credito di imposta di tutte le annualità pregresse ancora aperte (periodo di imposta 2013 e successivi), compilando, ove previsto, anche il quadro DI.

Allo stato, però, persiste una paradossale situazione nella quale chi acquista l’usufrutto di un immobile per adibirlo ad abitazione principale, da un lato è tenuto ad indicare il reddito fondiario al quadro RB, dall’altro lato non può detrarre al rigo RP7 gli interessi passivi per il mutuo finalizzato al suo acquisto, mentre, al rigo RP8 (codice 17) può usufruire della detrazione per eventuali oneri di intermediazione pagati all’agenzia immobiliare per l’acquisizione di tale diritto reale (circolare n. 34/E/2008, risposta 13)

Redditi Pf 2018: gli affitti brevi arrivano nel nuovo quadro LC

Il nuovo quadro LC del Modello Redditi Pf 2018 accoglie la recente disciplina sulle cosiddette locazioni brevi introdotta dall’articolo 4 del Dl 50/2017. Si ricorda, infatti, che a decorrere dal 1° giugno 2017 ai redditi derivanti da queste locazioni è possibile applicare un’imposta sostitutiva nella forma della cedolare secca del 21%.

L’articolo 4 del Dl 50/2017 individua nelle locazioni brevi quei «contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, stipulati da persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare».

La stessa possibilità è stata estesa anche ai redditi derivanti dai contratti di sublocazione e dai contratti a titolo oneroso conclusi dal comodatario aventi ad oggetto il godimento dell’immobile da parte di terzi.

Alla luce di quanto sopra, da quest’anno, tra i soggetti obbligati alla compilazione del nuovo quadro LC, rientrano anche le persone fisiche non titolari di partita Iva che locano a soggetti, anch’essi persone fisiche che agiscono al di fuori dell’attività di impresa, un’unità immobiliare a destinazione residenziale (classificate nelle categorie catastali da A1 a A11, ad esclusione di A10, e le relative pertinenze, nonché le singole stanze), per una durata inferiore a 30 giorni, e pertanto non soggetta a registrazione obbligatoria.

Sono esclusi da tale disciplina i soggetti che esercitino un’attività commerciale anche se in modo occasionale, ossia quando i canoni di locazione percepiti sono redditi diversi ex articolo 67, comma 1 lettera h) del Tuir, piuttosto che redditi fondiari (o derivanti dalla sublocazione o dal contratto di comodato).

L’opzione per la cedolare secca andrà espressa direttamente nel quadro RB del modello Redditi Pf in colonna 11, così come, nello stesso quadro, andranno indicati i redditi derivanti da detta tipologia di locazione, oltre agli altri (colonna 14). Qualora si proceda alla registrazione del contratto, l’opzione dovrà essere espressa anche in tale sede.

La funzione del nuovo quadro LC, infatti, è proprio quella di liquidare l’imposta dovuta sui corrispettivi incassati dalle locazioni brevi, per i quali si è optato per l’imposta sostitutiva del 21% e dai canoni di locazioni per i quali si è optato per la cedolare secca al 21% o al 10%, ricomprendendo, quindi, tutti quei contratti per i quali il locatore ha scelto la cedolare secca.

Ricordiamo, infine, che la circolare dell’agenzia delle Entrate 24/E/2017, sempre nell’ambito delle locazioni brevi, ha chiarito che:

•la fornitura di biancheria e la pulizia dei locali sono servizi che devono ritenersi strettamente funzionali alle esigenze abitative di breve periodo;

•include tra i servizi di cui all’articolo 4 anche la fornitura di utenze, il wi-fi e l’aria condizionata;

•il servizio di colazione o di fornitura pasti, invece, costituisce un servizio commerciale ed esclude l’applicabilità dell’imposta sostitutiva.

 Fonte “Il sole 24 ore”

La seconda-prima casa sfida il Fisco

La Cassazione apre probabilmente una nuova era nella storia dell’agevolazione per l’acquisto della «prima casa». La sentenza 2565/2018 (si veda «Il Sole 24 Ore» del 3 febbraio) proclama infatti, a chiare lettere, che la proprietà di una casa «non idonea» a uso abitativo non ostacola l’acquisto agevolato di un’altra abitazione (senza dover necessariamente alienare la casa «preposseduta»). Si consolida così l’orientamento inaugurato con la sentenza 18128/2009 e l’ordinanza 100/2010.

Pertanto, quando la legge sull’agevolazione (la nota II-bis all’articolo 1, Tariffa parte I, allegata al Dpr 131/1986) dispone che non può comprare la «prima casa» il contribuente nella situazione di «prepossidenza» di un’altra casa, si dovrebbe interpretare tale normativa (secondo la Cassazione) come se dicesse che è impedito l’acquisto della «prima casa» al contribuente che abbia:

• nel medesimo Comune, la piena proprietà (o il diritto di uso, usufrutto o abitazione) di altra casa idonea all’uso abitativo;

• in qualsiasi parte del territorio nazionale, la piena o nuda proprietà (o il diritto di uso, usufrutto o abitazione) di altra casa, acquistata con l’agevolazione «prima casa».

Il ragionamento della Cassazione è che quando la legge prescrive l’«impossidenza» di altre case nel medesimo Comune, tale situazione vi sarebbe anche nell’ipotesi di «possidenza» di case che non si prestino a essere atte all’uso abitativo del contribuente. Si aprono però almeno tre problemi.

Il primo è che l’amministrazione non è mai stata d’accordo di dar rilievo alla pretesa inidoneità dell’abitazione preposseduta: con toni diversi, correlati alla legislazione tempo per tempo vigente, il Fisco ha espresso contrarietà a questo ragionamento nella risoluzione 86/E del 2010, nella circolare 1/E del 1994, nella risoluzione n. 311657 del 1989 e nella circolare 29/9/1449 del 1982.

Il secondo problema è che la legge impone, per ottenere l’agevolazione «prima casa», che il contribuente dichiari, nell’atto di acquisto di essere in una situazione di «impossidenza»; e sanziona la dichiarazione mendace pretendendo l’imposta ordinaria e la pena pecuniaria pari al 30% della differenza tra l’imposta agevolata e l’imposta ordinaria: in soldoni, il 9,1% della base imponibile se l’atto è tassato con il registro (e, quindi, sulla rendita catastale moltiplicata per 126) oppure il 7,8% della base imponibile se l’atto è a Iva (e, quindi, sul prezzo della compravendita). Chi si fida a sfidare il fisco rischiando la contestazione della dichiarazione mendace?

Il terzo problema è come tradurre in pratica il concetto di «inidoneità» della casa preposseduta: la Cassazione chiaramente dice che può trattarsi sia di una situazione oggettiva (e cioè attinente allo stato dell’immobile), sia di una situazione soggettiva (cioè inerente alle condizioni personali del contribuente). Inidonea potrebbe dunque essere una casa divenuta troppo piccola (per l’aumento del numero dei famigliari del contribuente in questione) o troppo grande (a causa della loro diminuzione); oppure, una abitazione prima tranquillamente utilizzabile ma che poi si renda inaccessibile (perché ubicata in un piano elevato non servito da un ascensore) a chi resti vittima di un incidente che ne comprometta la deambulazione; oppure, una casa posizionata in un luogo insalubre per il mutamento delle condizioni di salute del suo proprietario o che si renda inutilizzabile a causa della distanza dal suo luogo di studio o di lavoro; oppure, l’abitazione sulla quale il contribuente non abbia un diritto che non ne comporti «il potere di disporne come abitazione propria» (la Cassazione con sentenza 21289/2014 ha giudicato inidonea l’abitazione di cui il contribuente era comproprietario solo per il 5%); oppure una casa priva di impianti o servizi o resasi pericolante o fatiscente; eccetera. Insomma, si finisce per discutere (Cassazione 2278/2016) se sia idonea la casa in cui ogni bambino, di diverso sesso, non abbia la sua stanza.

Fonte “Il sole 24 ore”

Per la Cassazione sono irricevibili i ricorsi «assemblati»

La metodologia di redazione dei supposti ricorsi «assemblati» o «imbottiti», che racchiudono una pluralità di documenti integralmente riprodotti all’interno del singolo ricorso, in carenza di una distinzione sintetica dei loro contenuti, non soddisfa la richiesta di schematica rielaborazione degli avvenimenti processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione, infrange il principio di sinteticità che deve uniformare l’intero processo e impedisce di intendere le problematiche della circostanza, comportando da dissimulazione delle informazioni concretamente rilevanti per le argomentazioni sviluppate, tanto da risolversi in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso. A tale conclusione è giunta la Corte di cassazione attraverso la sentenza n. 4155/2018, depositata in cancelleria il 21 febbraio 2018.

Con istanza risalente al 2008 una Spa ha richiesto all’agenzia delle Entrate il rimborso dei crediti di imposta Irap e Iva che l’ufficio, tuttavia, ha ritenuto di rigettare. Avverso il provvedimento di diniego di rimborso la Spa ha proposto ricorso dinanzi alla Ctp al quale l’agenzia delle Entrate si opposta.

La Ctp, con sentenza n. 19 del 29 gennaio 2010, ha accolto il ricorso dell’istante. Avverso la suddetta pronuncia l’agenzia delle Entrate ha proposto appello dinanzi alla Ctr al cui accoglimento si è opposta la Spa, la quale ha contestualmente richiesto la conferma della sentenza impugnata. La Ctr, tuttavia, ha respinto l’appello e di conseguenza l’amministrazione finanziaria ha ritenuto di proporre ricorso per Cassazione al quale la Spa ha resistito mediante controricorso.

A parere del collegio di legittimità, è risultata essere infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di sinteticità sollevata in udienza dal pubblico ministero, il quale ha rilevato che il ricorso è stato compilato con la tecnica del “conglomerato”, cioè con la riproduzione, senza alcuna selezione specifica dei contenuti rilevanti, di diversi documenti accolti nel fascicolo di merito in quanto, come statuito dalla Corte suprema, la tecnica di redazione dei cosiddetti ricorsi “assemblati” o “farciti” o “sandwich”, che implica una pluralità di documenti integralmente riprodotti all’interno del ricorso, in assenza di selezione sintetica dei loro contenuti, non soddisfa la richiesta di concisa rielaborazione delle vicende processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione, viola il principio di sinteticità che deve uniformare l’intero processo e impedisce di cogliere le problematiche della vicenda, comportando il “mascheramento” dei dati effettivamente rilevanti per le argomentazioni svolte, tanto da risolversi in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso (Cassazione sentenza n. 18363 del 18/09/2015).

