Procedure esecutive, sui limiti alla difesa parola alla Consulta

Quale tutela e quali limiti incontra il contribuente per opporsi all’esecuzione dei crediti tributari? Alla domanda dovrà rispondere la Corte costituzionale a seguito dell’ordinanza del 24 ottobre 2017 del Tribunale di Trieste (pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» numero 8 del 21 febbraio 2018) emessa dal giudice dell’esecuzione che dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 57 del Dpr 602/73 , in quanto limiterebbe l’opposizione all’esecuzione qualora la natura del credito sia di carattere tributario.

L’origine della controversia nasce dall’opposizione al pignoramento eseguito dall’Agenzia delle entrate-Riscossione per un credito Ici nei confronti di un creditore dell’opponente. Il presupposto del credito (Ici), su cui l’agente della riscossione basava il pignoramento, era stato precedentemente contestato dal contribuente in sede tributaria.

La questione che si pone il giudice remittente è rivolta a verificare l’effettiva corrispondenza al dettato costituzionale dell’articolo 57 del Dpr 602/73 nella parte in cui, in ambito tributario, non è ammessa l’opposizione all’esecuzione salvo per la pignorabilità dei beni.

Le giustificazioni per il rinvio alla Consulta nascono dal fatto che dalla lettera della norma il contribuente può proporre opposizione solamente per far valere le eccezioni concernenti la pignorabilità dei beni, venendo meno, per i rapporti di carattere tributario, ogni possibilità di contestare l’illegittimità e la carenza dei presupposti per l’esecuzione. Non è quindi ammessa l’opposizione per difetto di titolo esecutivo o per ragioni di merito. Infatti il contribuente, che decidesse di impugnare il provvedimento esattivo, si troverebbe nella condizione di vedersi probabilmente compromessa la possibilità di tutela laddove si consideri, da un lato, l’incompetenza del giudice tributario a dirimere le questioni inerenti gli atti dell’esecuzione forzata e, dall’altro, le limitazioni, anche in sede civile, derivanti proprio dall’articolo 57 del Dpr 602/73 che, in particolar modo, vieta espressamente l’eventuale opposizione.

Il giudice dell’esecuzione ritiene, quindi, che l’articolo 57 del Dpr 602/72 non sia conforme al dettato costituzionale sia sotto l’aspetto della disparità di trattamento tra contribuenti, sia perché limita il diritto di difesa, sia perché non permette al giudice dell’opposizione di entrare nel merito ed infine, perché limita e impedisce al contribuente, in modo indiscriminato ed ingiustificato, ogni difesa contro tutti gli atti dell’esecuzione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Precompilata, tris di proroghe per le comunicazioni all’anagrafe tributaria

Con un provvedimento dell’agenzia delle Entrate del 27 febbraio 2018 arriva un tris di proroghe per le comunicazioni all’anagrafe tributaria, utili per l’elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata 2018, modello 730/2018, per l’anno 2017. Si allunga infatti dal 28 febbraio al 9 marzo 2018 il termine per presentare i dati riguardanti le rette per la frequenza di asili nido, gli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica eseguiti su parti comuni degli edifici residenziali e le spese sanitarie rimborsate.

Beneficiano di questo differimento al 9 marzo gli asili nido, pubblici e privati, gli amministratori di condominio e gli enti, le casse e le società di mutuo soccorso con esclusivo fine assistenziale e i fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale, nonché gli altri fondi.

Il nuovo termine del 9 marzo è stato individuato per venire incontro alle esigenze manifestate dalle associazioni di categoria rappresentative dei contribuenti obbligati alla trasmissione telematica dei dati. Resta fermo che la nuova scadenza non dovrà compromettere la tempistica per l’elaborazione della dichiarazione precompilata, modello 730/2018, per l’anno 2017.

La mini proroga di nove giorni è stata concessa per assicurare la presentazione di informazioni più corrette e complete, ma non deve avere alcun impatto sul calendario della stagione delle dichiarazioni annuali 2018. Con ciò si intende che nessuna variazione è al momento prevista per i termini relativi ai versamenti e alla presentazione delle dichiarazioni annuali relative all’anno 2017, modello 730/2018, Iva/2018, Redditi/2018, Irap/2018 e modello 770/2018.

Entro il 9 marzo gli asili nido devono trasmettere telematicamente alle Entrate una comunicazione con le informazioni relative alle spese sostenute dai genitori, e a eventuali rimborsi, avvenuti nell’anno precedente per ciascun figlio in relazione al pagamento di rette di frequenza e per i servizi formativi infantili.

La nuova scadenza del 9 marzo riguarda anche i contribuenti che intendono opporsi all’utilizzo, ai fini dell’elaborazione della dichiarazione precompilata, delle spese sostenute nel 2017 relativamente alle rette per la frequenza degli asili nido, inclusi i relativi rimborsi ricevuti, chiedendo di non farli inserire nel proprio modello 730.

Gli amministratori di condominio devono inviare, sempre entro venerdì 9 marzo, i dati relativi alle spese sostenute nell’anno 2017 dal condominio con riferimento agli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica effettuati sulle parti comuni di edifici residenziali, nonché con riferimento all’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici finalizzati all’arredo delle parti comuni dell’immobile oggetto di ristrutturazione. Per la comunicazione si dovranno usare le nuove specifiche tecniche che sono state adeguate alle disposizioni normative in tema di cessione del credito e perfezionate rispetto allo scorso anno.

Infine, gli enti e le casse aventi esclusivamente fine assistenziale devono trasmettere le informazioni sui rimborsi delle spese sanitarie, utilizzando le nuove specifiche tecniche, anch’esse perfezionate rispetto all’anno passato.

Fonte “Il sole 24 ore”

Omesso versamento, risponde il legale rappresentante in carica per l’acconto Iva

Il reato di omesso versamento di Iva oltre soglia è fattispecie a struttura mista, commissiva ed omissiva. In caso, però, di mancata coincidenza tra l’amministratore che sottoscrive e presenta la dichiarazione Iva e quello che successivamente gli subentra, il reato viene imputato soltanto a chi risulta in carica quale legale rappresentante al momento del termine ultimo per il versamento, coincidente con quello della corresponsione dell’acconto Iva del periodo d’imposta successivo. E questo per due ragioni.

Intanto la responsabilità a titolo di dolo eventuale è sempre in capo a chi deve ottemperare al controllo di natura contabile sugli adempimenti fiscali. Poi la configurabilità del dolo è intesa a tutelare l’interesse dell’Erario alla riscossione delle somme dovute in base alla dichiarazione Iva. Così la Cassazione, sezione terza penale, sentenza n. 8040/2018 depositata ieri.

La controversia

Un uomo, già legale rappresentante di una Snc, viene rinviato a giudizio per il reato di omesso versamento di Iva, che secondo l’accusa egli ha commesso con riferimento all’anno 2008 per oltre 322mila euro.

L’uomo si difende. In primo luogo, la condotta attiva del reato, consistente nella predisposizione e sottoscrizione della dichiarazione annuale Iva, non può essergli ascritta, in quanto, all’epoca dei fatti, egli non era legale rappresentante della società. In secondo luogo, non vi è prova del fatto che il potere di sottoscrivere in sua vece la dichiarazione Iva sia stato conferito al precedente amministratore.

Il Pm insiste nella reità della condotta e per la sua condanna. Il precedente amministratore ha agito in qualità dì rappresentante firmatario della dichiarazione mentre l’attuale imputato, in qualità di legale rappresentante subentrato, era tenuto al pagamento del risultante debito d’imposta.

Il Tribunale riconosce l’uomo colpevole e lo condanna a quattro mesi di reclusione, pena che viene poi confermata in appello. Neppure il ricorso per Cassazione dell’uomo riesce a ribaltare l’esito del giudizio e la condanna viene confermata.

La Cassazione

Secondo la Corte, trattandosi di fattispecie di reato a struttura mista, commissiva per la presentazione della dichiarazione e omissiva per il mancato versamento, anche in caso di mancata coincidenza tra chi presenta e sottoscrive la dichiarazione e chi poi gli subentra, il disvalore penale della condotta è sempre attribuibile a chi risulta in carica quale legale rappresentante al momento del termine ultimo per il versamento, coincidente con quello del versamento dell’acconto Iva per il periodo d’imposta successivo.

Questo perché:

•nei casi in cui il debito fiscale risultante dalla dichiarazione, ancorché sottoscritta da un terzo, non risulta versato, colui che è onerato dell’obbligo del controllo preventivo di natura contabile sugli adempimenti fiscali è anche investito della responsabilità a titolo di dolo eventuale;

•la configurabilità del dolo normativamente richiesto per la punibilità dell’imputato, riferita alla condotta omissiva penalmente rilevante, è volta a tutelare l’interesse dell’Erario alla riscossione delle somme dovute per Iva in base alla dichiarazione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Licenza del marchio a tassazione differenziata

Il contratto di licenza del marchio, strumento sempre più diffuso per sfruttare economicamente il capitale intangibile, crea una scissione tra la proprietà del bene immateriale (marchio) e il suo utilizzo a fini commerciali; il licenziatario acquista la facoltà di realizzare e mettere in commercio prodotti contraddistinti dal segno distintivo per un dato periodo di tempo mentre il titolare del marchio mantiene la piena proprietà del bene.

Gli aspetti fiscali che attraversano la materia sono molteplici con maggiore impatto nel caso di cessione o concessione della licenza sul marchio tra soggetti business, ma vi sono aspetti peculiari coinvolgenti la tassazione anche con riferimento alla gestione dei marchi da parte di persone fisiche (private) non esercenti attività di impresa o attività libero professionale.

Quando la gestione coinvolge le persone fisiche titolari di partita Iva, risulta fondamentale operare una netta distinzione tra la sfera personale e quella professionale dell’imprenditore o lavoratore autonomo al fine di comprendere a quale compendio patrimoniale afferisce il «marchio». La distinzione più agevole nell’ambito dell’impresa può risultare difficile nell’ambito del lavoro autonomo a causa della maggiore confondibilità tra elementi personali e professionali. Questa è una delle motivazioni che stanno alla base dell’evoluzione legislativa operata dall’articolo 36, comma 29, Dl 223/2006 (decreto Bersani) che ha aggiunto il comma 1-quater all’articolo 54, Tuir . Tale norma tassa come reddito di lavoro autonomo anche i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali riferibili all’attività artistica o professionale. La tassazione è subordinata a due precise condizioni: 1) il concedente è un esercente di arti o professioni; 2) il marchio e gli elementi immateriali, in genere, sono riferibili all’attività artistica o professionale svolta da un lavoratore autonomo. Sfuggono, dunque, al reddito di lavoro autonomo le somme percepite da un professionista per la cessione di un marchio che esuli dall’attività artistica o professionale svolta.

Si pensi al caso del geometra che riceve iure successionis il marchio di un prodotto dell’impresa di famiglia acquisito al patrimonio del genitore dopo la liquidazione della predetta impresa: nel caso della cessione del marchio ereditato, il professionista si comporterà esattamente come un soggetto privato, posto che il bene immateriale in esame esula dal novero dell’attività professionale e afferisce, pertanto, a quello personale.

Ulteriore punto da sottolineare è che la lettera dell’articolo 54, comma 1-quater, Tuir si riferisce alla sola cessione del marchio, ma non cita la concessione in godimento o, più in generale, l’utilizzazione di un bene intangibile afferente all’attività professionale. Tale omissione ci pare che non legittimi un’interpretazione che conduca all’esclusione dal reddito professionale dei redditi generati con questi (speciali) beni afferenti la sfera professionale. Sul punto, la risoluzione 255/E/2009, che ha analizzato il caso della cessione dello sfruttamento economico del diritto d’immagine da un professionista dietro costituzione di una rendita vitalizia, ha ricondotto il relativo compenso all’attività professionale e al reddito di lavoro autonomo ex articolo 54 Tuir.

Ove il marchio sia detenuto da un privato, il reddito derivante dalla concessione di un marchio èregolato dall’articolo 67, comma 1, lettera l), Tuir quale reddito diverso, conclusione affermata con la risoluzione 30/E/2006 in cui si analizzava il caso di un contratto di natura obbligatoria nel quale al contribuente si concedeva, verso corrispettivo, l’utilizzo del segno grafico dello studio professionale, al fine di apparire nei confronti dei clienti come uno studio collegato al concedente. Tali dinamiche generatrici di obbligazioni di fare o permettere sono sovrapponibili a quelle rinvenibili nei contratti (atipici) di licenza su marchio. L’orientamento è ancora attuale nell’indagine effettuata sull’oggetto del contratto, pur essendo ormai superata dalla evoluzione normativa per i soli soggetti che applicano l’articolo 54 Tuir.

In relazione ai redditi derivanti dallo sfruttamento del marchio da parte di un contribuente privato, va osservato che la relazione ministeriale all’articolo 49 Tuir (ora trasposto nell’articolo 53 Tuir) aveva esplicitamente chiarito che «(…) ai redditi derivanti dall’utilizzazione economica di marchi di fabbrica e di commercio non si puòriconoscere nénatura di redditi di lavoro autonomo, néquella di redditi diversi dato che l’utilizzazione di marchi d’impresa avviene in sede di trasferimento d’azienda o di un ramo di essa o mediante la concessione di licenze non esclusive, e quindi nell’esercizio d’impresa». Sul punto annotiamo che tali argomentazioni erano valide nel quadro economico-giuridico applicabile allora, quando, per esempio, la normativa nazionale interna impediva la circolazione del marchio disgiuntamente dall’azienda. Nell’attuale quadro normativo, invece, la concessione a terzi di un marchio sconta la tassazione residuale per il privato e quella professionale per i soggetti business.

Al contrario, in caso di cessione a terzi del marchio da parte di un soggetto privato, i proventi derivanti da tale operazione non possono essere attratti tra i redditi diversi che costituiscono categoria reddituale residuale, ma non onnicomprensiva. Nel caso di cessione del marchio, il cedente non assume alcuna obbligazione di fare, non fare o permettere ma attua un trasferimento di patrimonio a titolo definitivo, verso corrispettivo e con trascrizione dell’atto presso un albo pubblico.

Fonte “Il sole 24 ore”

Credito Iva detraibile anche in assenza della dichiarazione annuale

Il contribuente può portare in detrazione l’eccedenza Iva anche in assenza della dichiarazione annuale finale, purché siano rispettati i requisiti sostanziali per poter fruire della detrazione.

Con la sentenza di ieri, n. 4392 , la Suprema Corte applica il principio cristallizzato dalla Sezioni Unite nel 2016 (sentenza n. 17757/16) per cui la neutralità dell’Iva non può essere messa in discussione per la mancanza o la non correttezza di una formalità. Pertanto, pur in mancanza della dichiarazione annuale, il credito Iva risultante da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti e detratto nei termini, va riconosciuto qualora tutti i requisiti sostanziali sono rispettati.

D’altronde non potrebbe essere altrimenti, dato che il diritto alla detrazione, costituendo parte integrante e fondamentale del meccanismo dell’imposta, in linea generale, non può essere soggetto a limitazioni, salvo specifiche deroghe. Si ricorda al riguardo l’orientamento dei giudici europei (ad es. Cgue, sentenza Idexx Laboratories Italia oppure sentenza Ecotrade) quale monito per l’amministrazione finanziaria a non imporre condizioni supplementari che potrebbero ostacolare l’esercizio della detrazione, laddove essa sia già in possesso delle informazioni necessarie a dimostrare che la sostanza del diritto è certa.

Restando su questa linea la sentenza di ieri è un riferimento in più per i contribuenti contro quei formalismi che potrebbero in qualche modo pregiudicare un principio cardine della detrazione e quindi della neutralità, minando alla natura stessa dell’imposta, cioè quella di evitare che, nelle fasi intermedie del ciclo economico, l’operazione possa essere, anche solo in parte, tassata.

Fonte “Il sole 24 ore”

Intrastat: sanzioni fino a mille euro ma resta l’opzione del ravvedimento operoso

A seguito delle semplificazioni introdotte agli elenchi Intra, i modelli relativi agli acquisti di beni e alle prestazioni di servizi ricevute, riferite al mese di gennaio 2018, dovranno essere inviati con la compilazione delle sole colonne statistiche entro il 26 febbraio. A partire dai dati di gennaio 2018, dunque, tutte le informazioni contenute negli elenchi degli acquisti sono rese per finalità statistiche e devono essere obbligatoriamente fornite, su base mensile, dai soggetti per i quali l’ammontare totale trimestrale degli acquisti intraunionali di beni sia stato, per almeno uno dei quattro trimestri precedenti, uguale o superiore a 200mila euro per i beni e a 100mila euro per i servizi.

Secondo quanto chiarito nella nota dell’agenzia delle Dogane e dei Monopoli n. 18558/RU dello scorso 20 febbraio, considerato l’interesse statistico del dato raccolto, gli acquisti intraunionali di beni vanno riepilogati nel periodo in cui essi arrivano nel territorio italiano. Sono, pertanto, escluse tutte le operazioni commerciali di acquisto di beni che non entrano fisicamente in Italia come, ad esempio, un’operazione triangolare in cui il soggetto italiano èil promotore dell’operazione.

Sempre entro il 26 febbraio devono essere presentati gli elenchi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi rese, riferite al mese di gennaio, dai soggetti per i quali l’ammontare totale trimestrale delle operazioni attive intraunionali sia stato, per almeno uno dei quattro trimestri precedenti, uguale o superiore a 50mila euro. Nel caso in cui il valore delle cessioni di beni nel periodo di riferimento abbia superato la soglia di 100mila euro o di 50mila euro per i servizi, nell’elenco dovrà essere compilata anche la parte statistica.

In occasione della prima applicazione delle nuove regole per gli invii degli elenchi Intra è utile riepilogare il regime sanzionatorio previsto per l’omesso invio di tali modelli.

Il mancato invio degli elenchi

Per quanto riguarda l’omessa presentazione degli elenchi Intra, l’articolo 11, comma 4 del Dlgs 471/1997 prevede una sanzione da euro 500 a euro mille euro per ciascuno modello. La sanzione è ridotta alla metà nel caso in cui l’elenco sia presentato entro trenta giorni dalla richiesta inviata dagli uffici abilitati. La sanzione prevista per l’omessa presentazione è applicabile anche al caso di invio tardivo dell’elenco secondo quanto chiarito nella risoluzione 20/2005.

Il ravvedimento operoso

Per sanare in maniera rapida la violazione ottenendo agevolazioni in termini di riduzione delle sanzioni, si può ricorrere al ravvedimento. L’omessa presentazione, infatti, può essere regolarizzata, versando un importo della sanzione ridotto da 1/9 a 1/5 del minimo secondo quanto previsto dall’articolo 13, comma 1 del Dlgs 472/1997.

Operativamente, occorre presentare gli elenchi omessi e versare con il modello F24 (indicando il codice tributo 8911 e l’anno al quale la violazione si riferisce) le sanzioni ridotte entro 90 giorni dalla scadenza di presentazione dell’elenco (per la riduzione a 1/9) oppure entro il termine di presentazione della dichiarazione Iva relativa all’anno in cui la violazione è commessa o agli anni successivi (per le riduzioni da 1/8 a 1/5).

Il termine iniziale per computare i 90 giorni sopra citati coincide con il termine entro il quale si sarebbe dovuto inviare l’elenco Intra, quindi con lo spirare del giorno 25 del mese o del trimestre successivo al periodo di riferimento. Non risulta applicabile la lettera c) dell’articolo 13 del Dlgs 472/97, che prevede la riduzione ad un decimo del minimo, poiché nel caso in esame non si tratta dell’omissione di una dichiarazione.

 Fonte “Il sole 24 ore”

Doppio «bonus» per formazione 4.0: sì ai tutor interni

Si profila un doppio “bonus” sulle spese di formazione per attività 4.0. Il decreto attuativo della misura inserita nella legge di bilancio prevederà la possibilità di utilizzare il credito d’imposta sia sulle spese relative al personale dipendente che partecipa come “allievo” nella formazione, sia sulle spese relative a dipendenti esperti impiegati come “docenti/tutor” dei loro colleghi.

È l’elemento centrale del regolamento preparato in queste settimane dal ministero dello Sviluppo economico, un rafforzamento inatteso che magari piacerà meno alle società di formazione ma moltiplica il vantaggio per l’impresa che investe in aggiornamento sulle tecnologie produttive digitali. Il decreto deve ottenere il concerto dei ministeri dell’Economia e del Lavoro e il visto della Corte dei conti prima di essere pubblicato sulla Gazzetta ufficiale.

La manovra, che ha stanziato complessivamente 250 milioni, ha indicato tra i beneficiari tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico in cui operano nonché dal regime contabile adottato. Il credito di imposta, nella misura del 40% per spese effettuate nel solo 2018 ed entro un massimo di 300mila euro per beneficiario, scatta limitatamente al costo aziendale riferito alle ore o alle giornate di formazione. Si intenderà nello specifico, a quanto si apprende, la retribuzione al lordo di ritenute e contributi, comprensiva dei ratei Tfr, di mensilità aggiuntive, ferie e permessi, maturati in relazione a ore o giornate di formazione. Incluse anche eventuali indennità di trasferta in caso ad esempio di corsi effettuati in diverse sedi dell’azienda o all’interno di gruppi societari.

Il credito di imposta sulle spese per gli allievi e quello sulle spese per i “docenti” sono tra loro cumulabili, ma chiaramente lo stesso dipendente non può ricoprire contemporaneamente entrambi i ruoli. Inoltre, le spese ammissibili per il personale “tutor” avranno un tetto: si parla del 30% della retribuzione complessiva annua del dipendente. L’impresa può comunque scegliere di far svolgere l’attività di formazione a soggetti esterni accreditati presso la Regione di competenza oppure a università, soggetti accreditati presso i fondi interprofessionali e soggetti in possesso della certificazione di qualità del settore.

Il decreto dovrebbe poi specificare che la definizione di personale dipendente include i rapporti di lavoro subordinato, tempo determinato incluso, e – solo per il ruolo di “allievi” e per l’acquisizione di prime competenze – anche i contratti di apprendistato. Tra le condizioni per accedere al beneficio, come tra l’altro già indicato nella norma primaria, c’è l’inquadramento dell’attività di formazione in contratti collettivi aziendali o territoriali depositati presso la direzione del lavoro competente per territorio. Oltretutto l’impresa ha l’obbligo di consegnare un attestato ufficiale al dipendente, una sorta di certificato “portabile” anche in eventuali successive esperienze di lavoro secondo la logica del diritto soggettivo alla formazione.

I corsi e l’aggiornamento, per acquisire o consolidare competenze, dovranno ovviamente restare nel perimetro delle tecnologie definite dal piano Impresa 4.0 e dei 106 ambiti previsti dalla manovra relativi a vendita e marketing, informatica e tecniche e tecnologie di produzione. La lista delle tecnologie, successivamente integrabile, comprende per ora undici grandi voci: big data e analisi dei dati; cloud e fog computing; cybersecurity; simulazione e sistemi cyberfisici; prototipazione rapida; sistemi di visualizzazione, realtà virtuale e realtà aumentata; robotica avanzata e collaborativa; interfaccia uomo-macchina; manifattura additiva; internet delle cose e delle macchine; integrazione digitale dei processi aziendali.

Fonte “Il sole 24 ore”

Pa, decisivo l’ordine di pagamento

I soggetti pubblici dovranno rivedere le loro procedure di pagamento a decorrere da giovedì 1° marzo, in quanto la verifica preventiva telematica stabilita dall’articolo 48-bis del Dpr 602/1972 prevede soglie più basse.

Le modifiche, introdotte dai commi da 986 a 989 dell’articolo 1 della legge di Bilancio 2018, comportano la verifica preventiva sui pagamenti:

ante 1° marzo, d’importo oltre 10mila euro;

dal 1° marzo, d’importo oltre 5mila euro.

L’applicazione delle nuove regole è collegata al momento di emissione dell’ordinativo di pagamento da parte del soggetto pubblico e non della sua esecuzione dell’istituto cassiere/tesoriere. Quindi, gli ordinativi di pagamento emessi dal 1° marzo dovranno tenere conto del limite ridotto e rientreranno nella sospensiva dei 60 giorni, invece dei 30 giorni.