Nel caso di specie, tuttavia, i documenti riprodotti nel corpo del ricorso sono risultati facilmente individuabili e separabili dal restante contenuto del ricorso, che è pertanto riconducibile a dimensioni e contenuti rispettosi del canone di sinteticità previsto per il giudizio per Cassazione, e i motivi sono risultati adeguatamente formulati mediante la chiara enunciazione delle censure proposte (Cassazione Sentenza n. 12641 del 19/5/2017).

 Fonte “Il sole 24 ore”

Versamenti Redditi 2018 con la doppia rata il 20 agosto

Ogni tanto anche il Fisco ha le sue stravaganze. Per chi non vi si sia ancora imbattuto, suggeriamo di prendere visione della tabella delle rateizzazioni per i contribuenti titolari di partita Iva, contenuta nelle istruzioni del modello Redditi persone fisiche 2018 (fascicolo 1, pagina 9), che devono utilizzare i soggetti che decidono di versare a rate entro il maggior termine previsto per coloro che scelgono di versare con la maggiorazione dello 0,40 per cento.

La tabella riporta la seguente sequenza di date di scadenza delle rate, con i relativi interessi:
•prima rata 20 agosto 2018;
•seconda rata 20 agosto 2018, con interessi dello 0 per cento;
•terza rata 17 settembre 2018, con interessi dello 0,33 per cento;
•quarta rata 16 ottobre 2018, con interessi dello 0,66 per cento;
•quinta rata 16 novembre 2018, con interessi dello 0,99 per cento.

È scritta proprio così, non ci sono errori di digitazione, la prima e la seconda rata si versano entrambe il 20 agosto 2018. Ma come mai la tabella di rateizzazione riporta tale sequenza di date, che sembrerebbe apparentemente non coerente? Il tutto è chiaramente frutto di un’attenta osservanza delle norme, ma forse (almeno questa è la nostra sensazione), ed è questo il nostro sospetto, potrebbe esserci anche qualche piccolo errore.

Proviamo a esaminare, per ciascuna delle scadenze, il termine indicato e a verificare anche il calcolo degli interessi:
•prima rata al 20 agosto 2018. Per la determinazione di tale data, non così intuitiva, si parte dalla scadenza naturale del 30 giugno 2018, che cadendo in un giorno festivo va al 2 luglio 2018, a questa si aggiungono i 30 giorni consentiti dal versamento con maggiorazione dello 0,40 per cento e si arriva così al 1 agosto 2018, termine che fruisce dell’ulteriore differimento al 20 agosto 2018 cui rientra qualsiasi versamento che scada dal 1 agosto al 20 agosto di ogni anno. Chiaramente non sono indicati gli interessi, trattandosi della 1° rata. Per quanto riguarda la 1° rata, quindi, tutto condivisibile, nessuna osservazione da fare.
•seconda rata al 20 agosto 2018. Qui le cose si complicano, perché l’agenzia delle Entrate riparte dal 1 agosto 2018 e da lì determina il termine della 2° rata al 16 agosto 2018, che fruisce anch’esso dell’ulteriore differimento al 20 agosto 2018 cui rientra qualsiasi versamento che scada dal 1 agosto al 20 agosto di ogni anno. Interessi indicati zero per cento. Qui ci permettiamo di avere qualche dubbio: perché si riparte dal 1 agosto 2018? La 1° rata è il 20 agosto 2018, è da qui che chiunque ripartirebbe per determinare la 2° rata, anche perché poi gli interessi indicati nella misura dello 0,00 per cento sono evidentemente calcolati proprio dal 20 agosto 2018 e non dal 1 agosto 2018 (altrimenti avremmo lo 0,22 per cento di interessi). Sembrerebbe una contraddizione piuttosto evidente.
•terza rata 17 settembre 2018, con interessi dello 0,33 per cento. Sul termine nessuna osservazione particolare (se non che saremmo un mese in anticipo), ma sulla percentuale degli interessi i conti non ci tornano. Lo 0,33 per cento è calcolato con riferimento al tasso del 4 per cento annuale per 1/12 (cioè un mese). Ma dal 20 agosto 2018 al 17 settembre 2018 c’è meno di un mese, per cui gli interessi dovrebbero essere solo dello 0,29 per cento. Infatti, ad esempio, nella tabella della pagina precedente dei soggetti privati, per il differimento dal 20 agosto 2018 al 31 agosto 2018 è correttamente indicato l’interesse dello 0,11 per cento, cioè lo 0,33 mensile per 1/3 di mese cui corrispondono gli 11 giorni di differimento.
•quarta rata 16 ottobre 2018, con interessi dello 0,66 per cento e quinta rata 16 novembre 2018, con interessi dello 0,99 per cento. Sembra tutto corretto, nulla da segnalare.

Ebbene, possibili errori a parte, proviamo prima a fare qualche considerazione di “economicità” e poi a ricordare quanto fu fatto in passato, più precisamente nel 2012, in un’analoga situazione.

La prima considerazione, che riteniamo essere di puro buon senso, è la seguente: chi versa con maggiorazione dello 0,40% e anche a rate, non ha probabilmente grandi disponibilità di liquidità, altrimenti avrebbe scelto un’altra modalità di versamento meno onerosa. Ma davvero si vuole chiedere a un contribuente che si trova in questa situazione, proprio nel mese di agosto, laddove notoriamente gli incassi non sono tra i più elevati (tranne forse in qualche settore specifico), di versare due rate insieme? Visto anche che ogni giorno di differimento è coperto dagli interessi?

La seconda considerazione è che questi strani “incroci” di calendario non sono straordinari, ma accadono con una frequenza relativamente elevata. Difatti abbiamo già avuto una situazione molto simile nel 2012, laddove le Entrate in fase di stesura delle istruzioni avevano inizialmente preso una posizione simile a quella odierna, ma poi aveva corretto il tiro con alcuni pronunciamenti ufficiali cui ci si potrebbe riferire anche in questo caso.
Sul punto non possiamo non citare l’articolo scritto da Salvina e Tonino Morina, dal titolo «Per le Entrate la tentazione della doppia rata ad agosto», pubblicato su questa testata lo scorso 21 gennaio, nel quale gli autori – non condividendo la presa di posizione dello scorso anno dall’Agenzia con la circolare 8/E/2017 (paragrafo 11.2) relativa a un caso simile, anche se non proprio uguale – indicano invece la risoluzione 69/E/2012 come il corretto documento di prassi da prendere a riferimento per dirimere la questione (segnaliamo che vengono citati anche analoghi pronunciamenti, quali la circolare 192/E/1998, la circolare 50/E/2002, la risoluzione 128/E/2007).
Dal nostro punto di vista, come AssoSoftware in rappresentanza dei produttori di software associati, pur non essendo direttamente interessati (i diretti interessati sono di fatto esclusivamente i contribuenti), non possiamo non segnalare i disagi e le criticità che prese di posizioni come questa possono creare.

In particolare segnaliamo queste due criticità:
■la prima è di tipo operativo e ci interessa direttamente, laddove la prima reazione degli operatori che utilizzano le procedure sviluppate dai nostri associati è che vi sia un errore di programma («Due rate lo stesso giorno!! Possibile?») e quando ci contattano per chiarimenti, quasi sempre va a finire che sono le software house a non aver capito nulla;
■la seconda, riguarda il rapporto di fiducia tra il fisco e i contribuenti, che sicuramente non beneficia di queste scelte. È vero che è un problema che apparentemente non riguarda le software house, tuttavia essendo noi in qualche modo all’interno della filiera dell’assistenza fiscale, abbiamo il dovere di fare tutto quanto ci è possibile perché tutto il sistema funzioni al meglio.

Ci auguriamo, quindi, che si possa fare un ulteriore sforzo e addivenire a una soluzione interpretativa più equa e giusta. Ricordiamo che proprio la stessa Agenzia, con la circolare 1/E/2018 sulle nuove regole della detrazione Iva, ha dimostrato di poterlo fare con grande saggezza e capacità.

La cosa importante, dal nostro punto di vista, sarebbe intervenire in fretta ovvero confermare in via definitiva la posizione attuale; da scongiurare, invece, qualsiasi modifica dell’ultima ora.

Fonte “Il sole 24 ore”

Tassazione a tre vie per i dividendi dei soggetti Ires

Regime ordinario di esclusione dal reddito per il 95% dell’ammontare, tassazione integrale o detassazione al 50 per cento. Sono tre i regimi di imposizione dei dividendi per i soggetti Ires previsti a seguito delle modifiche introdotte dalla legge di Bilancio 2018 (legge 205/2017).

Quest’ultima ha modificato le modalità di tassazione dei dividendi provenienti da Stati o territori a regime fiscale privilegiato (che vengono chiamati per semplicità black list anche se la lista nera al decreto 21 novembre 2001 non è più operativa) , stabilendo un regime di esclusione parziale (al 50%) dal reddito della società percipiente a condizione che sia dimostrato l’effettivo svolgimento, da parte della partecipata non residente, di un’attività industriale o commerciale nel mercato dello Stato o territorio di insediamento.

Di fatto è un regime “intermedio” (per i soli soggetti Ires) tra il regime di tassazione integrale che ha finora caratterizzato i dividendi provenienti da Stati a fiscalità privilegiata ed il regime di esclusione al 95% (ovvero tassazione per il 5%) che rappresenta il regime ordinario di tassazione dei dividendi.

Il regime ordinario si applica agli “utili” distribuiti in qualsiasi forma dalle società ed enti residenti, nonché ai proventi derivanti da strumenti finanziari partecipativi, la cui remunerazione sia costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici dell’emittente o di altre società del gruppo, e alla remunerazione dei contratti di associazione in partecipazione e cointeressenza che prevedono un apporto di capitale da parte dell’associato.