Se il soggetto pubblico riceve comunicazione da parte di Entrate-Riscossione, entro i cinque giorni feriali successivi alla verifica della presenza di un inadempimento a carico del beneficiario blocca il pagamento per consentire la notifica dell’atto di pignoramento. In questo caso, il blocco resterà per 60 giorni dalla comunicazione se l’ordinativo di pagamento a cui si riferisce è stato emesso a partire dal 1° marzo 2018, ma anche per ordinativi emessi precedentemente se i trenta giorni non sono ancora decorsi alla medesima data del 1° marzo.

Quindi, i procedimenti pendenti al 1° marzo, perché avviati prima dell’entrata in vigore delle modifiche, si possono concludere con le nuove regole. Quindi, se la verifica per un pagamento di 15mila euro è stata effettuata il 20 febbraio e il 23 febbraio è giunta la comunicazione di esistenza dell’inadempimento, la sospensione opererà per 60 giorni dal 23 febbraio dal momento che la sospensione di 30 giorni è ancora in corso al 1° marzo 2018. È chiaro che se si ritenesse invece applicabile la decorrenza della nuova regola di 60 giorni solo sulle verifiche effettuate dal 1° marzo 2018, nell’esempio di cui sopra, trascorsi i 30 giorni delle precedenti regole, il soggetto pubblico dovrebbe procedere al pagamento. Sarebbero, però, importanti chiarimenti.

Resta ferma tutta la disciplina ulteriore dell’adempimento così come applicabile dai soggetti pubblici nelle modalità ed impostazione in vigore fino al 28 febbraio 2018, ma dal 1° marzo dovranno coordinarsi le prassi in uso con le modifiche introdotte. Ad esempio i soggetti pubblici, tutti ammessi al regime della scissione dei pagamenti, non dovranno tenere conto delle indicazioni della circolare n. 22/2008/Rgs quando afferma che, per i pagamenti di prestazioni e cessioni soggette ad Iva, la soglia di 10mila / 5mila euro per la verifica va considerata al lordo dell’Iva. In quei casi, come nelle ipotesi di acquisti in regime di reverse charge, la verifica dovrà essere fatta sull’imponibile.

Non si applica la disciplina per le società a prevalente partecipazione pubblica contemplate dall’articolo 48-bis, ma prive della relativa disciplina transitoria come previsto dall’articolo 6 del decreto 40/2008, che, all’articolo 1, ricomprende espressamente fra i soggetti pubblici solo le società a totale partecipazione pubblica.

Fonte “Il sole 24 ore”

Bonus in R&S, check list in bilancio

di Emanuele Reich e Franco Vernassa

Il credito d’imposta per l’attività di ricerca e sviluppo, di cui all’articolo 3, Dl 145/2013, oggetto di attuazione con il Dm 27 maggio 2015, deve trovare opportuna collocazione contabile nel bilancio 2017, dopo che sono state individuate le attività agevolabili dell’esercizio e sono stati tracciati i relativi costi eleggibili, che consentono la fruizione del beneficio qualora siano eccedenti rispetto alla media (fissa) del triennio 2012-2014.

In sintesi, una volta conteggiato l’ammontare del credito 2017, la società dovrà imputarlo a conto economico e commentarlo nella nota integrativa, mentre nella relazione sulla gestione dovrà illustrare le attività di ricerca e sviluppo nel loro complesso (si veda la scheda in pagina).

Per quanto riguarda quest’ultimo punto, si consiglia alle società di spiegare in misura sufficientemente dettagliata i progetti di ricerca e sviluppo iniziati o continuati dagli esercizi precedenti, sia in misura qualitativa sia quantitativa, pur mantenendo la dovuta riservatezza.

In tale modo vi sarà coerenza informativa tra quanto indicato nella relazione sulla gestione e quanto inserito nell’apposito dossier di supporto al credito d’imposta.

In nota integrativa dovrà invece essere indicato e commentato sia l’importo iscritto nel conto economico quale contributo in conto esercizio (voceA5), come si verifica nella maggior parte dei casi, sia il credito verso l’erario quale contropartita patrimoniale CII5-bis «crediti tributari». Il credito sarà oggetto di utilizzo a partire dall’esercizio 2018, attraverso l’istituto della compensazione, che costituisce l’esclusiva modalità di utilizzo (anche nell’ambito del consolidato fiscale – quadro GN), tramite il modello F24 (codice tributo 6857). Il credito non è invece cedibile o rimborsabile.

Contabilmente, è invece necessario distinguere tra il trattamento dei costi di ricerca e sviluppo e la rilevazione del credito d’imposta. Per quanto riguarda il primo punto, l’agenzia delle Entrate ha chiarito che i costi sono agevolabili indipendentemente dal trattamento contabile e, quindi, dalla loro eventuale capitalizzazione, come previsto dall’Oic 24, paragrafo 49, secondo il quale i costi di sviluppo sono capitalizzabili solo in presenza di tre caratteristiche: essere relativi ad un prodotto o processo chiaramente definito, essere riferiti ad un progetto realizzabile ed essere recuperabili.

Oltre che tra i contributi in conto esercizio, il credito d’imposta può essere contabilizzato anche tra i contributi in conto capitale, se i costi sono stati contabilizzati tra le immobilizzazioni immateriali (dal 2016 in poi, come anticipato, ciò vale solo per i costi di sviluppo ed alle descritte condizioni).

Per quanto concerne la determinazione delle imposte Ires e Irap, si ricorda che il credito d’imposta non concorre a formare la base imponibile e quindi, se contabilizzato a conto economico, costituisce una variazione in diminuzione.

Gli obblighi documentali del credito per le attività di ricerca e sviluppo (articolo 7, Dm 27 maggio 2015 e prassi dell’agenzia delle Entrate) sono sostanzialmente i seguenti:

per le spese relative al personale, fogli di presenza nominativi, riportanti per ciascun giorno le ore impiegate nell’attività agevolabili, firmati dal legale rappresentante dell’impresa beneficiaria, ovvero dal responsabile dell’attività di ricerca e sviluppo, con possibilità di firma digitale;

per i costi per strumenti e attrezzature di laboratorio, una dichiarazione del legale rappresentante dell’impresa, ovvero del responsabile dell’attività di ricerca e sviluppo;

per i costi della ricerca extra-muros, i relativi contratti, con una relazione sottoscritta dai commissionari;

per le spese per privative industriali acquisite da terzi, i relativi contratti ed una relazione, firmata dal legale rappresentante dell’impresa beneficiaria ovvero dal responsabile dell’attività di ricerca e sviluppo, concernente le attività svolte nel periodo di imposta cui il costo sostenuto si riferisce.

Si ricorda anche che nell’ipotesi di produzione interna, nonché in relazione alle attività di sviluppo, mantenimento e accrescimento del bene immateriale, l’impresa avrà cura di predisporre un adeguato sistema di rilevazione dei costi sostenuti.

La documentazione sopra indicata, idonea a dimostrare in sede di controllo l’ammissibilità e l’effettività dei costi sulla base dei quali è stato determinato il credito d’imposta, deve essere conservata per il periodo previsto dall’articolo 43 del Dpr 29 settembre 1973, n. 600, e cioè fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione relativa al periodo di imposta nel corso del quale si conclude l’utilizzo del credito.

Fonte “Il sole 24 ore”

Il compenso per la relazione giurata non va tarato sul valore della pratica

di Romina Morrone

L’onorario da corrispondere al commercialista per la relazione giurata ex articolo 161 della legge fallimentare deve essere ammesso al passivo fallimentare tenendo conto della sua determinazione con riferimento non al valore della pratica ma utilizzando i criteri individuati dall’articolo 31, lettera e), del Dpr 645/1994 a seconda che abbia stimato beni, diritti, aziende, partecipazioni sociali. Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza 3599/2018.

Il Tribunale di Livorno ha accolto l’opposizione di un commercialista allo stato passivo di una Srl, relativa al credito vantato per le sue prestazioni professionali, e ha ritenuto che le quattro relazioni giurate ex articolo161 della legge fallimentare, dovessero essere ricondotte tra quelle ex articolo 31, comma1, lettera a), del Dpr 645/1994, predisposte non solo a fini valutativi (per la determinazione del valore dell’azienda, dell’immobile e di beni conferiti nella società), ma anche come pareri motivati per fornire indicazioni sulla fattibilità del piano.

La curatela ha impugnato il decreto in Cassazione. Dopo aver evidenziato la mancata previsione, nella tariffa dei dottori commercialisti (Dpr 645/1994), della relazione giurata ex articolo 161, comma 3, della legge fallimentare (introdotto dal Dlgs 169/1997), a causa dello sfasamento temporale tra le due fonti, la Suprema corte ha accolto il motivo di ricorso, ritenendo adeguata la collazione dellarelazione tra le prestazioni indicate nella lettera e), articolo31 del Dpr 645/1994.

Ciò sia per il ruolo rilevante del professionista nelle procedure di crisi, vista la sua posizione di terzietà e di indipendenza rispetto al debitore, sia per l’affinità della prestazione professionale con le altre relazioni di stima previste (ex articoli 2343, 2343-bis, 2501-quinquies del Codice civile), sia infine perché la stessa norma non esclude affatto, da parte del tecnico, un apporto cognitivo ulteriore al mero conteggio. Conclusioni avvalorate anche dalla distinzione, nel Dm 169/2010, tra perizie, motivati pareri e consulenze tecniche di parte, da un lato, e valutazione di singoli beni, diritti, aziende o rami di azienda, patrimoni, partecipazioni sociali non quotate, e relazioni di stima previste dalla legge, dall’altro.

Fonte “Il sole 24 ore”

Concordato preventivo, la riduzione delle obbligazioni comporta la rettifica della detrazione Iva

di Luca Gaiani

La riduzione delle obbligazioni del debitore in caso di concordato preventivo omologato costituisce mutamento degli elementi presi in considerazione per la detrazione dell’Iva e comporta una rettifica della detrazione stessa ai sensi dell’articolo 185, paragrafo 1 della direttiva 2006/112/Ce. Lo ha affermato la Corte di giustizia Ue nella sentenza del 22 febbraio 2018, causa C-396/16 . Secondo la Corte, inoltre, laddove il concordato omologato comporti, secondo la legislazione nazionale, una riduzione definitiva delle obbligazioni del debitore, e dunque impedisca alla parte creditrice di recuperare in altro modo il credito stralciato, non troveranno applicazione le deroghe alla rettifica della detrazione previste dall’articolo 185, paragrafo 2, della direttiva per i casi di operazioni totalmente o parzialmente non pagate. Quest’ultima disposizione prevede che l’obbligo di rettifica stabilito dal paragrafo 1 non si estende in caso di «operazioni totalmente o parzialmente non pagate», consentendo peraltro agli Stati membri di prevedere la rettifica in via facoltativa.

La sentenza, riferita a un caso riguardante la Repubblica di Slovenia, potrebbe avere ricadute anche nel nostro ordinamento rendendo di fatto obbligatoria, a seguito della omologazione del concordato e della conseguente esdebitazione (articolo 184, legge fallimentare), la rettifica della detrazione relativamente alla quota parte di debito verso fornitori stralciata in forza della procedura, non configurandosi un caso di «operazioni totalmente o parzialmente non pagate».

Fonte “Il sole 24 ore”

Quell’«adeguata verifica» del fornitore che può escludere la frode Iva

di Antonio Zappi

Quando il Fisco accerta l’indebita detrazione Iva per operazioni soggettivamente inesistenti e rileva che l’operazione fatturata non è stata posta in essere dal soggetto indicato nella fattura come fornitore, iniziano i problemi del cessionario/committente che si vede contestare la natura tendenzialmente fraudolenta della controparte delle operazioni economiche. A Telefisco 2018 è stato chiesto alla Guardia di Finanza se fosse possibile, in concreto, esemplificare qualche ipotesi di possibile prova della buona fede di un contribuente per dimostrare la legittimità della detrazione del tributo e la mancanza di consapevolezza di partecipare ad un’operazione fraudolenta.

Esemplificando un caso di possibile esimente nell’ambito di una frode nel settore del commercio degli autoveicoli usati, le Fiamme gialle, pur non indicando un percorso risolutivo per ogni evenienza, hanno fornito alcuni spunti operativi per orientare i contribuenti che vorranno mettersi al riparo da contestazioni fiscali (e penali) per comportamenti fraudolenti altrui.

È stato, infatti, affermato che risulta provata la buona fede di un contribuente che provvede, nei limiti delle sue possibilità, ad acquisire informazioni eventualmente integrate da elementi di agevole e rapida reperibilità e che gli abbiano consentito di escludere, sia pure solo in via presuntiva, una frode nella catena di fornitura.
In altri termini, come nella disciplina antiriciclaggio è necessario fare un’adeguata verifica del cliente, in campo Iva è ormai fondamentale effettuare un’adeguata verifica del fornitore.

Provando, allora, a costruire un possibile vademecum per replicare ad eventuali contestazioni, all’atto dell’instaurazione di ogni rapporto commerciale occorrerà effettuare, sul piano soggettivo, una verifica dell’iscrizione camerale (visura Camera di commercio), nonché una scheda anagrafica di chi rappresenta la controparte commerciale/professionale, accertandone idoneità di poteri e di ruolo per porre in essere ciò che verrà descritto nelle fatture ricevute. Sotto il profilo oggettivo, invece, occorrerà acquisire documentazione (anche fotografica) per comprovare l’idoneità strutturale a porre in essere quanto viene fatturato e che il prezzo delle transazioni ivi indicato non induca a lasciar immaginare un incauto acquisto.

Decisiva, infine, potrebbe essere l’acquisizione concordata con il fornitore, da aggiornare periodicamente in costanza di rapporto commerciale, di un certificato di assenza dei carichi pendenti tributari. Tale documento è ordinariamente previsto per altri fini, ma potrebbe risultare determinante anche per fornire prova di aver fatto tutto il possibile per accertare che la controparte dell’operazione commerciale non fosse un frodatore seriale già noto al Fisco. Forse si rischierà di urtare la suscettibilità del fornitore, ma in questo modo sarà assai complicato contestare il coinvolgimento in una frode di un contribuente che non ha accettato caramelle dagli sconosciuti ed al quale, se si volessero pretendere maggiori controlli, bisognerebbe conferire i poteri di polizia giudiziaria.

Fonte “Il sole 24 ore”

Rottamazione bollo auto e superbollo 2018:

Rottamazione cartelle bis bolli auto superbollo come funziona la domanda condono bolli non pagati, requisiti e da quando invio modulo nuova sanatoria 2018.

La rottamazione cartelle bis bollo auto e superbollo, è la nuova misura contenuta nel decreto fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2018.

Entro il 15 maggio 2018, i cittadini, possono aderire alla nuova definizione agevolata, inviando l’apposita domanda di rottamazione cartelle bis 2018 mediante la compilazione del modello DA-2017 dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione.

Solo presentando la richiesta di rottamazione bis, il contribuente, può fruire dello sconto degli interessi di mora e sanzioni sulle vecchie cartelle esattoriali, fatta eccezione dell’aggio di riscossione, che sarà però calcolato solo sul capitale.

Vediamo quindi cos’è la rottamazione cartelle bis bollo auto e superbollo, come funziona il condono Equitalia bolli e da quando è possibile iniziare a presentare il modulo domanda di adesione rottamazione dei ruoli.

 

Rottamazione cartelle bollo auto e superbollo: cos’è?

Che cos’è la Rottamazione cartelle bollo auto e superbollo? La rottamazione bis 2018 è la nuova possibilità concessa ai contribuenti con il decreto legge collegato alla legge di Bilancio 2018.

In base a tale decreto, con la nuova rottamazione cartelle 2018, i cittadini che hanno ricevuto una cartella di pagamento per bollo auto non pagato, tra il 1° gennaio 2017 ed il 30 settembre 2017, che non hanno provveduto a saldare entro il termine dei consueti 60 giorni, possono presentare la domanda di adesione rottamazione dei ruoli all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, al fine di ottenere un considerevole sconto sull’importo della cartella o di più cartelle.

Oltre alle cartelle bollo auto non pagato, possono essere rottamate, e quindi ottenere il condono cartelle Equitalia 2018, tutte le seguenti cartelle:

Condono imposte, compresa l’IVA, tributi, per cui su tutte le cartelle Agenzia delle Entrate e quelle relative a contributi Inps Inail;

Condono multe stradali;

Condono ruoli emessi da Regioni, Province, Città Metropolitane e Comuni: come ad esempio ICI, Tassa sui rifiuti.

Possibilità di condono anche per chi ha già una rateizzazione in corso ma con delle limitazioni che vedremo più avanti.

Escluse dalla rottamazione cartelle 2018, invece:

IVA riscossa all’importazione;

Multe Ue;

Crediti da danno erariale per sentenze di condanna della Corte dei Conti;

Ammende e sanzioni pecuniarie dovute a seguito di provvedimenti e sentenze penali di condanna.

 

Rottamazione cartelle bollo auto e superbollo 2018: come funziona?

Come funziona la rottamazione di bolli auto e superbollo? La Rottamazione cartelle bis 2018 bollo auto e superbollo funziona in questo modo:

Il cittadino o l’impresa può richiedere di condonare le NUOVE cartelle di bolli auto e superbollo non pagate, notificate tra il 1° gennaio 2017 ed il 30 settembre 2017, fruendo della definizione agevolata, tramite la rottamazione cartelle bis 2018, ossia, sottraendo dall’importo gli interessi e le sanzioni.

Il nuovo decreto prevede, pertanto, che entro il 15 maggio 2018, i contribuenti, possano inviare le domande, utilizzando l’apposita modulistica.

Si ricorda che la Rottamazione cartelle bis 2018 bollo auto e superbollo, rende possibile lo sconto solo per la parte relativa agli interessi e alle sanzioni, in quanto l’aggio di riscossione è sempre previsto ma si applica solo al capitale.

Rottamazione VECCHIE cartelle bollo auto e superbollo: sono riammesse al beneficio quelle per cui:

il contribuente non ha versato la rata di luglio e settembre 2017: in questo caso, per essere riammessi occorre pagare le rate omesse entro il 30 novembre 2017.

è stata rifiutata la domanda, poiché non in regola con i pagamenti della rateazione: possibilità di rientro nel beneficio se il contribuente presenta l’apposita domanda entro il 31 dicembre 2017, paga le rate scadute entro il 31 maggio 2018 e versa il totale condonato entro il 31 luglio 2018.

Condono bollo auto 2018 e superbollo a chi spetta?

A chi spetta il condono bollo auto Equitalia 2018 e superbollo?

Il condono bolli auto e superbollo con la rottamazione cartelle Equitalia spetta su:

Tutte cartelle di pagamento notificate tra il 1° gennaio 2017 ed il 30 settembre;

Tutte le cartelle bollo auto che sono oggetto di rateizzazione in corso;

Tutte le cartelle di cui al paragrafo sopra.

Modulo domanda rottamazione cartelle bolli auto: da quando?

Come si richiede il condono bolli auto Equitalia? Tramite l’invio di un apposito modulo di adesione rottamazione dei ruoli pubblicato sul sito dell’AdER, Agenzia delle Entrate Riscossione.

Modulo domanda rottamazione cartelle bolli auto e superbollo: da quando? I cittadini interessati a fruire del condono Equitalia 2018 bolli auto e superbollo auto di grossa cilindrata, possono inviare le domande entro il 15 maggio 2018 utilizzando il seguente modulo domanda rottamazione cartelle 2018.

Ricordiamo che nel modulo, oltre alle proprie generalità, va indicato anche il tipo di cartella oggetto di sanatoria, e la modalità di pagamento scelto: a rate, oppure, in un’unica soluzione.

Come si paga la cartella bollo auto rottamata? Una volta inviata la domanda, l’AdER, comunica entro il 30 giugno 2018, l’importo della nuova cartella scontata ed il cittadino, a seconda della modalità di pagamento scelta in sede di domanda, pagherà l’importo rateizzato in massimo 5 rate.

In ogni modo, il versamento della cartella, può avvenire tramite: bollettini precompilati, domiciliazione bancaria o pagamento diretto allo sportello AdER.

Condono INPS 2018: rottamazione cartelle domanda definizione agevolata

Condono INPS 2018 cos’è e come funziona la rottamazione cartelle esattoriali con la definizione agevolata contributi non versati denunce omesse o tardive.

Condono Inps 2018, rottamazione cartelle bis con la definizione agevolata dei carichi affidati alle Agenzie della Riscossione, AdR, notificate a contribuenti dal 1° gennaio 2017 fino al 31 dicembre 2017, questo è quanto sarà previsto dal nuovo decreto collegato alla Legge di Bilancio 2018.

In vista quindi della nuova rottamazione cartelle bis Inps 2018, andiamo a vedere nello specifico:

Condono Inps cos’è?

Condono cartelle di pagamento INPS come funziona;

Rottamazione cartelle Inps emesse da Equitalia;

Come fare domanda di condono cartelle Inps;

Cosa rientra nel condono;

Perché la definizione agevolata non può attestare la regolarità contributiva.

Condono INPS 2018: cos’è?

Che cos’è il Condono Inps 2018? Il condono Inps, meglio conosciuto con il nome di condono cartelle Equitalia o rottamazione cartelle bis, è la possibilità per i contribuenti che hanno ricevuto una cartella di pagamento ma che non l’hanno pagata entro i tempi previsti, di mettersi in regola con il Fisco, attraverso una procedura chiamata definizione agevolata dei ruoli emessi, notificati e non pagati all’Agente della Riscossione.

Andiamo quindi a vedere come funziona il condono Inps rottamazione cartelle bis, alla luce delle novità introdotte con il decreto collegato alla legge di Bilancio 2018 e al messaggio INPS n. 824 del 24 febbraio 2017, con cui l’Istituto ha provveduto a fornire ai contribuenti, i chiarimenti necessari su come funziona la procedura di definizione agevolata delle cartelle esattoriali INPS emesse da Equitalia o altre agenzie della riscossione e come fare domanda di rottamazione di cartelle di pagamento, ossia, come presentare la richiesta di condono Inps ed entro quando.

Rottamazione cartelle bis 2018 Inps: come funziona?

Come funziona la rottamazione cartelle bis 2018 Inps? Il funzionamento del nuovo condono Inps 2018 delle cartelle esattoriali è spiegato dall’Istituto stesso con il messaggio n. 824 del 24 febbraio 2017, che illustra come funziona la procedura di definizione agevolata delle cartelle esattoriali per debiti Inps, ponendo l’attenzione su due questioni delicate:

1) chiarendo quali sono le somme che i contribuenti devono effettivamente pagare qualora decidano di optare per il condono e le istruzioni in merito alle c.d. “somme aggiuntive”;

 

2) gli effetti che la domanda di condono Inps hanno sul rilascio del Documento di Regolarità Contributiva (DURC).

 

Per quanto riguarda il primo punto, l’INPS, conferma in pratica che accedendo al beneficio della definizione agevolata delle cartelle INPS, si ottiene una notevole riduzione degli importi affidati all’Agente della Riscossione a titolo di sanzioni, interessi di mora e somme aggiuntive.

 

Tuttavia, ricorda l’INPS, rimane fermo l’integrale versamento delle somme dovute a titolo di capitale e di interessi mentre le somme aggiuntive e gli interessi sono dovuti dopo il raggiungimento del tetto massimo delle sanzioni, ai sensi dell’articolo 116, commi 8 e 9 L. 388/2000.

 

Rottamazione bis Inps 2018: per quali cartelle si può richiedere?

Su quali cartelle Inps si può richiedere la rottamazione bis 2018? La domanda rottamazione cartelle bis nel 2018, secondo quanto previsto dal decreto collegato alla legge di bilancio 2018, si può richiedere solo sulle seguenti cartelle di pagamento Inps:

 

Vecchie cartelle condonate di cui il contribuente non ha versato la rata di luglio e settembre 2017: in questo caso, i contribuenti, possono essere riammessi alla rottamazione purché le rate omesse siano pagate entro il 7 dicembre. Alla rottamazione bis, possono quindi essere riammessi tutti i cittadini ed imprese che per errore, disguidi o mancanza fondi, non hanno pagato le rate della rottamazione.