In caso di utili distribuiti da società non residenti è inoltre richiesto che gli stessi siano indeducibili dal reddito estero dell’emittente e che non siano “provenienti” da società in Paesi a fiscalità privilegiata diversi da quelli Ue o See.

Per gli utili di provenienza black list l’integrale imposizione dei dividendi poteva finora essere evitata solo nel caso in cui gli utili stessi fossero stati imputati al socio per trasparenza ai sensi della disciplina Cfc, ovvero a seguito della dimostrazione che «dalle partecipazioni non fosse conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato» (seconda esimente).

Al contrario, nessuna deroga al regime di integrale imponibilità era finora accordata dimostrando lo svolgimento da parte della partecipata di un’attività industriale o commerciale (prima esimente).

La dimostrazione dell’esimente dell’effettiva attività commerciale consentiva di evitare la tassazione per trasparenza del reddito della partecipata, ma non la tassazione integrale dei dividendi da questa distribuita. In questo caso l’unico correttivo consisteva nel riconoscimento di un credito d’imposta “indiretto” sugli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione.

In questo contesto interviene la legge di Bilancio 2018, che introduce una detassazione del 50% dell’ammontare dei dividendi provenienti da soggetti residenti in paradisi fiscali che svolgono un’effettiva attività industriale o commerciale. Resta ferma, inoltre, la possibilità di ottenere il credito d’imposta “indiretto” per le imposte estere assolte dalla partecipata nei limiti dell’imposta italiana relativa a tali utili, quindi nei limiti del 50 per cento.

Senza una decorrenza specifica, le nuove regole dovrebbero applicarsi in relazione agli utili percepiti dal 1° gennaio 2018, indipendentemente dall’esercizio di maturazione degli stessi e dalla data della delibera. Il nuovo regime, peraltro, non si estende alla tassazione delle plusvalenze derivanti da cessione di partecipazioni in società operative residenti in paradisi fiscali, che restano pienamente imponibili, salvo che sia fornita la dimostrazione che dalle partecipazioni non sia stato conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati a regime fiscale privilegiato.

Fonte “Il sole 24 ore”

Modello Redditi Pf 2018, cambiano detrazioni e deduzioni per sanità, scuola e casa

Il quadro RP del modello Redditi Pf 2018 è stato modificato per recepire le novità in materia di oneri deducibili e detraibili previste per il periodo di imposta 2017, tra le quali vi rientra la detrazione, come spesa sanitaria, degli oneri sostenuti per l’acquisto di alimenti a fini medici speciali (Afms), di cui alla sezione A1 del Registro nazionale di cui all’articolo 7 del Dm 8 giugno 2001 (consultabile anche sul sito del ministero della Sanità), con l’esclusione di quelli destinati ai lattanti e celiaci (Dl 148/2017).

Gli Afms, rientrando quindi tra le spese mediche, sono detraibili nella percentuale del 19% per la parte che eccede la franchigia di 129,11 euro, anche se acquistati per le persone fiscalmente a carico. Si ricorda che, per effetto della legge Cirinnà (legge n. 76/2016), i partner dell’unione civile hanno gli stessi diritti dei coniugi, cosicché sono ricompresi nel novero dei familiari a carico. A contrario, in caso di convivenza, le spese sostenute in favore del convivente non sono agevolabili se non per espressa previsione di legge (es. bonus edilizi).

Le altre modifiche riguardano le spese scolastiche e gli studenti universitari. In merito alla prima fattispecie, la legge n. 232/2016 ha modificato i limiti di detrazione delle spese di istruzione non universitaria, prevedendo la possibilità di calcolare il 19% su un limite massimo di 717,00 euro (in luogo di 564 euro); di conseguenza, l’importo detraibile non potrà essere superiore ad 136,23 euro.

Per gli studenti universitari, invece, cambiano le regole di detrazione dei canoni di locazione (legge 205/2017). Infatti, a regime, la riduzione del 19%, calcolata su un importo di spese pari a 2.633 euro (detrazione massima pari ad 500,27 euro), compete se l’università è ubicata in un comune diverso da quello di residenza, distante da almeno 100 chilometri e comunque in una provincia diversa.

Eccezionalmente, per gli anni 2017-2018, il requisito della distanza si intende rispettato anche all’interno della stessa provincia ed è ridotto a 50 chilometri per gli studenti residenti in zone montane o disagiate; il limite massimo detraibile, invece, è invariato.

Anche in tema di investimenti, vi sono alcune novità. Infatti, a chi investe nel capitale sociale di una start-up o PMI innovativa è riconosciuta una detrazione d’imposta del 30%, da calcolare su un importo non eccedente 1 milione.

Come ogni anno, infine, le altre modifiche riguardano le detrazioni “comparto casa”; infatti, per il periodo d’imposta 2017:

•sono state prorogate le detrazioni: del 50% relative agli interventi di ristrutturazione edilizia e all’acquisto di mobili per gli immobili ristrutturati (bonus mobili), del 50% dell’Iva dovuta sull’acquisto di unità immobiliari in classe energetica A o B e del 65% per i lavori di risparmio energetico.

•è stato modificato il Sismabonus, che per le spese sostenute dal 1° gennaio 2017 compete nella misura del 50%, da ripartire in 5 rate annuali ed è fruibile, oltre che per le zone 1 e 2 dell’Opcm 20 marzo 2004, anche per gli immobili situati nella zona 3.

Qualora dagli interventi consegua un passaggio ad una classe di rischio inferiore, la detrazione è pari al 70% o, in caso di condomini, al 75%, mentre è dell’80%, se il rischio diminuisce di due classi ed è innalzata all’85% per i lavori condominiali.

Anche per gli acquisti di case ricostruite allo scopo di ridurre il rischio sismico spetta la detrazione del 75% o dell’85% sul costo di acquisto, se, a seguito dei lavori, il rischio sismico è diminuito rispettivamente di una o due classi.

•è stato introdotto il cd. Ecobonus qualificato, che prevede detrazioni del 70% e del 75% per specifici interventi effettuati sulle parti comuni degli edifici condominiali, finalizzati alla riqualificazione energetica della struttura.

Fonte “Il sole 24 ore”

Saldo Iva 2018

Venerdì 16 marzo scade il termine per l’effettuazione del versamento dell’Iva a debito dovuta in base alla dichiarazione annuale per il periodo d’imposta 2017. Sono previste diverse modalità di versamento del saldo Iva e sull’argomento nel corso di Telefisco 2018 è stato fornito un importante chiarimento: il saldo Iva potrà , a discrezione del soggetto interessato, essere versato il 20 agosto con la maggiorazione dello 0,40%.

Le possibilità previste del versamento del saldo Iva

Come si evince anche dalla istruzioni allegate al modello Iva 2018, approvato con provvedimento del direttore delle Entrate n. 10581 del 15 gennaio 2018, i contribuenti possono versare il saldo Iva in unica soluzione ovvero rateizzare ai sensi dell’articolo 20 del Dlgs 9 luglio 1997, n. 241.

Il versamento può essere differito alla scadenza prevista per il pagamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi, con la maggiorazione dello 0,40% a titolo d’interesse per ogni mese o frazione di mese successivo al 16 marzo. Anche i soggetti con esercizio non coincidente con l’anno solare possono avvalersi del differimento del versamento dell’Iva, versando l’imposta entro il 30 giugno a prescindere dai diversi termini di versamento delle imposte sui redditi.

Le istruzioni precisano che la maggiorazione dello 0,40%, prevista per ogni mese o frazione di mese, si applica sulla parte del debito non compensato con i crediti riportati in F24.

I chiarimenti di Telefisco 2018

Durante Telefisco 2018 è stato posto un quesito ai funzionari dell’agenzia delle Entrate relativo al fatto se il saldo Iva per il 2017 possa essere versato entro i 30 giorni successivi alla scadenza del termine per il saldo delle imposte sui redditi del 30 giugno 2018, che slitta al 2 luglio; poiché i 30 giorni successivi scadono il 1° agosto, è stata chiesta la conferma se questa scadenza slitta poi al 20 agosto in quanto beneficia della proroga di Ferragosto.

I funzionari delle Entrate hanno chiarito che, per effetto di quanto disposto dal comma 11-bis, articolo 37, della legge n.223/2006 (introdotto dall’articolo 3-quater, comma 1. D.L. 2 marzo 2012, n. 16), gli adempimenti fiscali (compresi gli obblighi di versamento) che scadono tra il 1° ed il 20 agosto di ogni anno, possono essere effettuati entro il giorno 20 dello stesso mese, senza alcuna maggiorazione.

Di conseguenza, è stato confermato che il saldo Iva 2017 può essere versato entro:

• il 16 marzo 2018, senza maggiorazione;

• il 2 luglio 2018, maggiorando la somma da versare degli interessi nella misura dello 0,40% per ogni mese o frazione di mese successivi al termine di pagamento del saldo dovuto con riferimento alla dichiarazione dei redditi ;

• il 20 agosto 2018, maggiorando le somme da versare dello 0,40%, a titolo di interesse corrispettivo.

Fonte “Il sole 24 ore”

Omesse ritenute, il liquidatore non risponde sempre

Il liquidatore risponde del reato di omesso versamento delle ritenute solo se ha violato le regole di riparto delle attività di liquidazione, previste dalla norma fiscale, e ha assegnato ai soci beni pur in presenza di debiti tributari. A fornire questo importante chiarimento è la Cassazione con la sentenza 8995/2018 depositata ieri.

Il legale rappresentante di una società ed il liquidatore succeduto nell’incarico per la procedura di concordato preventivo venivano indagati per il reato di omesso versamento di ritenute, per due periodi di imposta differenti.

Il Gip disponeva il sequestro preventivo diretto delle somme depositate sul conto corrente della società, finalizzato alla eventuale successiva confisca. Gli indagati ricorrevano al Tribunale del riesame, che annullava la misura cautelare. La procura ricorreva così in Cassazione.

La Suprema corte, confermando la decisione del Tribunale del riesame, ha innanzitutto precisato che il liquidatore non è escluso dalla responsabilità penale nell’ipotesi di omesso versamento di ritenute, ma tale responsabilità è espressamente delimitata dall’articolo 36 del Dpr 602/1973.

Essa sussiste solo riguardo alle imposte dovute per il periodo della liquidazione e per quelle anteriori, se il liquidatore non prova di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci e creditori ovvero di aver soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari.

Il reato si configura, in sostanza, se i soggetti preposti alla liquidazione distraggono l’attivo della società finalizzato al pagamento delle imposte e lo destinano a scopi differenti. Ne consegue che non è sufficiente ai fini della rilevanza penale, il mero inadempimento fiscale. Una diversa lettura della norma porterebbe alla conclusione che il liquidatore da un lato dovrebbe seguire un certo ordine per il riparto delle liquidità, dall’altro che proprio l’osservanza di tale regola possa comportare la commissione di un reato.

Circa il sequestro, la Cassazione ha rilevato che le somme non potevano rappresentare il profitto poiché erano stata accreditate successivamente alla commissione del reato su un conto creato per la procedura di concordato e che non erano correlate ai precedenti omessi versamenti di ritenute.

Fonte “Il sole 24 ore”

Utilizzo con meno vincoli per l’integrativa a favore

Detrazione dell’Iva solo in presenza dell’effettuazione dell’operazione e della fattura; dichiarazione integrativa a favore sempre utilizzabile per recuperare la detrazione persa, ma utilizzo del maggior credito con ritmi diversi a seconda del momento di invio della integrativa.

Possono essere così sintetizzati i punti salienti del nuovo meccanismo che coinvolge la detrazione Iva, chiariti dall’agenzia delle Entrate con la circolare 1/E del 17 gennaio di quest’anno, che abilmente e in aderenza ai principi europei, è riuscita a dirimere la questione del “poco” coordinamento tra articoli 19 e 25 del Dpr 633/1972, modificati al Dl 50/2017.

L’agenzia delle Entrate è, quindi, arrivata alla condivisibile conclusione che l’imposta sul valore aggiunto diviene esigibile e, quindi, sorge il diritto alla sua detrazione, solo qualora si manifestino contemporaneamente due condizioni: la prima è che l’operazione si consideri effettuata nei termini previsti dall’articolo 6 della legge Iva, e la seconda è che il contribuente, cessionario o committente, sia in possesso della fattura di acquisto.

Tale regola, naturalmente, non vale solo per le operazioni a cavallo d’anno, ossia con operazione effettuata nel 2017 e fattura consegnata al cliente nel 2018, ma anche per quelle avvenute in corso d’anno.

Si pensi ad un’operazione effettuata a febbraio, ma con fattura fisicamente pervenuta al cliente nel successivo mese di marzo, ancorché datata fine febbraio. Guardando ai chiarimenti forniti dall’Agenzia, la detrazione può avvenire solo a partire dal mese di marzo, nel quale si concretizzano le due già menzionate condizioni.

In ogni caso, l’esercizio al diritto alla detrazione può essere esercitato, una volta individuato l’anno in cui esso sorge, al più tardi con la dichiarazione annuale Iva relativa a tale anno. Nel caso in cui, però, la registrazione della fattura avvenga nell’anno successivo, la registrazione va effettuata in un apposito registro sezionale.

Se addirittura la registrazione avviene dopo la data di presentazione della dichiarazione annuale appena citata, allora, al fine di non perdere la detrazione, il contribuente deve presentare una dichiarazione integrativa a favore.

Si ricorda che in presenza di una integrativa inviata entro la scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello integrato, il maggior credito scaturente dalla dichiarazione può trovare utilizzo già nel medesimo anno, mentre in presenza di integrativa che viene presentata oltre tale data, la compensazione, o il rimborso, può avvenire solo dal primo gennaio dell’anno successivo e la compensazione può riguardare solo debiti tributari maturati nel predetto anno successivo.

In occasione di Telefisco 2018, l’agenzia delle Entrate ha confermato che l’utilizzo del maggiore credito, in caso di integrativa ultrannuale, può avvenire già fin dal primo gennaio dell’anno successivo a quello di sua presentazione, ma occorre fare attenzione che tale maggior credito, che deve essere indicato anche all’interno della dichiarazione relativa all’anno in cui l’integrativa è presentata, non sia utilizzato due volte.

È stato anche chiarito che il meccanismo di compensazione dall’anno successivo, per l’integrativa ultrannuale, non può esser superato attraverso la presentazione di una serie di integrative a catena.

Fonte “Il sole 24 ore”

Regime per cassa, rimanenze finali da monitorare in Redditi SP

Il regime di cassa debutta in dichiarazione. Il quadro RG del modello Redditi SP 2018, infatti, recepisce il nuovo regime di determinazione del reddito delle imprese minori all’articolo 66 del Tuir, come modificato dalla legge di Bilancio 2017. Il nuovo criterio è il regime naturale per coloro che adottano la contabilità semplificata e, quindi, non è necessario comunicarne l’adesione.

Ai fini dichiarativi, la società compilerà l’usuale quadro RG ponendo particolare attenzione ai principi di imputazione temporale delle componenti reddituali, considerato che il regime in commento è un “misto” di cassa e competenza. A tal fine, è possibile consultare la circolare 11/E/2017, nella quale l’agenzia delle Entrate individua i corretti criteri per imputare correttamente le principali voci di reddito. Per le operazioni che seguono il criterio di cassa potrebbero emergere alcune criticità qualora vengano eseguite a fine anno, soprattutto nell’individuare correttamente il periodo d’imposta di rilevanza reddituale.

In queste ipotesi, si deve far riferimento allo strumento di pagamento utilizzato; infatti, nel caso di assegno e di carte di credito/debito, i ricavi si considerano percepiti e le spese sostenute nel momento in cui avviene, rispettivamente, la materiale consegna dell’assegno e l’utilizzo della carta di pagamento. Qualora, invece, si ricorra al bonifico bisogna individuare, per i ricavi, la data in cui la somma di denaro può essere utilizzata e, per le spese, il giorno dal quale tale somma non è più nella disponibilità dell’acquirente.

Infine, sono previste delle regole particolari per chi ha optato per il criterio delle “registrazioni Iva” al comma 5 dell’articolo 18 del Dpr 600/1973, considerata la presunzione secondo cui la data di registrazione del documento coincide con quella in cui è avvenuto il relativo pagamento, cosicché la contabilizzazione nell’anno 2018 di un’operazione avvenuta nell’anno precedente, comporta la deducibilità del costo o l’imponibilità del provento nell’anno 2018, come chiarito dall’agenzia delle Entrate in occasione di Telefisco. Per quelle operazioni fuori campo Iva che devono essere rilevate secondo il criterio di cassa, invece, si deve far comunque riferimento alla data di pagamento, considerato che, ai fini della deducibilità del costo, l’operazione deve essere registrata entro 60 giorni dalla suddetta data.

Le modifiche sostanziali del quadro RG, tuttavia, riguardano la gestione delle rimanenze. Innanzitutto, con il nuovo regime, tali componenti non assumo più rilevanza fiscale, tranne nei casi di prima applicazione del nuovo criterio, anche in riferimento al passaggio dalla contabilità ordinaria a quella semplificata. In questi casi, il comma 18, dell’articolo 1 della legge di Bilancio 2017 sancisce l’integrale deduzione delle rimanenze – già imponibili nell’esercizio precedente per competenza – nel primo periodo di applicazione del regime di cassa.

Per tale motivo il rigo RG13 è stato modificato per accogliere le rimanenze finali del periodo di imposta precedente, così da dedurle dal reddito prodotto nel periodo d’imposta 2017. Infine, si segnala che, rispetto al modello pubblicato in bozza, è stato inserito il rigo RG38, nel quale vanno indicate le rimanenze finali dell’anno 2017, avendo cura di segnalare la loro eventuale insussistenza in colonna 1, le quali tuttavia non concorrono alla formazione del reddito, pertanto, si ritiene che il rigo abbia la mera funzione di monitoraggio della movimentazione delle rimanenze.

Fonte “Il sole 24 ore”

Tutti i bandi per i finanziamenti a misura d’impresa e di professionista

Dall’Europa alle Regioni passando per grandi temi di interesse nazionale. Sul Quotidiano del Fisco una rubrica mensile che raccoglie i bandi e le «call» europee di maggiore interesse per imprese e professionisti. Un’opportunità per finanziare idee e progetti, sostenere la formazione professionale, avviare startup, entrare nell’orbita di partnership su scala europea. Insomma, crescere. Ecco quindi la rassegna mensile delle opportunità più interessanti, a misura di impresa e di professionista.

EUROPA

Horizon/1 – Dallo Sme Instrument 480 milioni per la ricerca e l’innovazione
Con un budget che sfiora i 480 milioni di euro nel solo 2018, Sme Instrument, la costola di Horizon dedicata agli incentivi per le piccole e medie imprese, ha lanciato una call (Eic-Smeinst-2018-2020), in due fasi, per sviluppare nuove idee di business e testare la fattibilità tecnica e il potenziale commerciale di un’innovazione traducendola in un business plan (ovvero gli studi di fattibilità previsti nella fase 1 della call che distribuiranno 50mila euro a singolo progetto della durata di 6 mesi ). Inoltre la call eroga contributi per trasformare la propria idea di business in un prodotto pronto per il mercato: le attività possono includere, per esempio, la messa a punto di prototipi, test, collaudi e proiezioni di mercato (fase 2 della call). Si può presentare domanda anche per una sola delle due fasi. Le call prevedono diversi cut-off (finestre per la presentazione delle candidature): si va da febbraio 2018 a novembre 2020 per la fase 1 e da gennaio 2018 a ottobre 2020 per la fase due.
Qui le altre informazioni.