Vecchie cartelle non ammesse alla definizione agevolata perché non in regola con i pagamenti della rateizzazione: per i suddetti contribuenti, è consentita la riammissione: 1) presentando l’apposita domanda entro il 31 dicembre 2017; 2) pagando le rate scadute entro il 31 maggio 2018; 3) pagando il totale condonato entro il 31 luglio 2018.

Nuove cartelle esattoriali notificate dal 1° gennaio al 30 settembre 2017: per accedere alla nuova rottamazione bis Inps, il contribuente deve presentare la domanda entro il 15 maggio 2018 e versare l’importo condonato al massimo in 5 rate di pari importo nei mesi di: luglio, settembre, ottobre e novembre 2018 e febbraio 2019.

Condono Inps: quando sono dovute le somme aggiuntive e gli interessi?

Quando sono dovute le somme aggiuntive e gli interessi sulle somme condonate, è spiegato sempre nel messaggio n. 824 dall’INPS, che afferma quanto segue:

 

Mancato o ritardato pagamento di contributi o premi: non sono dovute le somme aggiuntive ed interessi se il loro ammontare rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, prevede una sanzione, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti. In questo caso però, la sanzione, non può essere più alta del 40% rispetto agli importi non versati.

 

Evasione relativa a registrazioni – denunce obbligatorie omesse o difformi: le somme aggiuntive e gli interessi di mora non sono dovuti, in questo caso il datore di lavoro è tenuto al pagamento di una sanzione pari al 30% in ragione d’anno. Tale sanzione però, non può essere al di sopra del 60% degli importi non pagati.

 

Dopo il raggiungimento del tetto massimo delle sanzioni previste al punto 1 e 2, sono dovuti sul debito contributivo sia le somme aggiuntive che gli interessi di mora.

 

Rottamazione cartelle esattoriali INPS effetti sul DURC:

La Rottamazione cartelle esattoriali INPS e gli effetti sul DURC, son stati spiegati dall’Istituto sempre con il messaggio del 24 febbraio 2017.

Secondo quanto chiarito dall’Inps, la definizione agevolata si perfeziona solo se il contribuente provvede a versare le somme dovute in un’unica soluzione o con l versamento della prima rata, qualora richieda la rateizzazione degli importi condonati.

Pertanto, fino a quando l’Agente della Riscossione comunica al contribuente le somme condonate da pagare, rimane sospesa l’attività esecutiva, ma non quella dell’ente impositore.

 

Ciò significa che secondo la norma attuale:

il contribuente continua ad essere debitore nei confronti di Equitalia e INPS fin quando non effettua il pagamento ma non può ottenere l’attestazione della regolarità contributiva con il DURC, anche se ha presentato la domanda di adesione alla procedura di definizione agevolata delle cartelle di pagamento.

L’Inps, invece, analizzando già i casi precedenti, il DURC è stato rilasciato a chi ha presentato l’istanza di rateazione alla data di entrata in vigore del nuovo decreto;

Possibile soluzione proposta dai Consulenti del lavoro potrebbe essere:

presentare domanda di rateizzazione e pagare la prima rata;

sospendere successivamente i versamenti, in quanto restano sospese, fino al termine per il pagamento della prima o unica rata delle somme dovute per la definizione, le scadenze delle rate di tutti i vecchi piani di dilazione già accordati dall’Agente della Riscossione.

presentare istanza per la definizione agevolata delle cartelle.

Seguendo questa procedura, si dovrà pagare una rata della rateazione concessa, chiedere la definizione agevolata ed ottenere il DURC positivo.

 

Domanda rottamazione cartelle Inps 2018: modulo, scadenza e come si presenta?

I contribuenti per aderire al condono Inps 2018 devono procedere alla presentazione dell’apposita domanda entro una determinata scadenza e secondo modalità precise.

Domanda rottamazione cartelle INPS 2018 modulo: il modulo domanda per accedere alla definizione agevolata dei ruoli Inps affidati ad Equitalia o all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, deve essere ancora approvato.

Domanda rottamazione cartelle bis INPS 2018 scadenza: la domanda per la definizione agevolata può essere inoltrata entro la scadenza del 15 maggio 2018. L’Agente poi, comunicherà al contribuente l’ammontare complessivo delle somme Inps dovute ed invierà i bollettini di pagamento.

Domanda rottamazione cartelle INPS 2018 come di presenta e documenti: il modulo domanda condono Inps 2018 può essere presentata in due modi:

presso gli Sportelli dell’Agente della riscossione utilizzando l’apposito modulo;

via PEC: inviando il modulo debitamente compilato in ogni sua parte, allegando la copia del documento di identità.

Come s paga l’importo cartelle Inps condonate? Mediante:

Bollettini precompilati;

Domiciliazione bancaria, sul conto della banca;

Pagamento diretto agli sportelli del concessionario della riscossione.

Per chi sceglie la rateizzazione, è possibile pagare l’importo condonato in un massimo di 5 rate e su ognuna, saranno calcolati gli interessi.

Per chi richiede l’adesione tramite il modulo domanda ufficiale, ma poi non paga o paga le rate in ritardo o in modo insufficiente, l’AdER, farà decadere immediatamente il beneficio della rottamazione e farà riprendere il conteggio delle sanzioni e degli interessi delle vecchie cartelle.

Rottamazione bis cartelle 2018 Equitalia: requisiti domanda e scadenza

Rottamazione cartelle 2018 Equitalia notificate dal 1° gennaio 2000 al 30 settembre 2017 cos’è e come funziona nuovo condono, modulo domanda e scadenza

Rottamazione bis 2018 per le cartelle di pagamento notificate dal 1° gennaio al 30 settembre 2017 e riapertura dei termini della sanatoria anche alle vecchi cartelle ma solo in alcuni casi, sono queste alcune delle importanti novità contenute all’articolo 1 del Decreto fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2018, Dl 148/2017 in merito all’estensione della definizione agevolata dei carichi.

Vediamo quindi cos’è e come funziona la rottamazione bis 2018, cosa prevede, quali sono i requisiti e le nuove scadenze da tenere in mente, come funziona il pagamento rateizzato dell’importo condonato e le modalità con cui il cittadino o l’impresa, può presentare la domanda rottamazione bis cartelle Equitalia 2018.

Rottamazione bis 2018: cos’è?

Che cos’è la rottamazione bis 2018? La rottamazione bis, non è altro che il proseguimento anche nel 2018 del beneficio fiscale introdotto l’anno scorso con l’articolo 6 del Dl 193/2017, convertito con modificazioni nella legge 225/2017, che ha riconosciuto la possibilità per i contribuenti di optare, previa apposita domanda, della definizione agevolata dei carichi affidati all’Agenzia della Riscossione e notificati dal 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2016.

Aderendo alla cd. sanatoria Equitalia o Condono Equitalia, il contribuente, ha potuto ottenere un forte sconto sul debito con l’azzeramento delle sanzioni e degli interessi di mora e pagando solo il tributo, gli interessi affidati all’agente della riscossione e l’aggio, spese per notifica delle cartelle ed eventuali procedure esecutive.

Ora, con il nuovo decreto fiscale 2018 collegato alla Legge di Bilancio e ai sensi del nuovo decreto legge n. 148/2017 convertito con modificazioni dalla Legge n. 172/2017, è stata prevista la nuova Definizione agevolata, cd. rottamazione cartelle, per le somme affidate all’Agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 settembre 2017 previa domanda entro il 15 maggio 2018.

Vediamo quindi come funziona la rottamazione cartelle 2018.

 

 

 

Rottamazione bis decreto collegato alla Legge di Bilancio 2018: novità per tutte le cartelle

Ecco le ultime novità introdotte al decreto collegato alla Legge di Bilancio 2018, alla nuova rottamazione bis 2018:

Alla rottamazione bis 2018, potranno aderire tutti, anche chi non ha presentato la domanda di adesione alla prima edizione della definizione agevolata prevista dal D.L. n. 193/2016.

1) I contribuenti che non hanno aderito al primo condono delle cartelle notificate dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2016, possono farlo ora, entro il 15 maggio 2018.

Ciò significa che i contribuenti possono aderire alla definizione agevolate delle cartelle notificate dal 2000 al 30 settembre 2017.

In caso di rateizzazione dell’importo condonato, il numero di rate massimo è 5, aventi le seguenti scadenze:

Luglio 2018;

Settembre 2018;

Ottobre 2018;

Novembre 2018;

Febbraio 2019.

2) i contribuenti che hanno aderito alla prima edizione della rottamazione ma non hanno provveduto al pagamento delle rate di luglio e di settembre, possono rientrare nella rottamazione se provvedono a pagare le rate omesse  entro il 7 dicembre 2017 e non più entro il 30 novembre.

3) Per coloro che hanno partecipato alla prima rottamazione ma ne sono stati esclusi perché non hanno pagato le rate successive, possono rientrare nella nuova rottamazione bis se:

  • entro il 31 marzo 2018, pagano le rate scadute in un’unica soluzione;
  • entro il 31 luglio 2018: pagano l’importo condonato + interessi di mora.

Per tutti la scadenza per aderire alla rottamazione è il 15 maggio 2018.

Rottamazione cartelle 2018: come funziona?

Come funziona la Rottamazione bis cartelle Equitalia 2018? La nuova rottamazione bis 2018 funziona così: il cittadino o l’impresa che ha visto notificarsi tra il 1° gennaio 2000 ed il 30 settembre 2017, una o più cartelle di pagamento, può accedere, previa apposita domanda, alla nuova definizione agevolata dei carichi affidati all’agente di riscossione, ottenendo così il condono di sanzioni ed interessi.

In base a quanto previsto dal decreto legge collegato alla Legge di Bilancio 2018, il cui testo sta per incassare la fiducia dal Senato, la rottamazione bis funziona così:

Tutti i contribuenti, per cui sia gli esclusi ed i decaduti dalla prima rottamazione nonché chi non ha partecipato alla prima edizione della definizione agevolata dei ruoli.

 

Come vedremo meglio nel prossimo paragrafo, per tutti la scadenza domanda rottamazione bis è il 15 maggio 2018 ma a seconda della condizione in cui si trovano i contribuenti, hanno delle modalità e un iter da seguire ben diverso.

Detto ciò andiamo a vedere la domanda rottamazione cartelle bis 2018 e la scadenza.

Rottamazione cartelle Equitalia 2018: chi può fare domanda? Requisiti:

Chi può fare domanda di rottamazione bis 2018? La domanda rottamazione cartelle bis nel 2018, secondo quanto previsto dal decreto collegato alla legge di bilancio 2018, si può presentare in presenza dei seguenti requisiti:

  1. A) Chi non ha pagato le rate condonate di luglio e settembre: i contribuenti ammessi alla prima rottamazione che non hanno provveduto a pagare le rate scadute a luglio e settembre, possono essere riammessi se versano le suddette rate entro il 7 dicembre.

In questo modo i cittadini ed imprese che per errore disguidi o mancanza di liquidità non hanno effettuato i versamenti sono riammessi alla rottamazione senza ulteriore addebito.

Per cui per chi non ha pagato le precedenti rate condonate deve:

entro il 7 dicembre: pagare tutte le rate scadute e non versate.

  1. B) Chi si è visto rigettare l’istanza in quanto non in regola con il pagamento delle rate con scadenza 31 dicembre 2016 rientranti in piani di dilazione in essere al 24 ottobre 2016. L’accesso alla rottamazione, può essere esercitato presentando l’apposita domanda per via telematica all’agente della riscossione entro il 31 dicembre 2017, indicando le modalità scelta per il pagamento, e pagare le rate scadute entro il 31 maggio 2018. Successivamente sarà possibile versare con al massimo 3 rate, con scadenza settembre, ottobre e novembre 2018, le somme condonate e gli interessi di mora pari al 4,5% e da calcolare a partire dal 1° agosto 2017. In caso di mancato versamento delle rate scadute, l’istanza non può essere accettata. Per cui:

entro il 31 marzo 2018: si dovrà versare per intero l’importo delle rate scadute e non pagate;

entro il 31 luglio 2018, si dovrà versare l’ammontare complessivo delle somme condonate + gli interessi.

  1. C) Chi ha ricevuto la notifica di una cartella di pagamento dal 1° gennaio 2000 al 30 settembre 2017: può accedere alla nuova rottamazione bis, se presenta l’apposita domanda entro il 15 maggio 2018 e versa l’importo condonato al massimo in 5 rate di pari importo nei mesi di: luglio, settembre, ottobre e novembre 2018 e febbraio 2019.

Per cui occorre:

entro il 15 maggio 2018: inviare la domanda rottamazione cartelle bis 2018;

entro febbraio 2019: versare le 5 rate della rottamazione 2018 aventi scadenza:

luglio 2018;

settembre 2018;

ottobre 2018

novembre 2018;

febbraio 2019.

Rottamazione bis 2018 domanda: modulo e scadenza

Avendo spiegato la rottamazione cartelle bis 2018 cos’è e come funziona, quali sono i requisiti per accedere, andiamo ora a vedere come fare domanda di rottamazione cartelle bis 2018 dei debiti iscritti a ruolo dal 1° gennaio 2010 al 30 settembre 2017.

Rottamazione bis 2018 scadenza domanda: i contribuenti che hanno visto notificarsi una cartella di pagamento Equitalia, ora Agenzia Entrate-Riscossione, o di un altro agente, hanno la possibilità di accedere al condono cartelle esattoriali, se entro il 15 maggio 2018, trasmetteranno l’apposita domanda.

Rottamazione cartelle 2018 domanda modulo: La domanda per richiedere il condono di sanzioni ed interessi su debiti iscritti a ruolo notificati dal primo gennaio al 30 settembre 2017, deve essere redatta sul nuovo modulo dell’Agenzia Entrate Riscossione.

Il modulo domanda rottamazione 2018, è reperibile sul sito dell’Agenza delle Entrate-Riscossione e si chiama Modulo rottamazione cartelle 2018.

Coloro i quali intendono aderire alla nuova definizione agevolata al fine di ottenere uno sconto sulle sanzioni e gli interessi di mora, fatta eccezione per la rottamazione cartelle multe stradali con la quale sono condonati invece gli interessi di mora e le maggiorazioni previste dalla legge, devono inviare la domanda di adesione e poi attendere la comunicazione dell’Agenzia delle entrate-Riscossione entro il 31 marzo 2018 ossia una lettera in posta ordinaria, indicante i carichi affidati dagli Enti entro il 30 settembre 2017 e per i quali non risulta ancora notificata la relativa cartella.

Rottamazione bis Fai DA Te: Vi ricordiamo inoltre che al fine d agevolare i contribuenti nelle domande rottamazione bis, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, ha messo a disposizione un nuovo servizio online che si chiama Fai DA Te Rottamazione bis, e consente, senza bisogno di Pin e password, di compilare il modello domanda rottamazione bis DA-2017 indicando semplicemente i propri dati anagrafici, i contatti telefonici ed elettronici, gli identificativi della cartella da rottamare ed esprimere al volontà di pagare l’importo condonato in un’unica soluzione o in 5 rate.

Rottamazione cartelle 2018: come si presenta la domanda?

Abbiamo detto finora che i contribuenti interessati a richiedere la definizione agevolata, devono inviare apposita domanda entro il 15 maggio 2018.

Come si presenta la domanda di rottamazione cartelle 2018?

Il contribuente può scegliere se inviare la domanda:

via PEC: alla casella PEC della Direzione Regionale di Agenzia delle entrate-Riscossione, inviando il Modello DA-2017, debitamente compilato in ogni sua parte, unitamente alla copia del documento di identità.

Sportelli di Agenzia delle entrate-Riscossione utilizzando il Modello DA-2017 debitamente compilato, stampato e firmato.

Una volta inviata la domanda rottamazione cartelle 2018 all’Agenzia delle entrate-Riscossione, il contribuente, riceverà entro il 30 giugno 2018 l’importo delle cartelle a suo nome che possono essere oggetto di condono, la scadenza delle rate e i relativi bollettini di pagamento o l’eventuale diniego.

È possibile effettuare il pagamento in un’unica soluzione, oppure, fruire della rateizzazione in massimo di 5 rate di pari importo aventi scadenza inziale 31 luglio 2018 e finale il 28 febbraio 2019.

Rottamazione cartelle bis 2018 scadenze:

Alla luce delle novità introdotte dal nuovo decreto fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2018, ecco le nuove scadenze rottamazione cartelle bis 2018:

Per chi non è in regola con la prima rottamazione ancora in corso, occorre versare le rate omesse di luglio e/o di settembre in un’unica soluzione entro il 7 dicembre, nuova scadenza fissata dal Senato con il decreto fiscale collegato che però deve essere ancora approvato in vi definitiva. La scadenza originaria, è il 30 novembre).

Per chi ha già presentato domanda della prima rottamazione ma non ha pagato le restanti rate:

Entro il 2 gennaio 2018: l’Agenzia delle Entrate-Riscossione aggiorna il modello di domanda;

Entro il 15 maggio 2018: deve essere presentata la domanda di adesione alla rottamazione delle cartelle per i contribuenti esclusi dalla prima rottamazione perché non in regola con i pagamenti a fine 2016;

Entro il 30 giugno 2018: L’AdER comunica l’importo totale delle rate scadute al 31 dicembre 2016 che devono essere pagate dal contribuente se intende rientrare nel beneficio;

Entro il 31 luglio 2018: occorre versare in un’unica soluzione le rate non saldate entro il 2016, il cui importo è stato comunicato entro il 30 giugno dall’AdER. Il mancato, insufficiente o tardivo versamento comporta l’ammissione al beneficio;

Entro il 1° ottobre 2018: l’AdER comunica ai contribuenti riammessi, la somma dovuta con la rottamazione, le rate ed il giorno e il mese di scadenza di ciascuna;

Entro il 31 ottobre 2018: Il contribuente è tenuto a pagare la prima rata pari al 40% dell’importo dovuto;

Entro il 30 novembre 2018: si deve pagare la seconda rata con l’altro 40%;

Entro il 28 febbraio 2019: si paga la terza ed ultima rata pari al 20% delle somme dovute.

Ecco le scadenze nuove adesioni per i carichi dal 2000 a settembre 2017:

Per la rottamazione cartelle notificate dal 1° gennaio al 30 settembre 2017 e quelle relative agli anni 2000-2016 che non hanno presentato la domanda di adesione alla prima rottamazione, le nuove scadenze sono:

2 gennaio 2018: nuovo modello di adesione alla rottamazione per i carichi relativi al 2000-2016 e dal 1° gennaio al 30 dicembre 2017;

15 maggio 2018: è la scadenza per inviare la domanda rottamazione cartelle bis;

31 marzo 2018: l’AdER comunica al contribuente quali sono le cartelle affidate ma per le quali non risulta ancora la notifica;

30 giugno 2018: è il termine entro il quale l’AdER comunica l’importo totale condonato da pagare, le rate, gli importi e le scadenze;

31 luglio 2018: Scade il termine per il versamento della prima o unica rata;

1° ottobre 2018: è la scadenza per pagare la seconda rata, visto che il 30 settembre è domenica;

31 ottobre 2018: termine per il versamento della 3° rata;

30 novembre 2018: scade la quarta rata;

28 febbraio 2019: Scade la quinta rata.

Sede in Lussemburgo, l’assenza di addetti non la rende fittizia

Ogni imprenditore è libero di scegliere il luogo di collocazione della propria sede, a prescindere che ciò dipenda da vantaggi fiscali. Tale comportamento è illegittimo, infatti solo se costituisce una costruzione fittizia e non effettiva, ma tale circostanza va provata dall’amministrazione in modo adeguato. A fornire questa interpretazione è la Ctp di Reggio Emilia con la sentenza 2/2/2018 depositata il 20 gennaio scorso (presidente e relatore Montanari).

Una società con sede in Lussemburgo ricorreva dinanzi al giudice tributario contro degli avvisi di accertamento emessi dall’agenzia delle Entrate. Secondo l’ufficio, la società, che gestiva semplicemente partecipazioni, era “esterovestita” e aveva collocato la sede in Lussemburgo solo per i vantaggi fiscali determinati dalla tassazione locale.

Per di più, l’Agenzia contestava la veridicità degli amministratori di diritto, ritenendo fosse in realtà amministrata da soggetti residenti in Italia e in ogni caso, presso la sede non esisteva personale dipendente.

Tra i diversi motivi di ricorso, la società eccepiva la violazione della libertà di stabilimento della sede, previsto dal Trattato Ue. La scelta di un Paese per porre la sede, anche se finalizzata ad ottenere un minor carico fiscale, non integra un abuso del principio della libertà di stabilimento, fatta salva l’ipotesi in cui si tratti di una costituzione di puro artificio, ma che nella specie non risultava provata.

La Ctp di Reggio Emilia ha ritenuto fondata l’eccezione. Innanzitutto, ha richiamato i principi stabiliti dalla Cassazione (sentenza 43809/2015) secondo i quali l’imprenditore può decidere di collocare le proprie strutture dove meglio ritiene e dotarle secondo le proprie insindacabili valutazioni. L’eventuale vantaggio fiscale non è indebito solo perché vengono sfruttate le opportunità offerte dal mercato o da una più conveniente legislazione fiscale, contributiva e/o previdenziale, ma lo diventa se è ottenuto attraverso situazioni non corrispondenti alla realtà, ossia di puro artificio.

La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha costantemente affermato che è irrilevante se la scelta della sede dipende solo da ragioni di convenienza fiscale, poiché occorre accertare se il trasferimento è stato realmente effettuato, e che non è stata creata una posizione meramente giuridica e non effettiva. A tal fine, il domicilio fiscale va individuato nel centro effettivo di direzione e di svolgimento dell’attività, ossia dove risiedono gli amministratori e vengono convocate le assemblee.

Nel caso in esame, la Ctp ha rilevato che gli elementi indiziari indicati nell’accertamento dall’Agenzia erano privi di forza probatoria. La gestione di partecipazioni è un’attività di per sé esercitabile in qualunque Stato e non è necessaria la presenza di personale dipendente. Quanto poi al disconoscimento degli amministratori di diritto rispetto a quelli di fatto residenti in Italia, la Ctp ha ritenuto che non ci fossero prove a sostegno di tale tesi. Anzi, a ben vedere, in atti emergeva che il soggetto ritenuto presidente del consiglio di amministrazione, aveva partecipato ad una assemblea presso la sede in Lussemburgo, così smentendo la tesi erariale.

Fonte “Il sole 24 ore”

Stop all’appello che non critica la sentenza di primo grado

Il mancato svolgimento di tutte le fasi previste dalla procedura per presentare il ricorso in appello può rivelarsi pericoloso per il contribuente che può vedersi dichiarare inammissibile l’azione proposta.

In caso di consegna diretta alla parte appellata, occorre farsi consegnare una ricevuta recante un numero di protocollo e la sottoscrizione e/o una sigla in grado di riferire la consegna al soggetto incaricato. Entro 30 giorni dalla sua proposizione, è necessario inoltre depositare in segreteria della commissione tributaria adita l’originale dell’appello notificato o copia dello stesso insieme alla ricevuta di consegna. Il gravame non può infine limitarsi a riportare il ricorso iniziale senza opporre critiche alla sentenza di primo grado e neppure in caso di accoglimento parziale ci si può dolere del fatto che la Ctp, pur essendo stato richiesto in primo grado l’integrale annullamento dell’atto impugnato, non si sia conformemente pronunciata in tal senso. Lo ricorda la Ctr Sardegna con la sentenza 204/5/2017 (presidente e relatore Corradini).

Il caso riguardava una contribuente che, dopo avere ricevuto un accertamento Ici per il 2004 relativo a un’area fabbricabile, ricorre in Ctp contestandone l’illegittimità. A suo giudizio, il valore determinato con la delibera adottata dal Comune deve essere ridotto alla metà in quanto solo il 50% dell’area è edificabile mentre il restante, essendo destinato ad edilizia pubblica ed economica/popolare, ha valore pressoché nullo.

Il Comune non si costituisce in giudizio e il giudice di primo grado il 26 gennaio 2011 accoglie parzialmente il ricorso della ricorrente dichiarando non dovute le sole sanzioni.