Horizon/2 – Fast Track to Innovation, 100 milioni per le partnership
Vale 100 milioni la call di Fast Track to Innovation lanciata nell’ambito di Horizon 2020. La call è indirizzata alla ricerca di uno o più partner per accelerare il lancio sul mercato di un prodotto innovativo industriale in un massimo di tre anni. Si tratta di uno strumento che permette di ottenere fondi in uno schema aperto e accessibile per far crescere le idee elaborate dai consorzi di innovatori di tutti i tipi e dimensioni in tutta Europa. Nella partnership è obbligatorio inserire un socio industriale. Possono partecipare anche le università e i centri di ricerca. Tetto massimo per singolo progetto: 3 milioni di euro. Le domande possono essere inviate nelle diverse finestre aperte nel biennio (cut-off): si va da febbraio 2018 a ottobre 2020.
Qui le altre informazioni.

Horizon/3 – Via a 115 milioni per la digitalizzazione dell’industria Ue
Con una call da 115 milioni di euro lanciata il 31 ottobre scorso (H2020-DT-2018-2020), il programma Horizon 2020 punta alla digitalizzazione del sistema industriale europeo. L’invito a presentare proposte che si articola in quattro azioni tutte in scadenza il 17 aprile 2018, finanzia i progetti per la creazione di hubs di innovazione digitale, piattaforme digitali e prototipi sperimentali su larga scala: due leve sulle quali la Ue sta puntando per facilitare l’accesso all’innovazione digitale delle imprese europee così da migliorarne la competitività, i processi di produzione e i servizi. Tra i requisiti necessari per partecipare alla call, anche la destinazione di almeno il 50% del budget dell’investimento iniziale a favore delle piccole e medie imprese. Le quattro azioni della call sono «single-stage» e quindi a scadenza unica.
Qui maggiori dettagli sulla call.

Cosme/1 – Partenariati strategici nella specializzazione intelligente
È già aperta e funzionante a tutti gli effetti la call (COS-2017-3-02 ) per lo sviluppo di partenariati strategici europei di cluster per investimenti nel settore della specializzazione intelligente. Si tratta di un invito del valore di 2,8 milioni di euro per la composizione di partenariati tra organizzazioni di cluster, altre organizzazioni di reti di imprese, centri tecnologici e parchi scientifici: il tutto per promuovere collaborazioni interregionali e attività di innovazione tra gruppi di piccole e medie imprese in aree tematiche specifiche e industrie correlate.«L’obiettivo di questo invito a presentare proposte – spiega Cosme nella presentazione della call – non è quello di sostenere l’internazionalizzazione delle Pmi con partner strategici in paesi terzi al di fuori dell’Europa, ma di sostenere la cooperazione interregionale a favore delle Pmi, i loro progetti di investimento su scala e comuni in Europa». La sovvenzione massima per progetto sarà di 350.000 euro, Easme – l’agenzia europea che gestisce la call – prevede di finanziare otto proposte. La sovvenzione è limitata a un tasso massimo di rimborso del 75% dei costi ammissibili.
Qui tutte le informazioni.


REGIONI

Il Piemonte finanzia le imprese agricole contro le calamità naturali
Il bando, lanciato con decreto dirigenziale 9 novembre 2017, n. 1118 (Bur 23 novembre 2017 n. 47) finanzia le aziende agricole per l’acquisto di reti antigrandine a protezione delle coltivazioni.
Beneficiari sono agricoltori e imprese agricole piemontesi.
Le risorse a valere sul Programma di sviluppo rurale 2014-2020 ammontano a 4 milioni di euro. Ogni beneficiario può presentate più domande di aiuto, una per ogni intervento riferita a specifici impianti di protezione con reti antigrandine.
Ogni impianto di protezione deve essere riferito a uno specifico prodotto la cui coltivazione è in essere al momento della presentazione della domanda.
Le spese possono coprire l’acquisto e l’installazione delle reti antigrandine.
La domanda di sostegno può essere presentata fino al 23 marzo 2018.
La domanda va presentata esclusivamente in formato digitale attraverso il servizio “Psr 2014-2020”, pubblicato su questo portale , nella sezione “agricoltura”.
Qui tutte le informazioni.

Liguria/1 – Incentivi alle strutture ricettive all’aria aperta
La Regione con la deliberazione del 17 novembre 2017 n. 927 ha lanciato un nuovo bando per aiutare la ricettività turistica ligure dopo quello dedicato agli alberghi.
Beneficiari sono piccole, micro e medie imprese che esercitano attività ricettiva all’aria aperta (campeggi, villaggi turistici e parchi per vacanze).
Il budget è di 1 milione di euro (800.000 destinati alla riqualificazione di strutture ricettive esistenti, 200.000 per nuove strutture ricettive).
Tra le spese ammissibili rientrano quelle di progettazione lavori, esecuzione di opere murarie, acquisto di macchinari e attrezzature, nonché quelle destinate al miglioramento dell’efficienza energetica.
L’agevolazione consiste in un finanziamento agevolato per un ammontare non inferiore a 20.000 euro e non superiore a 90.000 euro.
È possibile presentare domanda fino al 20 aprile 2018. Le domande di ammissione all’agevolazione, vanno inoltrate esclusivamente tramite il sistema “bandi on line” .
Qui tutte le informazioni.

Liguria/2 – Via al bando 2017 per le piccole e medie imprese turistiche
A partire dal 30 novembre 2017 le imprese turistiche della Liguria potranno accedere ai finanziamenti del bando approvato con deliberazione n. 661/2017.
La dotazione del bando è di 6 milioni di euro cui aggiungere 6 milioni di euro di cofinanziamento bancario. Ammessi a finanziamento sono Piani di riqualificazione dell’offerta turistica ligure finalizzati allo sviluppo e competitività delle strutture ricettive alberghiere proposti da micro, piccole e medie imprese.
Il finanziamento, a sostegno del Piano di riqualificazione ha natura ipotecaria ed è concedibile per un ammontare non inferiore ad 150.000 euro e non superiore a 800.000 euro fino al 100% del Piano di riqualificazione stesso.
Le spese ammissibili sono quelle funzionali allo sviluppo ed alla competitività delle strutture ricettive (progettazione lavori, opere murarie, acquisto di macchinari e impianti, introduzione sistemi di qualità e adesione a sistemi di certificazione ambientale quali Iso, Emas, Ecolabel). Una quota del 50% del finanziamento è concessa a valere su fondi privati messi a disposizione da una Banca convenzionata e una quota del 50% dello stesso è concessa da Filse (Finanziaria ligure per lo sviluppo economico) a valere su fondi regionali.
Le domande vanno inoltrate esclusivamente utilizzando ilsistema «bandi on line» fino al 20 marzo 2018 unitamente alla copia della richiesta di finanziamento alla Banca convenzionata.
Qui le altre informazioni.

Veneto/1, premi per l’efficientamento energetico delle Pmi
Dalla Regione Veneto arriva il sostegno all’efficientamento energetico delle piccole e medie imprese. Il bando, approvato con Dgr 12 ottobre 2017, n. 1630 stanzia 6 milioni di euro.
L’incentivo è nella forma del contributo a fondo perduto e beneficiarie sono le micro, piccole e medie imprese del Veneto. È ammessa una sola domanda di contributo.
Sono ammessi progetti coerenti col Piano energetico regionale e finalizzati al contenimento della spesa energetica, alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti e alla valorizzazione delle fonti rinnovabili secondo le opportunità di risparmio energetico individuate e quantificate dalla diagnosi energetica effettuata dall’impresa.
Il contributo a fondo perduto è pari al 30% della spesa ammissibile
Le domande vanno presentate per via telematica usando il Sistema informativo unificato della Programmazione unitaria (Siu) della Regione.
Qui tutte le informazioni sul bando.

Veneto/2, finanziamenti per le imprese culturali
C’è ancora tempo per partecipare al bando di sostegno all’avvio, insediamento e sviluppo di imprese culturali, creative che producono e distribuiscono beni o servizi nell’ambito delle arti dello spettacolo, delle arti visive, del patrimonio culturale, dell’audiovisivo, dei video giochi, dei nuovi media, della musica e dell’editoria.
Il bando approvato con Dgr 2083/2017 stanzia 1.262.667,84 a valere sul Por Fesr 2014-2020 – Asse 3 Competitività dei sistemi produttivi. Soggetti beneficiari sono le micro e piccole e medie imprese del Veneto. Sono ammissibili i progetti di supporto all’avvio, insediamento e sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali in grado di promuovere ricambio e diversificazione nel sistema produttivo, oltre a generare nuove opportunità occupazionali.
Sono ammissibili spese per beni materiali e immateriali (come acquisto di hardware, attrezzature ed arredi nuovi di fabbrica; progettazione, direzioni lavori e collaudo connesse alle opere edili/murarie; spese di costituzione della società o dell’associazione di professionisti; consulenze specialistiche; opere edili/murarie e di impiantistica; programmi informatici; promozione dell’impresa; locazione o affitto di immobili).
L’agevolazione consiste in un contributo a fondo perduto pari al 70% delle spese ammissibili nel limite massimo di 140.000 euro corrispondenti ad una spesa rendicontata ammissibile pari o superiore a 200.000 euro. Il limite minimo di spese ammissibili è 14.000 euro (spesa rendicontata ammissibile pari a 20.000 euro).
Domande fino alle ore 18 del 12 marzo 2018 esclusivamente per via telematica, attraverso il Sistema informativo unificato della programmazione unitaria (Siu) della Regione. Valutazione con procedimento a graduatoria.
Qui tutte le informazioni sul sito della Regione alla pagina

Lombardia/1 – Fondi per il sostegno della biodiversità
La Lombardia con decreto 5 dicembre 2017, n. 15480 (Bur 14 dicembre 2017, n. 50), ha approvato le disposizioni attuative per la presentazione delle domande relative a investimenti non produttivi finalizzati prioritariamente alla conservazione della biodiversità e finalizzati prioritariamente alla miglior gestione delle risorse idriche.
Si tratta di due misure diverse rivolte agli stessi soggetti: imprenditori agricoli individuali o società agricole di persone, capitali o cooperative; persone giuridiche di diritto privato gestori del territorio.
Per la conservazione della biodiversità sono stanziati € 1.500.000, per la migliore gestione delle risorse idriche il budget è di 4.500.000 di euro
Per la conservazione della biodiversità sono finanziati interventi come la costituzione di strutture vegetali lineari, come siepi e filari, composti da specie autoctone, che aumentano la complessità dell’ecosistema, arricchiscono e diversificano il paesaggio rurale, potenziano le reti ecologiche e creano luoghi di rifugio e riproduzione della fauna selvatica, svolgendo un’importante azione di salvaguardia della biodiversità animale e vegetale.
Per la migliore gestione delle risorse idriche vengono finanziati interventi quali la costituzione di fasce tampone boscate, il ripristino della funzionalità dei fontanili, la realizzazione di zone umide e di pozze e altre strutture di abbeverata.
L’agevolazione, nella forma del contributo in conto capitale è pari al 100% della spesa ammessa a contributo. L’importo massimo di spesa ammessa per ciascuna domanda è fissato in 100.000 euro. Domande fino al 16 aprile 2018.
La domanda va presentata esclusivamente per via telematica tramite la compilazione della domanda informatizzata presente nel Sistema Informatico delle Conoscenze della Regione Lombardia (Sis.Co.) entro il termine di chiusura del bando, previa apertura e aggiornamento del fascicolo aziendale informatizzato completo di indirizzo Pec, codice Iban e partita Iva. Selezione attraverso procedura valutativa a graduatoria.
Qui tutte le informazioni.

Lombardia/2 – Aiuti agli studi con il «bollino» di qualità
Via allo sportello della linea Intraprendo che riapre i battenti con una dotazione di 7 milioni di euro. Si tratta di finanziamenti a fondo perduto e prestiti a tasso zero che la Regione Lombardia insieme a Finlombarda concedereranno a sostegno di imprese e professionisti, in particolare giovani e over 50, che abbiano ottenuto una dichiarazione di qualità del progetto da parte di istituzioni pubbliche o privati. Domande solo per via telematica attraverso alla piattaforma Siage.
Qui le altre informazioni.

Toscana/1 – Voucher per imprenditori over e under 40
Mezzo milione di euro per i professionisti che abbiano compiuto 40 anni: la Regione Toscana ne sostiene la competitività professionale, attraverso percorsi formativi specifici e altamente qualificati: un’opportunità acquisire competenze specialistiche necessarie alla riqualificazione e alla permanenza nel mondo del lavoro. Il contributo minimo è di duecento euro ma si può arrivare fino a tremila: sarà concesso al beneficiario del voucher o, tramite delega, all’ente che organizza il corso. Possono farne richiesta i lavoratori autonomi di tipo intellettuale, chi è iscritto all’albo di un ordine, di un collegio o di una associazione professionale, oppure chi è iscritto alla gestione separata Inps, purché residenti o domiciliati in Toscana, in possesso di partita Iva. Domande online (a scadenze trimestrali) entro 30 aprile, 31 luglio e 31 ottobre.
Ammontano a circa 929.000 euro le risorse per giovani professionisti e imprenditori fino a quaranta anni, previste dal bando che scade il 3 aprile: l’obiettivo è favorire la permanenza al lavoro e la ricollocazione dei lavoratori coinvolti in situazioni di crisi (settoriali e di grandi aziende) con azioni di formazione continua, anche per sostenere l’adattabilità delle imprese (e per favorire passaggi generazionali). Il contributo regionale concesso è di 3.000 euro a beneficiario. L’intervento è cofinanziato dal Programma operativo regionale (Por) del Fondo sociale europeo (Fse) 2014-2020, dalle risorse finanziarie stanziate sull’asse A “Occupazione”.
Qui tutte le informazioni per i professionisti over 40
Qui tutte le informazioni per i professionisti under 40

Toscana/2 – Finanziamenti a tasso zero per le startup
C’è ancora tempo per presentare le domande finanziamenti a tasso zero per startup e nuove imprese lanciate dalla Regione Toscana con il bando approvato con decreto dirigenziale 31 agosto 2017, n. 12603. Il budget iniziale è di 16 milioni di euro.
Possono presentare domanda le micro e piccole imprese, nonché i liberi professionisti in quanto in Toscana equiparati alle imprese (Dgr n. 240/2017) la cui costituzione è avvenuta nei due anni precedenti la presentazione della domanda; oppure le persone fisiche intenzionate ad avviare entro 6 mesi dalla data di presentazione della domanda una micro o piccola impresa o un’attività di libero professionista.
L’agevolazione consiste in un finanziamento agevolato a tasso zero, nella misura del 70% del costo totale ammissibile, comunque di importo non superiore a 24.500 euro. La durata del finanziamento è di 7 anni (84 mesi di cui 18 di preammortamento).
Il costo totale ammissibile del progetto presentato non deve essere inferiore a 8.000 euro e superiore a 35.000 euro.
Le domande possono essere presentate fino ad esaurimento risorse esclusivamente per via telematica accedendo a questo sito web , previa registrazione account alla piattaforma.
Qui le altre informazioni.

Toscana/3, ultima occasione per la formazione dei manager
Ultima scadenza per i manager delle aziende toscane per l’accesso ai voucher formativi nell’ambito dell’Industria 4.0. Il budget dell’avviso, lanciato per la sua prima tranche di contributi ad aprile 2017, è di 500.000 euro.
Possono presentare domanda di richiesta dei voucher manager delle imprese private, o a prevalente capitale privato, cioè dirigenti/quadri d’azienda secondo il Ccnl di riferimento che svolgono funzioni apicali, in servizio presso unità produttive ubicate sul territorio regionale della Toscana
I voucher sono utilizzati per la partecipazione a percorsi formativi tesi a rafforzare e aggiornare le competenze nell’ambito Industria 4.0. In particolare corsi che forniscano una visione ampia e strategica del ruolo delle tecnologie digitali nelle imprese, corsi che forniscono una panoramica sulle principali tecnologie digitali e soluzioni applicative, corsi che consentono la definizione di strategie l’avvio di un processo di digitalizzazione dell’impresa.
L’importo massimo del voucher individuale è di 2.500 euro, Iva inclusa. Il costo minimo del percorso formativo oggetto del voucher deve essere di almeno 200 euro Iva esclusa; non saranno concessi voucher per corsi di formazione di costo inferiore.
Nel periodo di validità dell’avviso, il richiedente potrà beneficiare di un solo voucher.
Possono beneficiare dei voucher solo i percorsi di formazione avviati successivamente alla data di scadenza della presentazione della domanda.
Sono ammissibili master universitari.
Domande fino al 30 marzo 2018 solo per via telematica utilizzando la piattaforma web.
Qui le altre informazioni

L’Umbria aiuta le startup innovative
È stato approvato con decreto 13 novembre 2017, n. 11805 il bando 2017 a sostegno delle nuove Pmi innovative che ha l’obiettivo di incentivare la creazione di startup innovative ad alta intensità di applicazione di conoscenza e le iniziative di spin-off della ricerca ai fini della valorizzazione economica dei risultati della ricerca e/o dello sviluppo di nuovi prodotti, processi e servizi ad alto contenuto innovativo. Le risorse, a valere sul Por Fesr 2014-2020, ammontano a 1.300.000 euro. In particolare in linea con la Strategia di ricerca e innovazione per la specializzazione intelligente, il bando promuove e sostiene nuova imprenditorialità basata sulla conoscenza orientata ai mercati internazionali. L’intenzione è di contribuire a favorire l’aumento di una cultura imprenditoriale, con particolare riguardo ai settori knowledge intensive e a conferire una maggiore attrattività a talenti e professionalità qualificate. I progetti presentati dalle imprese devono andare in questa direzione. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili non può essere inferiore a 30.000 né superiore a 500.000 euro.
Le richieste di agevolazione dovranno essere compilate e presentate alla Regione Umbria esclusivamente mediante piattaforma informatica.
Domande fino al 29 giugno 2018.
Qui le altre informazioni.

Marche, aiuti alle Pmi per commercilizzare i progetti di R&S
Supportare l’ingegnerizzazione e l’industrializzazione dei risultati della ricerca e dello sviluppo sperimentale delle piccole imprese è lo scopo del bando lanciato dalla Regione Marche. Le risorse, a valere sul Programma operativo regionale (Por) Marche – Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) 2014-2020 sono pari a 9.000.000 di euro.
Beneficiari sono le micro, piccole e medie imprese in forma singola o associata.
Le attività finanziabili sono programmi di investimento diretti a realizzare progetti di ricerca che innovino prodotti e/o processi produttivi, che possano portare vantaggi competitivi.
Il bando è diretto anche a supportare le imprese dalla fase della ingegnerizzazione dei prodotti fino alla fase di commercializzazione del prodotto sul mercato riducendo il potenziale divario tra produzione di conoscenze e successiva commercializzazione, con particolare riferimento alla verifica delle performance del prodotto/processo (test/prove/linee pilota), alla ottimizzazione dei costi di produzione e dei costi di trasporto, al miglioramento degli aspetti organizzativi e della logistica, alla riduzione del time to market, alla individuazione dei servizi aggiuntivi da offrire al consumatore finale, fino alla promozione del nuovo prodotto sui mercati di riferimento, sia nazionali che internazionali.
Le imprese devono dimostrare che i programmi di investimento rientrano all’interno di almeno uno degli ambiti tecnologici definiti dalla Strategia di specializzazione intelligente: domotica, meccatronica, manifattura sostenibile, salute e benessere.
Il costi ammissibili non devono essere inferiori a 150.000 di euro e superiori a 800.000 euro. Per i progetti presentati da imprese in forma associata, il costo totale ammissibile non deve essere superiore a 1.500.000 di euro fino al un massimo di 500.000 euro per singola impresa.
L’agevolazione consiste in un contributo in conto capitale dal 10% al 50% delle spese ammissibili (a seconda della tipologia di spesa, più basso l’aiuto per gli investimenti materiali, più alto quello per consulenze, personale, partecipazione alle fiere).
Domande esclusivamente on line a partire dal 12 marzo ed entro, e non oltre, il 16 aprile 2018 (ore 13).
Qui tutte le informazioni sul sito della Regione all’indirizzo