La contribuente non demorde e propone appello. Ma dopo averlo consegnato il 18 novembre 2011 al Comune non deposita il relativo fascicolo in Ctr. Il Comune non si costituisce, ma la Ctr dichiara inammissibile il ricorso sulla base delle seguenti considerazioni:

• l’appellante, in caso di consegna diretta dell’appello all’ente appellato, a pena di inammissibilità deve sempre farsi consegnare una ricevuta idonea a provare l’avvenuta notifica recante un numero di protocollo e la sottoscrizione e/o una sigla in grado di riferire la consegna al soggetto incaricato;

• l’appellante, entro 30 giorni dalla proposizione dell’appello, a pena di inammissibilità, deve depositare nella segreteria della commissione tributaria adita, l’originale dell’appello notificato o copia dello stesso insieme alla ricevuta di consegna e fatte salve le notifiche avvenute a mezzo di ufficiale giudiziario o messo notificatore, se avvenute prima del 13 dicembre 2014, era altresì tenuto al deposito della copia presso la segreteria della Ctp, obbligo poi eliminato dall’articolo 36 del Dlgs 175/2014 con efficacia non retroattiva;

• l’appellante, a pena di inammissibilità, non può limitarsi a trascrivere il ricorso iniziale senza opporre alcuna critica alla sentenza di primo grado e neppure può dolersi, in caso di accoglimento parziale, del fatto che la Ctp, pur essendo stato chiesto l’annullamento dell’atto impositivo, sarebbe stata obbligata a pronunciarsi in tal senso, in quanto il giudice tributario non può limitarsi ad annullare la pretesa ma deve sempre decidere nel merito.

Fonte “Il sole 24 ore”

Salvi gli errori sui crediti non usati

di Marco Ligrani

In assenza di danno erariale, è illegittima l’iscrizione a ruolo del maggior credito erroneamente riportato in dichiarazione, se non utilizzato in compensazione, né chiesto a rimborso; tanto più se il contribuente lo ha emendato, anche in sede giudiziale, dimostrando la propria perfetta buona fede.

Con questa motivazione, la Ctr di Napoli (sentenza 7753/25/2017 – presidente Marenghi, relatore Spena), in linea con l’orientamento più recente della Cassazione, ha confermato l’annullamento integrale di una cartella di pagamento emessa a seguito del controllo formale di una dichiarazione Iva, con cui una curatela fallimentare aveva, erroneamente, esposto un credito maggiore di quello effettivo.

La vicenda muove dalla liquidazione delle imposte relative all’anno del fallimento, la cui dichiarazione presentava, come detto, un importo maggiore del dovuto. Il controllo automatizzato aveva, dunque, iscritto a ruolo la differenza (pari a circa 500mila euro), maggiorata di sanzioni e interessi, cui aveva fatto seguito la notifica della cartella di pagamento da parte dell’agente della Riscossione.

La curatela aveva, così, proposto ricorso, rilevando, tra l’altro, l’assenza di danno erariale, dovuto al fatto che il maggior credito non era stato, comunque, utilizzato, né in compensazione né, tantomeno, a rimborso.

Peraltro, preso atto dell’errore, la procedura lo aveva, comunque, corretto, successivamente alla notifica della cartella, nella prima dichiarazione utile, dimostrando, in tal modo, la propria buona fede.

Nella sua difesa, l’ufficio aveva chiesto la conferma del proprio operato, ma la Ctp lo aveva censurato, accogliendo le ragioni del fallimento.

Proposto appello, l’Agenzia aveva contestato che, indipendentemente dalla correzione postuma, la mancata presentazione della dichiarazione dell’anno successivo alla sentenza di fallimento impediva di provare la mancata utilizzazione del credito; per questa ragione, a suo dire l’iscrizione a ruolo andava confermata.

La Ctr, tuttavia, ha rigettato l’opposizione del Fisco, non solo perché innovativa rispetto al primo grado, ma anche nel merito.

In particolare, i giudici campani, ricordato il divieto di ius novorum in appello, hanno ribadito che l’eccedenza di credito, erroneamente esposta in dichiarazione, non aveva, comunque, causato alcun ammanco di liquidità nelle casse erariali.

Per altro verso, sotto il profilo soggettivo non vi era stato nessun utilizzo da parte della procedura, che, anzi, presentava un saldo Iva a credito nei confronti dell’erario.

Risultava, per questo, indubbia la buona fede della contribuente, tanto più evidente in quanto, nella prima dichiarazione utile, l’errore che aveva causato il recupero era stato, come detto, definitivamente corretto. È stato, così, confermato l’orientamento oramai consolidato in Cassazione, secondo il quale la correzione della dichiarazione dei redditi può avvenire senza alcuna limitazione e, pertanto, anche in sede contenziosa.

Quanto al merito della vicenda, i giudici hanno richiamato la recente pronuncia della Corte, che ha precisato come l’errore materiale, risultante dalla dichiarazione, non legittima alcun recupero in assenza di danno erariale, che sussiste solo a seguito e per effetto dell’utilizzo del credito non spettante (sentenza 2882/2017).

Fonte “Il sole 24 ore”

Bonus solo per le eco-caldaie

Dal 1° gennaio 2018, l’ecobonus al 65% per l’installazione di caldaie a condensazione (almeno di classe A) in sostituzione di impianti di climatizzazione invernale, riguarda solo gli interventi accompagnati dall’installazione di termostati “evoluti”. Negli altri casi la detrazione è scesa al 50 per cento.

Sono queste le nuove regole introdotte dalla legge di Bilancio per il 2018 (la 205/2017), con l’obiettivo di incentivare gli interventi che consentono un maggiore risparmio energetico. Le modifiche (che riguardano sia le singole unità immobiliari, che i condomìni) hanno toccato soprattutto le percentuali detraibili, mentre nulla è cambiato per gli adempimenti che permettono di fruire dello sconto, così come per il recupero della spesa in 10 rate uguali.

Riduzione al 50%

La novità di maggior rilievo consiste nel passaggio dal 65% al 50% della detrazione relativa alla sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione con efficienza almeno pari alla classe A.

Per caldaie con classe inferiore alla A non è invece più possibile godere dell’ecobonus ma l’intervento di sostituzione può comunque beneficiare della detrazione Irpef del 50% prevista per le ristrutturazioni edilizie (articolo 16-bis del Tuir ), con spesa massima di 96mila euro, destinata a scendere al 36% su 48mila euro dal 2019.

Maxi sconto con il termostato

L’ecobonus resta invece al 65% fino al 31 dicembre 2018 se la sostituzione con impianti dotati di caldaie a condensazione (almeno classe A) viene accompagnata dalla contestuale installazione di sistemi di termoregolazione evoluti, appartenenti alle classi V (termostato d’ambiente modulante che varia la temperatura del flusso dell’acqua), VI (con centralina di termoregolazione e sensore ambientale che consente un controllo della temperatura in uscita dall’apparecchio che varia secondo la temperatura esterna) oppure VIII (con controllo elettronico della temperatura ambientale).

Gli impianti ibridi

La detrazione del 65% si applica inoltre agli interventi di sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di apparecchi ibridi, cioè impianti costituiti da pompa di calore integrata con caldaia a condensazione, assemblati in fabbrica ed espressamente concepiti dal fabbricante per funzionare in abbinamento tra loro.

Micro-cogeneratori al debutto

Da quest’anno la detrazione del 65% è stata estesa all’ acquisto e posa in opera di micro-cogeneratori per la produzione combinata di elettricità e di calore in sostituzione di impianti esistenti, con il limite massimo di 100mila euro.

Condomini

Per gli interventi relativi alle parti comuni dei condomini (non solo caldaie ma anche coibentazione dei tetti, cappotti termici, ecc) rimane confermato l’utilizzo dell’ecobonus al 65% con la possibilità di incrementare lo sconto fino al 70% delle spese sostenute (con il tetto di 40mila euro per unità immobiliare) se l’intervento riguarda più del 25% del superficie disperdente e fino al 75% se, grazie al miglioramento del la prestazione energetica invernale ed estiva, si consegue almeno la qualità media prevista dal Dm 26 giugno 2015.

Cessione del credito

Anche per gli interventi di sostituzione di caldaia è possibile utilizzare la formula della “cessione del credito” a tutti i contribuenti (compresi i soggetti “incapienti” – pensionati con reddito sino a 7.500 euro o lavoratori dipendenti con reddito sino a 8mila euro). Una possibilità che riguarda tutti gli interventi di riqualificazione energetica che beneficiano delle detrazioni fiscali e quindi sia gli interventi su parti comuni condominiali che quelli sulle singole unità immobiliari. Confermata la possibilità per gli “incapienti” di cedere il credito alle banche ed intermediari finanziari. Per tutti gli altri (cosiddetti capienti), la cessione è invece possibile solo nei confronti dell’impresa esecutrice dei lavori e di soggetti diversi da banche e intermediari finanziari.

Entro il 2 marzo 2018 un decreto del ministero dell’Economia (di concerto Infrastrutture, Sviluppo economico e Ambiente) dovrà stabilire i massimali di costo per ogni tipologia di intervento (compresa la sostituzione di caldaia) e definire procedure e modalità dei controlli a campione con cui l’Enea dovrà accertare il rispetto dei requisiti di accesso alle detrazioni per gli interventi di riqualificazione energetica sia dei condomini che delle singole unità immobiliari.

Fonte “Il sole 24 ore”

Dichiarazione fraudolenta con false fatture, il ravvedimento consente di patteggiare

Per accedere al patteggiamento in caso di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture false è possibile aderire al ravvedimento: occorre infatti che il contribuente estingua completamente il proprio debito anche attraverso questa particolare regolarizzazione. A fornire questo principio è la Cassazione con la sentenza 5448/2018 depositata ieri.

La legale rappresentante di una società, imputata del reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture false definiva il procedimento penale patteggiando la pena.

La Procura proponeva ricorreva per Cassazione lamentando che il giudice avesse omesso di verificare i requisiti necessari per il patteggiamento di questa tipologia di delitto.

In particolare, in base all’articolo 13-bis del Dlgs 74/2000, la pena patteggiata è subordinata per i reati tributari all’integrale estinzione del debito, compresi oneri e accessori, ovvero all’ipotesi di ravvedimento operoso.

I giudici di legittimità, riformando la decisione, hanno ritenuto fondato il ricorso. Innanzitutto la Cassazione ha rilevato che la nuova formulazione della norma stabilisce espressamente che per i delitti tributari, l’adesione al patteggiamento può essere chiesta dalle parti solo quando ricorre l’integrale pagamento prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, dei debiti, comprese le sanzioni amministrative e interessi ovvero in presenza di ravvedimento operoso. Fanno eccezione i reati di omesso versamento, di indebita compensazione di crediti non spettanti e di dichiarazione omessa o infedele, per i quali l’integrale pagamento anche tramite ravvedimento configura una causa di non punibilità.

Il reato contestato era di dichiarazione fraudolenta mediante fatture false per il quale l’integrale pagamento o il ravvedimento operoso avrebbero consentito l’accesso al patteggiamento.

Il giudice territoriale aveva omesso qualunque valutazione sulla sussistenza di uno dei due requisiti e di conseguenza che la sentenza doveva essere riformata.

La decisione fa emergere che l’interpretazione dell’amministrazione finanziaria, recentemente confermata a Telefisco 2018, secondo la quale questa tipologia di violazione non è ravvedibile (si veda Il Sole 24 Ore del 2 febbraio scorso), non è corretta. La circolare 180/E/1998 ha precisato che il ravvedimento non era possibile per regolarizzare infedeltà dichiarative riconducibili a condotte fraudolente, quali ad esempio l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. A tale conclusione l’Agenzia giungeva a seguito di una interpretazione restrittiva dell’articolo 13 del Dlgs 472 del 1997 secondo cui sono possibili le regolarizzazioni di «errori e di omissioni». Tuttavia con le novità introdotte nel sistema sanzionatorio penale tale interpretazione sembrava superata.

In occasione di Telefisco 2018, Entrate e Guardia di Finanza hanno sostanzialmente confermato l’esclusione del ravvedimento operoso per l’ipotesi di costi per operazioni inesistenti. La Cassazione ha ora chiaramente affermato che per accedere al patteggiamento, la norma prevede espressamente tale regolarizzazione, senza alcuna esclusione per tipologia di reato, e quindi anche l’utilizzo di fatture false può essere ravveduto.

Fonte “Il sole 24 ore”

Termine biennale per l’istanza di rimborso senza compilazione del quadro

Termine biennale per l’istanza di rimborso senza compilazione del quadro
La richiesta di rimborso del credito di imposta si ritiene formalmente corretta ai fini della prescrizione ordinaria decennale solo se è compilato l’apposito quadro in dichiarazione contenente l’importo di cui si richiede il rimborso mentre in assenza non si configura formale esercizio del diritto al rimborso e si rende applicabile l’articolo 21 del Dlgs 546/92. In questo caso l’istanza deve essere presentata entro due anni dalla data di presentazione della dichiarazione e in caso di contestazione dell’Amministrazione circa la sussistenza del credito di imposta il contribuente è onerato della dimostrazione dei presupposti della spettanza.
Ctp Roma, sentenza 26478/01/2017

Nel concordato preventivo con cessione di beni il liquidatore non resiste in giudizio

ACCERTAMENTO E CONTENZIOSO
Nel concordato preventivo con cessione di beni il liquidatore non resiste in giudizio
Nell’operazione di concordato preventivo la legittimazione del commissario liquidatore è riconoscibile solo nei limiti in cui la pretesa e l’obbligo siano sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione. In tutti i giudizi, compresi quelli tributari il liquidatore non è legittimato ad agire o a resistere in qualità di rappresentante del debitore, che pure rimane soggetto passivo di imposta in relazione agli obblighi di natura tributaria maturati dopo l’ammissione alla procedura concordataria. Questo in quanto l’imprenditore soggetto al concordato preventivo prosegue l’esercizio dell’impresa durante lo svolgimento della procedura anche se questa prevede la cessione dei beni ai creditori.
Ctp Roma, sentenza 26477/01/2017

Iperammortamento, agevolati anche i beni sostituiti

Staffetta” agevolata sui beni iperammortizzabili, con le modalità di recupero del beneficio che sono chiarite operativamente dall’agenzia delle Entrate nel corso di Telefisco.

Ai sensi del comma 35 dell’articolo 1 della legge di Bilancio 2018, in caso di sostituzione del bene imperammortizzabile con altro cespite agevolato si potrà continuare a fruire del beneficio, evitando così che la perdita dell’agevolazione finisca per penalizzare i nuovi investimenti favorendo l’obsolescenza tecnologica. Diversamente, come suggerisce la Relazione illustrativa, si sarebbe rischiato, nel prossimo futuro, di influire negativamente sulle scelte imprenditoriali più opportune per mantenere il livello di competitività raggiunto dalle imprese.

La disposizione introdotta dalla legge 205/2017 prevede che, se nel periodo di fruizione della maggiorazione del costo (ai fini della deducibilità di ammortamenti e canoni leasing), si verifica il realizzo a titolo oneroso del bene oggetto dell’agevolazione, “non viene meno la fruizione delle residue quote di beneficio così come originariamente determinate”. Ciò, essenzialmente, a due condizioni:

venga acquisito ed interconnesso, nello stesso periodo della cessione, un bene sostitutivo dell’originario investimento aventi caratteristiche analoghe o superiori a quelle previste per l’iperammortamento (allegato A alla legge di Bilancio di 2017);

siano attestate, secondo le regole già in vigore per i beni iperammortizzabili (dichiarazione del legale rappresentante, perizia giurata o attestazione di conformità), sia l’effettuazione dell’investimento sostitutivo e la sua interconnessione, sia le caratteristiche “industria 4.0” di quest’ultimo.

Nel corso di Telefisco è stato chiarito che se la sostituzione o l’interconnessione avvengono nel periodo di imposta successivo a quello di realizzo del bene originario, non si potrà più fruire delle residue quote della maggiorazione del 150%, né di quelle sul bene nuovo. Nell’ipotesi in cui il cespite sostitutivo abbia un costo di acquisizione inferiore a quello originario, la fruizione del beneficio prosegue fino a concorrenza del costo del nuovo investimento.

Operativamente, il primo aspetto da esaminare è quello delle ipotesi in cui scatta la nuova disposizione. In primo luogo, dal testo normativo è chiaro (e le Entrate hanno confermato) che la “staffetta” negli investimenti mantiene l’agevolazione solo in caso di iperammortamento, escludendo sia il superammortamento che la maggiorazione sui beni immateriali per i beni iperammortizzabili: il richiamo al “bene materiale strumentale nuovo”, operato dal legislatore, chiude la porta anche a quest’ultima fattispecie.

Tuttavia, sotto l’aspetto temporale, la nuova disciplina si applica anche ai beni iperammortizzabili acquisiti nel 2017 (o nel 2018 per effetto della proroga) e non solo a quelli che beneficiano della riapertura al 2018 (ovvero, a certe condizioni, al 2019), sostituiti a partire dal 2019/2020. In tal senso il richiamo all’articolo 1, comma 9, della legge 232/2016 è conclusivo, come l’Agenzia ha confermato.

Concretamente, potrà capitare che il nuovo investimento sostitutivo abbia un costo di acquisizione:

uguale oppure superiore a quello precedente;

inferiore a quello precedente.

Nel primo caso, l’impresa manterrà il beneficio, nei limiti delle quote residue che avrebbe stanziato se non ci fosse stata la sostituzione (e quindi senza poter maggiorare l’eventuale eccedenza di costo). Nel secondo caso, il costo del nuovo investimento costituisce un limite alla maggiorazione, per cui le quote residue saranno penalizzate.

A seguito dei chiarimenti di Telefisco si può affermare che:

non vi è penalizzazione nel primo anno (quello di sostituzione), atteso che il dimezzamento del coefficiente riguarderà solo l’ammortamento ordinario e non quello maggiorato, che procedere secondo “le residue quote del beneficio”;

in caso di costo di acquisto del nuovo cespite inferiore al precedente, la “scansione” delle quote rimane quella originaria e non viene rallentata (ma solo “stoppata”) dal nuovo limite.

Aggiungiamo che, a quanto sembra, la discontinuità nel possesso (es. cessione a marzo, nuovo acquisto a settembre) non dovrebbe aver effetto sui calcoli, almeno con riferimento all’iperammortamento. Se sul bene ceduto la quota di ammortamento va stanziata anche nell’anno di cessione, pro quota mesi (Oic 16, paragrafo 81), e così occorrerebbe fare per la maggiorazione legata all’iper se non vi fosse il riacquisto (circolare n. 4/E/2017, paragrafo 5.4), realizzando la “staffetta” la quota di iperammortamento dovrebbe restare invariata, con la sola differenza che, in caso di costo inferiore rispetto al cespite originario, ci si ferma prima, in quanto il totale da stanziare viene riproporzionato sul nuovo costo.

Fonte “Il sole 24 ore”

Investimenti esteri nel quadro RW solo se fruttiferi

L’obbligo di compilazione del quadro RW non concerne qualsiasi investimento ed attività estera di natura finanziaria, ma solo quelli potenzialmente idonei a produrre redditi di fonte estera imponibili in Italia. A queste conclusioni è giunta la Ctr Veneto con la sentenza 70/2/2018 (presidente Russo, relatore Lapiccirella).

L’agenzia delle Entrate aveva contestato a due coniugi di non aver dichiarato nelle rispettive dichiarazioni una somma depositata in un conto corrente cointestato acceso presso una banca francese. A parere dell’Ufficio, la normativa sul monitoraggio fiscale (Dl 167/90) avrebbe richiesto ai contribuenti l’obbligo di dichiarare le consistenze finanziarie estere, in quanto la sola disponibilità delle medesime costituirebbe una presunzione legale di redditività. I contribuenti, invece, avevano provato che le somma giacente presso la banca transalpina fosse infruttifera ed improduttiva di interessi, sostenendo quindi che queste attività non fossero suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia.

Richiamando il disposto letterale dell’articolo 4 del citato Dl 167/90, i giudici veneti hanno confermato la sentenza di primo grado, accogliendo nel merito l’eccezione del contribuente che, nel giudizio di prime cure, era stata invece assorbita dal difetto di sottoscrizione dell’atto impugnato.

Per il Collegio lagunare, «la lettera della legge è chiara – debbono esistere redditi prodotti all’estero, che nel caso che occupa sono assenti – ma anche lo spirito della norma depone a favore di un obbligo dovuto almeno alla potenzialità reddituale – anche questa assente».

Quindi, un conto corrente infruttifero non può attribuire al contribuente alcuna potenzialità reddituale, poiché se il legislatore avesse voluto prevedere l’obbligo di dichiarazione per qualunque allocazione di risorse finanziarie estere avrebbe in tal senso formulato il disposto del citato 4. Tale circostanza, invece, non è avvenuta nemmeno con la riformulazione operata dalla legge 97/2013.

Il tenore letterale della norma, quindi, esclude l’obbligo di monitoraggio di ogni asset oltreconfine, prevedendone la necessità solo per quelli suscettibili di produrre un reddito imponibile in Italia. In sede interpretativa, invece, l’agenzia delle Entrate ritiene produttive di reddito da monitorare anche le citate attività finanziarie estere (circolari 38/2013 e 45/2010) e tra le rarissime sentenze che si sono occupate in passato della questione in argomento va segnalato un pronunciamento della Commissione tributaria di II grado di Bolzano (n. 48/2/14) che, anche in quel caso e poiché “in claris non fit interpretatio”, aveva statuito la non necessità di monitorare nel quadro RW un finanziamento infruttifero, confermando come il principio di legalità sancito in ambito tributario dall’articolo 3 Dlgs 472/97 ed il suo corollario principio di tassatività impongano una lettura molto rigorosa del chiaro disposto normativo.

Va infine segnalato che, per la novità della materia del contendere, i giudici veneziani hanno individuato un’idonea motivazione per derogare al principio di soccombenza e compensare tra le parti le spese di giudizio.

Fonte “Il sole 24 ore”

Per la Cassazione le nuove regole sull’imposta di registro non hanno effetto retroattivo

La Cassazione non molla l’osso sull’utilizzo dell’articolo 20 del Testo unico del registro (Dpr 131/1986), nella versione vigente fino al 31 dicembre 2017, per riqualificare gli atti sottoposti alla registrazione a seconda del loro significato economico, dando rilevanza interpretativa anche a elementi extratestuali e al collegamento tra una pluralità di atti. Con la sentenza n. 2007 del 26 gennaio 2018, la Cassazione ha infatti sancito che la modifica della legge di Bilancio non ha valenza retroattiva e che, quindi, per tutte le fattispecie originatesi prima del 1° gennaio 2018, l’articolo 20 non può essere letto – nel modo indicato dal suo nuovo testo – come riferito al solo atto presentato per la registrazione e al suo contenuto giuridico.

Dalle sentenze del 2008 (n. 30055, 30056 e 30057), con le quali la Cassazione ha ritenuto l’esistenza di un immanente principio anti-elusivo, derivato dall’articolo 53 della Costituzione, la giurisprudenza di legittimità si è schierata per utilizzare l’articolo 20 del Tur, in un primo tempo, come la norma anti-elusiva nell’ambito dell’imposta di registro e, da ultimo, come norma che legittima la tassazione della sostanza economica degli atti presentati per la registrazione, tenendo conto anche del loro eventuale collegamento.

Ne è prova l’inversione di rotta sulla questione (share deal/asset deal) della riqualificabilità della cessione di quote societarie come cessione di azienda: dapprima negata (ad esempio, Cassazione 27 dicembre 1948; Commissione centrale a Sezioni unite 38977/1952 e Commissione centrale 3636/1981; Cassazione 5862/2003) e poi affermata dal 2008 al 2015 in molte occasioni.