Lazio/1 – Dieci milioni per l’economia circolare e l’energia rinnovabile
La Regione Lazio spinge sull’economia circolare e sullo sviluppo delle energia rinnovabili rafforzando la competitività delle piccole e medie imprese. Approvato con determinazione 15 dicembre 2017, n. G17436 (supplemento n. 1 al Bur 19 dicembre 2017, n. 101) il bando stanzia 10 milioni di euro a valere sul Por Fesr 2014-2020.
Beneficiarie sono le micro e piccole imprese o le grandi imprese (queste ultime solo per le attività di ricerca e sviluppo).
Nell’ambito della “circular economy” sono finanziate innovazioni di prodotto e di processo che portino a un utilizzo efficiente delle risorse e un trattamento e trasformazione dei rifiuti, compreso il riuso dei materiali, oppure sistemi, strumenti e metodologie per lo sviluppo delle tecnologie per la fornitura, l’uso razionale e la sanificazione dell’acqua o ancora nuovi modelli di packaging che prevedano l’utilizzo anche di materiali recuperati.
Nell’ambito dell’energia sono finanziate iniziative che prevedano sistemi innovativi e più performanti per la generazione di energia da fonti rinnovabili o innovazioni tecnologiche in ambito “smart grid”. L’incentivo è concesso nella forma di contributo a fondo perduto e finanzia una percentuale delle spese ammissibili variabile a seconda del tipo di iniziativa e della dimensione dell’impresa (le piccole imprese sono avvantaggiate).
La presentazione delle richieste avviene con procedura “a sportello”.
Le richieste di accesso all’agevolazione possono essere presentate esclusivamente per via telematica compilando il Formulario disponibile on-line nella
piattaforma GeCoWEB.
Domande fino alle ore 12 del 10 aprile o fino a esaurimento risorse.
Maggiori informazioni sul sito di Lazio Innova.

Lazio/2 – Incentivi per la sostituzione delle caldaie a biomassa
Imprese e privati cittadini del Lazio possono beneficiare del bando diretto alla sostituzione delle caldaie a biomassa legnosa. La dotazione finanziaria ammonta a 4.850.000 euro.
Gli interventi finanziabili dal bando sono di due tipi: la rottamazione e la sostituzione di vecchi generatori di calore alimentati a biomasse legnose, con generatori di calore alimentati a biomasse legnose a basse emissioni ed alto rendimento o alimentati a gas (metano, Gpl), anche integrati con pannelli o collettori solari termici; oppure l’installazione di elettrofiltri finalizzata alla riduzione delle emissioni di particolato sottile degli impianti a biomasse legnose.
Per ciascuna unità immobiliare è possibile sovvenzionare un intervento composto da una o entrambe le tipologie. Il costo del singolo intervento ammissibile non potrà comunque superare 10.000 euro per la sostituzione della caldaia e 2.000 euro per la installazione di elettrofiltri.L’agevolazione consiste in un contributo a fondo perduto pari al 60% delle spese ammesse ed effettivamente sostenute per l’intervento.
Le domande vanno presentate solo per via telematica compilando il formulario disponibile online sulla piattaforma Gecoweb , e quindi inviando la domanda e gli allegati richiesti via Pec (posta elettronica certificata) seguendo la procedura descritta nel bando.
Qui le altre informazioni.

Lazio/3 – Garanzia Equity per aumenti di capitale sociale
Disponibili 9,6 milioni di euro per la concessione di una garanzia gratuita su aumenti di capitale sociale effettuati da vecchi e nuovi soci della Pmi, a copertura parziale (50%) del rischio. Destinatari: Pmi che presentino al momento della domanda almeno due bilanci regolarmente approvati.
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Abruzzo/1 – Via ai percorsi di alta formazione
Fino al 16 marzo gli universitari abruzzesi intenzionati a collocarsi su un mercato del lavoro altamente professionale possono partecipare al nuovo bando Voucher Alta Formazione. La dotazione finanziaria è di 1,5 milioni di euro, per università, alta formazione in Italia e alta formazione all’estero. È prevista la copertura delle spese per l’anno accademico 2017/2018. Da quest’anno possono partecipare anche gli studenti con età superiore a 35 anni, sebbene sia previsto un criterio di premialità per gli studenti di età inferiore. Nuovo il criterio per la liquidazione del voucher: il raggiungimento del successo formativo. Per ottenere il rimborso è infatti richiesto che gli studenti o gli iscritti ai corsi post universitari ottengano qualifiche o svolgano esami nei tempi definiti. Nel bando è contenuta una tabella che indica i criteri minimi da raggiungere.
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Campania, contratti di sviluppo per 325 milioni
Disponibili 325 milioni di euro immediatamente finanziabili per favorire l’attrazione di nuovi investimenti a sostegno di programmi già avviati nei settori dei trasporti, dell’aerospazio, dell’agroalimentare, dell’innovazione e del turismo. Le agevolazioni – contratti di sviluppo (legge 6 agosto 2008, n.133) – sono il frutto di un accordo siglato tra Ministero per lo Sviluppo Economico, la Regione Campania e Invitalia (soggetto attuatore). L’investimento complessivo minimo richiesto è di 20 milioni di euro. Per le attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, si riduce a 7,5 milioni di euro. Le procedure prevedono da un anno una Fast Track, che consente di ridurre i tempi per ottenere le agevolazioni, stabilendo l’avvio del programma di sviluppo entro 6 mesi dalla determina e il completamento degli investimenti entro 36 mesi. Per le domande di accesso è necessario registrarsi sulla piattaforma dedicata ai servizi online di Invitalia , deve essere regolarmente costituito e iscritto nel Registro delle imprese.

La Basilicata finanzia industria 4.0
Il bando della Regione lanciato con Dgr 21 dicembre 2017, n. 1407 (Bur 1 gennaio 2018, n. 1) e chiamato “Industria 4.0 – Impresa 4.0 agevolazioni per
l’innovazione e lo sviluppo di tecnologie abilitanti” incentiva gli investimenti ad alta intensità di conoscenza e i cicli d’innovazione rapidi su tecnologie abilitanti (Key Enabling Tecnologies – KETs). La finalità è rilanciare la competitività del sistema lucano in raccordo con gli obiettivi nazionali del Piano Industria 4.0. La misura, per la quale è stanziato un budget di 7.760.000 euro.
Beneficiarie sono tutte le imprese regionali, grandi medie e piccole, con un regime di favore per queste ultime. In particolare si possono chiedere contributi per ottimizzare i processi produttivi; supportare i processi di automazione industriale e sistemi di interconnessione; acquisire servizi di innovazione specialistica e di trasferimento tecnologico all’industria 4.0; sviluppare tecnologie di produzione anche con nuovi materiali a tecnologie avanzate.
Il programma di investimento è articolato in due tipologie di progetti:
1. progetto d’investimenti innovativi finalizzati all’introduzione e allo sviluppo delle tecnologie abilitanti (KETs) dell’industria 4.0;
2. progetto di trasferimento e know-how tecnologico, attraverso servizi altamente qualificati di consulenza tecnico scientifica a sostegno dell’innovazione. L’aiuto, concesso nella forma di contributo in conto impianti non potrà superare i 500.000 euro e l’intensità di aiuto in equivalente sovvenzione lordo (ESL) va dal 50% al 25% con percentuali maggiori per le piccole imprese. Domande fino al 15 aprile 2018 per via telematica attraverso la piattaforma “centrale bandi” sul sito della Regione.
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Calabria/1 – Ai Poli di innovazione 32,6 milioni di euro
La Regione Calabria avvicinare il sistema produttivo e il mondo della ricerca con un bando a sostegno delle attività dei Poli di Innovazione e della valorizzazione delle infrastrutture di ricerca territoriali: 32,6 milioni di euro il plafond delle risorse. Le selezioni e i finanziamenti riguardano i soggetti gestori dei Poli di innovazione, strutturati in forma di società consortile o di rete di impresa. Prevede forme di tutoraggio e accompagnamento delle imprese aderenti ai Poli (8, 640 milioni di euro, Azione 1.1.4), mentre per la valorizzazione delle infrastrutture territoriali punta alla realizzazione di nuovi centri di ricerca di interesse per il sistema delle imprese in grado di posizionarsi su circuiti internazionali e al consolidamento delle strutture dei laboratori, anche di nicchia, in risposta a specifiche esigenze del sistema produttivo regionale ed extra-regionale individuate nella Strategia di Specializzazione Intelligente (24 milioni euro, Azione 1.5.1). Per l’azione 1.1.4 la forma del contributo è in conto esercizio, nella misura massima del 50% delle spese ammissibili per un importo compreso in 1 milione e 80mila euro. Per la 1.5.1 il contributo è in conto capitale per il 65% delle spese ammissibili per importi entro i 3 milioni di euro. Domande a partire dall’11 febbraio.
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Calabria/2- Startup e spin-off in corsa per il bando da 10 milioni
Si rivolge a stratup e spin-off il bando pubblicato in Calabria (Burc n. 121 del 27 novembre 2017), per agevolare la nascita di nuove imprese sul territorio regionale. Prevede 10 milioni di euro divisi in 2 call da 5 milioni ciascuna, per il 2017 e il 2018. E due fasi di intervento: la prima di orientamento, formazione, affiancamento, tutoraggio. La seconda, di concessione di incentivi “de minimis” per l’avvio dell’attività imprenditoriale: sono destinati 3 milioni di euro alle start up, 2 milioni agli spin-off. L’intensità del contributo è del 70% delle spese ammissibili, entro il limite di 200mila euro nell’arco di tre esercizi finanziari.
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Puglia/1 – Via a Tecnonidi, il fondo da 30 milioni di euro
TecnoNidi in Puglia offre un pacchetto di aiuti per start up tecnologiche o imprese con un’idea innovativa, con un fondo di 30 milioni di euro. Beneficiari, piccole imprese di nuova costituzione o operative da cinque anni al massimo che intendano avviare o sviluppare piani di investimento a contenuto tecnologico in una delle aree di innovazione (Manifattura sostenibile, Salute dell’uomo, Comunità digitali, creative e inclusive) o delle “tecnologie chiave” abilitanti individuate dalla Regione nel documento Smart Specialitation Strategy. Le agevolazioni (per importi compresi tra 25.000 e 350.000 euro) si riferiscono a un prestito rimborsabile e a una sovvenzione sia per gli investimenti sia per i costi di funzionamento.
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Puglia/2 – Incentivi per rinnovabili e cogenerazione nelle Pmi
Un sostegno alle Pmi arriva dalla Regione Puglia col nuovo bando “Aiuti per la tutela dell’ambiente” lanciato da Puglia Sviluppo Spa.
Il bando stanzia 60 milioni di euro in favore delle microimprese, delle imprese di piccola dimensione e delle medie imprese che intendono realizzare una progetto di investimento finalizzato all’efficientamento energetico, alla cogenerazione ad alto rendimento e alla produzione di energia da fonti rinnovabili.
I progetti di investimento ammissibili devono prevedere una spesa non inferiore a euro 80.000,00 per unità locale e conseguire un risparmio di energia pari ad almeno il 10% dell’unità locale oggetto di investimento.
Al progetto di investimento vanno obbligatoriamente allegati una diagnosi energetica ex ante e un progetto di fattibilità tecnico-economica nonché una scheda tecnica riassuntiva dei parametri energetici del progetto di fattibilità tecnico economica proposto.
Le agevolazioni saranno calcolate, indipendentemente dall’ammontare del progetto ammissibile, sull’importo massimo di 4.000.000 di euro per le medie imprese e di 2.000.000 di euro per le piccole e micro imprese. La copertura finanziaria del piano di investimento finanziato dalla misura è prevista nelle seguenti percentuali:
– 30% mutuo a carico del Fondo efficientamento energetico mutui;
– 40% sovvenzione diretta;
– 30% mutuo a carico della banca finanziatrice.
Le imprese interessate possono presentare le domande di agevolazione al soggetto finanziatore convenzionato con Puglia sviluppo Spa o ad un Confidi. Maggiori informazioni sul sito di Sistema Puglia.