Ebbene, si presumeva che, nell’estate 2015, con l’introduzione della norma anti-elusiva generale di cui all’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente, la tenzone tra la giurisprudenza di legittimità e il “resto-del-mondo” terminasse: e cioè che l’articolo 20 del Dpr 131/1986, tornasse a svolgere il suo ruolo di norma interpretativa degli effetti giuridici del singolo atto presentato per la registrazione e che le contestazioni in termini di elusività (e di significato economico dell’attività giuridica) fossero formulabili dall’amministrazione e giudicabili dalla giurisprudenza con modalità, procedure e garanzie di cui all’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente.

Mai previsione fu meno azzeccata. La Cassazione (con l’unica eccezione della sentenza 2054/2017, sconfessata dalla giurisprudenza successiva) ha continuato a ritenere l’articolo 20 vocato alla tassazione della “causa reale” degli atti presentati alla registrazione (ad esempio, sentenze 25001/15 e 11873/17), tanto che il legislatore ha dovuto far dire all’articolo 20 quel che l’opinione dominante (eccetto la Cassazione) già riteneva dicesse, e cioè che si tratta di una norma preordinata a tassare il mero significato giuridico del singolo atto presentato alla registrazione.

Il legislatore ha però dimenticato di esplicitare la natura retroattiva della modifica, alla quale si allude solo nei lavori preparatori della legge di Bilancio. Con la conseguenza che è facile per la Cassazione nella sentenza 2007/2018 utilizzare tutta la retorica che viene utile in casi come questo: parlando di «modifica» il legislatore avrebbe inteso significare che il nuovo articolo 20 ha una portata «prettamente innovativa» e che dal suo «dato letterale» si dovrebbe desumere che il legislatore ha voluto operare una «rivisitazione strutturale e antitetica della fattispecie impositiva pregressa».

La Cassazione insomma non ci sta a sentirsi dire come l’articolo 20 del Dpr 131/1986 avrebbe dovuto essere interpretato ante 2018. E c’è da pensare che non sia finita qui, quando si legge, nella sentenza 2007/2018, che il collegamento negoziale e la rilevanza degli elementi extratestuali, fuoriusciti ipso iure dall’articolo 20 del Dpr 131/1986, sono ora di possibile «recupero» nei giudizi dove si applicherà l’articolo 10-bis dello statuto del contribuente. Non è irrealistico prevedere che sulla vicenda share deal/asset deal l’arbitro disporrà un recupero e che la parola “fine” sia ancora tutta da scrivere.

Fonte “Il sole 24 ore”

La dichiarazione «ultratardiva» può evitare il reato tributario

La dichiarazione dei redditi in scadenza il 31 ottobre, non inviata e ravveduta entro il 29 gennaio, è considerata irrimediabilmente omessa, non è tecnicamente oggetto di ravvedimento operoso e consente l’accertamento induttivo del Fisco (ex articolo 41, Dpr n. 600/1973), fondato su presunzioni anche non qualificate. Infatti, l’articolo 13 comma 1 lettera c) del Dlgs n. 472/97 ammette il ravvedimento operoso del mancato invio della dichiarazione dei redditi, a condizione che avvenga entro 90 giorni dal termine ultimo per detto invio e che sia versata la sanzione per la dichiarazione omessa ridotta a 1/10 del minimo.

Tuttavia, nonostante sia ormai spirato il termine entro il quale era sanabile la tardività della dichiarazione originaria se, già a partire da oggi, ci si accorge dell’omissione è utile velocemente attivarsi ed inviare comunque il modello dichiarativo che costituirà titolo per la riscossione, poiché la filosofia che ormai ammanta tutto il sistema assegna una rilevanza sempre più premiale all’utilizzo di rimedi volontari per emendare errori, con forme di resipiscenza che, sebbene non siano ravvedimento in senso proprio, attenuano le conseguenze dell’inadempimento omissivo.

Cosicché, sebbene “ultratardiva”, la presentazione della dichiarazione dimezza le sanzioni tributarie che, dal 120% al 240% delle imposte dovute, sono ridotte al 60% al 120% (articolo 1, comma 1 del Dlgs n. 471/97), se la dichiarazione è presentata entro il termine per l’invio di quella per l’anno successivo e, comunque, prima dell’inizio di un controllo fiscale o di natura penale.

Ma, a ben vedere, vi è molto di più. Infatti, una presentazione “ultratardiva” può rendere non punibile l’eventuale reato di omessa dichiarazione (articolo 5 del Dlgs n. 74/2000) e, se il contribuente versa anche le imposte che alle scadenze ordinarie avrebbe dovuto corrispondere con ravvedimento operoso, le sanzioni irrogabili per l’omissione dichiarativa saranno applicate in misura fissa e non più proporzionale.

Fonte “Il sole 24 ore”

In sostanza, se il contribuente omette la dichiarazione e ravvede il mancato versamento delle imposte risultanti dalla medesima, la sanzione per l’omessa dichiarazione dei redditi/Irap va da 250 a mille euro, come sostenuto nella circolare n. 54/2002, paragrafo 17.1, ove si afferma che tale sia la sanzione «qualora l’imposta accertata sia stata completamente versata dal contribuente» e che «per imposta dovuta si ritiene che debba intendersi la differenza tra l’imposta accertata e quella versata a qualsiasi titolo».

In definitiva, se la dichiarazione è omessa e le imposte non sono versate, la sanzione va dal 120% al 240% del tributo dovuto (sanzione dimezzabile con invio entro i termini dell’anno successivo), mentre se la dichiarazione è omessa ma, ante controlli, le imposte sono versate/ravvedute la sanzione è da 250 a mille euro. Peraltro, in quest’ultima fattispecie, la sanzione sarà ancor più ridotta (da 150 a 500 euro) se la dichiarazione e il pagamento delle imposte avvengono, sempre prima dei controlli, entro il termine per la presentazione della dichiarazione successiva (articoli 1 e 5 del Dlgs n. 471/97).

Successione a due vie, istruzioni per l’uso

Anche le pratiche ereditarie si “allineano” al dominio del web e la dichiarazione di successione diventa telematica, per ora in modo volontario e alternativo alla carta, dal 2019 come unica modalità ammessa. Lo ha stabilito il provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 28 dicembre 2017 (prot. n. 305134) , con il quale è stata approvata anche la modulistica in formato digitale.

Partendo da questa novità di rilievo, in queste pagine approfondiamo gli adempimenti e la tassazione (e relativi “sconti”) che scattano in caso di decesso di una persona.

L’obbligo dichiarativo

Il primo è proprio l’obbligo di presentare la dichiarazione di successione, ovvero di registrare all’agenzia delle Entrate la modulistica con la quale si dichiarano al fisco i beneficiari della successione, la consistenza del patrimonio oggetto di successione e del suo valore imponibile ai fini dei tributi da pagare in caso di trasmissione a causa di morte e cioè l’imposta di successione nonché, se vi sono beni immobili, l’imposta ipotecaria e quella catastale.

Come detto, dal 1° gennaio 2019 scatterà l’obbligo di dichiarazione online: si dovrà trattare comunque di successioni apertesi dal 3 ottobre 2006 in avanti, in quanto, per quelle aperte in precedenza, si continuerà a utilizzare il modulo cartaceo (il “modello 4”, approvato con Dm 10 gennaio 1992). Sempre con modello cartaceo si continueranno a registrare le dichiarazioni di successioni integrative, sostitutive o modificative di tutte le dichiarazioni di successione registrate con il modello 4.

Le regole per quest’anno

Per tutto il 2018, comunque, chi opterà per la dichiarazione in via telematica dovrà seguire queste modalità:

fino al 14 marzo 2018 si dovrà usare il modello informatico approvato con il provvedimento del direttore delle Entrate del 15 giugno 2017;

dal 15 marzo 2018 al 31 dicembre 2018 si potrà usare, in alternativa al modello approvato nel giugno scorso, quello approvato con il provvedimento 305134.

Quest’ultimo provvedimento contiene anche le istruzioni per compilare il nuovo modello informatico: due fascicoli di complessive 85 pagine che, per il numero e il rigaggio assai fitto, assomigliano più a un manuale dell’imposta di successione che a un vademecum per districarsi nei numerosissimi campi in cui sono suddivisi i 17 quadri (da EA a ES) che compongono le 19 pagine del modello in questione. Una complicazione inevitabile date le innumerevoli sfaccettature normative di cui si deve tener conto per fronteggiare le infinite situazioni concrete di una successione.

I tempi di presentazione

Per presentare la dichiarazione la legge concede un anno di tempo dalla data di apertura della successione, e cioè dal giorno del decesso. Vi sono però alcuni casi particolari: ad esempio, nel caso di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, il termine annuale decorre dal giorno in cui scade il termine per redigere l’inventario; in caso di rinuncia all’eredità, il termine decorre dal giorno in cui il chiamato ulteriore viene a conoscenza della rinuncia. Quest’ultima regola vale anche nel caso in cui si verifichino eventi che mutino il quadro ereditario: ad esempio, la scoperta di un testamento di cui non si conosceva l’esistenza.

La dichiarazione di successione non deve però essere presentata se ricorrono entrambe le seguenti condizioni: l’eredità è devoluta al coniuge e ai parenti in linea retta del defunto e l’attivo ereditario ha un valore non superiore a 100mila euro e non comprende beni immobili.

Fonte “Il sole 24 ore”

Le scadenze del saldo Iva al test del calendario

I pagamenti del saldo annuale Iva per il 2017, in unica soluzione o a rate, possono beneficiare di più spostamenti se cadono di sabato o nel periodo dal 1° al 20 agosto. Ad esempio, il saldo Iva per il 2017, in scadenza ordinaria al 16 marzo 2018, può essere versato, con lo 0,40% in più per ogni mese o frazione di mese successivo al 16 marzo, entro il termine ordinario per il saldo delle imposte sui redditi, cioè entro il 30 giugno 2018, che, essendo sabato, slitta a lunedì 2 luglio. I contribuenti potranno anche versare il saldo Iva entro i 30 giorni successivi alla scadenza del 2 luglio 2018. In questo caso, sulle somme dovute fino al 2 luglio 2018, al netto delle compensazioni dei crediti, si dovrà applicare una ulteriore maggiorazione dello 0,40 per cento. Con il differimento del termine al 2 luglio 2018, i 30 giorni successivi, a partire dal 3 luglio 2018, scadono il 1° agosto 2018. La scadenza del 1° agosto slitta poi al 20 agosto in quanto beneficia della proroga estiva. È infatti stabilito che gli adempimenti fiscali e i versamenti da fare con il modello F24 in scadenza dal 1° al 20 agosto possono essere eseguiti fino al 20 agosto senza maggiorazioni.

Le diverse modalità per pagare il saldo Iva
In conclusione, il saldo Iva per il 2017 potrà essere versato:
– in un’unica soluzione entro il 16 marzo 2018, oppure a rate, maggiorando dello 0,33% l’importo mensile di ogni rata successiva alla prima;
– in un’unica soluzione entro il 30 giugno 2018, che, essendo sabato, slitta a lunedì 2 luglio 2018, o entro i 30 giorni successivi al 2 luglio 2018, che, a partire dal 3 luglio 2018, scadono il 1° agosto 2018, che a sua volta slitta al 20 agosto.

Nei predetti casi, l’importo dovuto deve essere maggiorato dello 0,40 per cento, per ogni mese o frazione di mese successivi al 16 marzo (escludendo però il periodo feriale dal primo al 20 agosto); chi paga a rate deve maggiorare prima l’importo da versare dello 0,40% per ogni mese o frazione di mese successivi al 16 marzo, e poi aumentare dello 0,33% l’importo mensile di ogni rata successiva alla prima.

Il calcolo dello 0,40 per cento
L’esempio che segue riguarda un contribuente, che chiude la dichiarazione annuale Iva per il 2017 con un debito Iva di 20 mila euro. Se il contribuente effettua il pagamento dopo il 16 giugno ed entro il 30 giugno 2018, che slitta al 2 luglio 2018, il versamento dell’Iva relativa al saldo annuale 2017 è pari a:

– debito Iva 20.000 euro; maggiorazione totale 1,60% (0,40% dal 17 marzo al 16 aprile, più 0,40% dal 17 aprile al 16 maggio, più 0,40% dal 17 maggio al 16 giugno, più 0,40% dal 17 giugno al 30 giugno); 20 mila euro per 1,60% è uguale a 320 euro; importo dovuto 20.320 euro.

Il debito di 20.320 euro può essere:
– pagato a rate, unitamente ai versamenti dei Redditi 2018;
– versato in unica soluzione, insieme agli altri versamenti dei Redditi 2018.
Il contribuente può anche pagare il saldo Iva maggiorato dello 0,40%, dal 3 luglio al 1° agosto 2018, che slitta al 20 agosto 2018. In questo caso, deve aggiungere però un ulteriore 0,40% al saldo dell’Iva aumentato della maggiorazione dovuta dal 16 marzo al 2 luglio 2018. Nel caso del contribuente, che sposta il pagamento del saldo Iva 2017 di 20 mila euro, tenuto conto che la maggiorazione fino al 2 luglio è uguale a 320 euro, lo 0,40 per cento in più, per l’ulteriore spostamento dal 3 luglio al 20 agosto 2018, deve essere calcolato sull’importo di 20.320 euro. Perciò, lo 0,40% su 20.320 euro è uguale a 81,28 euro; in totale 20.401,28 euro.

Fonte “Il sole 24 ore”

Iva con diritto a detrazione posticipato

Dichiarazioni e adempimenti

Iva con diritto a detrazione posticipato

di Matteo Ravera e Benedetto Santacroce

Il coordinamento tra l’articolo 19 (diritto a detrazione Iva) e 25 (registrazione delle fatture d’acquisto) operato dalla circolare 1/E/2018 rischia di mettere fuori gioco una prassi contabile di gestione delle liquidazioni periodiche. L’Agenzia, aderendo ai principi comunitari, così come declinati dalla Corte Ue (sentenza C-152/02), indica che l’esercizio del diritto alla detrazione è subordinato alla contemporanea sussistenza di un duplice requisito:

•il presupposto sostanziale dell’effettuazione dell’operazione;

•il presupposto formale del possesso di valida fattura d’acquisto.

Un’impostazione operativamente innovativa, in considerazione anche del fatto che la prassi (e l’Agenzia) ha sempre ritenuto prevalente la disposizione di natura sostanziale recata dall’articolo 19 del Dpr 633/1972 sul dato letterale dell’articolo 25, imponendo solo l’obbligo della registrazione prima dell’effettuazione della liquidazione periodica.

L’applicazione dei principi Ue ha come diretta conseguenza, in sede di coordinamento delle norme interne, che il dies a quo da cui decorre il termine per l’esercizio della detrazione deve essere oggi individuato nel momento in cui si verifica la duplice condizione: 1) dell’avvenuta esigibilità dell’imposta e 2) del possesso di una valida fattura. In altri termini, l’imposta diventerà detraibile solo a seguito dell’avvenuta ricezione della fattura. Pertanto, sul piano operativo, avendo acquistato beni nel 2017 si potrà esercitare il diritto alla detrazione nel 2018 per le fatture ricevute dal 1° gennaio 2018, ovvero nella dichiarazione annuale Iva relativa all’anno 2017 per le fatture ricevute entro il 31 dicembre 2017. Pertanto, la data di ricezione della fattura assurge a elemento sostanziale per determinare il periodo a partire dal quale l’imposta diventa detraibile.

Se, da un lato, è vero che tale impostazione parrebbe ridurre le problematiche gestionali (e finanziarie) delle “fatture a cavallo d’anno”, dall’altro lato devono essere attentamente valutati gli impatti potenziali sulla determinazione delle liquidazioni periodiche che sembrano emergere da tale nuova interpretazione.

Più in dettaglio, come dovrà essere gestita, ad esempio, una fattura relativa a un’operazione effettuata a marzo 2018 (data fattura 31/3/2018) ricevuta il 5 aprile 2018? Vale la pena ricordare che il Dpr 100/1998 prevede che si possa portare in detrazione l’Iva sulle fatture di cui si è in possesso nel giorno in cui si esegue la liquidazione (previa annotazione delle stesse nel registro degli acquisti). È inoltre prassi operativa consolidata da parte delle imprese quella di proseguire le registrazioni contabili di un determinato mese (ad esempio marzo 2018) per alcuni giorni del periodo successivo al fine di ricondurre le fatture ricevute nei primi giorni del mese successivo al corretto periodo di competenza (cioè mese di effettuazione dell’operazione) e farle concorrere alla relativa liquidazione periodica. Ebbene, applicando le indicazioni della circolare 1/2018, l’Iva relativa a tali fatture non può più essere detratta nel mese di effettuazione dell’operazione pur avendo ricevuto e registrato il documento entro il termine per la relativa liquidazione periodica, posticipando quindi l’esercizio del diritto al periodo successivo.

In tal senso si spiega il passaggio della circolare in cui l’Agenzia ritiene non sanzionabili solo i comportamenti adottati dai contribuenti in sede di liquidazione Iva relativa al mese di dicembre 2017 difformi rispetto alle indicazioni fornite nel documento di prassi. Il riferimento è, infatti, ai soggetti passivi che, avendo ricevuto entro il 16 gennaio 2018 fatture relative a operazioni la cui imposta sia divenuta esigibile nel 2017, abbiano fatto concorrere l’imposta a credito, esposta nei predetti documenti contabili, alla liquidazione relativa al mese di dicembre 2017. Parrebbe potersi concludere pertanto che, già a partire dalla liquidazione relativa a gennaio (16 febbraio 2018), sarà necessario adeguarsi alle nuove indicazioni per non incorrere in sanzioni.

Fonte “Il sole 24 ore”

Lo spesometro diventa più leggero e guadagna la proroga

Lo spesometro imbocca la strada della semplificazione in attesa di scomparire con il debutto della fattura elettronica obbligatoria. E per la prima volta dopo 18 anni arriva l’applicazione delle norme dello Statuto del contribuente che prevedono un intervallo di 60 giorni tra l’emanazione di nuove regole e la scadenza del relativo adempimento. In questo modo il termine del 28 febbraio per l’invio dei dati delle fatture del secondo semestre 2017 e delle integrazioni senza sanzioni di quelle del primo semestre è destinato a slittare tra la fine di marzo e il mese di aprile. Aspetti su cui esprime «soddisfazione» il viceministro dell’Economia, Luigi Casero, nel commentare la bozza di provvedimento delle Entrate messa ieri in consultazione pubblica sul sito istituzionale . «Sono state accolte le istanze di grande semplificazione», continua Casero, emerse nel corso dei tavoli di confronto con operatori e professionisti istituiti all’indomani del caos che ha accompagnato tra settembre e ottobre la trasmissione delle informazioni relative a fatture emesse e ricevute nei primi sei mesi dello scorso anno. Parla di «fatto molto positivo» il presidente dei commercialisti, Massimo Miani, in relazione alla proroga e apprezza il metodo del confronto: «Molto probabilmente nel merito del provvedimento sul quale si aprirà ora il confronto resteranno le nostre distanze rispetto a quanto previsto da Entrate e Mef, ma non possiamo che accogliere positivamente questa novità per il metodo adottato, che ci auguriamo diventi la norma nei rapporti tra amministrazione fiscale e professionisti».

Il restyling recepisce le indicazioni formulate dal direttore dell’Agenzia, Ernesto Maria Ruffini, in commissione Finanze alla Camera in cui annunciava l’addio ai dati superflui (si veda Il Quotidiano del Fisco del 18 ottobre ). Un addio che si riscontra soprattutto nelle «specifiche tecniche e regole per la compilazione dei dati delle fatture» che accompagnano la bozza di provvedimento. Ad esempio se si guarda alle fatture emesse restano obbligatori solo i dati relativi alla partita Iva e del Paese del cedente o prestatore mentre diventano opzionali tutta una serie di informazioni che avevano complicato la vita di intermediari e contribuenti nel primo invio, tra questi la denominazione delle ditte o delle società, gli indirizzi, il numero civico e il Cap .

Tra le novità spicca senza dubbio la possibilità concessa a imprese e autonomi di optare per un invio semestrale dei dati in luogo di quello trimestrale. Ritorna poi il documento riepilogativo per le micro-fatture sotto i 300 euro. Una novità che consente ai soggetti di inviare i seguenti dati del documento riepilogativo: partita Iva del cedente o del prestatore per il documento riepilogativo delle fatture attive, partita Iva del cessionario o committente per il documento riepilogativo delle fatture passive, data e numero del documento riepilogativo, l’imponibile complessivo e l’imposta complessiva distinti secondo l’aliquota applicata.

La semplificazione, spiegano dall’Agenzia, avrà effetto retroattivo sulle comunicazioni integrative che i contribuenti vorranno inviare entro la prossima scadenza per correggere errori del primo invio. E per venire incontro agli intermediari arriva anche la «retro-compatibilità» dei software di mercato utilizzati da imprese e studi professionali per la comunicazione del primo semestre 2017. Per chi vorrà invece utilizzare software ufficiali delle Entrate, l’amministrazione renderà disponibili due nuovi programmi di controllo e di compilazione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Finisce l’era della scheda carburante

L’addio alla scheda carburante si accompagna a una serie di previsioni in materia di contrasto all’evasione fiscale nel settore della commercializzazione e distribuzione dei carburanti, attuate anche mediante l’introduzione della fatturazione elettronica.
Dal 1° luglio, infatti, è prevista l’emissione della fattura elettronica per le cessioni di benzina o di gasolio destinati a essere utilizzati come carburanti per motori. Così, per effetto del comma 917 della legge di Bilancio 2018 , la fatturazione elettronica B2B viene anticipata rispetto all’obbligo generalizzato che scatterà dal 2019.
La norma non individua chiaramente i soggetti destinatari dell’obbligo, visto che si riferisce solo alla tipologia di beni ceduti e al loro utilizzo. Tuttavia, le schede di lettura alla manovra, commentando il successivo comma 918 – relativo all’utilizzo dei dati delle predette fatture elettroniche da parte del Fisco – si riferiscono ai documenti emessi da parte dei gestori dei distributori di carburanti, così potendo ipotizzare che l’obbligo possa riguardare solo questi ultimi.
Al contempo, viene implementato il terzo comma dell’articolo 22 del Dpr 633/1972, prevedendo che gli acquisti di carburante da autotrazione effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti passivi Iva devono essere documentati con fattura elettronica.
È stato poi previsto (comma 921) che per i gestori di impianti di distribuzione resta fermo l’esonero della certificazione dei corrispettivi (articolo 2, comma 1, lettera b), Dpr 696/1996), ma solo nel caso di clienti che acquistano al di fuori dell’esercizio d’impresa, arte e professione.
Alla fattura elettronica verso soggetti passivi si accompagna la soppressione della scheda carburante (comma 926).
Ma non è finita qui. Infatti, in coda alla lettera d) dell’articolo 19-bis.1 del decreto Iva, che stabilisce le regole di detrazione dell’imposta relativa agli acquisti afferenti aeromobili, natanti da diporto e veicoli stradali a motore, è stato previsto che le operazioni devono essere provate mediante pagamenti tracciati. Nella sostanza, la detrazione dell’Iva in relazione a detti acquisti dipende dall’adozione di un determinato metodo di pagamento, non tenendo conto che la predetta lettera d) non si riferisce solo ai carburanti, ma anche ai lubrificanti e alle prestazioni relative ai predetti mezzi. Nonostante la formulazione infelice, parrebbe di poter affermare che il pagamento tracciato, come condizione per la detraibilità, è riferibile solo ai carburanti, come specificato anche nelle schede di lettura della legge di Bilancio, e anche in funzione della collocazione della disposizione normativa, ossia tra i commi dedicati al contrasto all’evasione fiscale nella distribuzione di carburanti.
Per pagamenti tracciati si intendono quelli effettuati tramite carte di credito, di debito o prepagate, emesse dagli intermediari soggetti agli obblighi di cui all’articolo 7 del Dpr 605/1973, o da altro mezzo che potrà essere ritenuto idoneo mediante provvedimento del Direttore delle Entrate.
Analoga disposizione è stata introdotta nell’articolo 164 del Tuir, in relazione alla deducibilità del costo. Va qui però segnalato il mancato richiamo a ulteriori provvedimenti. Sul punto ci si attende tuttavia che l’Agenzia delle entrate offra un’interpretazione estensiva, consentendo l’adozione di altri mezzi di pagamento, come per l’Iva.
Ma restano sullo sfondo anche altre questioni sulle quali sarebbe opportuno un intervento ufficiale. Tra queste, sicuramente, anche quella di comprendere se i rifornimenti effettuati tramite la procedura del netting siano soggetti all’obbligo di fatturazione elettronica “anticipata” e quella relativa alla possibilità, o meno, di certificare mediante un’unica fattura riepilogativa i rifornimenti del mese e le relative modalità.
Agli esercenti di impianti di distribuzione di carburante è attribuito un credito d’imposta pari al 50 per cento delle commissioni addebitate per le transazioni effettuate, a partire dal 1° luglio 2018, tramite sistemi di pagamento elettronico, utilizzabile in compensazione.

Fonte “Il sole 24 ore”

In arrivo il Bonus pubblicità per startup e PMI. Previsti 62,5 milioni per il 2018

Tra le nuove misure della Legge di Bilancio 2018 arrivano le detrazioni fiscali per chi acquista spazi pubblicitari: 75% per tutti gli investimenti e 90% di detrazione se si tratta di microimprese, startup e Pmi innovative.

La pubblicità è l’anima del commercio, diceva Henry Ford. Ebbene anche il Governo la pensa allo stesso modo. Infatti per la prima volta nella legge di Bilancio di quest’ anno viene dato spazio al mondo della comunicazione con una importante novità, il riconoscimento di misure agevolative nei confronti di tutti coloro che investiranno in advertising in tv e radio, nonché su quotidiani e magazine cartacei e online.

Novità nella novità è che il bonus pubblicità non è rivolto solo agli investimenti pubblicitari del prossimo anno, ma anche a quelli effettuati tra il 24 giugno e il 31 dicembre 2017. E per questo intervallo di tempo l’ammontare totale detraibile ammonta a 20 milioni di euro.

Il “Rapporto sull’industria italiana dei quotidiani”

Il biennio 2015-2016 si è chiuso con un calo complessivo della diffusione dei quotidiani di poco inferiore al 20% con flessione accentuata nell’ultimo anno (-11,5% contro il -9% del 2015). Il Rapporto segnala che «i primi mesi del 2017 non sembrano discostarsi da questo trend». Non va meglio la raccolta pubblicitaria con un mercato che, se a livello generale si mostra in ripresa, ha dall’altra parte nella stampa cartacea un punto sul quale intervenire, visto che fra 2010 e 2017 il calo degli investimenti pubblicitari sul mezzo è stato di oltre il 50% «a un ritmo doppio rispetto al mercato. La profonda crisi che attraversa l’editoria impone cambiamenti importanti». Partendo da questo trend, il Governo ha approvato il decreto che contiene norme relative agli sgravi fiscali per quelle aziende che investono in pubblicità nel settore editoriale italiano (quotidiani e periodici, radio e tv locali, testate online). Il provvedimento mira principalmente a risollevare il settore che è in crisi da circa un decennio.

Il bonus pubblicità

Per chi effettua investimenti pubblicitari dal 24 giugno al 31 dicembre 2017 è previsto il bonus pubblicità. Si tratta di un credito di imposta da scontare sulle tasse che verranno corrisposte a luglio 2018. L’importo dello sconto è pari al 75% per tutti i contribuenti e al 90% per microimprese, pmi e start-up innovative. Il bonus vale sia per l’acquisto di spazi pubblicitari su testate giornalistiche di carta, sia su quelle online (che, a parità di prezzo, consentono una maggiore permanenza dell’inserzione). Questo significa che se un’azienda intende acquistare un trafiletto, una o più colonne o un’intera pagina su una rivista o un quotidiano, il 75% della spesa le sarà pagata dallo Stato. Per la piena operatività della norma agevolativa bisogna comunque aspettare il Decreto attuativo del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm) che dovrà stabilire modalità e criteri di attuazione, con particolare riguardo a tipologie di investimenti ammessi al beneficio.

Come funziona il bonus pubblicità?

Ad usufruire del bonus pubblicità sono tutti gli investimenti in campagne pubblicitarie aventi un importo maggiore di almeno l’1% rispetto a quanto investito per lo stesso settore nell’anno precedente i cosiddetti investimenti pubblicitari incrementali.

 Dove è possibile fare pubblicità?

Il bonus pubblicità opera su una larga scelta di opzioni: quotidiani e periodici (settimanali, mensili, trimestrali ecc.), riviste online e webzine, emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali. Si può trattare di testate giornalistiche nazionali, o locali.

 Chi può usufruire del bonus pubblicità?

A godere dello “sconto” per l’acquisto di campagne pubblicitarie sono:

  • Lavoratori autonomi e titolari di partita Iva;
  • Professionisti (sia iscritti che non iscritti ad albi, ruoli o collegi);
  • Imprese, di qualsiasi natura giuridica (ditte individuali, società, start-up innovative).

Si tratta di una grossa novità per le startup che, in questo modo, potranno utilizzare la leva dell’advertising non solo per farsi conoscere, ma anche per risparmiare una cospicua voce in budget.

Quali sono le spese che rientrano nel bonus?

A usufruire del bonus sono le spese pubblicitarie effettuate tra il 24 giugno 2017 e il 31 dicembre 2017. Residuano quindi ancora un paio mesi per poter rientrare nel beneficio fiscale. Gli investimenti devono però essere effettuati in misura maggiore dell’anno precedente pari ad almeno l’1%.

Dove presentare la domanda per il bonus?

La domanda per il bonus andrà presentata in via telematica (on line) al Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri; le procedure di dettaglio per l’utilizzo del credito saranno stabilite dal DPCM attuativo in arrivo tra qualche settimana.

 

Voucher per la digitalizzazione delle Pmi

Cos’è

È una misura agevolativa per le micro, piccole e medie imprese che prevede un contributo, tramite concessione di un “voucher”, di importo non superiore a 10 mila euro, finalizzato all’adozione di interventi di digitalizzazione dei processi aziendali e di ammodernamento tecnologico.

La disciplina attuativa della misura è stata adottata con il decreto interministeriale 23 settembre 2014.

Cosa finanzia

Il voucher è utilizzabile per l’acquisto di software, hardware e/o servizi specialistici che consentano di:

  • migliorare l’efficienza aziendale;
  • modernizzare l’organizzazione del lavoro, mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici e forme di flessibilità del lavoro, tra cui il telelavoro;
  • sviluppare soluzioni di e-commerce;
  • fruire della connettività a banda larga e ultralarga o del collegamento alla rete internet mediante la tecnologia satellitare;
  • realizzare interventi di formazione qualificata del personale nel campo ICT.

Gli acquisti devono essere effettuati successivamente alla pubblicazione sul sito web del Ministero del provvedimento cumulativo di prenotazione del Voucher adottato su base regionale.

Le agevolazioni

Ciascuna impresa può beneficiare di un unico voucher di importo non superiore a 10 mila euro, nella misura massima del 50% del totale delle spese ammissibili.

Come funziona

Con decreto direttoriale 24 ottobre 2017 sono state definite le modalità e i termini di presentazione delle domande di accesso alle agevolazioni. Le domande possono essere presentate dalle imprese a partire dalle ore 10.00 del 30 gennaio 2018 e fino alle ore 17.00 del 9 febbraio 2018. Già dal 15 gennaio 2018 è possibile accedere alla procedura informatica e compilare la domanda. Per l’accesso è richiesto il possesso della Carta nazionale dei servizi e di una casella di posta elettronica certificata (PEC) attiva e la sua registrazione nel Registro delle imprese.
Entro 30 giorni dalla chiusura dello sportello il Ministero adotterà un provvedimento cumulativo di prenotazione del Voucher, su base regionale, contenente l’indicazione delle imprese e dell’importo dell’agevolazione prenotata.

Nel caso in cui l’importo complessivo dei Voucher concedibili sia superiore all’ammontare delle risorse disponibili (100 milioni di euro), il Ministero procede al riparto delle risorse in proporzione al fabbisogno derivante dalla concessione del Voucher da assegnare a ciascuna impresa beneficiaria. Tutte le imprese ammissibili alle agevolazioni concorrono al riparto, senza alcuna priorità connessa al momento della presentazione della domanda.

Ai fini dell’assegnazione definitiva e dell’erogazione del Voucher, l’impresa iscritta nel provvedimento cumulativo di prenotazione deve presentare, entro 30 giorni dalla data di ultimazione delle spese e sempre tramite l’apposita procedura informatica, la richiesta di erogazione, allegando, tra l’altro, i titoli di spesa.

Dopo aver effettuato le verifiche istruttorie previste, il Ministero determina con proprio provvedimento l’importo del Voucher da erogare in relazione ai titoli di spesa risultati ammissibili.

Presentazione delle domande di accesso al Voucher

Le domande per l’accesso al voucher devono essere presentate esclusivamente attraverso l’apposita procedura informatica, accendendo nell’apposita sezione “Accoglienza Istanze” e cliccando sulla misura “Voucher per la digitalizzazione” (funzionalità disponibile a partire dalle ore 10:00 del 15 Gennaio 2018)

Per accedere alla procedura informatica bisogna essere in possesso oltre che di una casella PEC attiva e registrata nel Registro delle imprese, anche della Carta nazionale dei servizi e del relativo PIN rilasciato con la stessa.

La trasmissione della domanda è consentita a partire dalle ore 10.00 del 30 Gennaio 2018 e fino al termine ultimo delle ore 17.00 del 9 febbraio 2018.

Si raccomanda di procedere alla compilazione della domanda e alla firma digitale della stessa tempestivamente, così da avere tutto il tempo per risolvere eventuali criticità.
Si ricorda ad ogni modo che non è previsto un ordine cronologico per l’attribuzione del Voucher e che le domande di agevolazioni presentate nel suddetto periodo di trasmissione delle domande sono considerate come pervenute nello stesso momento. Nel caso in cui le risorse disponibili a livello regionale non siano sufficienti a coprire le richieste pervenute da parte delle imprese è prevista una procedura di riparto delle risorse finanziarie in proporzione alle richieste delle imprese.

Per un supporto tecnico relativo all’accesso alla procedura informatica e alla compilazione delle istanze scrivere a: voucherdigitalizzazione.istanzedgiai@mise.gov.it oppure chiamare al numero 06-64892998.

Nel 770 i canoni per gli affitti brevi

Via libera definitiva ai modelli CU 2018 e 770 2018, che sono stati aggiornati, tra l’altro, con la nuova ritenuta del 21% sulle locazioni brevi. L’agenzia delle Entrate, infatti, con il provvedimento del 15 gennaio 2018, ha approvato sia la Certificazione unica che il modello 770.

La prima (si veda articolo in basso) va utilizzata dai sostituti d’imposta, per comunicare in via telematica alle Entrate i dati fiscali delle ritenute operate nel 2017, oltre che gli altri dati contributivi e assicurativi richiesti. In essa sono riportati i dati dei redditi di lavoro dipendente, i Tfr, le prestazioni in forma di capitale erogate da fondi pensione, i redditi di lavoro autonomo, le provvigioni e i redditi diversi, oltre che i dati contributivi. L’invio telematico del modello CU 2018 alle Entrate dovrà essere effettuato entro il 7 marzo 2018. Una copia del modello CU, poi, andrà consegnato ai sostituiti entro il 31 marzo 2018.

Il modello 770 2018, invece, dovrà essere trasmesso alle Entrate entro il 31 ottobre 2018, con la stessa scadenza dei modelli Redditi 2018 e Irap 2018.

Quest’anno, nel modello 770 2018, vi è l’obbligo per i soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, nonché di quelli che gestiscono i portali telematici, e che contemporaneamente incassano o intervengono nella riscossione del canone di contratti di locazione breve (cioè quelli «ad uso abitativo», «non superiori a 30 giorni» e «stipulati dal 1° giugno 2017» tra persone fisiche), di indicare la ritenuta d’acconto o d’imposta («a seconda che sia stata effettuata o meno, da parte del locatore, l’opzione per la cedolare secca») del 21% su questi canoni ricevuti dal conduttore, nel momento in cui pagano questi importi ai locatori (codice tributo 1919).

Inoltre, il quadro SK è stato adeguato alle modifiche attuate dal decreto del 26 maggio 2017 agli utili distribuiti da partecipazione qualificata in soggetti Ires, formati con utili prodotti a partire dal primo gennaio 2017. Questi, infatti, concorrono a formare il reddito complessivo nella misura del 58,14% e non più al 49,72 per cento.

L’invio del 770 2018 potrà avvenire con un massimo di tre flussi, che dovranno ricomprendere complessivamente le 5 tipologie di ritenute individuate (dipendente, autonomo, capitale, locazioni brevi e altre ritenute). Se si opterà per l’invio separato dei dati, si dovrà barrare le caselle del flusso inviato nella sezione «Quadri compilati e ritenute operate», indicando nella sezione «Gestione separata» il codice fiscale del soggetto incaricato che invia separatamente il flusso o i flussi inerenti alle altre tipologie reddituali, barrando anche la casella o le caselle inerenti alle tipologie reddituali che saranno trasmesse dall’altro soggetto incaricato. Attenzione, però, che in caso di invio separato del modello, in presenza del flusso «autonomo» (cioè relativo alle ritenute operate su redditi di lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi), il flusso «locazioni» dovrà essere necessariamente unito a quello «autonomo».

Fonte “Il sole 24 ore”

Detrazione Iva con margini più ampi

Regole più chiare per la liquidazione Iva di oggi e in generale per l’esercizio del diritto a detrazione dell’Iva sugli acquisti del 2017. L’agenzia delle Entrate, infatti, con il provvedimento di ieri con cui ha approvato i modelli di dichiarazione Iva 2018 concernenti l’anno 2017 e le relative istruzioni, ha modificato la bozza precedentemente diramata in cui era ancora previsto – come per le annualità precedenti – in modo non coerente con l’attuale assetto normativo, un legame al termine del 31 dicembre dell’anno relativo al periodo in cui si esercita il diritto a detrazione. Infatti, per la compilazione del quadro VF, era stabilito che nel quadro dovevano essere indicati l’imponibile e l’imposta relativi ai beni e servizi acquistati e importati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione, risultanti da fatture e bollette doganali di importazione annotate nell’anno 2017 sul registro degli acquisti di cui all’articolo 25 ovvero su altri registri previsti da disposizioni riguardanti particolari regimi, tenendo conto delle variazioni di cui all’articolo 26 registrate nello stesso anno.

Nella versione definitiva delle istruzioni non c’è più il riferimento all’anno 2017. Ciò significa che nel quadro VF vanno indicati l’imponibile e l’imposta relativi ai beni e servizi acquistati e importati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione, risultanti da fatture e bollette doganali di importazione annotate sul registro degli acquisti.

Per esercitare il diritto a detrazione, quindi, è necessario che i relativi documenti siano annotati nel registro anteriormente all’esercizio del diritto a detrazione che deve avvenire entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno in cui l’imposta è divenuta esigibile.

Le nuove regole sulla detrazione Iva, introdotte dal Dl 50/2017 hanno, infatti, sul piano operativo e, se non ben gestite, sul piano finanziario un effetto di notevole importanza sulle operazioni di fine anno e, in particolar modo, relativamente a tutte le fatture passive del 2017 che il cessionario/committente riceve nel corso del 2018.

Non essendo più possibile esercitare il diritto alla detrazione in un periodo di imposta diverso da quello nel quale si è verificata l’esigibilità dell’imposta, per le operazioni relative al periodo di imposta 2017, la cui Iva risulta esigibile in detto anno, il diritto a detrazione viene esercitato nelle liquidazioni di ciascun periodo e comunque al più tardi con la dichiarazione annuale relativa al periodo di imposta in cui l’imposta è divenuta esigibile. Le fatture relative alle operazioni realizzate nel 2017 e ricevute nei primi 16 giorni del mese di gennaio 2018, quindi, potranno essere annotate nel registro di cui all’articolo 25 con riferimento al 2017 e la relativa imposta potrà essere portata in detrazione con la liquidazione in scadenza oggi, termine entro cui i contribuenti mensili sono tenuti alla liquidazione e al versamento dell’Iva relativa al mese di dicembre 2017.

È chiaro che le fatture ricevute nel medesimo periodo, ma relative a operazioni divenute esigibili nel corso del 2018, concorreranno alla liquidazione del prossimo mese di febbraio e la relativa imposta sarà liquidata con riferimento all’Iva 2018.

Le aziende e i professionisti che si trovano a dover gestire contemporaneamente la registrazione delle fatture relative al 2017 e quelle del 2018, potrebbero procedere alla creazione di un registro sezionale, da cui estrapolare le fatture registrate nel 2018 ma divenute esigibili nel 2017.

Pertanto, l’imposta relativa alle fatture esigibili nel 2017 e ricevute entro oggi, potrà essere portata in detrazione con il versamento effettuato in data odierna, mentre l’imposta relativa alle fatture esigibili nel 2017, ma ricevute da domani e sino al prossimo 30 aprile (qualora si attenda detto termine ultimo per la presentazione della dichiarazione Iva annuale), potrà essere portata in detrazione direttamente in dichiarazione. Tutto rinviato al 16 marzo, invece, per i contribuenti trimestrali che liquidano entro quella data il quarto trimestre 2017.

Fonte “Il sole 24 ore”

Clausole a favore dell’exit strategy

Quando un’impresa in forma societaria viene programmata sulla base di un accordo tra un socio di maggioranza e un socio di minoranza, la prassi professionale immancabilmente suggerisce che nello statuto della società in questione vi siano, tra le altre:

– clausole anti-stallo, vale a dire clausole che scongiurino l’evenienza del disaccordo dei soci e che esso provochi una paralisi dell’attività societaria (che può addirittura condurre, nei casi più gravi, allo scioglimento della società stessa);

– clausole che tutelino il socio di minoranza, nell’ipotesi in cui il socio di maggioranza intenda uscire dalla società, alienando la sua quota di partecipazione;

– clausole che tutelino il socio di maggioranza nel caso in cui egli voglia vendere la sua quota di partecipazione ma il potenziale acquirente ponga la condizione di acquisire tutto il capitale sociale (e, quindi, non solo la quota del socio di maggioranza).

I tipi di clausole

Le clausole anti-stallo, di solito, prevedono la reiterazione dei tentativi di arrivare a una decisione concordata (ad esempio, disponendo che si svolgano altre riunioni, dopo quella andata in fumo per il mancato formarsi del quorum decisionale occorrente) e, in caso di fallimento di questi tentativi di accordo, impongono una escalation del livello decisionale: vale a dire, ad esempio, che se gli amministratori non si mettono d’accordo, la decisione venga rimessa all’assemblea dei soci; e che, se anche qui, non si raggiunge l’accordo, se si tratta di una società-veicolo, la questione venga rimessa ai capi-azienda delle rispettive case-madri. Oltre a questi rimedi, o in connessione con essi, si può poi ricorrere ad altre soluzioni più “vigorose”, come, ad esempio, quella della russian roulette, illustrata nell’articolo qui a fianco.

La clausola che tipicamente si utilizza per tutelare il socio di minoranza nel caso in cui questi tema di avere svantaggi qualora il socio di maggioranza venga la propria quota prende il nome (mutuato dalla contrattualistica anglo-americana) di clausola di tag-along (diritto di co-vendita): con essa, in sostanza, il socio di minoranza ottiene il diritto di “appiccicarsi” (tag significa infatti “etichetta”) al socio di maggioranza e, cioè, di vendere la propria quota alle stesse condizioni concordate dal socio di maggioranza con il terzo acquirente.

Il socio di maggioranza, dal canto suo, ha il problema contrario: e cioè quello di tutelarsi nel caso in cui il potenziale acquirente sia disposto a comprare la quota del socio di maggioranza solo se anche il socio di minoranza venda la propria partecipazione. Due sono, di solito, le clausole con le quali questo problema viene gestito:

– la clausola di drag along, recante il diritto del socio di maggioranza di trascinare con sé nella vendita l’altro socio;

– la clausola di bring along, simile alla precedente, ma con la variante che il diritto di trascinamento spetta non al socio di maggioranza ma al terzo acquirente.

Le clausole di tag, drag e bring along sono di solito strutturate come opzioni (call o put): vale a dire, ad esempio, con riguardo al tag, che il socio di minoranza ha un’opzione put, e cioè di pretendere dal socio di maggioranza la vendita della propria quota a favore del terzo potenziale acquirente; e, con riguardo al drag, che il socio di maggioranza ha un’opzione call, e cioè di pretendere l’acquisto, a favore del terzo, della quota del socio di minoranza.

Il Notariato del Triveneto

Così strutturate, le clausole in questione si possono introdurre nello statuto (e, poi, modificare o rimuovere) solo con il consenso del socio che da esse ritrae il diritto di vendita o di acquisto. Secondo un recente orientamento del Notariato triveneto , peraltro, una decisione a maggioranza sarebbe legittima se la clausola sia strutturata come diritto del socio di maggioranza di terminare l’esistenza della società e di metterla in liquidazione (massima H.I.19).

Caratteristica comune di queste clausole è che esse (specie in base a una nota sentenza del Tribunale di Milano, datata 31 marzo 2008) devono assicurare al socio di minoranza una valorizzazione della sua quota almeno pari a quella che egli otterrebbe in caso di recesso dalla società. Ma si tratta di una tesi che appare discutibile, specialmente in base all’argomento secondo il quale queste clausole vengono introdotte in statuto con il consenso di tutti i soci. Essi – a tacere del fatto che sono tutti imprenditori dotati di assistenza professionale – ben sanno quel che firmano quando approvano lo statuto che contiene queste clausole, dalle quali evidentemente non si sentono vessati.

Fonte “Il sole 24 ore”

La consegna non salva dalla frode Iva

Nelle frodi “carosello” la prova della non consapevolezza dell’acquirente, che salva la detrazione dell’Iva, non ruota attorno alla regolarità delle scritture contabili o al fatto che la merce sia stata effettivamente consegnata e pagata, ma alla impossibilità di conoscere, con la normale diligenza imprenditoriale, il carattere fraudolento dell’operazione. È questo il principio stabilito dalla Ctr Lazio nella sentenza 3404/19/2017 del 13 giugno scorso (presidente Lentini, relatore Terrinoni).

Il caso
L’agenzia delle Entrate contestava ad una Srl l’indebita detrazione dell’Iva derivante da operazioni ritenute soggettivamente inesistenti (operazioni reali ma tra soggetti diversi da quelli indicati in fattura) perché intervenute con società “filtro” coinvolte in un sistema di frodi.

La società proponeva ricorso contestando l’assenza della prova circa la propria consapevolezza dell’attività fraudolenta realizzata dai cedenti. Il ricorso veniva accolto in primo grado.

La decisione
L’Agenzia proponeva appello. La Ctr Lazio, ribaltando la decisione di primo grado, ha ritenuto fondato l’avviso di rettifica valorizzando la presenza di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti addotti dall’ufficio. In particolare, l’assenza di attività commerciale e struttura organizzativa dei fornitori, testimoniata dalla mancanza di una sede societaria e di beni strumentali, l’omissione della dichiarazione dei redditi e dei versamenti Iva comproverebbero la soggettiva inesistenza delle operazioni.

Di contro, secondo la Ctr, la dimostrazione da parte del contribuente del transito delle merci e del pagamento delle relative fatture non sarebbe rilevante, né può ritenersi decisiva la regolarità delle scritture contabili poiché tali circostanze non escludono la possibile ricorrenza di un meccanismo di frode Iva (si veda Cassazione, sentenza 8011/2013 e ordinanza 10252/2013). La prova della buona fede della società accertata non può far leva quindi su tali elementi e sulla generica affermazione della non partecipazione alla frode, occorrendo dimostrare la propria estraneità e il non avere avuto conoscenza o conoscibilità dell’intera operazione.

L’onere della prova
La tematica del diritto alla detrazione dell’Iva in presenza di fatture per operazioni inesistenti, su cui pende anche un giudizio davanti alla Corte di giustizia Ue a seguito dell’ordinanza di rinvio della Ctr Lombardia 1714/1/2017 dello scorso 10 novembre, è sempre attuale. Se ne è occupata anche la circolare 1/2018 della Gdf che, richiamando il prevalente orientamento giurisprudenziale (Cassazione 5406/2016), sottolinea come la sussistenza di una frode Iva debba essere adeguatamente dimostrata in primis dagli organi di controllo.