Sicilia/1 – Per gli ecosistemi forestali bando da 55 milioni
Copre il 100% delle spese ammissibili, fino a 200.000 euro per iniziative presentate da privati, fino a 500.000 per le domande presentate da privati associati o da comuni, il bando della Regione Sicilia «Aiuti agli investimenti destinati ad accrescere la resilienza e il pregio ambientale degli ecosistemi forestali» (misura 8.5 del Psr Sicilia 2014 2020): l’avviso – la cui dotazione complessiva è di 55 milioni di euro – si rivolge a proprietari, possessori e/o titolari pubblici o privati della gestione di superfici forestali, a loro associazioni. L’obiettivo è sostenere iniziative localizzate nelle aree classificate come bosco all’interno di Parchi e Riserve e delle Aree Rete Natura 2000, finalizzate al perseguimento di impegni di tutela ambientale, al miglioramento dell’efficienza ecologica degli ecosistemi forestali, alla mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Favorende anche gli investimenti volti all’offerta di servizi ecosistemici, alla valorizzazione in termini di pubblica utilità delle foreste e delle aree boschive. Domande di partecipazione fino al 13 settembre 2018.
Qui il testo del bando.

Sicilia/2 – Premiate le Pmi che guardano all’estero
Sulla Gazzetta siciliana del 12 gennaio 2018 è stato pubblicato il bando che reca incentivi alle Pmi per l’acquisto di servizi di supporto all’internazionalizzazione (decreto 21 dicembre 2017, n. 2925). Lo scopo è quello di agevolare l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese finanziando analisi di mercato, studi di fattibilità e business scouting sui Paesi esteri volte ad identificare e sviluppare un percorso d’internazionalizzazione per il proprio business.
La dotazione finanziaria del bando è di 16.013.724,00 euro e beneficiarie sono le piccole e medie imprese siciliane in forma singola o associata. Sono finanziati in particolare costi dei servizi di consulenza per l’internazionalizzazione prestati da consulenti esterni, nonché i costi per eventi internazionali e per attività funzionali allo sviluppo della dimensione internazionale della Pmi ovvero al lancio di prodotti.
Le agevolazioni sono concesse nella forma di contributo in conto capitale nella misura massima dell’80% dei costi ammissibili. Il contributo massimo concedibile non sarà superiore a 100.000 euro in caso di impresa singola e a 200.000 euro nel caso di progetto presentato in forma associata. Le prenotazioni per la presentazione delle domande dovrà essere effettuata nelportale delle agevolazioni fino alle 14 del 3 marzo. Le domande saranno esaminate con procedura valutativa a sportello.
Qui tutte le informazioni .

Sicilia/3, aiuti per la ristrutturazione delle imprese
Tempi strettissimi quelli fissati dalla Sicilia per gli aiuti alle imprese esistenti per progetti di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale.
La misura 3.1.1-3 «Aiuti alle imprese esistenti e accompagnamento dei processi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale» pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Regione siciliana del 9 febbraio 2018 e stanzia un budget di 30 milioni di euro.
Soggetti beneficiari sono le medie imprese, in forma singola o associata e le micro e piccole imprese, in forma singola o associata, costituite da almeno 5 anni o che siano costituite da meno di 5 anni ma abbiano distribuito utili.
L’aiuto consiste in un contributo a fondo perduto pari al 75% delle spese ammissibili per investimenti in attività materiali e/o immateriali, installare un nuovo stabilimento, ampliare uno stabilimento esistente, diversificare la produzione, ampliare prodotti e servizi, realizzare opere murarie.
Gli investimenti sono indirizzati, tra l’altro, a: ridurre gli impatti ambientali, ampliare la gamma di prodotti e servizi offerti focalizzandosi su quelli meno esposti alla concorrenza internazionale; adottare nuovi modelli di produzione o modelli imprenditoriali innovativi; orientare la produzione verso segmenti di più alta qualità; adottare nuovi modelli organizzativi, di gestione e controllo come i “modelli 231” sulla responsabilità amministrativa delle società per reato dei dipendenti o dei manager; migliorare i tempi di risposta e di soddisfacimento delle esigenze dei clienti; migliorare la sicurezza delle imprese.
Il costo totale ammissibile del progetto non deve essere inferiore a 30.000 euro e superiore a 250.000 euro. Le domande vanno presentate dalle ore 14 del 12 marzo 2018 fino alle ore 14 del 22 marzo 2018 avvalendosi del portale delle agevolazioni .
La procedura è valutativa a sportello, con valutazione delle domande in base ad un ordine cronologico di presentazione.

Sicilia/4, trenta milioni di euro per aiuti alle imprese
Trenta milioni di euro per il bando «Aiuti alle imprese esistenti e accompagnamento dei processi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale» (misura 3.1.1-3): così la Regione Sicilia sostiene medie, piccole e micro imprese attraverso incentivi diretti, finalizzati all’acquisizione di attivi materiali e immateriali per raggiungere un upgrade tecnologico nei settori produttivi tradizionali. Un’agevolazione con contributi in “de minimis” in scadenza, il 22 marzo. Per ciascun progetto approvato, il contributo a fondo perduto è del 75% dei costi ammissibili. Gli investimenti sono finalizzati all’installazione di un nuovo stabilimento, all’ampliamento di uno già esistente, alla diversificazione della produzione, all’aumento di prodotti e servizi, alla realizzazione di opere murarie.
Una commissione valuterà le domande di contributo sulla base dei criteri assegnati e secondo l’ordine cronologico di arrivo. Nello specifico sarà considerata la qualità della proposta progettuale (massimo 25 punti), l’effetto atteso sulla competitività dell’impresa (massimo 15 punti), la cantierabilità dell’iniziativa (possesso di tutte le autorizzazioni e pareri necessari, massimo 25 punti), la sua sostenibilità economico finanziaria (massimo 15 punti).
Qui tutte le informazioni.

Fonte “Il sole 24 ore”

Avviso di mora, doppia strada per l’impugnativa

In caso di impugnazione di un avviso di mora o di altro atto della riscossione per omessa notifica della cartella di pagamento presupposta, il contribuente può agire, indifferentemente, sia nei confronti dell’ente impositore che ha proceduto all’iscrizione a ruolo, sia nei confronti dell’Agente della riscossione, non essendo in tal caso configurabile alcun litis consorzio necessario.

È questa la principale precisazione fornita dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 4578 depositata il 28 febbraio 2018 , pronunciandosi su una questione che, sempre più spesso, i professionisti, in qualità di difensori del contribuente, si trovano a dover affrontare.
Accade di frequente, infatti, che il contribuente venga a conoscenza dell’emissione di un atto impositivo presupposto nei suoi confronti solo a seguito, ad esempio, della notifica di una cartella di pagamento o di una lettera di presa in carico delle somme o, come nel caso di specie, di un avviso di mora da parte dell’Agente della riscossione.

In tale ipotesi, l’articolo 19, comma 3 del Dlgs n. 546/92 stabilisce che «la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo».

Pertanto, in caso di vizi di notifica dell’atto presupposto, che ne hanno comportato la mancata ricezione e la conseguente omessa impugnazione, in forza dell’articolo 19, comma 3 del Dlgs n. 546/1992, il contribuente può proporre ricorso avverso l’atto successivo nei termini ordinari (60 giorni più l’eventuale sospensione dei termini feriali), facendo innanzitutto valere le proprie ragioni in merito al vizio di notifica e poi eventualmente difendendosi sulla pretesa tributaria contenuta nell’atto presupposto.

La Corte Suprema ha, infatti, più volte sancito che al contribuente è data facoltà di contestare “alla radice” la pretesa, impugnando, in via cumulativa, l’atto “successivo” e l’atto “presupposto” e, con quest’ultima pronuncia in commento, che egli può agire in modo indifferente, sia nei confronti dell’ente impositore sia dell’agente della riscossione ed è ininfluente un litisconsorzio.

Detto ciò, è evidente che, nella maggior parte delle situazioni, il contribuente avrà interesse ad impugnare l’atto “successivo” eccependo l’omessa notifica dell’atto “presupposto”, in quanto, eccettuato il caso in cui l’ente creditore sia ancora nei termini per la notifica dell’atto in precedenza omessa, egli avrà buone possibilità di ottenere una sentenza favorevole che “chiuda” la questione.

Fonte “Il sole 24 ore”