Le regole sulla distribuzione dell’onere della prova (Cassazione 25538/2017 e 25545/2017) in tema di fatture soggettivamente inesistenti prevedono che sia l’ufficio a dare dimostrazione dell’accordo fraudolento posto in essere tra interposto e interponente, nonché della consapevole partecipazione alla frode dei vari soggetti coinvolti (ovvero il fatto che questi «sapevano o avrebbero dovuto sapere») attraverso elementi anche presuntivi (articolo 2727 del Codice civile). Spetta invece al contribuente provare la corrispondenza anche soggettiva tra l’operazione di cui alla fattura e quella in concreto realizzata, ovvero l’incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale ingenerato dalla condotta del cedente.

Su queste basi, sarà poi il giudice di merito a valutare, caso per caso, se la condotta del cessionario (al quale non si possono comunque chiedere prove diaboliche) risponda alla diligenza ragionevolmente esigibile e faccia salvo, a differenza di quanto ritenuto dalla Ctr Lazio, il diritto alla detrazione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Nuovi soggetti per lo slit payment

Dal 2018 scatta lo split payment anche per le fondazioni partecipate da amministrazioni pubbliche, per una percentuale complessiva del fondo di dotazione non inferiore al 70 %.

È questa una delle categoria di “nuovi” soggetti destinatari, dal primo gennaio di quest’anno, del particolare meccanismo della scissione dei pagamenti, disciplinato dall’articolo 17-ter della legge Iva, Dpr 633/1972.

È il Dl 148 /2017 , convertito in legge 172/2017, ad aver ampliato la platea dei soggetti nei confronti dei quali si deve applicare il meccanismo in commento, che comprende, sempre dalla medesima data appena indicata, anche «gli enti pubblici economici nazionali, regionali e locali, comprese le aziende speciali e le aziende pubbliche di servizi alla persona».

Per individuare con esattezza i clienti nei confronti dei quali si deve applicare lo split payment, tre sono i “canali” a disposizione del fornitore: l’indice dell’Amministrazione pubblica, così detto Ipa, già ben noto perché individua i destinatari della fattura elettronica obbligatoria, il sito del Mef che in una pagina dedicata al meccanismo in commento pubblica gli elenchi delle società controllate di fatto, direttamente o indirettamente, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri, degli enti o società controllate, direttamente o indirettamente, dalle Amministrazioni centrali, degli enti o società controllate, direttamente o indirettamente, dalle Amministrazioni locali, degli enti o società controllate, direttamente o indirettamente, dagli Enti nazionali di previdenza e assistenza, degli enti, fondazioni o società partecipate, direttamente o indirettamente, per una percentuale complessiva del capitale non inferiore al 70%, dalle Pa, nonché, infine, delle società quotate inserite nell’indice Ftse Mib della Borsa italiana.

Il terzo canale a disposizione del fornitore, ove esso ritenesse dubbia l’inclusione o la esclusione di un cliente dai predetti elenchi, è richiedere allo stesso una dichiarazione in cui venga attestato se egli rientra o meno nel meccanismo della scissione dei pagamenti.

Tale ultima possibilità è offerta direttamente dalla norma introdotta dal Dl 50/2017, che letteralmente prevede che « A richiesta dei cedenti o prestatori, i cessionari o i committenti … devono rilasciare un documento attestante la loro riconducibilità a soggetti per i quali si applicano le disposizioni del presente articolo».

Con decreto del 9 gennaio 2018, il Mef ha disposto che per il 2018 valgono, per l’individuazione dei soggetti coinvolti dalla scissione dei pagamenti, gli elenchi pubblicati sul proprio sito in data 19 dicembre 2017.

In merito allo split payment è bene ricordare, viste anche le novità in tema di detrazione Iva introdotte sempre dal Dl 50, che il cliente che rientra nel meccanismo può optare anche in questo caso per tre diverse soluzioni per quanto concerne l’esercizio della detrazione dell’imposta.

Viene, infatti, stabilito dall’articolo 3 del Dm 23 gennaio 2015, come successivamente modificato, che l’imposta relativa alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi a cui si applica lo split payment, diviene esigibile al momento del pagamento dei corrispettivi ovvero, su opzione dellePa e delle società o altri soggetti coinvolti nel meccanismo, tale esigibilità può essere anticipata al momento della ricezione della fattura o, ancora, al momento della registrazione del medesimo documento.

Fonte “Il sole 24 ore”

 

La data decide il bonus investimenti

La proroga del superammortamento per gli investimenti eseguiti nel 2018 prevede regole diverse da quelle stabilite per l’agevolazione degli scorsi anni, e segnatamente una aliquota di incremento del valore fiscale del bene strumentale ridotta al 30% contro il 40% dei periodi d’imposta 2015/2017. Vediamo i casi che possono presentarsi a seconda della modalità dell’investimento e dei tempi di consegna.

Bene acquisito entro il 30 giugno 2018

In primo luogo analizziamo il caso del bene già ultimato acquisito tra il 1° gennaio 2018 e il 30 giugno 2018. Sarà necessario distinguere l’ipotesi del bene per il quale sia stato versato acconto sul prezzo almeno del 20% entro il 2017 con ordine accettato dal venditore entro la medesima data, rispetto al bene acquisito nel 2018 senza aver versato alcun acconto. Nel primo caso l’investimento si intende eseguito nel 2017, quindi con variazione diminutiva calcolata sul 40% del costo del bene (ancorchè l’agevolazione verrà fruita nel 2018 al momento di consegna del bene con avvio del processo di ammortamento) . Nel secondo caso, a parità di data di consegna del bene, esso si intende acquisito nel 2018 con calcolo dell’agevolazione con l’aliquota del 30% .

Appalto con consegna entro il 30 giugno 2018

Nell’ipotesi di beni costruiti da terzi tramite contratto di appalto, l’investimento si intende eseguito o al momento della ultimazione della prestazione dell’appaltatore, oppure nel momento in cui risultano accettati definitivamente gli stati di avanzamento lavori (Sal) e limitatamente ai corrispettivi liquidati tramite gli stessi Sal. In tale ipotesi la circolare 4/E/2017 (paragrafo 5.3) ha affermato che la condizione dell’acconto sul prezzo pari almeno al 20% si intende avverata qualora il contratto di appalto risulti sottoscritto entro il 31 dicembre 2017 e sia avvenuto il pagamento di acconti all’appaltatore nella misura di almeno il 20% del costo complessivo indicato nel contratto. In assenza di Sal liquidati entro il 31 dicembre 2017 il bene consegnato entro il 30 giugno 2018 sarà agevolato con l’aliquota del 40%. Anche se vi saranno Sal liquidati entro il 31 dimbre 2017 non sembra diversa la situazione ( quindi agevolazione calcolata con aliquota unica del 40%), purchè siano presenti le condizioni sopra indicate.

Appalto con consegna oltre il 30 giugno 2018

Valutiamo ora l’ipotesi più complessa rappresentata dal bene la cui costruzione è iniziata nel 2017 ma con consegna oltre il 30 giugno 2018, oppure con consegna entro il 30 giugno ma senza aver corrisposto entro il 31 dicembre 2017 l’acconto all’appaltatore di almeno il 20% del costo complessivo. In presenza di Sal liquidati definitamente entro il 31 dicembre 2017 l’investimento è realizzato in parte nel 2017 e in parte nel 2018, con la complicazione che cambia l’aliquota dell’agevolazione con riferimento al medesimo bene. Sembra corretto affermare che la variazione diminutiva verrà calcolata con l’aliquota del 40% per la parte di costo sostenuto nel 2017 e con l’aliquota del 30% per quella realizzata nel 2018. Vediamo questo esempio. Il costo complessivo del bene costruito tramite appalto ammonta a 100.000 €. Nel 2017 sono stati liquidati Sal per 50.000 € e nel 2018 la restante parte con consegna al 30.novembre 2018. L’aliquota di ammortamento è del 15%. La variazione diminutiva annuale dovrebbe essere pari a 3.000 € (100.000/2 = 50.000 x 15% = 7.500 x 40% = 3.000) più 2.250 (100.000/2 = 50.000 x 15% = 7.500 x 30% = 2.250) per un totale complessivo pari a 5.250 €, senza calcolare, per semplicità dell’esempio, la quota dimezzata nel primo anno di utilizzo del bene.

Medesime considerazione valgono per il bene realizzato in economia, dove la possibilità di ritenere eseguito l’investimento interamente nel 2017 è condizionata dal fatto che nel 2017 steso siano stati sostenuti costi pari almeno al 20% del costo complessivo.

Fonte “Il sole 24 ore”

Cessioni, vale il passivo «inerente»

Nel calcolo del valore imponibile del contratto di cessione d’azienda, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, è consentito diminuire il valore dell’attivo aziendale in misura pari al valore delle passività che il cedente non tiene in capo a sé (e che, quindi, il cessionario si accolla), ma solo se si tratta di passività “inerenti” all’azienda ceduta. Lo ribadisce una nota della Dre Lombardia recentemente indirizzata ai Consigli notarili lombardi nell’ambito del rapporto di collaborazione che si concretizza nel “tavolo regionale” attorno al quale si riuniscono esponenti dell’amministrazione finanziaria e notai.

Che le passività, per essere deducibili, debbano essere anche “inerenti” (lo si afferma, ad esempio, nelle sentenze di Cassazione 11167/2013, 10218/2016, 2048/2017) è concetto così scontato che la legge nemmeno ne accenna, evidentemente presupponendolo. Deve però anche essere ovvio che la passività accollata (definendola come una passività “aziendale”) al cessionario dell’azienda si deve presumere, fino a prova contraria (prova che è a carico dell’amministrazione, la quale intenda disconoscerla, al fine di incrementare, corrispondentemente, l’imponibile: in tal senso la sentenza di Cassazione 10218/2016), afferente all’azienda ceduta.

Un altro concetto da sottolineare è che la possibilità di diminuire l’imponibile del contratto di cessione d’azienda esponendo voci di passivo aziendale è una facoltà che compete al contribuente, prima di essere un criterio-guida dell’attività di accertamento da parte dell’Ufficio: se questo ragionamento appare anch’esso banale, meno ovvio diventa se si pensa che lo scomputo delle passività è maldestramente contemplato dalla legge (l’articolo 51, comma 4, Dpr 131/1986) dettata nel contesto di una locuzione che il legislatore scrive con riguardo all’attività di accertamento dell’Ufficio ma che, evidentemente, non può non essere ritenuta quale espressione del principio in base al quale si deve compiere la valutazione dell’azienda; e ciò in base alla esigenza sistematica di una rigorosa corrispondenza tra presupposto e base imponibile e tra criteri valutativi da adottare sia in fase iniziale che in sede di controllo.

Inspiegabile è, dunque, il costante contrario avviso della Cassazione sul punto (sentenze 22223/2011, 8912/2014, 23873/2015) e da interpretare, probabilmente, come frutto di un equivoco, a sua volta causato da imperizia nella redazione di questi contratti,

L’ultimo tema caldo è quello delle aliquote applicabili alla base imponibile: dovrebbe essere scontato (ma nel rapporto tra utenti e Uffici non sempre lo è) che se ci sono crediti separatamente valorizzati, a tale valore si applica l’aliquota specifica dello 0,5% e non quella generica del 3% (quest’ultima è la tesi errata sostenuta in Ctr Firenze, 8 novembre 2016); e che se nel patrimonio aziendale siano compresi contratti soggetti a Iva e quote di partecipazione al capitale sociale di società, il loro valore (sempre se individualmente esplicitato) va sottratto dall’imposizione proporzionale per essere assoggettato all’imposta di registro in misura fissa.

Fonte “Il sole 24 ore”

Buchi di inventario giustificati

di Laura Ambrosi

È illegittima la rettifica dei ricavi per differenze inventariali se per la mole dei volumi trattati dal contribuente potrebbe essersi verificato un errore umano nella quantificazione. Così la Corte di cassazione con la sentenza n. 439 depositata ieri.

L’agenzia delle Entrate notificava a una società un avviso di accertamento con il quale disconosceva la deducibilità di costi infragruppo e presumeva ricavi non fatturati in conseguenza di una differenza inventariale rispetto alle giacenze. Il provvedimento veniva impugnato e i giudici di merito rigettavano l’eccezione. L’articolo 4 del Dpr 441/97 disciplina le presunzioni che possono conseguire alle differenze inventariali riscontrate in sede di accesso. Più precisamente, la norma consente di presumere ceduti senza fattura i beni che non si trovano nei depositi senza un’evidente ragione. In altre parole, si considera ceduto in «nero» il prodotto acquistato di cui il contribuente non riesce a giustificare l’assenza dal magazzino. Una presunzione legale ai fini Iva in favore del Fisco, contro la quale l’impresa può opporre prova contraria.

La società impugnava in Cassazione la decisione lamentando, tra l’altro, che le differenze inventariali erano minime rispetto ai volumi trattati e potevano al più derivare da meri «errori umani» di quantificazione. Tanto più che l’Ufficio nella propria rideterminazione non aveva compensato le differenze negative e positive, limitandosi ad applicare la presunzione solo sui valori negativi.

Secondo i giudici di legittimità, in caso di differenze inventariali, ovvero differenze tra merci giacenti in magazzino e scritture di carico e scarico, opera una presunzione legale. Il contribuente è tenuto alla prova contraria e cioè che le merci non rinvenute siano state impiegate nella produzione, perdute o distrutte. Nella specie, la Ctr non aveva riconosciuto alcuna rilevanza all’esiguità dei valori e alla plausibile circostanza che la differenza potesse dipendere da errate quantificazioni da parte del personale addetto. La Cassazione ha così ritenuto che questi elementi possono rappresentare un’adeguata prova contraria prodotta dal contribuente. La decisione appare importante poiché esclude un’applicazione automatica della presunzione legale in favore di una valutazione di buon senso da parte del giudice.

Fonte “Il sole 24 ore”

Rivalutazioni al 30 giugno

La legge di Bilancio 2018 ha previsto l’ennesima riapertura dei termini per la rideterminazione del valore delle partecipazioni e dei terreni.

Si tratta di una agevolazione prevista per la prima volta nella legge Finanziaria 2002 (la 448/2001, articoli 5 e 7) e poi riproposta, pressoché continuamente, con numerosi interventi legislativi, l’ultimo dei quali ai commi 997 e 998 della legge 205/2017.

Si tratta di una agevolazione che consente di rideterminare il costo fiscale dei beni che, in caso di cessione, possono generare plusvalenza ai sensi dell’articolo 67 del Dpr 917/1986. La rivalutazione consente, infatti, di assumere, in luogo del costo o valore iniziale del bene oggetto della rivalutazione, quello indicato nella perizia di stima con la conseguenza di far emergere, in caso di cessione, una minor plusvalenza e quindi di ridurre la tassazione.

Non ci sono novità rispetto alle precedenti versioni.

La rideterminazione riguarda il valore dei terreni a destinazione agricola ed edificatoria e il valore delle partecipazioni detenute in società non quotate posseduti dalle persone fisiche per operazioni estranee all’attività di impresa, società semplici, società ed enti ad esse equiparate di cui all’articolo 5 del Tuir, nonché enti non commerciali.

Il termine entro cui porre in essere gli adempimenti previsti dalla norma è il 30 giugno 2018; in particolare, entro questa data, è necessario:

redigere e giurare la perizia di stima a cura di un professionista abilitato ovvero iscritti all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e gli iscritti nell’elenco dei revisori legali dei conti (per la redazione delle perizie di stima delle partecipazioni societarie), iscritti agli albi degli ingegneri, degli architetti, dei geometri, dei dottori agronomi, degli agrotecnici, dei periti agrari e dei periti industriali edili (per la redazione di perizia di stima dei terreni);

versare l’imposta sostitutiva dell’8% in un’unica soluzione o oppure rateizzare in un massimo di tre rate di pari importo. In caso di versamento rateale le altre rate devono essere versate entro il 30 giugno degli anni successivi maggiorate del 3% annuo a titolo di interessi.

Al fine di decidere se aderire o meno alla rideterminazione è necessario confrontare con gli importi che sarebbero dovuti in caso di tassazione ordinaria.

Con riferimento alle partecipazioni in società, si deve tener conto del fatto che le plusvalenze derivanti dalle cessioni di partecipazioni qualificate realizzate nel 2018 concorrono a formare il reddito per 58,14% (non più 49,72%) mentre quelle non qualificate sono soggette ad imposta sostitutiva del 26%. Inoltre, va tenuto conto che, a partire dal 1° gennaio 2019, in virtù di quanto previsto dai commi 999 e seguenti della legge di Bilancio, su tutte le plusvalenze da cessione quote, indipendentemente dalla percentuale di possesso (qualificate o meno) troverà applicazione la tassazione mediante imposta sostitutiva del 26 per cento.

Occorre quindi confrontare l’ammontare che deriverebbe dall’applicazione dell’imposta sostitutiva dell’8% sul valore di perizia con quello che deriverebbe dalla tassazione della plusvalenza con le regole ordinarie prima viste. Tenuto conto dell’aliquota di rideterminazione dell’imposta nella misura dell’8%, se la plusvalenza è di lieve entità conviene generalmente applicare la tassazione ordinaria pari al 26% della plusvalenza stessa.

Con riferimento ai terreni, si ricorda che la cessione di un terreno edificabile da parte di una persona fisica, società semplice o soggetti ad essi equiparati genera sempre plusvalenza tassata mentre la cessione di un terreno agricolo genera plusvalenza solo se posseduto da meno di cinque anni.

Fonte “Il sole 24 ore”

Prima chiamata per le detrazioni Iva

Il diritto alla detrazione Iva scatta, in riferimento alle fatture esigibili nel 2017, entro il 16 gennaio 2018 ovvero, se il documento è ricevuto dopo tale termine, deve essere esercitato al massimo entro il 30 aprile 2018 ovvero il termine di presentazione della dichiarazione Iva relativa al 2017.

Il registro Iva sezionale

Per l’esercizio della detrazione, come specificano le bozze delle istruzioni della dichiarazione di quest’anno, è necessario che le fatture vengano preventivamente registrate. Ovviamente, nell’ipotesi in cui le fatture relative alle operazioni realizzate nel 2017 siano ricevute dopo il 16 gennaio 2018 si rende necessario escludere queste operazioni dalla liquidazione Iva del mese di registrazione che, inevitabilmente, sarà il 2018.

Per gestire tali operazioni le imprese dovranno scegliere se predisporre o meno un apposito registro Iva sezionale, quanto mai opportuno, ad avviso di chi scrive, nella convinzione che tale soluzione presenti maggiori garanzie per la corretta liquidazione periodica dell’Iva e dei connessi riscontri da parte degli organi preposti al controllo, grazie ai meccanismi automatici di registrazione e gestione delle fatture interessate dal cambio normativo che solo tale soluzione può garantire, nonché per ridurre in maniera significativa il rischio fiscale collegato agli errori materiali intrinsecamente connessi a qualsiasi procedura manuale.

Le annotazioni

Questa modalità operativa consente, tra l’altro, di individuare agevolmente le fatture da inserire nella comunicazione dati fatture prevista con cadenza trimestrale (e in particolare da riferire all’ultimo trimestre del 2017), nonché di determinare l’Iva da indicare nella liquidazione periodica del trimestre di riferimento; consente peraltro di ottemperare al combinato disposto degli articoli 25 e 39 del Dpr 633/1972, anche considerando le norme generali e le formalità intrinseche in tema di ordinata tenuta delle scritture e dei libri contabili (articolo 2219 del Codice civile, espressamente richiamato dall’articolo 39 citato).

Ciò in quanto le annotazioni nei registri Iva devono essere effettuate rispettando un ordine cronologico di registrazione attribuendo una numerazione progressiva alle singole annotazioni effettuate in ciascun anno solare.

La chiave primaria

Più in dettaglio, scegliendo di adottare un registro Iva sezionale, il sistema contabile pilota i documenti in base a una chiave primaria e univoca (data fattura anno “n”; data di registrazione contabile anno “n+1”) che indirizza correttamente le fatture al registro creato ad hoc per la gestione delle operazioni effettuate nel 2017.

Una volta identificata tramite la chiave primaria, il sistema contabile in sede di registrazione assegna alla fattura un tipo documento con un protocollo dedicato, utilizzato esclusivamente per il registro sezionale creato ad hoc, e la indirizza in automatico nel registro Iva corretto.

L’alternativa

Sarebbe possibile, in alternativa, registrare le fatture di competenza del 2017 nell’ambito delle registrazioni mensili relative al mese di ricevimento (2018), escludendo i relativi importi dalle liquidazioni mensili e tenendone memoria ai fini dell’inserimento nella dichiarazione Iva nella quale si esercita il diritto alla detrazione (2017). Questa soluzione più pratica, presenta i rischi sopra evidenziati, oltre a non essere in grado di monitorare le fatture differite che saranno riferite al 2017, ma saranno datate 2018.

Fonte “Il sole 24 ore”

Nuovo termine di decadenza a prova di Corte Ue

Imprese e professionisti in fibrillazione per la corretta applicazione del nuovo primo comma dell’articolo 19 della legge Iva, in base al quale il diritto di detrazione deve essere esercitato «al più tardi con la dichiarazione relativa all’ anno in cui il diritto alla detrazione è sorto», specie in relazione al disposto dell’articolo 25 in base al quale la registrazione della fattura di acquisto è condizione per l’esercizio della detrazione. La registrazione si configura come un evento successivo e mai antecedente alla ricezione della fattura. L’articolo 25 individua come termine ultimo quello di presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno di ricezione della fattura e con riferimento al medesimo anno.

Il termine di decadenza per l’esercizio del diritto di detrazione viene quindi declinato in due modi: l’articolo 19 parla della dichiarazione dell’anno in cui l’imposta è diventata esigibile per il fornitore e il 25 dell’anno in cui la fattura è stata ricevuta. Il contrasto è solo apparente, e ha già formato oggetto di una significativa sentenza della Corte Ue sin dal 29 aprile 2004 (causa C-152/02). La lite era sorta perché il fisco tedesco aveva contestato la detrazione nel 1999 dell’Iva su fatture di acquisto datate entro tale anno ma pervenute nel gennaio del 2000. La sentenza pone a raffronto le tre versioni linguistiche fondamentali della Ue (francese, inglese e tedesco) relative all’articolo 18 della sesta direttiva, ritenendole sostanzialmente compatibili. Nel testo italiano della direttiva vigente, la 2006/112/Ce, l’articolo 19, primo comma, è allineato all’articolo 167: il diritto a detrazione sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile (per il fornitore); così come l’articolo 25 è in linea con gli articoli 178 e 179, in base ai quali il presupposto procedimentale per l’esercizio del diritto di detrazione è dato dal possesso della fattura di acquisto.

Nel caso di specie, la Corte ha dato ragione all’amministrazione finanziaria – detrazione nel 2000, anno di ricezione della fattura, e non 1999 anno di competenza – con una osservazione operativa (punto 29 della sentenza): «Riconoscere sistematicamente che il diritto di detrazione possa ricollegarsi al periodo di imposta in cui è sorto, indipendentemente dalla data in cui il soggetto di imposta entri effettivamente in possesso della fattura, comporterebbe un rischio rilevante quanto al controllo, da parte di ogni Stato membro, degli elementi presenti nelle dichiarazioni dell’Iva».In altri termini, non si può pretendere che il fisco debba controllare e che correlativamente i contribuenti debbano tenere aperte le registrazioni sino a quando sono in possesso di tutte le fatture con l’Iva esigibile dell’anno precedente.

Il dispositivo della sentenza è chiaro: non esiste incompatibilità tra la detrazione nell’esercizio di esigibilità e l’effettivo esercizio di tale diritto nell’anno (successivo) in cui le fatture sono pervenute al cliente, in quanto occorre che si siano verificati entrambi i requisiti, quello sostanziale (detraibilità ed esigibilità per il fornitore) e quello procedimentale (il possesso della fattura e la sua registrazione).

Siamo tutti in attesa della circolare su questo punto, ma in base alle linee guida della Corte Ue la soluzione è semplice: visto l’articolo 1 del Dpr 100/98, le fatture pervenute sino al 16 gennaio dell’anno dopo vanno in detrazione nell’anno di competenza; quelle che arrivano dopo sono detraibili soltanto nell’anno di ricezione. Non è pertanto il caso di prevedere la prosecuzione delle registrazioni con sezionali, che dovrebbero essere comunque ignorati nell’ultima liquidazione periodica ed inseriti nella dichiarazione annuale. Se la fatturazione elettronica sarà in vigore dal 1° gennaio 2019 questo problema non esisterà più, in quanto la data di ricezione coinciderà con la data di emissione.

Fonte “Il sole 24 ore”

Clausole vessatorie sempre annullabili

La legge di Bilancio 2018 è intervenuta anche sull’equo compenso, introdotto dal collegato fiscale che era uscito in Gazzetta poche settimane prima. La legge 205/2017, per lo più, ha irrigidito la disciplina, con modifiche mirate sulla quantificazione dei compensi, sulla possibilità di negoziare clausole vessatorie e sul regime dell’azione di nullità delle clausole contrarie alla legge. Ma vediamo il quadro d’insieme che ne è venuto fuori.

I rapporti disciplinati

Le norme riguardano i rapporti tra, da un lato, banche, assicurazioni e in generale le grandi imprese e, dall’altro lato, i professionisti, iscritti o meno a ordini professionali. L’obiettivo principale sono gli affidamenti di servizi professionali standardizzati e ripetitivi, come il recupero dei crediti, per i quali spesso la concorrenza sui prezzi diviene molto agguerrita. Le norme entrano in gioco quando i servizi sono regolati da convenzioni predisposte unilateralmente dai clienti, con la presunzione legale che siano tali salvo prova contraria.

La doppia tutela

Le tutele per i professionisti sono due: il diritto all’equo compenso e il divieto di clausole vessatorie. Non sono propriamente una novità perché, in parte, si sovrappongono a quelle della legge 81/2017 sulle «clausole abusive» e sugli abusi di dipendenza economica nei confronti dei lavoratori autonomi.

Come regola generale, l’equo compenso va stabilito in relazione alla quantità e qualità della prestazione, al tipo di servizio da svolgere. In pratica, quello che peserà di più è il rinvio ai decreti ministeriali con i parametri per i compensi professionali. La legge forense ne prevede uno specifico per gli avvocati, per le altre professioni regolamentate si fa riferimento ai parametri per la determinazione giudiziale dei compensi. Qui la legge di Bilancio ha introdotto una modifica importante, precisando che l’equo compenso deve essere «conforme» a questi parametri, mentre in precedenza era sufficiente che ne «tenesse conto». Per i rapporti disciplinati dalla legge, equivale a un ritorno alle tariffe minime.

Le clausole vessatorie

Il divieto di clausole vessatorie è costruito sulla falsariga del codice del consumo. C’è anche qui un criterio generale, per il quale sono vessatorie le clausole che generano un «significativo squilibrio» contrattuale a carico del professionista.

La norma elenca poi alcuni casi tipici di clausole vietate. Ad esempio, le convenzioni non possono riservare al cliente il potere di modificare unilateralmente il contratto, né prevedere prestazioni gratuite a carico del professionista. Il testo originario della norma consentiva di salvare alcuni tipi di clausole vessatorie se era dimostrato che fossero il frutto di una trattativa. La legge di Bilancio ha eliminato questa possibilità, per cui clausole del genere potrebbe essere applicate solo quando la convenzione nel suo insieme sia stata negoziata.

L’azione di nullità

La legge considera nulle le clausole che riconoscono compensi non equi o che hanno carattere vessatorio. La nullità è del genere cosiddetto di protezione, va soltanto a vantaggio del professionista e non si estende al resto del contratto. Il professionista potrà così chiedere in giudizio che il compenso sia rideterminato o che le clausole vessatorie non siano applicate.

Nel testo iniziale, la norma prevedeva per l’azione di nullità un termine di decadenza di ventiquattro mesi. Questa limitazione, che era singolare rispetto alla ordinaria imprescrittibilità della nullità, è venuta meno con la legge di Bilancio. Possono sempre prescriversi, però, le altre azioni che derivano dalla nullità. Le azioni per ottenere i compensi professionali e i rimborsi spese, ad esempio, si prescrivono in tre anni.

Le pubbliche amministrazioni

Sullo sfondo di tutto c’è il settore pubblico. Anche le pubbliche amministrazioni devono garantire il principio dell’equo compenso, per gli incarichi conferiti dopo l’entrata in vigore della legge. L’impatto è ancora tutto da appurare.

Qualche preoccupazione deve essere però sorta da subito, perché la legge di bilancio ha stabilito un regime speciale per gli agenti della riscossione, i cui aggi pesano in definitiva sulle entrate fiscali. Per loro la normativa non si applica, occorre solo che garantiscano compensi «adeguati» all’importanza dell’opera da prestare, tenendo anche conto della sua eventuale ripetitività.

Fonte “Il sole 24 ore”

Il cedente detrae l’Iva se si dimostra estraneo alla frode messa in atto dall’esportatore

Quando la dichiarazione d’intento dell’esportatore è ideologicamente falsa, per la non imponibilità delle cessioni alle esportazioni effettuate nei confronti di esportatori abituali, occorre che il cedente dimostri l’assenza di un suo coinvolgimento nella frode accertata. Lo ha affermato la Cassazione nella sentenza 31116 del 29 dicembre.
Una Srl ha impugnato l’avviso di accertamento con il quale l’ufficio aveva recuperato anche l’Iva 2002, detratta indebitamente per le cessioni di veicoli in sospensione di imposta, su dichiarazioni di intento presentate dal cessionario. Nei gradi di merito il giudizio è risultato favorevole alla società. Non così in Cassazione dove l’Agenzia ha lamentato come la Ctr aveva erroneamente ritenuto sufficiente che, ai fini della non imponibilità Iva e dell’esclusione della compartecipazione nell’illecito ascritto al cessionario, esportatore abituale, la cedente dimostrasse solo la regolarità formale della dichiarazione d’intento.
In particolare, i giudici di legittimità hanno richiamato il principio (n.12751/11) secondo il quale la non imponibilità Iva dei beni destinati all’esportazione (subordinata alla dichiarazione scritta di responsabilità del cessionario e al possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dall’articolo 8, comma 1, lettera c, Dpr 633/72) viene meno se viene accertato che i beni non sono stati effettivamente esportati e che la dichiarazione è ideologicamente falsa. In tali ipotesi, il cedente è esonerato dall’obbligo di assolvere l’Iva su tali beni solo se dimostra di aver adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere per escludere la sua partecipazione alla frode e quindi che, anche usando la diligenza propria dell’imprenditore avveduto operante nel medesimo settore economico, non sarebbe potuto comunque venire a conoscenza dell’insussistenza dei presupposti necessari per qualificare il cessionario esportatore abituale (Cassazione, n.176/15 e n. 19896/16).

Nella fattispecie esaminata, la Cassazione ha concluso che, al di là del mero controllo formale dei documenti allegati dal cessionario, la cedente avrebbe potuto accertare agevolmente la qualità dei precedenti intestatari dei veicoli e degli anteriori cedenti, e cioè verificare, mediante l’acquisizione di dati di rapido reperimento rispetto a quelli allegati dal cessionario, se gli intestatari erano o meno legittimati a detrarre l’Iva. Ma così non è stato, poiché la società non ha adottato le ragionevoli misure in suo potere per escludere il proprio coinvolgimento nella frode accertata.

Fonte “Il sole 24 ore”

Successioni, slitta il modello telematico

Slitta dal 1° gennaio 2018 al 1° gennaio 2019 l’obbligo di presentare – per le successioni aperte dal 3 ottobre 2006 – la dichiarazione di successione in via esclusivamente telematica. Lo stabilisce il provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 28 dicembre 2017 (prot. n. 305134) . Di conseguenza, viene stabilito che:
• il 31 dicembre 2018 (e non più il 31 dicembre 2017) è il termine fino al quale si può utilizzare il modello cartaceo per presentare la dichiarazione di successione;
• per le successioni aperte prima del 3 ottobre 2006 (e per le successioni integrative, sostitutive o modificative di tutte le dichiarazioni presentate in cartaceo) si dovrà sempre usare la carta, anche dopo il 31 dicembre 2018;
• dal 1° gennaio 2019 si dovrà utilizzare il nuovo modello di dichiarazione approvato ora (e qui c’è un rinvio di un anno);
• per tutto il 2018, in alternativa al cartaceo, si potrà spedire telematicamente, ma fino al 14 marzo 2018 si dovrà usare il modello informatico approvato col provvedimento del 15 giugno 2017, dal 15 marzo al 31 dicembre 2018 si potrà usare, in alternativa ad esso, quello approvato ora.

Quest’ultimo contiene anche le istruzioni per compilare il nuovo modello informatico. La loro mole e il ricorso a esempi pratici comportano che spesso le istruzioni evolvono fino a diventare quasi una circolare interpretativa della legge sull’imposta di successione, a quasi trent’anni dalla sua entrata in vigore (1991).

Ad esempio, dalle istruzioni si apprende che le Entrate, sul valore delle quote di partecipazione al capitale di società oggetto di successione ereditaria, si fondano (in mancanza di un bilancio pubblicato) su un «inventario vidimato regolarmente redatto», essendo invece noto che la vidimazione annuale del libro inventari non è più prevista da quando il Dl 357/1994 l’ha depennata dall’articolo 2216 del Codice civile.

Ancora, si apprende che l’amministrazione ritiene ancora vigente la normativa sul coacervo tra massa ereditaria e donazioni stipulate in vita dal de cuius a eredi e legatari, che invece la Cassazione (sentenza n. 24940/2016) considera abrogata fin dal 10 dicembre 2000 (entrata in vigore della legge 342/2000, che soppresse la tassazione delle successioni con aliquote progressive): le istruzioni al modello telematico affermano che nel quadro ES «vanno indicati i beni oggetto delle donazioni e di ogni altro atto a titolo gratuito nonché quelli oggetto di vincoli di destinazione, effettuati dal defunto a favore degli eredi e legatari» e che tale indicazione è fatta ai «fini della determinazione delle franchigie applicabili sulla quota devoluta all’erede o al legatario».

Fonte “Il sole 24 ore”

I tributi sono periodici: scatta la prescrizione quinquennale

Nei casi in cui venga eccepita la prescrizione del credito tributario , sotteso all’adozione di una misura cautelare a garanzia dello stesso, essa soggiace al termine più breve (quinquennale) piuttosto che a quello ordinario (decennale) , trattandosi di tributi periodici ai sensi dell’articolo 2948 del codice civile.
Questo il principio che emerge dalla sentenza della Ctp Milano n. 6797 del 6 dicembre 2017 (presidente e relatore DI ROSA).

Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici ambrosiani riguardava l’impugnazione da parte di un contribuente di un preavviso di fermo amministrativo adottato dall’ufficio sulla base di un credito derivate da alcune cartelle di pagamento per debiti Irepf, Iva e Irap.
Il ricorrente, fra i vari motivi di ricorso, eccepiva l’illegittimità del preavviso di fermo a causa della mancata notifica degli atti prodromici nonché la prescrizione del credito azionato.
L’ Ufficio, dal canto suo, difendeva l’atto cautelare emesso versando in giudizio la prova della notifica degli atti prodromici che legittimavano il preavviso di fermo impugnato.

I giudici milanesi preliminarmente confermano la validità degli atti prodromici alla misura cautelare opposta dal contribuente verificando la relativa documentazione versata in atti dall’ Ufficio; tuttavia è proprio da questo esame che giungono a dirimere la controversia a favore della parte privata in quanto gli atti prodromici erano stati notificati oltre il quinquennio rispetto all’adozione del fermo e non risultavano documentate ulteriori attività idonee ad interrompere il decorso del termine prescrizionale, che il Collegio identifica nell’articolo 2948 comma 4 del codice civile in considerazione della periodicità del tributo.

Il Collegio lombardo sembra implicitamente allinearsi alla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, n. 23397, che sembrava aver ormai definitivamente chiuso la questione stabilendo che le pretese tributarie si prescrivono nel termine “breve” di cinque anni, fatti salvi i casi in cui la sussistenza del credito non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato o tramite decreto ingiuntivo.
Un recente emendamento alla legge di Bilancio 2018 introdurrebbe nell’ordinamento una norma di interpretazione autentica ( ergo retroattiva) che, indipendentemente dal tipo di tributo, porterebbe la prescrizione da quinquennale a decennale, equiparandola all’ actio iudicati ex art. 2953 c.c.
La partita, quindi, come dimostra la sentenza in commento, sembra essere ancora aperta.

Fonte “Il sole 24 ore”

Bollatura Registri contabili – Scadenze e termini

Entro il prossimo 30 Dicembre  scade il termine per procedere alla stampa dei libri contabili meccanografici riferiti all’esercizio precedente  da parte delle imprese e lavoratori autonomi. L’obbligo di stampa riguarda sia i registri fiscali (registri Iva) che quelli tenuti ed imposti da disposizioni civilistiche (libro giornale e il libro inventari). L’unica eccezione riguarda il registro dei beni ammortizzabili, il cui termine per la stampa è scaduto lo scorso 30 Settembre.

Gli stessi termini sopraindicati valgono anche per i soggetti che intendono conservare le scritture contabili in modo elettronico, ai sensi del DM 17/06/2014 (conservazione sostitutiva).

Come si applica l’imposta di bollo?

L’imposta di bollo è determinata con criteri diversi a seconda che la contabilità sia tenuta in modalità cartacea o informatica: si applica limitatamente al libro giornale e libro inventari, mentre ne restando esclusi i registri Iva e gli altri registri (beni ammortizzabili, schede partitari…).

Se la contabilità è tenuta in modo cartaceo, l’imposta di bollo è dovuta nella seguenti misure:

  • SOCIETÀ DI CAPITALI tenute al versamento della Tassa di Concessione Governativa: euro 16,00 per ogni 100 pagine o frazione;
  • PERSONE FISICHE SOCIETÀ DI PERSONE: euro 32,00 ogni 100 pagine o frazioni.

L’imposta di bollo va assolta solo sulle pagine effettivamente utilizzate. In pratica, chi utilizza i libri o i registri assolve l’imposta di bollo ogni 100 pagine (o frazione) effettivamente utilizzate, indipendentemente dall’anno cui si riferisce la numerazione progressiva. Solo dopo aver utilizzato il primo blocco di 100 pagine si deve riassolvere l’obbligo tributario per l’uso delle successive cento (RM 85/2002 e CM 64/2002).

Esempio: se per esempio il libro giornale relativo al periodo d’imposta 2014 termina alla pagina numero 2014/65, l’imposta di bollo, versata a mezzo contrassegno applicato sulla pagina 2014/1, si ritiene assolta anche per le prime 35 pagine del 2015. Il nuovo contrassegno va apposto sulla pagina 2015/36, cioè la 101′ pagina del registro. Si ricorda che, l’imposta di bollo va assolta prima di effettuare le annotazioni sulla prima pagina o sulle successive cento, alternativamente o con i contrassegni telematici applicando le marche da bollo o in modo virtuale mediante versamento con il modello F23, codice tributo. 458T. In entrambi i casi le marche da bollo o gli estremi di versamento (se si è optato per l’assolvimento “virtuale”) vanno apposti, alternativamente:

  1. sulla prima pagina numerata del libro (o sulla prima pagina numerata di ogni blocco di 100);
  2. o sull’ultima pagina, purché prima che il libro sia posto in uso (RM 85/2002).


Ravvedimento operoso

I contrassegni telematici (cioè le care vecchie marche da bollo) riportano la data di loro emissione che coincide con l’acquisto. Nel caso di versamento tardivo dell’imposta di bollo (i.e. acquisto tardivo della marca) è possibile regolarizzare la propria posizione mediante il ricorso all’istituto del ravvedimento operoso.

In tal caso, la sanzione del 100 % sarà ridotta a: 1/10 (10%) nel caso in cui si procede alla regolarizzazione entro i 30 giorni dalla scadenza ordinaria (su € 16 è di € 1,60) o a 1/8 (12,5%) in caso di ravvedimento successivo i 30 giorni ma entro 1 anno dalla scadenza ordinaria (su €. 16 è € 2) La sanzione si versa con il modello F23 con il codice tributo 675T. L’imposta, invece, viene assolta con l’apposizione della marca. Si ricorda che, entro il medesimo termine, dovranno essere versati anche gli interessi calcolati “per giorno” nella misura del tasso legale con il codice tributo 731T.

Contabilità con sistemi informatici

Ai sensi dell’art. 6 DM 17/06/2014, l’imposta di bollo sui documenti informatici fiscalmente rilevanti è dovuta ogni 2.500 registrazioni (o frazioni) nelle misure su indicate (ossia € 16 o € 32). Per registrazione si intende ogni singolo accadimento contabile, a prescindere dalle righe di dettaglio. Il concetto di registrazione va riferito ad ogni singola operazione rilevata in partita doppia, a prescindere dalle righe di dettaglio interessate (RM 161/2007).

LIBRI GIORNALI SEZIONALI

Con la RM 371/2008 l’Agenzia ha fornito chiarimenti in merito al calcolo dell’imposta di bollo su un particolare caso di tenuta del libro giornale su supporto informatico. Qualora il libro giornale sia tenuto mediante utilizzazione di più sezionali, ai fini della determinazione dell’imposta di bollo, rilevano sia le registrazioni effettuate nel libro giornale sia quelle effettuate nei sezionali che siano parte integrante del libro giornale. L’imposta di bollo in tal caso può essere pagata solo con modalità telematica, mediante F24 on line in unica soluzione  entro 120 gg dalla chiusura dell’esercizio (entro il 30 aprile).

Nuovi bandi per le regioni: Lazio – Umbria – Marche

Lazio/1 – Dieci milioni per l’economia circolare e l’energia rinnovabile
La Regione Lazio spinge sull’economia circolare e sullo sviluppo delle energia rinnovabili rafforzando la competitività delle piccole e medie imprese. Approvato con determinazione 15 dicembre 2017, n. G17436 (supplemento n. 1 al Bur 19 dicembre 2017, n. 101) il bando stanzia 10 milioni di euro a valere sul Por Fesr 2014-2020.
Beneficiarie sono le micro e piccole imprese o le grandi imprese (queste ultime solo per le attività di ricerca e sviluppo).
Nell’ambito della “circular economy” sono finanziate innovazioni di prodotto e di processo che portino a un utilizzo efficiente delle risorse e un trattamento e trasformazione dei rifiuti, compreso il riuso dei materiali, oppure sistemi, strumenti e metodologie per lo sviluppo delle tecnologie per la fornitura, l’uso razionale e la sanificazione dell’acqua o ancora nuovi modelli di packaging che prevedano l’utilizzo anche di materiali recuperati.
Nell’ambito dell’energia sono finanziate iniziative che prevedano sistemi innovativi e più performanti per la generazione di energia da fonti rinnovabili o innovazioni tecnologiche in ambito “smart grid”. L’incentivo è concesso nella forma di contributo a fondo perduto e finanzia una percentuale delle spese ammissibili variabile a seconda del tipo di iniziativa e della dimensione dell’impresa (le piccole imprese sono avvantaggiate).
La presentazione delle richieste avviene con procedura “a sportello”.
Le richieste di accesso all’agevolazione possono essere presentate esclusivamente per via telematica compilando il Formulario disponibile on-line nella
piattaforma GeCoWEB.
Domande dalle ore 12 del 25 gennaio e fino alle ore 12 del 10 aprile o fino a esaurimento risorse.

Lazio/2 – Incentivi per la sostituzione delle caldaie a biomassa
Imprese e privati cittadini del Lazio possono beneficiare del bando diretto alla sostituzione delle caldaie a biomassa legnosa. La dotazione finanziaria ammonta a 4.850.000 euro.
Gli interventi finanziabili dal bando sono di due tipi: la rottamazione e la sostituzione di vecchi generatori di calore alimentati a biomasse legnose, con generatori di calore alimentati a biomasse legnose a basse emissioni ed alto rendimento o alimentati a gas (metano, Gpl), anche integrati con pannelli o collettori solari termici; oppure l’installazione di elettrofiltri finalizzata alla riduzione delle emissioni di particolato sottile degli impianti a biomasse legnose.
Per ciascuna unità immobiliare è possibile sovvenzionare un intervento composto da una o entrambe le tipologie. Il costo del singolo intervento ammissibile non potrà comunque superare 10.000 euro per la sostituzione della caldaia e 2.000 euro per la installazione di elettrofiltri.L’agevolazione consiste in un contributo a fondo perduto pari al 60% delle spese ammesse ed effettivamente sostenute per l’intervento.
Le domande vanno presentate solo per via telematica compilando il formulario disponibile online sulla piattaforma Gecoweb , e quindi inviando la domanda e gli allegati richiesti via Pec (posta elettronica certificata) seguendo la procedura descritta nel bando.

Lazio/3 – Garanzia Equity per aumenti di capitale sociale
Disponibili 9,6 milioni di euro per la concessione di una garanzia gratuita su aumenti di capitale sociale effettuati da vecchi e nuovi soci della Pmi, a copertura parziale (50%) del rischio. Destinatari: Pmi che presentino al momento della domanda almeno due bilanci regolarmente approvati.

L’Umbria aiuta le startup innovative
È stato approvato con decreto 13 novembre 2017, n. 11805 il bando 2017 a sostegno delle nuove Pmi innovative che ha l’obiettivo di incentivare la creazione di startup innovative ad alta intensità di applicazione di conoscenza e le iniziative di spin-off della ricerca ai fini della valorizzazione economica dei risultati della ricerca e/o dello sviluppo di nuovi prodotti, processi e servizi ad alto contenuto innovativo. Le risorse, a valere sul Por Fesr 2014-2020, ammontano a 1.300.000 euro. In particolare in linea con la Strategia di ricerca e innovazione per la specializzazione intelligente, il bando promuove e sostiene nuova imprenditorialità basata sulla conoscenza orientata ai mercati internazionali. L’intenzione è di contribuire a favorire l’aumento di una cultura imprenditoriale, con particolare riguardo ai settori knowledge intensive e a conferire una maggiore attrattività a talenti e professionalità qualificate. I progetti presentati dalle imprese devono andare in questa direzione. L’ammontare complessivo delle spese ammissibili non può essere inferiore a 30.000 né superiore a 500.000 euro.
Le richieste di agevolazione dovranno essere compilate e presentate alla Regione Umbria esclusivamente mediante piattaforma informatica.
Domande fino al 29 giugno 2018.

Le Marche a sostegno delle strutture ricettive innovative delle Pmi
Per effetto della proroga disposta dalla Regione, c’è tempo fino al 15 gennaio 2018 per accedere agli incentivi per il miglioramento della qualità, sostenibilità e innovazione tecnologica delle strutture ricettive.
Il bando ha un budget di circa 1,9 milioni e beneficiari sono micro, piccole e medie imprese delle Marche. L’obiettivo del bando è di incentivare progetti di riqualificazione di strutture ricettive esistenti e già operanti, attraverso interventi di ristrutturazione, straordinaria manutenzione, restauro e risanamento conservativo e di ampliamento delle stesse, purché finalizzati al miglioramento del livello di sostenibilità ambientale, dell’accessibilità, dell’innovazione tecnologica, all’adeguamento ed adesione ai disciplinari di prodotto.
Sono ammesse spese per realizzazione di opere edili, acquisto di attrezzature, macchinari e arredi.Il costo complessivo ammesso alle agevolazioni per la realizzazione del progetto non può essere inferiore a 50.000 euro. L’agevolazione consiste in un contributo a fondo perduto in conto capitale sulla spesa ritenuta ammissibile, secondo una intensità di aiuto pari al massimo al 50% della spesa complessiva del progetto.
L’ammontare totale dell’agevolazione non può superare l’importo massimo di 200mila euro per ciascuna domanda. L’istanza di finanziamento, dovrà essere presentata tramite il sistema informatico della Regione entro il 15 gennaio 2018.